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CAPITOLO I LA CITTADINANZA EUROPEA: DALLE ORIGINI ALLA SUA AFFERMAZIONE QUALE “STATUTO FONDAMENTALE”

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CAPITOLO I

LA CITTADINANZA EUROPEA: DALLE ORIGINI

ALLA SUA AFFERMAZIONE QUALE “STATUTO

FONDAMENTALE”

SOMMARIO: 1. Le origini della cittadinanza europea e la sua previsione nel Trattato di Maastricht. 2. Il Trattato di Lisbona. 3. L’acquisizione della cittadinanza dell’Unione. 4. La cittadinanza dell’Unione come “statuto fondamentale” dell’individuo.

1. Le origini della cittadinanza europea e la sua previsione nel Trattato di Maastricht.

Prima di rivolgere l’attenzione al regime e alla prassi concernenti la tutela diplomatica e consolare dei cittadini dell’Unione europea, si procederà in questo Capitolo ad alcune considerazioni introduttive sullo sviluppo della nozione di cittadinanza dell’Unione europea. Ciò in particolare al fine di delineare come tale statuto venga acquisito dagli individui e soprattutto i rapporti tra la cittadinanza nazionale e quella europea. Si tratta, infatti, di questione rilevante per inquadrare lo sviluppo delle norme sulla tutela diplomatica e consolare dei cittadini europei. Infine, alcune considerazioni saranno dedicate all’importanza che la cittadinanza dell’Unione è venuta a acquisire in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale afferma da tempo come la cittadinanza europea dovrebbe costituire lo “statuto fondamentale”

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dell’individuo. Affermazione che non può non avere importanza, soprattutto dal punto di vista dell’interpretazione delle norme, anche riguardo alla materia oggetto di specifica attenzione.

L’istituto della cittadinanza europea è stato introdotto, nell’ordinamento dell’Unione europea, dal Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 19931.

La previsione normativa della cittadinanza europea rappresenta il punto di arrivo di un processo che ha preso le mosse dal progressivo ampliamento della sfera dei beneficiari del diritto alla libera circolazione negli Stati membri, previsto dai Trattati originari, e diretto a soddisfare l’esigenza di prendere in considerazione l’individuo non più solo in quanto soggetto economicamente attivo, ma anche in quanto “soggetto

politico, partecipe e consapevole protagonista del processo di integrazione europea”2.

I due Trattati originari, istitutivi della Comunità economica europea e dell’Euratom, firmati a Roma il 25 marzo 1957, non

1 Secondo O

LIVI,SANTANIELLO, Storia dell’integrazione europea, Bologna, 2005, p. 196, “l’introduzione della cittadinanza europea … costituiva, insieme

all’Unione economica e monetaria, l’innovazione più importante apportata dal nuovo Trattato”.

2 V

ILLANI, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Bari, 2017, p.123. Per un inquadramento generale di tali sviluppi normativi, vedi CONDINANZI,LANG,

NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006; MORVIDUCCI, I diritti dei cittadini europei, Torino, 2017, p. 3 ss.

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prevedevano una cittadinanza europea. L’obiettivo dei Trattati di Roma era essenzialmente quello di creare un mercato comune, basato su quattro libertà fondamentali: libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

In tale contesto, le persone erano contemplate, come beneficiari del diritto di libera circolazione, esclusivamente in quanto “fattori produttivi”, in quanto cioè soggetti economicamente attivi.

In sostanza, dunque, beneficiari della libera circolazione negli Stati membri erano i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi, o coloro che si spostavano nella Comunità per prestare un servizio, cioè un’attività occasionale. La Corte di giustizia ha progressivamente chiarito quali fossero i diritti da ritenersi collegati allo status di “lavoratore ospite”, che vennero desunti soprattutto dal principio di non discriminazione. Si trattava, tuttavia, pur sempre di diritti riconosciuti al soggetto in ragione del fatto che questo svolgesse un’attività economica, seppur intesa in senso lato (si faceva, infatti, riferimento anche al lavoro parziale, al lavoro stagionale, ecc.)3.

