1. Delio Cantimori: cenni biografici
Il trasferimento di una biblioteca personale in una istituzione pubblica pone inevitabilmente la raccolta in una condizione di maggiore visibilità. Per assicurare una fruizione ottimale e corretta del materiale librario e/o documentario consegnato, la biblioteca ricevente è chiamata a compiere un duplice sforzo: il primo, di natura strettamente biblioteconomica, riguarda quei procedimenti di riordino, catalogazione e conservazione previsti dagli standard internazionali; il secondo presuppone un’analisi e uno studio approfondito della natura di queste collezioni e permette in tal modo di stabilire una corrispondenza tra l‟atto individuale della creazione di queste
raccolte e lo spazio sociale nel quale ciascuna biblioteca privata viene immessa1. Nell’affrontare uno studio su una parte, pur limitata, della raccolta Cantimori è dunque necessario soffermarsi innanzitutto sul contesto sociale e intellettuale entro il quale questa biblioteca si è costituita.
Delio Cantimori nacque a Russi, in provincia di Ravenna, nell’agosto del 1904. Trascorse la sua prima giovinezza in un’epoca e in un ambiente familiare dominati dal dibattito politico e dal confronto acceso tra ideologie vecchie e nuove: la fede saldamente repubblicana del padre, insegnante, preside di liceo e studioso di Mazzini, il socialismo romagnolo, l’interventismo, la guerra, l’impresa di Fiume e poi il crescente successo del fascismo. In effetti il riferimento alle esperienze politiche giovanili e all’origine romagnola costituisce un passaggio fondamentale in tutti gli studi dedicati alla figura dell’insigne storico, e ricorre con una certa frequenza in molti scritti successivi dello stesso Cantimori2.
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Cfr. A.M.CAPRONI,Le librerie personali nelle biblioteche pubbliche. Appunti per una riflessione, «Bibliotheca», 2, 2003, p. 268-269.
2
Cfr.: G.MICCOLI, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica. Torino, Einaudi, 1970; P. CRAVERI, Cantimori Delio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’enciclopedia italiana, 18, 1995, p. 283-290; D.CANTIMORI, Il mio liceo a Ravenna [1919-1922], in Ravenna una capitale. Storia, costumi e tradizioni, a cura di V. Emiliani e Tino Dalla Valle, Bologna, Alfa,1965.
Nel 1924, al termine degli studi liceali tra Forlì e Ravenna, vinse il concorso per un posto di convittore interno gratuito alla Scuola Normale Superiore di Pisa. A Pisa rimase fino al 1929, dopo quattro anni di corso ordinario di Filosofia e un anno di perfezionamento, nel corso del quale si iscrisse al quarto anno di Lettere per laurearsi anche in letteratura tedesca nel 1931. Non furono tanto, o semplicemente, gli studi universitari ad arricchire e definire meglio gli interessi culturali e le attitudini del giovane, quanto l’ambiente stesso della Normale e la straordinaria generazione di docenti e di allievi che in quegli anni Cantimori ebbe modo di conoscere. Giuseppe Saitta, docente di Storia della filosofia dal 1925, fu indubbiamente la figura che esercitò la maggiore influenza sul giovane studente. In quegli anni Saitta era collaboratore della rivista Vita Nova (organo della federazione fascista bolognese, fondato da Leandro Arpinati) ed era impegnato nello studio del pensiero umanistico-rinascimentale, per il quale proponeva un’interpretazione laica e nazionale, in opposizione alla metafisica teologica della tradizione medievale e in sostanziale continuità con il pensiero gentiliano e con la parte più apertamente anticlericale del movimento fascista. Già negli anni romagnoli Cantimori aveva visto nel fascismo un movimento nuovo, orientato verso quella rivoluzione nazionale che il Risorgimento aveva avviato senza successo, e verso una radicale riforma morale e politica del Paese; ma fu l’insegnamento del Saitta a definire meglio gli interessi politici e culturali del Cantimori, che nel 1926 si iscrisse al PNF e tra il 1927 e il 1932 ebbe modo di collaborare col Saitta anche al di fuori della Normale, pubblicando alcuni suoi scritti su Vita Nova. Il carattere introverso e “legnoso”, che lo stesso Cantimori si attribuiva, non gli permise di stabilire molte e profonde amicizie con i colleghi della Normale e fu spesso motivo di solitudine per il giovane studente, che riuscì a legarsi di una sincera e profonda amicizia solo con uno studente di fisica di poco più anziano, Giovanni Gentile jr. Di questa amicizia rimane una traccia assai vivida nelle numerose lettere che i due giovani si scambiarono nel periodo successivo alla laurea e al trasferimento di Giovannino da Pisa3.
3
Passaggi significativi di queste lettere sono pubblicati in:P.SIMONCELLI, Cantimori, Gentile e la
Intanto Cantimori produsse le sue prime ricerche, dedicandosi da subito al tema della religiosità tra Rinascimento e Riforma, tema che polarizzerà la sua attenzione per buona parte dei suoi studi successivi: nel 1929 sugli Annali della Scuola Normale venne pubblicata la sua tesina in storia della filosofia dal titolo Bernardino Ochino
uomo del Rinascimento e Riformatore, nel 1928 terminò la sua tesi di laurea su Ulrico Von Hutten e i rapporti tra Rinascimento e Riforma, pubblicata anch’essa
sugli Annali della Scuola nel 1930, e al 1929 risale la sua tesi di perfezionamento, discussa con Giovanni Gentile, dal titolo Sulla storia del concetto di Rinascimento, apparsa sugli Annali nel ’32. Su quest’ultimo scritto, in particolare, si sofferma Giovanni Miccoli nel suo denso studio sulla figura e sulla ricerca storiografica del Cantimori, individuandovi una concreta anticipazione del metodo di indagine seguito dallo storico ravennate negli studi più maturi: ripensare le principali categorie e periodizzazioni della storia, troppo spesso generate da “preoccupazioni extrastoriche”, e “riprospettare in tutta la loro piena integrale concretezza e storicità ogni termine o concetto o pseudoconcetto”4
. Da un punto di vista filosofico, il saggio sul concetto di Rinascimento segna una prima timida apertura verso alcuni temi propri del pensiero crociano, in particolare per quel che riguarda l’esigenza di operare una netta distinzione tra res gestae e historia rerum gestarum, esigenza che sarà avvertita in maniera sempre crescente nel prosieguo delle sue ricerche.
Una volta terminati gli studi, Cantimori vinse il concorso per la cattedra di Storia, Filosofia, Economia e Diritto corporativo nelle scuole medie superiori e ottenne di essere inviato al Liceo Classico Dettori di Cagliari. Dopo soli due anni chiese di essere trasferito in altra sede per motivi di salute e di studio. Trascorse due mesi (ottobre-novembre 1931) al liceo Ugo Foscolo di Pavia. Vincitore di una borsa di studio ministeriale per l’estero, partì per Basilea, dove si trattenne fino al luglio 1932, iscrivendosi alla facoltà di Teologia e avviando le prime ricerche su alcune figure di eretici italiani a Basilea. Il periodo trascorso nella città svizzera diede modo allo studioso di entrare in contatto con la Riforma e di conoscerne la natura più vera
4
Cfr.: MICCOLI, Delio Cantimori, cit., p. 63-4. Sul problema delle periodizzazioni nella storia Cantimori tornerà ad interrogarsi a più riprese, anche poco tempo prima della sua morte. Cfr. E. GARIN,Delio Cantimori, «Belfagor», 22, 1967, p. 623-660.
e profonda, ed è proprio a quei mesi e a quegli studi che bisogna risalire per individuare la genesi della sua opera più nota, Eretici italiani del Cinquecento. Nel 1933 tornò ad insegnare per un altro breve periodo a Pavia ed ebbe occasione di incontrare personalità importanti per la sua formazione come Carlo Morandi e Federico Chabod, e due studiosi pavesi a cui rimase molto legato, Baldo Peroni e Renato Sòriga. Sempre al 1933 risale l’inizio della collaborazione alla rivista
Leonardo e l’interruzione delle pubblicazioni su Vita Nova. L’anno successivo vinse
un’altra borsa di studio della Fondazione Volta ed ebbe nuovamente la possibilità di spostarsi all’estero e di studiare in diverse città europee, nelle quali continuò a raccogliere dati per gli Eretici italiani del Cinquecento, che usciranno solo nel 1939 dopo un lungo periodo di gestazione. Tornato nuovamente in Italia, Cantimori divenne assistente presso l’Istituto italiano di studi germanici di Roma, addetto alla redazione della rivista e alla direzione della biblioteca dell’Istituto. Tra il 1936 e il 1937 conseguì la libera docenza in Storia della Chiesa e ottenne la cattedra di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Roma.