Nei decenni successivi, ed in particolare a partire dalla prima metà degli anni ’70 del secolo scorso, è emersa l’idea di affiancare ad una mera integrazione economica una dimensione politica del processo di integrazione europea, e ciò anche grazie all’introduzione di una

3 Vedi al riguardo CALAMIA,VIGIAK, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2017, p. 223 ss.

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“Europa dei cittadini”, attraverso l’attribuzione di nuovi diritti (denominati diritti speciali) ai cittadini degli Stati membri.

Da un lato, fin dal 1972 era stata proposta dall’allora Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti l’idea di introdurre un “Passaporto europeo”, che avrebbe dovuto rafforzare sia l’identità comunitaria di fronte agli Stati terzi che il sentimento di appartenenza alla Comunità dei cittadini degli Stati membri. Nel quadro del vertice di Parigi del 9 e 10 dicembre 1974 tra i Capi di Stato e di Governo europei tale idea fu ripresa e affiancata dalla proposta di attribuire “diritti

speciali”, anche di natura politica, ai cittadini europei. Questa

prospettiva, però, non fu accolta immediatamente.

Al termine del Vertice venne semplicemente pubblicato un comunicato nel quale si legge:

“10. Sarà costituito un gruppo di lavoro per studiare la

possibilità di istituire una unione dei passaporti e, in via preliminare, l’introduzione di un passaporto uniforme. Questo progetto dovrebbe essere sottoposto ai governi degli Stati membri possibilmente entro il 31 dicembre 1976. In esso saranno previste in particolare un’armonizzazione per tappe della legislazione sugli stranieri e l’abolizione del controllo dei passaporti all’interno della Comunità.

11. Un altro gruppo di lavoro sarà incaricato di studiare le condizioni e i termini di tempo entro cui potrebbero essere

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riconosciuti diritti speciali ai cittadini dei nove Stati membri in quanto membri della Comunità”4.

In definitiva, il Vertice si limitò a riconoscere l’opportunità di studiare il varo di una unione dei passaporti e, soprattutto, il possibile riconoscimento ai cittadini degli Stati membri, già titolari dei diritti di libera circolazione, di “diritti speciali”, anche a carattere politico, quale il diritto di voto alle elezioni locali nel luogo di residenza.

L’idea venne riproposta e articolata nel progetto di Trattato sull’Unione europea, che fu approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio del 1984 (detto anche “Progetto Spinelli”, in quanto fra i promotori vi era Altiero Spinelli), il cui art. 3 prevede la nozione di cittadinanza dell’Unione, in parallelo alla cittadinanza nazionale5. Il progetto non si tradusse tuttavia in un testo vincolante.

Nello stesso anno, al Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno, venne istituito un Comitato ad hoc sull’Europa dei cittadini, il c.d. Comitato Adonnino (dal nome del Parlamentare europeo che lo presiedeva)6. Il rapporto da esso redatto non si rifletté però, su tali punti, nelle modifiche ai trattati comunitari introdotte dall’Atto unico

4 Vedi Bollettino delle Comunità europee, 12-1974, p. 6 e ss., punto 1104,

Comunicato.

5 Vedi C

APOTORTI, Art. 3, in CAPOTORTI,HILF,JACOBS,JACQUE, Le Traitè de

l’Union Européenne, Bruxelles, 1985, pp. 33-35.

6 A

DONNINO, L’Europa dei cittadini: considerazioni e prospettive, in Affari

Esteri, ottobre 1985, n. 68, p. 438 ss. ora anche disponibile su

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europeo, firmato il 17 febbraio 1986 e in vigore dal 1° luglio 1987. In effetti, l’idea di diritti politici dei cittadini e più in generale quella di una cittadinanza europea incontrarono l’opposizione di alcuni Governi, che, timorosi di vedere diminuite le proprie prerogative sovrane, non vedevano di buon occhio l’istituzione di una cittadinanza europea che si aggiungesse a quella nazionale.