Gli anni Trenta segnano per Cantimori un momento di ulteriore e profonda elaborazione delle sue convinzioni politiche e dei suoi orientamenti culturali. In primo luogo si registra una certa volontà di mediazione fra queste due direttrici così importanti della sua esperienza intellettuale, mediazione che Cantimori raggiunse attraverso un progressivo distacco dalla riflessione e dalla partecipazione politica diretta (un segnale significativo in questo senso arriva dall’interruzione dell’intensa attività pubblicistica su Vita Nova) e la ricerca di un approccio storiografico, più che apertamente ideologico, all’attualità politica. A quel proficuo decennio di studi e di esperienze personali risale anche un rinnovato interesse verso il tema della rivoluzione nazionale italiana: tramontata ormai la possibilità di identificare nel fascismo un movimento capace di avviare una vera rivoluzione nazionale, Cantimori individuò nuovamente un punto di mediazione possibile tra politica e ricerca, dedicandosi allo studio della storia ereticale italiana in Europa e attribuendo a quelle figure di eretici italiani il merito di aver rinnovato profondamente la vita nazionale italiana e di aver contribuito alla definizione della cultura europea cinquecentesca. Il filo rosso che unisce questi due nuovi percorsi di ricerca del pensiero cantimoriano è
costituito dalla progressiva conversione alla storia, dallo spostamento di accenti dalla storia del pensiero filosofico alle storie di uomini e di dottrine; ed è possibile che un tale cambio di prospettive sia attribuibile anche al graduale avvicinamento di Cantimori agli scritti di Marx e Lenin e, sul piano personale, all’inizio del rapporto con Emma Mezzomonti, una militante comunista triestina che Cantimori sposò nel 1936.
Nel 1939 partecipò al concorso per la cattedra di Storia presso l’Università di Urbino. Arrivò secondo e presentò domanda per lo stesso insegnamento presso l’Università di Messina, dove ottenne la nomina a partire dal dicembre di quell’anno. Da alcune lettere, che in quello stesso periodo Cantimori scambiò con Giovanni Gentile, si desume tuttavia che era in corso una trattativa molto delicata per favorire il rientro di Cantimori alla Scuola Normale, rientro che avvenne effettivamente già nel ’40, con sua grande soddisfazione5
. Gli anni del ritorno alla Normale sono anche gli anni della guerra e del lento costituirsi di reti clandestine antifasciste, di contatti tra intellettuali che presero a nutrire una certa ostilità nei confronti del regime, soprattutto a partire dall’emanazione della legislazione antisemita del ’38. La possibilità di conoscere le dinamiche di formazione e soprattutto le dimensioni di queste reti di opposizione clandestine è ovviamente limitata: molti intellettuali avversi al regime proseguirono formalmente la loro militanza politica e la loro collaborazione con organizzazioni, riviste, iniziative editoriali ufficiali, e l’approdo a posizioni di distacco o di ferma opposizione fu quasi sempre frutto di una elaborazione intima, evidentemente mai affidata a documentazione scritta. E questo vale anche per Cantimori. Certo la lettura di Marx e Lenin, il matrimonio con la Mezzomonti e la mutata attività pubblicistica degli anni ’30 possono essere considerati indizi significativi dell’apertura di Cantimori verso l’antifascismo e verso una fase del tutto nuova della sua biografia politica e intellettuale, che culminerà con l’iscrizione al Partito Comunista Italiano nel 1948 e con le ricerche sul marxismo, fino alla traduzione del primo libro del Capitale di Marx. Tuttavia, a cavallo tra gli anni ’30 e ’40, Cantimori continuò a collaborare con attività editoriali perfettamente ortodosse come Civiltà fascista e il Dizionario di politica, e a intrattenere rapporti
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confidenziali con colleghi e amici, primo fra tutti Giovanni Gentile, che gli affidò la vicedirezione temporanea della Scuola nel 1942.
In quello stesso anno Cantimori avanzò a Gentile una richiesta di trasferimento all’Università di Roma, richiesta che risulta assai curiosa se si pensa alle complesse manovre che lo stesso Direttore della Scuola aveva dovuto mettere in atto appena due anni prima per favorire il rientro dello storico a Pisa6. Il trasferimento fu accettato, ma il precipitare della situazione politico militare italiana nel corso del ’43 interruppe di fatto l’attività didattica di Cantimori per quell’anno accademico.
I fatti del 1943 ebbero un riflesso molto pesante sulla vita e sull’organizzazione della Scuola Normale, che fino a quel momento, soprattutto grazie all’impegno e al peso politico e intellettuale di Gentile, era riuscita a mantenere un livello di eccellenza e di sostanziale indipendenza sul piano della didattica e della ricerca. Quando però, all’indomani dell’armistizio, Gentile rassegnò le dimissioni dalla direzione della Scuola, in seguito ad un pesante articolo a firma del ministro badogliano Severi, la Normale attraversò un periodo di grave difficoltà e Cantimori venne più volte invitato dallo stesso Gentile ad occuparsi della vicedirezione della Scuola. Cantimori non accettò mai l’incarico, presumibilmente in seguito all’esperienza negativa già vissuta l’anno precedente, ma non può che colpire questo netto rifiuto opposto all’antico maestro e all’amico Gentile: probabile segno di un allontanamento politico e personale che Cantimori voleva rendere manifesto. Nel corso degli anni ’40 infatti si concluse il progressivo e cauto avvicinamento di Cantimori al Partito Comunista Italiano e prese il via un intenso periodo di studio del marxismo, che, sul piano filosofico, condurrà lo storico ravennate verso il superamento definitivo dell’attualismo gentiliano e l’avvicinamento al materialismo storico. Un riflesso evidente di questa nuova stagione di studi è da ricercarsi nell’attività didattica che Cantimori svolse, soprattutto nella seconda metà degli anni ’40, alla Scuola Normale
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Simoncelli ipotizza tre possibili motivazioni che avrebbero spinto Cantimori a decidere di trasferirsi: una politica, ma difficilmente dimostrabile, che vedrebbe Cantimori già inserito in un qualche nucleo antifascista e quindi utile per un’attività di opposizione a Roma; una culturale, secondo la quale Cantimori in quel periodo avrebbe avviato un progetto di collaborazione intenso con il Volpe; e una terza motivazione, tutta interna alla Normale, legata alla difficile collaborazione tra Cantimori e il vicedirettore in carica Arangio-Ruiz e ai rapporti poco amichevoli con molti colleghi della Scuola. Cfr. SIMONCELLI, Cantimori, cit., p. 134-135.
e alla facoltà di Lettere dell’Università di Pisa7. All’indomani della liberazione di
Roma venne inoltre pubblicato il catalogo della collana Pensiero sociale italiano: progettata da Cantimori e Felice Platone e destinata in un primo momento ad una diffusione clandestina, la collana avrebbe dovuto ripercorrere le principali esperienze filosofiche e politiche europee che confluirono nel materialismo storico.
Sul piano della ricerca storica, nel corso degli anni ’40 si dedicò allo studio degli utopisti e dei riformatori italiani tra la fine del Settecento e l’Ottocento, offrendo un contributo importante alla discussione sulle premesse e sullo svolgimento del Risorgimento italiano. L’interesse di Cantimori per questo filone di studi può essere comunque analizzato anche al di fuori dell’ambito ristretto della storia sociale e politica italiana, come studio delle ideologie rivoluzionarie e del pensiero politico e sociale pre-marxista. Su questi temi pubblicò nel 1943 il noto volume Utopisti e
riformatori italiani, 1794-1847. Ricerche storiche. Contemporaneamente avviò
un’intensa collaborazione con le riviste Rinascita e Società e con la casa editrice Einaudi, per la quale svolse una lunga attività di consulenza editoriale, caratterizzata da uno spiccato interesse verso esperienze culturali nuove e dalla consapevolezza del nuovo ruolo di formazione e divulgazione assunto dall’editoria post-bellica. Tra il 1948 e il 1956 Cantimori fu iscritto al PCI: fu una militanza sui generis la sua, contraddistinta da un volontario disinteresse nei confronti della propaganda attiva e da un costante controllo critico di idee e azioni politiche. Dopo il suo allontanamento dal fascismo, Cantimori avvertì una certa diffidenza nei confronti degli intellettuali impegnati in politica (vale la pena, a questo proposito, citare le sue parole: Proprio
per poterci pensare su senza irrigidimenti, uno si tiene lontano dalle responsabilità di rappresentante, esponente, dirigente, “autorità” [...]8
) e stigmatizzò la tendenza a identificare la riflessione filosofica con l’ideologia e con la propaganda attiva. Significativamente fu proprio una polemica storiografica a segnare il definitivo allontanamento di Cantimori dal partito tra il 1955 e il 1956: prendendo spunto dai risultati del X Congresso internazionale di scienze storiche, che si era tenuto a Roma nel settembre del 1955, Cantimori criticò in due interventi la tendenza dei giovani
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Per una panoramica completa dell’attività didattica di Cantimori cfr. MICCOLI, Delio Cantimori, cit. Appendice I.
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marxisti ad una riflessione schematica ed astratta, ad un uso strumentale della ricerca storica in chiave propagandistica, ad un allontanamento dalla riflessione critica e positiva, che avrebbe provocato un ripiegamento politico, una pericolosa tendenza -per tornare alle parole dello storico- «a far setta o chiesuola».
Dopo il 1956 Cantimori si dedicò con rinnovato zelo ai suoi studi sulla vita religiosa italiana nel Cinquecento, pubblicando nel 1960 le Prospettive di storia ereticale
italiana del Cinquecento. Nel 1951 ottenne la cattedra di Storia moderna
all’Università di Firenze, dove rimase ad insegnare fino alla sua morte, senza comunque interrompere la sua collaborazione con la Scuola Normale, per la quale in quegli anni terrà dei corsi di Storia della Chiesa e di Metodologia della Storia. Per quanto concerne la sua attività pubblicistica nel dopoguerra, altrettanto importante fu la collaborazione con la rivista Belfagor, di cui ottenne la direzione nel 1962.
2. Il fondo Delio Cantimori: generalità
Il fondo antico della biblioteca Cantimori è conservato in un’area non accessibile al pubblico presso il Palazzo del Capitano della Scuola Normale Superiore, insieme alla prestigiosa raccolta di libri antichi donata da Eugenio Garin nel 2005, e al cosiddetto Fondo storico, nucleo originario della collezione di antichi, costituitosi progressivamente tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La sala che ospita il fondo antico della Biblioteca è dotata di scaffalature metalliche ed è sottoposta ad un controllo dei valori termici e idrometrici. La consultazione del materiale antico è consentita in un’apposita sala di lettura e in determinate fasce orarie, stabilite dal regolamento interno dell’istituto. Negli ultimi anni il personale della Biblioteca ha provveduto alla catalogazione “libro in mano” dei volumi che compongono la collezione di edizioni antiche, sostituendo progressivamente i record presenti sul catalogo retrospettivo, che era stato ricavato dai cataloghi cartacei e immesso on-line all’inizio degli anni ’90. Questo lavoro di ricatalogazione, condotto secondo lo standard Unimarc, ha permesso di accrescere sensibilmente la qualità e la quantità di informazioni relative alle edizioni che costituiscono il fondo, ottenendo positivi riscontri in termini di quantità di richieste di consultazione.
La biblioteca Cantimori è stata acquistata dalla Scuola Normale di Pisa nel 1969. L’attuale sistemazione del materiale librario e documentario nella Biblioteca rispetta la composizione della raccolta, nella quale si possono individuare quattro principali sezioni:
1. La raccolta di oltre 33.000 libri moderni, collocata nel Palazzo dell’Orologio, che costituisce il nucleo bibliografico principale della sezione di storia moderna della Biblioteca della Scuola;
2. Le miscellanee di estratti ed opuscoli, per un totale di oltre 11.000 documenti; 3. L’archivio personale dello storico, conservato presso il Centro Archivistico della Scuola, che raccoglie appunti per la didattica, materiali preparatori per
studi e conferenze e soprattutto un ricco carteggio con personalità di grande rilievo nella storia politica e culturale dell’epoca;
4. La raccolta di libri antichi, costituita da circa 2.900 edizioni comprese tra il XVI e il XVIII secolo.
La composizione del fondo antico della biblioteca Cantimori ricalca fedelmente l’intenso percorso di ricerca condotto dallo storico ravennate sul tema della religiosità nel Cinquecento, sui movimenti ereticali e sulle figure di utopisti e riformatori europei del XVIII secolo. Tuttavia è sufficiente una rapida consultazione del catalogo del fondo per ricavare un dato più generale e significativo, che riguarda il metodo di indagine storica seguito da Cantimori e, per riflesso, il suo rapporto con il libro antico. Accanto ad edizioni rare e ricercate o ad esemplari davvero pregevoli dal punto di vista estetico (si pensi, a questo proposito, ad un esemplare finemente acquerellato degli Emblemata di Paolo Maccio del 1628), non è raro imbattersi in opere acquistate in edizioni o emissioni differenti o in esemplari in parte o del tutto privi del corredo iconografico originario. Sono, queste, evidenze significative, si diceva, che danno l’impressione di trovarsi di fronte ad una raccolta di preziosi materiali di studio, di testi da leggere e interpretare criticamente, piuttosto che alla biblioteca di un “semplice” collezionista. Rinvio alla sezione successiva l’analisi delle pratiche di annotazione dei libri da parte di Cantimori, ma, a riprova di quanto detto finora, ritengo comunque opportuno osservare in questa sede che lo scrupolo critico che guidava l’insigne storico ravennate nell’acquisto9
e nello studio delle edizioni antiche, emerge in tutta evidenza anche nelle, pur rare, postille presenti in alcuni volumi del fondo10. C’è poi un terzo dato utile, seppur empirico, per delineare
9
Dall’analisi delle edizioni del XVII secolo che costituiscono il Fondo è possibile formulare alcune ipotesi sulle modalità di acquisizione e formazione della raccolta. Oltre ad alcuni esemplari ricevuti in dono o in seguito ad uno scambio e a singoli volumi sicuramente comprati presso determinate librerie antiquarie, possono essere isolati molti volumi per i quali è plausibile pensare ad un certo numero di acquisti in blocco. Questa circostanza sembra infatti essere confermata non solo dalla presenza di consistenti gruppi di esemplari con provenienze comuni (per la cui trattazione si rimanda ai cap. 4 e 5), ma soprattutto dal rilevamento di circa 40 volumi recanti annotazioni numeriche di tipo commerciale, presumibilmente indicazioni di prezzo (400, 500, 800, 1000, 1200, 1500, 2000, 4000, 5000), con caratteristiche grafiche e formali omogenee, collocate per lo più nel margine superiore del contropiatto posteriore.
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le caratteristiche più generali di questa raccolta e per tracciare un rapido profilo di Cantimori bibliofilo: basta dare uno sguardo d’insieme ai libri che costituiscono il fondo per notare che quasi nessun volume presenta legature artistiche o di particolare pregio, e che molti esemplari, pur essendo in molti casi vere e proprie rarità bibliografiche e antiquarie, presentano spesso danni dovuti all’azione di parassiti o tracce molto evidenti del tempo e dell’uso. Mi pare che tutte queste osservazioni preliminari siano sufficienti a delineare l’immagine di una raccolta preziosa, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto per la sensibilità intellettuale che ha guidato Cantimori nella sua costituzione.
Tra gli scritti editi di Cantimori è difficile imbattersi in un riferimento esplicito al suo interesse per i libri antichi, ma in almeno due circostanze lo storico ravennate si soffermò a riflettere sulla funzione dei libri e delle raccolte librarie per la diffusione della cultura a tutti i livelli. In una delle lettere inviate tra il 1960 e il 1964 a Francesco Rossi per la rivista Itinerari11, Cantimori prende spunto dalla
partecipazione alla commissione per la nomina del direttore della Biblioteca Malatestiana di Cesena, per riflettere sul sistema di formazione e di reclutamento del personale bibliotecario nel nostro Paese e sulla funzione delle biblioteche, in particolare di quelle locali o di provincia. Sintetizzando molto il suo argomentare, Cantimori sostiene la necessità di rafforzare il sistema delle biblioteche locali e di definire meglio la loro insostituibile funzione formativa (la loro mission, diremmo oggi), ampliandola al maggior numero di possibili lettori e offrendo, in tal modo, un’occasione di impiego più appetibile e stimolante alle giovani intelligenze:
[...] il direttore d‟una di queste biblioteche non può limitarsi a ricevere e assistere gli studiosi stranieri (spesso stravaganti!) venuti per consultare un codice, ma deve aiutare ogni cittadino che voglia aumentare il proprio sapere e la propria consapevolezza, guidandolo nella scelta di un buon manuale per il
11
Le lettere sono state pubblicate integralmente a un anno dalla scomparsa dell’autore inCANTIMORI,
tornitore come fornendo la più accreditata rivista d‟informazione generale nelle varie discipline e attività [...]12.