La svolta si ebbe negli anni ’907. In particolare, durante il Consiglio europeo di Dublino del 28 aprile 1990, la presidenza spagnola ripropose l’idea di istituire una cittadinanza europea, complementare rispetto alla cittadinanza nazionale, dalla quale far derivare nuovi diritti rispetto a quelli previsti dalle norme dei Trattati originari. Tale idea fu articolata in una proposta presentata dal Governo spagnolo alla Conferenza intergovernativa che portò al Trattato di Maastricht8.

Abbiamo, quindi, dovuto attendere fino al 1992 perché il concetto di cittadinanza europea fosse recepito in termini normativi nel Trattato di Maastricht sull’Unione europea. Nel preambolo del Trattato, i contraenti affermano di essere “decisi ad istituire una cittadinanza

comune ai cittadini dei loro Paesi” e includono tra gli obiettivi generali

dell’Unione quello di “rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei

cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione “(art. F). Quindi, viene introdotta nell’allora Trattato

7 Vedi in generale OLIVI,SANTANIELLO, op. cit., p. 161 ss. 8 Agence Europe, 2 ottobre 1990, n. 1653.

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istitutivo della Comunità europea (TCE) una nuova Parte II, dedicata appunto alla “Cittadinanza dell’Unione” (art. 8-8E TCE).

2. Il Trattato di Lisbona

Attualmente, nella versione dei Trattati in vigore dopo la riforma di Lisbona9, la nozione di cittadinanza europea è sancita dall’art. 9 TUE, che apre il titolo II, relativo ai principi democratici10, e dall’art. 20 TFUE, il quale enuncia anche i diritti a essa connessi11. In particolare, ai sensi dell’art. 9 TUE:

“È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di

uno Stato membro. La cittadinanza europea si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”.

9 Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha apportato importanti modifiche al Trattato sull’Unione europea (TUE) e al Trattato istitutivo della comunità europea, divenuto ora Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

10 Vedi C

ONDINANZI, Commento art. 9 TUE, in POCAR, BARUFFI (a cura di),

Commentario breve ai trattati dell’Unione europea, Padova, 2014, p. 48 ss.;

SARDELLA, Commento art. 9 TUE, in CURTI GIALDINO (a cura di), Codice

dell’Unione europea operativo, Napoli, 2012, p. 147 ss.

11 Vedi C

ONDINANZI, Commento art. 20 TFUE, in POCAR, BARUFFI,

Commentario breve ai trattati dell’Unione europea, cit., p. 213; O’LEARY,

Commento art. 20 TFUE, in CURTI GIALDINO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 559 ss.

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Analizziamo la norma. Innanzitutto, l’art. 9 TUE individua un unico criterio di attribuzione della cittadinanza europea, ovvero il possesso, da parte del soggetto, della cittadinanza di uno Stato membro. A questo proposito, si è detto che la cittadinanza dell’Unione costituisce una cittadinanza sui generis; e questo proprio perché essa ha, come suo unico presupposto, il possesso della cittadinanza di un altro ordinamento: si tratterebbe, dunque, di una “cittadinanza senza

nazionalità”12.

Peraltro, l’acquisizione della cittadinanza europea è conseguenza diretta, e automatica, dell’acquisizione della cittadinanza di uno Stato membro: in quanto un soggetto è, o diventa, cittadino di uno Stato membro, egli diventa automaticamente anche cittadino dell’Unione. Per gli Stati di nuova adesione all’Unione europea, i relativi cittadini divengono cittadini dell’Unione dal momento dell’adesione13. Per altro verso, in caso di recesso di uno Stato membro dall’Unione, a norma dell’art. 50 TUE, lo stesso determinerebbe un’ipotesi di perdita collettiva della cittadinanza europea per tuti i

12 M

ORVIDUCCI, I diritti, cit., p. 17 13 Vedi V

ILLANI, Istituzioni, cit., p. 119-120, dove si cita un’importante sentenza della Corte di Giustizia che ha precisato come a seguito dell’adesione all’Unione da parte di uno Stato divengano applicabili ai relativi cittadini le norme sulla cittadinanza dell’Unione “anche con riferimento agli effetti attuali

di situazioni sorte anteriormente, ma non agli effetti che si siano già pienamente e definitivamente realizzati prima dell’adesione”: Corte di

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cittadini dello Stato recedente14. La questione si pone attualmente nei riguardi dei cittadini del Regno Unito: come si è osservato “lo scenario

è del tutto peculiare e inedito”15 e il tema della salvaguardia dei diritti dei cittadini britannici residenti nell’UE, e di quelli europei residenti nel Regno Unito, è al centro dei negoziati relativi all’accordo di recesso.