Una prospettiva simile, ma stavolta associata ad un’esperienza più concreta, emerge da un breve scritto, edito postumo nel 1969 come appendice alla Guida alla
formazione di una biblioteca pubblica o privata: catalogo sistematico e discografia13. Il piccolo manuale, concepito come un elenco ordinato per classi delle
opere più rappresentative nei diversi ambiti del sapere, si ispirava all’esperienza della Biblioteca di Dogliani, primo esperimento di Biblioteca popolare moderna, fondata da Giulio Einaudi nel 1963. Di un certo interesse risulta anche la presenza all’interno della raccolta Cantimori di alcuni cataloghi di librai otto-novecenteschi e di un volume della vendita all’asta della biblioteca del barone Landau, a cui Cantimori dovette presumibilmente partecipare assieme all’amico Eugenio Garin riuscendo anche ad aggiudicarsi alcuni titoli14.
12
Cfr. CANTIMORI,Conversando di storia, cit., p. 157
13
Cfr. D. CANTIMORI,Per un catalogo, in Guida alla formazione di una biblioteca pubblica o privata.
Catalogo sistematico e discografia. Torino, Einaudi, 1969, p. 531-658.
14
Biblioteca del barone Landau: quarta vendita all‟asta presso la galleria Ciardiello, Firenze,
Lungarno Corsini, 4, a cura della Libreria antiquaria Ulrico Hoepli. Milano, Hoepli, 1949. Il
catalogo dell’asta e alcuni libri antichi provenienti dalla collezione Landau sono presenti sia nella raccolta di Garin che in quella di Cantimori, cfr. infra, p. 31-32.
3. Nuove prospettive di studio sul libro del Seicento.
Prima di addentrarci nell’analisi delle edizioni del XVII secolo del fondo Cantimori, tenteremo di tracciare una sintetica storia dei principali contributi scientifici sul libro del Seicento, soffermandoci, in particolare, sugli studi più recenti e sulle attuali prospettive di ricerca in questo ambito. Ogni buon manuale di bibliografia, nell’affrontare il tema della produzione tipografica del Seicento15
, informa il lettore
15
L’imposizione della stampa a caratteri mobili e la diffusione in tutta Europa delle tecniche di produzione del libro tipografico favoriscono una crescente circolazione di questo prodotto, che nel corso del XVII secolo diventa un vero e proprio prodotto di massa. Il progressivo aumento di nuovi titoli è favorito soprattutto dalla rinnovata attenzione che le autorità laiche ed ecclesiastiche riservano al libro, come strumento di propaganda e di controllo ideologico o religioso (F. Barberi a questo proposito individua tre principali tipologie di collaborazione tra tipografi e autorità: commissioni, concessioni e privilegi, censura), ma anche dalla comparsa di una nuova figura professionale, che in questo secolo guadagna autonomia rispetto al tipografo: l’editore. Una parte rilevante della produzione tipografica del Seicento è dunque costituita da edizioni di lusso, generalmente sovvenzionate da grandi istituzioni laiche, e da opere di edificazione religiosa, ma la relativa rapidità di produzione e la diffusione capillare di attività economiche collaterali a quelle tipografiche (in particolare di cartiere e fonderie), favoriscono nel corso del secolo la diffusione di nuovi prodotti editoriali, come i romanzi o i testi teatrali (in edizioni spesso scorrette dal punto di vista testuale e prodotte con materiali scadenti) o di pubblicazioni non in linea con la politica culturale delle autorità e della Chiesa Cattolica in particolare, impegnata già dal periodo controriformistico in una serrata opera di censura preventiva (attraverso il sistema dei privilegi) o apertamente repressiva (attraverso l’istituzione del S. Uffizio e la pubblicazione degli Indici dei libri proibiti). La diffusione di libri popolari di scarsa qualità tecnica e formale e di prodotti per loro natura effimeri (almanacchi, fogli volanti, bandi, gazzette, ecc.) ha inoltre limitato la possibilità di quantificare in modo esaustivo la produzione editoriale del Seicento. Accanto a questa manifesta irregolarità nella qualità dei prodotti tipografici, nel XVII secolo si registrano almeno due importanti innovazioni che riguardano la forma e l’aspetto del libro: l’introduzione generalizzata dell’antiporta e il ricorso esteso all’illustrazione calcografica. L’antiporta è una tavola, quasi sempre incisa in rame, collocata nel recto o nel verso della carta che precede il frontespizio. Nel libro del Seicento è caratterizzata da una grande varietà di soggetti e da elementi decorativi complessi, spesso allegorici, che traducono in immagine il contenuto dell’opera. Tuttavia alla ricchezza dell’antiporta non corrisponde automaticamente una effettiva qualità del prodotto tipografico. Il successo dell’antiporta e il ricorso crescente all’illustrazione su rame anche all’interno dei volumi è la diretta conseguenza della diffusione di una vera e propria industria calcografica, che occupa spazi di mercato autonomi rispetto a quelli dell’industria tipografica e che incontra meglio il gusto artistico dell’epoca. Molti stampatori ricorreranno alla tecnica calcografica anche per il frontespizio, che accoglierà molto di frequente cornici e complessi elementi decorativi non realizzabili con la tecnica xilografica, sacrificando molto spesso il contenuto testuale che caratterizza per definizione il frontespizio. Sul piano della geografia della produzione libraria, è necessario segnalare la posizione dominante assunta in tutta Europa dall’editoria olandese, che potè contare su estese reti commerciali, e offrì a molti autori francesi o protestanti la possibilità di stampare liberamente le loro opere. Protagonisti indiscussi di questa prospera stagione furono i Plantin (per il meridione a maggioranza cattolica) e gli Elzevir (attivi nel Nord protestante). Piuttosto vitale risulta anche l’editoria tedesca, dove la produzione di opere di autori protestanti è ancora significativa, ma la Guerra dei Trent’anni e la crisi della piazza commerciale di Francoforte segneranno una pesante battuta d’arresto. Declina invece la tradizione editoriale della Francia (a causa delle rigide misure di
sul generale ritardo che interessa questo specifico settore di ricerca, soprattutto se paragonato agli studi esistenti sulla produzione quattro-cinquecentesca16. Il problema riguarda in modo particolare il nostro Paese, nel quale sono state avviate iniziative concrete solo per quanto riguarda il censimento delle edizioni del XV secolo, con la redazione dell’IGI (Indice Generale degli Incunaboli), e del XVI secolo, attraverso l’avvio del progetto EDIT 1617
. In assenza di repertori esaustivi relativi al patrimonio bibliografico del XVII secolo conservato nelle biblioteche italiane, è necessario ricorrere ai cataloghi retrospettivi di grandi biblioteche estere, come il National
Union Catalog18, che registra il patrimonio posseduto da buona parte delle biblioteche statunitensi e canadesi, o il cosiddetto BLC, il catalogo retrospettivo della British Library19. Allo stesso modo, per sopperire alla carenza di repertori bibliografici nazionali relativi al XVII secolo, può risultare utile consultare alcune bibliografie estere, retrospettive e di carattere selettivo, come il Catalogue of
seventeenth century Italian books in the British Library20, il catalogo short-title delle
controllo imposte da Colbert). Assai complessa appare la situazione italiana, caratterizzata dalla progressiva scomparsa dei grandi editori umanisti del Cinquecento, e da un’esposizione diretta alla censura cattolica. Venezia continua ad essere il principale centro italiano di produzione libraria, nonostante la riduzione del numero di stamperie attive rispetto al secolo precedente, seguono Roma (nella quale è predominante la produzione di libri di argomento religioso), Bologna e Firenze. A fronte di una sostanziale decadenza tecnica e formale e di una crisi della tradizionale editoria di cultura, in Italia si registra tuttavia un aumento del numero delle stamperie attive e una più capillare diffusione della tecnica tipografica, anche in centri fino ad allora privi di tipografie, favorita anche dalla presenza di tipografi itineranti. Sarà anche la presenza di queste piccole imprese tipografiche disseminate per tutta la penisola a determinare l’aumento del numero di titoli prodotti e il successo di nuovi generi editoriali, che raggiungeranno per la prima volta fasce più ampie di lettori. Cfr. L. FEBVRE,H.J.MARTIN, La nascita del libro, Bari, Laterza, 1977; S.H. STEINBERG,Cinque secoli di stampa, Torino, Einaudi, 1962; M. SANTORO,Storia del libro italiano: libro e società in Italia dal Quattrocento al nuovo millennio, Milano, 2008; F. BARBERI, Il libro italiano del Seicento. Aggiornamento della bibliografia dei tipografi, editori e librai a Roma nel Seicento, a cura di Lorenzo
Baldacchini. Manziana, Vecchiarelli, 1990. 16
Per tentare di spiegare questo fenomeno, se non dal punto di vista catalografico almeno da quello della storia del libro, Marco Santoro ha parlato di una percezione dell’editoria seicentesca eccessivamente condizionata dalla separazione tra libro dotto (o di lusso) e libro popolare e di una insistita ricerca del “nesso libro secentesco-libro barocco”, che ha provocato un prolungato accantonamento delle forme tipografiche più popolari, in quanto non rispondenti ai parametri estetici propri del gusto artistico barocco. Cfr. SANTORO,Storia del libro, cit., p. 210-211.