L’art. 9 TUE, poi, precisa che la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale.

È da notare, a questo proposito, che il Trattato di Lisbona del 2007 ha modificato il testo della norma istitutiva della cittadinanza europea prima vigente. Infatti, il Trattato di Amsterdam del 199716aveva introdotto nella previsione originaria la precisazione per la quale la cittadinanza europea “costituisce un complemento della cittadinanza

nazionale”17. In virtù di tale previgente formulazione, la cittadinanza europea veniva considerata del tutto sussidiaria, complementare appunto, rispetto alla cittadinanza dello Stato membro, che comunque ne costituisce l’indispensabile presupposto.

14 Vedi in materia M

ARINAI, Perdita della cittadinanza e diritti fondamentali:

profili internazionalistici ed europei, Milano, 2017, p. 168 ss.

15 M

ARINAI, Perdita, cit., p. 169

16 Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea, i Trattati che

istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi, firmato il 2 ottobre 1997 e in vigore dal 1° maggio 1999.

17 Art. 17 TCE nella versione consolidata a seguito del Trattato di Amsterdam, in GUCE C 340 del 10 novembre 1997, p. 713 ss. Cfr. anche la versione francese, la quale recitava “la citoyennetè de l’Union complète la citoyennetè

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Altra portata assume, invece, l’espressione contenuta nell’art. 9 TUE, così come modificato dal Trattato di Lisbona, nel quale si prevede che “la cittadinanza si aggiunge alla cittadinanza nazionale”.

Secondo autorevole dottrina, tale nuova formulazione prefigura una vera e propria “seconda cittadinanza”, la quale, appunto, non è più “complementare” rispetto a quella statale ma “aggiuntiva”18.

In questo senso, è stato affermato che la cittadinanza europea, proprio in seguito alla modifica operata dal Trattato di Lisbona, assuma oggi autonoma rilevanza rispetto alla cittadinanza nazionale. La cittadinanza europea, dunque, non sarebbe più configurata come meramente sussidiaria rispetto a quella nazionale, ma risulterebbe dotata di “autonomia di status”, e, di conseguenza, non più incondizionatamente legata alla cittadinanza nazionale. Tale status presenterebbe dunque caratteristiche proprie e, una volta acquisito, verrebbe disciplinato dal diritto dell’Unione19. Non solo: si è notato come “l’aver affermato che la cittadinanza dell’Unione si aggiunge a

quella statale sembra aver lasciato aperto uno spiraglio in ordine alla possibilità di configurare, in futuro, una cittadinanza dell’Unione in mancanza di quella statale”20.

18 T

RIGGIANI, L’Unione europea secondo la riforma di Lisbona, Bari, 2008, p.

31.

19 MORVIDUCCI, I diritti, cit., p. 25. 20 M

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3. L’acquisizione della cittadinanza dell’Unione.

Nonostante la nuova formulazione dell’art. 9 TUE sembri sancire una vera e propria seconda cittadinanza, che si aggiunge a quella nazionale, è tuttavia indubbio che la cittadinanza europea costituisca, ancora, una cittadinanza ancillare, derivata dalla cittadinanza nazionale.

E ciò è dimostrato dal fatto che un individuo acquista la cittadinanza dell’Unione solo a titolo, appunto, “derivato”, cioè in conseguenza del fatto che esso sia cittadino di uno Stato membro dell’Unione. Lo statuto base della persona, dunque, rimane, ancora oggi, la cittadinanza nazionale. E questo appare ovvio: l’Unione europea non è, infatti, o non è ancora, un’entità federale; essa mantiene il carattere di organizzazione internazionale, retta dal diritto internazionale. In effetti, il diritto dell’Unione non provvede a determinare autonomamente i criteri di acquisto e di perdita della cittadinanza europea.