17
Edizioni italiane del XVI secolo: censimento nazionale, Roma, ICCU, 1985- , 4 voll., poi proseguita come repertorio elettronico: http://edit16.iccu.sbn.it/iccu.htm [Ultima consultazione: 14/01/2010]. 18
The National Union Catalogue. Pre-1985 Imprints. Chicago, Mansell, 1968-1981. 19
The British Library general catalogue of printed books to 1975. London, Saur, 1979-1987. 20
Catalogue of seventeenth century Italian books in the British Library. London, The British Library, 1986.
edizioni del XVII secolo conservate nelle biblioteche di Cambridge21, o il Répertoire
des ouvrages imprimés en langue italienne au XVIIe siècle conservés dans les bibliothèques de France22.
Sul fronte degli studi relativi alla tipografia italiana del Seicento la situazione appare più incoraggiante, in particolare per quanto riguarda gli ultimi decenni. Fino agli anni ’60 del secolo scorso per lo studio del libro italiano del XVII secolo si era costretti a ricorrere per lo più a strumenti generali, per quanto fondamentali, come il Lexicon
Typographicum del Fumagalli23, pubblicato nel 1905 e poi integrato a più riprese fino agli anni Quaranta, o ai repertori di Marino Parenti Prime edizioni italiane e
Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti24. Le principali esperienze di “avanguardia” per questo settore di studi furono indubbiamente il repertorio di autori italiani del Seicento di Sandro Piantanida e Lamberto Diotallevi25 del 1948, o lo studio di Giuseppe Boffito sui frontespizi incisi nel libro del Seicento26, risalente addirittura al 1922, che può essere considerato una felice anticipazione di un filone di studi sviluppatosi notevolmente in tempi più recenti, in particolare grazie alle ricerche di Francesco Barberi.
A partire dagli anni ’60 il rinnovato interesse per lo studio della tipografia italiana del Seicento si è tradotto in una serie di indagini sia di tipo quantitativo (annali di singoli tipografi, cataloghi di edizioni del XVII secolo conservate nei fondi di alcune biblioteche italiane), che di tipo storico, in entrambi i casi circoscritte a singole regioni o città. Si vedano a questo proposito gli studi sull’attività tipografica a Venezia, a Milano, a Napoli27, per i centri maggiori, ma anche in realtà secondarie
21
R.L. BRUNI - D.WYN EVANS, Italian 17th century books in Cambridge Libraries. A short-title catalogue. Firenze, Olschki, 1997
22
S.MICHEL -P. MICHEL, Répertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au XVIIe siècle conservés dans les bibliothèques de France, Paris, CNRS, 1967-1984; e ID.,Répertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au XVIIe siècle conservés dans les bibliothèques de France, Firenze,
Olschki, 1970- (interrotto al secondo volume) 23
G.FUMAGALLI,Lexicon typographicum Italiae, Firenze, Olschki, 1905 (con rist. anastatica edita
sempre dalla Olschki nel 1966) 24
M. PARENTI, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti in opere di autori e traduttori italiani. Firenze, Sansoni Antiquariato, 1951; ID.,Prime edizioni italiane. Roma, Gerra, 1935
25
S. PIANTANIDA -L.DIOTALLEVI,Autori italiani del Seicento. Milano, Libreria Vinciana, 1948-1951
26
G.BOFFITO,Frontespizi incisi nel libro italiano del Seicento. Firenze, Seeber, 1922
27
Cfr. P.ULVIONI,Stampatori e librai a Venezia nel Seicento, «Archivio Veneto», 1975; C.SANTORO, Tipografi milanesi del secolo XVII, «La Bibliofilia», 67, disp. 3, 1965; P.LOPEZ,Stampa e censura a
come, Mantova, Benevento, Lecce28. Particolare attenzione è stata dedicata anche al tema della censura libraria e allo studio della componente figurativa tipica delle edizioni del XVII secolo. Un utile strumento per ricostruire i molteplici percorsi di ricerca sul libro e sulla produzione tipografica del Seicento è stato realizzato nel 1981 da Silvia De Vincentiis e Giuliana Sgambati Liberti, come bibliografia italiana degli scritti sull’argomento apparsi tra il 1800 e il 198129
. I riferimenti bibliografici, ricavati dallo spoglio delle principali riviste di bibliografia e biblioteconomia e di periodici di accademie e deputazioni di storia patria, è organizzato in tre sezioni, che elencano rispettivamente: opere di carattere generale sul Seicento; cataloghi a stampa relativi a raccolte conservate nelle biblioteche italiane; opere a carattere locale, raggruppate per città, comuni o regioni, elencati in ordine alfabetico. Di poco successivi sono gli studi che Francesco Barberi ha dedicato nel corso degli anni Ottanta alla storia del libro e della tipografia nell’Italia del Seicento: nel 1984 la rivista Accademie e biblioteche d‟Italia pubblica in due parti Introduzione alla
tipografia italiana del Seicento; mentre l’anno successivo esce Il libro italiano del Seicento30
, che propone un’appendice su tipografi, librai ed editori a Roma nel Seicento e soprattutto un’attenta analisi della funzione e delle caratteristiche dell’antiporta e del frontespizio, già apparsa nel 1982 in Accademie e biblioteche
d‟Italia.
Per le pubblicazioni successive al 1981, anno di uscita del repertorio di De Vincentiis e Sgambati, manca uno strumento di informazione bibliografica altrettanto mirato, benché le ricerche sul libro italiano del Seicento siano proseguite con una certa intensità. Di grande utilità, soprattutto perchè la copertura bibliografica si estende fino al 2002, risulta l’appendice bibliografica inserita nel volume di Marco Santoro
Napoli nel„600, Napoli, Stabilimento Tip. G. Genovese, 1965, e ID.,Inquisizione, stampa e censura nel Regno di Napoli tra „500 e „600, Napoli, Edizioni del delfino, 1974.
28
Cfr. La stampa a Benevento nel XVII secolo, Benevento, Biblioteca provinciale, Palazzo Terragnoli, febbraio-marzo 1985, Benevento, 1985; L.PESCASIO,L‟arte della stampa a Mantova nei secoli XV,
XVI, XVII, Mantova, Editoriale Padus, 1971; G. SCRIMIERI, Edizioni salentine del Seicento nella Biblioteca Caracciolo di Lecce, Lecce, Edi quattro,1972.
29
Arte tipografica del sec. XVII in Italia. Bibliografia italiana (1800-1981), a cura di Silvia de Vincentis e Giulia Sgambati Liberti. Roma, Istituto Centrale per il catalogo unico e per le informazioni bibliografiche, 1981.
30
F. BARBERI, Il libro italiano del Seicento, Roma, Gela reprint’s, 1985. Riedito nel 1990 con un aggiornamento all’appendice. ID.,Il libro italiano del Seicento, cit.
Libri, edizioni e biblioteche tra Cinque e Seicento31, in cui ovviamente compaiono
anche numerosi riferimenti a strumenti e pubblicazioni relative al libro del XVI secolo. L’elenco di studi dedicati specificamente al libro del Seicento è suddiviso tra opere di carattere generale, pubblicazioni relative alla componente figurativa del libro, studi sulla censura, sul commercio librario, e sull’attività editoriale di singoli centri italiani (in particolare Venezia, Roma, Viterbo, Napoli, Benevento, Milano e la Lombardia, la Toscana, la Puglia, Foligno e Gubbio, la Romagna, Genova e la Liguria, Messina). Comprensibilmente il percorso bibliografico proposto da Santoro coincide, per le pubblicazioni del periodo 1800-1981, a quello di De Vincentiis e Sgambati. Per quel che riguarda la storia del libro seicentesco, tra i nove saggi raccolti nel volume di Santoro, almeno tre meritano una particolare attenzione: La
biblioteca medica, perchè rimanda ad un interessante progetto di catalogazione delle
opere di argomento medico e farmacologico, realizzato nel 2001 dalla Biblioteca Casanatese, che registra più di 1.000 edizioni del XVII secolo; Caratteristiche e
valenze dell‟editoria barocca, pubblicato nel 2001 in I luoghi dell‟immaginario barocco, perchè offre interessanti spunti di riflessione sul funzionamento
dell’editoria seicentesca, ma soprattutto perchè si inserisce in un filone di studi molto attuale e fecondo, come quello relativo alle caratteristiche e alla funzione del paratesto nel libro antico; e infine Le edizioni sceniche napoletane fra Cinque e
Seicento, edito nel 2000 nei Nuovi Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari.
Limitando la ricerca alle pubblicazioni e agli studi italiani di storia del libro editi successivamente al 2002 o apparsi nello stesso periodo in riviste di bibliografia e biblioteconomia, si ritiene opportuno segnalare almeno gli studi di Roberto L. Bruni sulla tipografia fiorentina del Seicento32, alcune ricerche sull’attività di singoli tipografi italiani33, e sulla produzione libraria in particolari città o regioni italiane34.
31
M. SANTORO,Libri, edizioni e biblioteche tra Cinque e Seicento. Con un percorso bibliografico.
Manziana, Vecchiarelli, 2002. 32
Editori e tipografi a Firenze nel Seicento, «Studi secenteschi», 45, 2004; Editori e tipografi a
Firenze nel Seicento, Firenze, Olschki, 2004; Sulla tipografia fiorentina del Seicento: le edizioni Marescotti, «La Bibliofilia», 105, disp. III, 2003.
33
Cfr. E. BOFFA,Francesco Zannetti tipografo in Arezzo, «Bibliotheca», 2, 2006; F. BARBIERATO,
Sono inoltre proseguite le ricerche su due filoni di studi molto settoriali, ma tradizionalmente ben rappresentati, come quelli sull’editoria teatrale e musicale nel Seicento35.
Nel 2008 Marco Santoro ha pubblicato per la casa editrice Serra un agile strumento di informazione bibliografica dal titolo Materiali per una bibliografia degli studi
sulla storia del libro italiano36, nel quale l’autore propone una rassegna di studi,
dichiaratamente selettiva e soggettiva, sulla storia del libro italiano. I Materiali sono suddivisi tra opere e contributi di carattere generale e opere relative alla produzione editoriale italiana dal Quattrocento ad oggi. La sezione dedicata al Seicento, assai utile per la nostra ricerca perchè riprende e aggiorna il percorso bibliografico che lo stesso Santoro aveva proposto nel 200237, segnala preventivamente i principali contributi generali sull’editoria dell’epoca, per passare poi ad una rassegna di titoli organizzati per aree geografiche di riferimento. Tra le segnalazioni più recenti si riportano, per il Veneto, i due volumi del Censimento delle edizioni veneziane del Seicento38, e Edizioni del XVII secolo, catalogo a cura di Sandra Favret, prefazione di Neil Harris, Treviso, Seminario Vescovile, Biblioteca, 2006; e, per il Piemonte, V. SONZINI, Tre stampatori nella Novara del Seicento. Sesalli, Caccia e Cavallo.
Novara, Interlinea, 2005.
Bibliofilia», 107, disp. 2-3, 2005; L. CARNELOS,I libri da risma: catalogo delle edizioni Remondini a larga diffusione (1650-1850), Milano, FrancoAngeli, 2008.
34
Edizioni pavesi del Seicento (1631-1700), a cura di Luisa Erba, Milano, 2003; F.FIORE,G.LIPARI,
Le edizioni del XVII secolo della Provincia dei Cappuccini di Messina, Messina, Sicania, 2003.
35
S. FRANCHI, Annali della stampa musicale romana dei secoli XVI-XVIII. Vol. I/1. Edizioni di
musica pratica dal 1601 al 1650. Roma, IBIMUS, 2006; e di N.MICHELASSI,S.VUELTA GARCÌA, Il
teatro spagnolo sulla scena fiorentina del Seicento, «Studi Secenteschi», 45, 2004.
36
Cfr. M.SANTORO,Materiali per una bibliografia degli studi sulla storia del libro italiano,
Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2008. 37
Cfr. SANTORO,Libri edizioni, cit.
38
Le edizioni veneziane del Seicento. Censimento, a cura di Caterina Griffante, Milano, Regione del Veneto, Bibliografica, 2003-2006.
4. Le Seicentine: composizione e caratteristiche
Le edizioni del XVII secolo della raccolta Cantimori comprendono 419 volumi complessivi, ordinati in tre gruppi sulla base del formato: in un primo gruppo sono stati riuniti i cosiddetti piccoli formati, ossia quelli inferiori o uguali all’ottavo, seguono i libri in quarto e infine quelli in folio. Quantificando il numero totale di volumi per ciascun formato presente, questa sezione del fondo è costituita complessivamente da 146 volumi in dodicesimo, 129 in quarto, 75 in ottavo, 53 in folio, 8 in ventiquattresimo, 7 in sedicesimo e 1 in trentaduesimo.
La varietà di generi e di prodotti editoriali che è propria della cultura del Seicento, complica notevolmente la possibilità di classificare (e quantificare) sulla base del loro contenuto le edizioni del XVII secolo che fanno parte della raccolta. Per questa ragione si è scelto di limitarsi ad accennare brevemente ai generi meglio rappresentati e di segnalare alcune tra le opere più significative della produzione editoriale di un particolare autore o di un determinato ambiente culturale. Come già rilevato in precedenza, esiste un legame così stretto tra le opere che compongono il fondo antico Cantimori e i principali interessi di studio seguiti nel corso della sua carriera dallo storico ravennate, da poter definire questo fondo di libri antichi come una vera e propria raccolta di materiali da ricerca. Non sorprende quindi osservare che tra le seicentine del fondo ci sia un numero molto consistente di opere di argomento storico, filosofico e religioso, attraverso le quali si ricompone idealmente quel filone di studi, prevalentemente di carattere sacro ed erudito, che nel corso del XVII secolo ebbe notevole fortuna, soprattutto grazie al nuovo impulso dato dalle questioni dottrinarie poste dal mondo protestante. Principali esponenti di questa cultura polemica e controversista saranno soprattutto gli scrittori gesuiti, che, non a caso, trovano ampio spazio nella raccolta Cantimori: a titolo esemplificativo mi limito a segnalare la presenza nel fondo di un esemplare degli Esercitii spirituali di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia (164.); delle Meditationes di Claudio Acquaviva (4.), preposito generale dell’Ordine per un trentennio e promotore della costruzione del nuovo Collegio Romano; delle Disputationes di Roberto Bellarmino
(282.), esponente di spicco della cultura controriformistica; di cinque edizioni di Daniello Bartoli (29., 30., 31., 32., 33.), storiografo ufficiale della Compagnia dal 1648 e rettore del Collegio Romano dal 1671 al 1674; della prima edizione de
L‟incredulo senza scusa (35.) del principale oratore sacro della Compagnia, Paolo
Segneri. Sempre sul fronte cattolico, si segnala la presenza di due importanti strumenti inquisitoriali, come il Sacro Arsenale di Eliseo Masini (222.) e il Tractatus
de haeresi del giurista Prospero Farinacci (121.); mentre, per i testi di argomento
storico, risulta particolarmente significativa la presenza di alcune opere di Paolo Giovio (142.) e Cesare Baronio (28.). La reazione della Chiesa Cattolica alla Riforma Protestante e alla diffusione di grandi e piccoli movimenti ereticali non si tradusse esclusivamente in una serrata riflessione teologica e dogmatica, ma anche in una straordinaria proliferazione di opere di edificazione religiosa di largo consumo, anch’esse ben rappresentate tra le seicentine della raccolta Cantimori dalle 14 edizioni di vite di Santi e religiosi conservate nel fondo (2., 3., 21., 22., 30., 145., 146., 149., 172., 216., 218., 266., 267., 274.). Sul fronte opposto, sono conservate le opere di alcune delle personalità più influenti del variegato mondo riformato: il commento agli Elenchi sophistici aristotelici del teologo antitrinitario Fausto Sozzini (314.), alla cui figura Cantimori dedicò due capitoli degli Eretici italiani del
Cinquecento; alcune opere di Antoine Arnauld e Quesnel Pasquier (17., 18., 270.,
271., [Appendice: 15., 16.]), personalità di massimo rilievo per la diffusione del giansenismo in Francia; la prima edizione londinese dell’Historia del Concilio
Tridentino di Paolo Sarpi39 (297.); l’Histoire générale des églises evangéliques des
vallées de Piemont del pastore valdese Jean Leger (176.); l’Opera theologica di
Arminio (161.). Tra le seicentine è inoltre possibile individuare 12 opere di autori greci e latini, di epoca classica e tarda40, e un buon numero di testi di diritto civile ed
39
L’opera fu pubblicata sotto lo pseudonimo di Pietro Soave Polano a Londa nel 1619. Il Sarpi, di origine veneziana, fu procuratore generale dell’Ordine Servita a Roma. Rientrato a Venezia, fu scelto come consultore per difendere la Serenissima dall’interdetto emanato nel 1606 contro la città da papa Paolo V.