Può essere utile, a questo proposito, un confronto con gli Stati federali. In questi, sono le norme federali che stabiliscono i principi ed i criteri per l’acquisto e la perdita della cittadinanza.

La Costituzione degli Stati Uniti d’America, ad esempio, prevede che:

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“all persons born or naturalized in the United States, and

subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and the State wherein they reside”21

Le persone alle quali fa riferimento la disposizione, dunque, sono cittadine sia della federazione (USA) che del singolo Stato federato (ad es. California, Florida, Texas) ma lo statuto base della persona è la cittadinanza federale; le norme per l’acquisto e la perdita della cittadinanza sono stabilite nella Costituzione federale.

Lo stesso avviene per la Confederazione elvetica. La Costituzione federale svizzera, infatti, all’art. 38 stabilisce:

“1. La Confederazione disciplina l’acquisizione e la perdita

della cittadinanza per origine, matrimonio e adozione. Disciplina inoltre la perdita della cittadinanza svizzera per altri motivi e la reintegrazione nella medesima.

2. La Confederazione emana prescrizioni minime sulla naturalizzazione degli stranieri da parte dei Cantoni e rilascia il relativo permesso”.

Diversamente, per quanto riguarda l’Unione europea, le norme sull’acquisto e sulla perdita della cittadinanza non sono stabilite a livello di Unione, ma, al contrario, sono ancora stabilite a livello dei singoli Stati membri: si opera “un rinvio” ai criteri determinati da ciascuno di

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essi22. Sono gli Stati membri che mantengono il potere di disciplinare l’attribuzione e la perdita della propria cittadinanza, cosi determinando, di conseguenza, anche l’attribuzione e la perdita della cittadinanza europea.

In questo senso, si è espressa anche la Corte di giustizia, nella sentenza del 7 luglio 1992 emessa nel noto caso Micheletti. In particolare, la Corte ha affermato che “la determinazione dei modi di

acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro”23.

Ciò detto, è peraltro venuta ben presto in rilievo la questione se la competenza degli Stati membri in tema di acquisto e perdita della cittadinanza possa subire limitazioni, derivanti dal diritto dell’Unione europea, nella misura in cui la cittadinanza nazionale costituisce il criterio di attribuzione fondamentale della cittadinanza dell’Unione.

Sulla questione è intervenuta la Corte di giustizia, la quale aveva già affermato, nella stessa sentenza del 7 luglio 1992 sopra citata, che la competenza di ogni Stato membro in tema di attribuzione e perdita della

22 Vedi C

ALAMIA, Riforme abusive dei modi di acquisto della cittadinanza

nell’Unione europea? Considerazioni intorno alla prassi recente di alcuni Stati, in CALAMIA (a cura di), L’abuso del diritto. Casi scelti tra principi,

regole e giurisprudenza, Torino, 2017, p. 10.

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cittadinanza “deve essere esercitata nel rispetto del diritto

comunitario”24.

Dire, infatti, che le norme sulla cittadinanza sono stabilite da ogni Stato membro non significa che gli Stati siano totalmente liberi nella determinazione dei principi e dei criteri di acquisto e perdita della cittadinanza. Essi, infatti, devono pur sempre operare scelte che siano conformi, in primis, al diritto internazionale ma anche al diritto dell’Unione europea.

La competenza di ogni Stato membro in tema di cittadinanza, dunque, non è assoluta. In primo luogo, il diritto internazionale stabilisce alcuni limiti alla libertà che ha il singolo Stato di determinare i principi ed i criteri per l’acquisto e la perdita della cittadinanza. In particolare, questi limiti derivano dalla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (ad esempio, uno Stato non potrebbe prevedere una norma che dispone la perdita della propria cittadinanza per ragioni razziali)25. Inoltre, ai fini di un riconoscimento da parte degli altri Stati dell’attribuzione della cittadinanza nazionale, operata da uno Stato nei confronti di un individuo, occorre la sussistenza di un vincolo o connessione effettiva (genuine link) tra lo Stato e l’individuo in questione26.