40
La Respublica Atheniensium di Aristotele, con commento di Philipp Scherb (15.); un’edizione dell’Organon aristotelico (16.); il De die natali del grammatico romano Censorino (74.); il primo volume delle Satire di Giovenale nell’edizione parigina del 1614 (165.); un’edizione dell’Opera
Omnia di Lattanzio (169.); il Timone di Luciano di Samosata (203.); tre esemplari di tre diverse
ecclesiastico, come il Corpus Iuris Civilis41, i Decretales di Papa Gregorio IX (81., 82., 83.), facenti parte del Corpus Iuris Canonici o la raccolta ordinata delle leggi veneziane compilate da Marino Angeli (13.) e pubblicata a Venezia nel 167842. Tra i testi di argomento scientifico non c’è traccia di opere riconducibili al filone della trattatistica scientifica italiana, inaugurato da Galileo, e proseguito poi da Francesco Redi e Lorenzo Magalotti, ma si segnalano solo un’edizione del trattato medico-filosofico Medicus microcosmus di Daniel Beckher (36.), e il già citato De
praedictionibus astronomicis di Tolomeo. Di un certo interesse è la presenza
all’interno della raccolta di libri figurati e di emblemi43
e soprattutto di numerosi compendi di lettere organizzati per tipologie esemplificative, mentre risulta quasi irrilevante il numero complessivo di opere di autori classici della storia della poesia barocca italiana, rappresentati soltanto da un esemplare dei Pensieri diversi di Alessandro Tassoni (324.), un volume de La Galeria di Giambattista Marino (217.), una raccolta di opere del Sannazzaro (294.) e due opere legate in un unico volume dell’arcade Gian Vincenzo Gravina (150.). Un’ultima osservazione riguarda le opere del poligrafo milanese Gregorio Leti, per il quale si contano 13 diverse edizioni (non sempre complete o con esemplari doppi) per un totale di 36 volumi (179.-192.). Sui 419 volumi complessivi 251 presentano una legatura44 in piena pergamena, in buona parte di epoca coeva alla data di pubblicazione dei testi, con dorso liscio, del 1629, il primo volume dell’edizione dell’opera stampata a Colonia da Groth nel 1698 e il secondo dell’edizione precedente, sempre di Groth, del 1693-94); il secondo di due volumi delle Vite parallele di Plutarco (256.); due volumi dell’Opera omnia di Seneca (307.); una raccolta di commedie di Terenzio (326.); il Dialogus de oratoribus di Tacito (322.); il De praedictionibus astronomicis di Claudio Tolomeo (263.).
41
Il Digestum vetus, il Digestum Infortiatum, il Digestum novum, il Codex e il Thesaurus Accursianus nell’edizione giuntina del 1606 (84.), il Volumen parvum e un secondo esemplare del Digestum
Infortiatum nell’edizione del 1621, stampata anch’essa dai Giunta (85.).
42
Tra le opere di argomento giuridico vale la pena ricordare anche la presenza del terzo volume delle
Disceptationum forentium di Stefano Graziani (152.), una raccolta di scritti del giurista portoghese
Agostinho Barbosa (24.), il settimo libro del Theatrum veritatis et iustitiae di Giovanni Battista De Luca (93.), quattro dei cinque volumi dell’Amphiteathrum legale di Agostino Fontana (124.), un compendio di tutti gli autori di opere di diritto ordinati alfabeticamente.
43
Si tratta in particolare degli Emblemata di Andrea Alciati, nell’edizione patavina del 1618 (7.) e del 1621 (per quest’ultima edizione sono conservati due esemplari: 8., 8.a) e di Paolo Maccio, stampati a Bologna nel 1628 (205.), e delle Profetie di Gioacchino da Fiore nell’edizione patavina del 1625 (141.).
44
Nel XVII secolo il marocchino continua ad avere un ampio utilizzo, ma si diffonde anche l’uso della marmorizzazione della bazzana (pelle di montone conciata) e del vitello. L’innovazione più importante nella legatoria seicentesca è rappresentata dall’impiego di carte decorate con motivi
passanti obliqui in pelle allumata e lacerti di lacci su ciascun piatto. In 145 esemplari la coperta membranacea è assicurata a piatti in cartone rigido, in 49 casi la pergamena è floscia e in 57 è semirigida. Il secondo gruppo più consistente di legature, 64 in totale, è costituito da quelle in piena pelle. Anche in questo caso la coperta copre nel maggior numero di casi piatti in cartone, ad eccezione di due soli esemplari dotati di assi in legno. La tipologia di legatura in pelle più frequente (e più rappresentativa della legatoria sei-settecentesca) presenta una coperta in pelle di vitello o bazzana, decorata con motivi marmorizzati o a spruzzo, un dorso con nervi in rilievo, impressioni in oro nei compartimenti e tasselli in pelle, e carte decorate a più colori nei contropiatti e nelle carte di guardia. Assai frequente è anche la decorazione dei tagli con colorazioni uniformi o a spruzzo. Tra le 33 legature in cartoncino ricorrono con una certa frequenza quelle dette “alla rustica”, ottenute con il ricorso a semplici cartoncini monocromi, e alcune legature di epoca moderna rivestite di carta decorata, spesso a motivo maculato. Ventiquattro esemplari sono del tutto privi di legatura o presentano delle rudimentali coperte protettive novecentesche in carta, incollate al corpo del libro lungo il dorso. Un ultimo gruppo di esemplari (rispettivamente 24, 22 e 1) presenta una “mezza legatura”, con o senza angoli, in pelle, pergamena o tela. Per i 47 volumi in questione si può ragionevolmente parlare di legature successive, dal momento che questa tecnica legatoria, in cui il materiale di copertura riveste solo il dorso e una parte, spesso molto limitata, dei piatti, è stata utilizzata solo a partire dal XVIII secolo.
marmorizzati nei contropiatti e nelle carte di guardia. Anche la decorazione della coperta nel secolo del Barocco tende ad arricchirsi, attraverso il ricorso ad impressioni in oro sui piatti, ma anche sui labbri, sulle unghiature e nei compartimenti del dorso. La doratura viene utilizzata anche per la decorazione dei tagli. Tra le tipologie decorative più in voga troviamo le legature cosiddette “a ventaglio”, caratterizzate dalla presenza di un ferro a forma di petalo impresso più volte agli angoli e al centro del piatto a formare un cerchio; le legature “a seminato” o “a reticolato” che presentano una decorazione a rombi ottenuta da filetti obliqui che si incrociano nel campo, spesso arricchiti da piccoli ferri. In questo periodo si diffonde anche la tendenza a personalizzare le legature di pregio con stemmi o simboli araldici ricollegabili ad un determinato proprietario. Una tipologia decorativa che trovò ampia diffusione a partire dal XVII secolo, e che è rintracciabile in alcuni esemplari delle seicentine della raccolta Cantimori, è quella detta “alla Du Seuil”. Questo tipo di legatura è caratterizzata dalla presenza di due cornicette concentriche, una nel margine più esterno del piatto e una seconda, più piccola, all’interno, arricchita da un piccolo fregio, spesso floreale, agli angoli esterni o interni. F. PETRUCCI NARDELLI,Guida allo studio della legatura libraria, Milano, Sylvestre Bonnard, 2009.
7,9% 5,8% 5,8% 15,4% 0,2% 5,3% 59,6% Pergamena Pelle Cartoncino Senza legatura Mezza pelle Mezza pergamena Mezza tela
Per almeno 9 esemplari si può parlare di un riutilizzo del materiale di copertura, suggerito dalla presenza di tracce di scrittura o prove di penna parzialmente abrase o da resti di piegature precedenti della coperta. Tra i riusi merita di essere segnalata la presenza di un esemplare (73.) con legatura in cartoncino rivestita da una porzione di pergamena di recupero, contenente parti di testo manoscritto in nero, con rigatura a piombo e iniziali in rosso, e di un volume in folio (335.), attentamente rimaneggiato, in cui la coperta in pergamena, decorata con impressioni a secco, ha dimensioni leggermente inferiori rispetto ai piatti e lascia in parte scoperti i piatti in cartone sottostanti in corrispondenza dei rimbocchi.
Tra le seicentine del fondo Cantimori sono riconoscibili almeno quattro famiglie di legature che presentano caratteristiche omogenee. In tre di esse, in particolare, l’ipotesi di una provenienza comune è confermata anche dalla presenza di note manoscritte che rimandano a uno specifico possessore: un primo gruppo di legature presenta una nota di possesso, della fine del Seicento, di mano dell’olandese Gaspar Van Diemen, che convive con una seconda, risalente alla prima metà del Settecento, del mercante lucchese Paolo Antonio Parensi, nipote ed erede del Van Diemen stesso; le due famiglie restanti, pur essendo dotate di legature tra loro differenti, presentano entrambe un ex libris riconducibile alla famiglia veronese dei Giuliari. Un quarto gruppo di esemplari (tutti in dodicesimo e dotati di una legatura in pergamena su piatti in cartone, con titolo impresso in oro entro finto tassello al dorso, e con
capitelli e segnacolo in seta verde) non riporta invece nessuna indicazione di provenienza esplicita45.
A fronte di un numero molto elevato di esemplari variamente danneggiati, solo il 7% circa dei volumi che costituiscono questa sezione del fondo Cantimori presenta tracce di restauri. Si tratta in buona parte di interventi di restauro non recenti e di trascurabile entità, realizzati mediante rudimentali reintegri di piccole lacune oppure con l’applicazione di rinforzi alle carte lungo i tagli, o lungo la piegatura di alcuni bifoli. Abbastanza frequente è il caso di esemplari con carte di guardia sostituite, o che presentano una carta bianca applicata al verso dell’antiporta o del frontespizio per sanare piccoli strappi o lacune, oppure al contropiatto originale per coprire annotazioni manoscritte, o per tentare di riparare alla meglio ai danni del tempo e dell’uso. La volontà di “aggiornare” il possesso di un volume o di rinfrescarne l’aspetto esteriore può aver giocato un ruolo importante anche per gli esemplari che presentano note manoscritte sottoposte a processi di lavaggio, che impediscono o complicano notevolmente la decifrazione delle annotazioni stesse. Possono essere invece annoverati tra i casi di restauro più complessi gli interventi di reintegro di carte mancanti con riproduzione facsimilare delle parti di testo perdute. Particolarmente significativo in questo senso il caso di un volume dei Decretales di Papa Gregorio IX, stampato a Venezia dai Giunta nel 1615 (83.b), che presenta un frontespizio interamente manoscritto, nel quale sono stati finemente riprodotti, in forma facsimilare e in due colori, il testo del frontespizio originale e il giglio fiorentino, marca tipografica dei Giunta. In un esemplare che contiene una raccolta di lettere del Cardinale Bentivoglio (40.) le carte S1 e S2, mancanti, sono state sostituite con altre due carte bianche (incollate lungo la piegatura alle corrispondenti carte S3, S4 a ricomporre i due bifoli originari), su cui è stato riprodotto il testo in forma facsimilare. Altrettanto accurato e complesso risulta il restauro della legatura di una Bibbia inglese stampata a Londra nel 1616 (44.), nella quale la coperta in pelle originale (presumibilmente lacunosa e molto danneggiata) è stata in parte recuperata, applicata ai piatti in legno e affiancata, nelle porzioni mancanti, ad una nuova coperta, anch’essa in pelle, ma di diversa qualità.
45
Escludendo gli esemplari che presentano segni d’uso o di lettura, o annotazioni46
di varia natura non riconducibili ad un possessore identificato (elementi di cui si è comunque tenuto conto nelle schede di descrizione degli esemplari), il 50% circa dei volumi esaminati presenta una o più indicazioni di provenienza. Si tratta in prevalenza di annotazioni manoscritte, che fanno riferimento a possessori singoli, famiglie o ad enti di natura religiosa o civile. Oltre al cospicuo numero di note di possesso manoscritte, sono stati individuati 31 timbri, 12 ex libris e 3 etichette commerciali. Il rilevamento e l’analisi delle tracce di possesso presenti sulle seicentine hanno permesso di ricavare informazioni utili alla conoscenza delle vicende costitutive di questa parte della raccolta Cantimori e di individuare alcuni nuclei di volumi provenienti da grandi biblioteche disperse. Ulteriori e più esaustivi riscontri potranno arrivare solo incrociando i dati ottenuti con quelli ricavabili dallo studio delle tracce di provenienza presenti nelle edizioni del XVI e del XVIII secolo.
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Si tratta per lo più di annotazioni di tipo commerciale, storico, bibliografico o di note personali, prive di correlazione con il documento su cui sono state riportate.
5. Analisi degli esemplari
5.1 FORME E CONTENUTI DELLE PRINCIPALI TRACCE DI PROVENIENZA
La recente pubblicazione del volume Provenienze. Metodologia di rilevamento,
descrizione e indicizzazione per il materiale bibliografico47 costituisce un passaggio della massima importanza per la definizione degli studi di provenienza in Italia e soprattutto contribuisce a recuperare il ritardo in cui versa il nostro Paese in questo specifico ambito di ricerca, rispetto alla ormai avviata tradizione anglo-americana48
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Provenienze. Metodologia di rilevamento, descrizione e indicizzazione per il materiale
bibliografico. Documento elaborato dal Gruppo di lavoro sulle provenienze coordinato dalla Regione Toscana e dalla Provincia autonoma di Trento. A cura di Katia Cestelli e Anna Gonzo. Provincia
autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni librari e archivistici, Regione Toscana. Giunta regionale, 2009.
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Una delle più precoci esperienze nell’ambito degli studi sulle tracce d’uso e di possesso in area anglo-americana è stata la mostra Marks in books, organizzata da Roger Stoddard nel 1984 alla Houghton Library di Cambridge (R.E. STODDARD, Marks in books, illustrated and explained,
Cambridge, Mass., Houghton Library; Harvard University, 1985). Nel corso degli anni Novanta sono stati poi pubblicati numerosi contributi, che, per la loro rilevanza scientifica, costituiscono ancora oggi la bibliografia di riferimento per questo specifico settore di ricerca (cfr. ad esempio: R.C. ALSTON,
Books with manuscript. A short title catalogue of books with manuscript notes in the British library.
London, British Library, 1994; D. PEARSON, Provenance research in book history. A handbook. London, The British Library, 1994; N. BARKER, The annotated book, «The book collector», summer 1998; BEINECKE RARE BOOKS AND MANUSCRIPT LIBRARY, The Rosenthal Collection of Printed Books
with Manuscript Annotations. A catalog of 242 editions mostly before 1600 annotated by contemporary or near-contemporary readers. New Haven, Yale University, 1997). Sebbene non siano
mancati, già a partire dalla fine degli anni Ottanta, autorevoli interventi volti a dimostrare l’utilità degli studi di provenienza nell’ambito della ricerca storica e delle scienze del libro (si pensi a questo proposito ad un contributo di Alfredo Serrai del 1989, nel quale l’autore riconosceva come il rilevamento di tracce di possesso di ordine testuale e materiale sui libri potesse avere una funzione fondamentale per la ricostruzione della storia di singoli esemplari e di intere raccolte; oppure allo schema di “storia globale del libro”, proposto nel 1998 da Luigi Balsamo, nel quale l’autore inseriva a pieno titolo lo studio della storia degli esemplari e dei meccanismi di ricezione e fruizione del materiale librario da parte dei lettori nei secoli), da circa un decennio anche in Italia ricercatori e bibliotecari hanno iniziato a riservare allo studio delle tracce d’uso e di provenienza un’attenzione crescente e un approccio sempre più specialistico. Ci si riferisce in particolare ai contributi di Marielisa Rossi, di Marina Venier, a quelli di Giuseppe Frasso ed Edoardo Barbieri, promotori nel 2001 di un convegno internazionale sui postillati, o all’avvio del progetto Marginalia per la catalogazione degli incunaboli postillati conservati nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Per una sintetica storia degli studi di provenienza cfr.: A. SERRAI,Riflessioni ed esperienze sulla descrizione bibliografica, «Il Bibliotecario»,20-21,1989,p. 203; L.BALSAMO,Verso una storia globale dei libri, «Intersezioni», 18, 1998, p. 389-402;G. RUFFINI,“Di mano in mano”. Per una fenomenologia delle tracce di possesso, «Bibliotheca», 1, 2002, p. 142-160; mentre per le più recenti ricerche pubblicate in Italia cfr. almeno: M. ROSSI,Provenienze, cataloghi, esemplari. Studi sulle raccolte librarie antiche.