24 Ibidem.

25 In materia, vedi M

ARINAI, Perdita.

26 Vedi CALAMIA, Ammissione ed allontanamento degli stranieri, Milano, 1980, p. 2 ss.; ID., Le norme ‘non statali’ e lo straniero, in CALAMIA, DI

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Per quanto concerne i limiti derivanti dal diritto dell’Unione europea, è da ricordare l’importante sentenza del 2 marzo 2010 resa dalla Corte di giustizia nel caso Rottmann27. Il signor Rottmann è un cittadino austriaco che aveva risieduto per un po’ di tempo in Germania. Dopo alcuni anni, egli ottiene la cittadinanza tedesca, attraverso un provvedimento di naturalizzazione. Contemporaneamente, però, perde la cittadinanza austriaca, dato il divieto di doppia cittadinanza previsto dalla legge austriaca. Tuttavia, in Austria, pendeva ancora, in capo a Rottmann, un processo penale per un reato minore. Questo fatto era stato nascosto da Rottmann alle autorità tedesche. Queste ultime, nel momento in cui ne vengono a conoscenza, revocano il provvedimento di naturalizzazione. A questo punto, Rottmann si rivolge all’autorità amministrativa tedesca, sostenendo che la revoca della cittadinanza tedesca, non avendo egli riacquistato la cittadinanza austriaca, lo renderebbe apolide e lo priverebbe, quindi, anche della cittadinanza dell’Unione. Il giudice tedesco rinvia la questione alla Corte di giustizia.

In tale contesto, la Corte di giustizia ha affermato due principi.

FILIPPO, GESTRI (a cura di), Immigrazione, Diritto e Diritti: profili

internazionalistici ed europei, Padova, 2012, p. 5. Il principio del genuine link

è stato affermato dalla Corte internazionale di giustizia nel noto caso

Nottebohm (Liecthenstein v Guatemala): Nottebohm Case (second phase), Judgment of April 6th, 1955, I.C.J. Reports 1955, p. 4.

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In primo luogo, la Corte ha ribadito il principio per cui la cittadinanza europea deriva necessariamente da quella nazionale, per cui il venir meno della cittadinanza nazionale comporta anche la perdita della cittadinanza dell’Unione.

In secondo luogo, ed è questa la novità, la Corte ha delineato il principio per cui le decisioni degli Stati membri che possano incidere sulla cittadinanza europea (come nel caso del signor Rottmann), devono essere sottoposte a un controllo giurisdizionale, condotto alla luce dei principi fondamentali previsti dal diritto dell’Unione, tra i quali in particolare il principio di proporzionalità.

Il diritto dell’Unione, infatti, non impedisce ad uno Stato di revocare ad una persona la cittadinanza acquisita per naturalizzazione, se ottenuta in modo illegittimo, anche quando ciò comporti la perdita della cittadinanza europea. Ma i giudici nazionali dovranno verificare se le decisioni statali di revoca della nazionalità rispettino il principio di proporzionalità, cioè se queste siano adeguate e necessarie. In particolare, la Corte precisa che:

“è necessario (…) tener conto delle possibili conseguenze

che tale decisione comporta per l’interessato e, eventualmente, per i suoi familiari sotto il profilo della perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino dell’Unione. A questo proposito, è importante verificare, in particolare, se tale perdita sia giustificata in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa dall’interessato, al tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione

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di revoca, nonché alla possibilità per l’interessato di recuperare la propria cittadinanza di origine”28.

Se questi sono i limiti generali stabiliti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione, ogni Stato è comunque sostanzialmente libero di determinare i modi di acquisizione della propria cittadinanza e, quindi, anche della cittadinanza europea.

Esistono, tuttavia, dei criteri che sono generalmente seguiti nella pratica degli Stati: il primo criterio è quello dello ius sanguinis, ai sensi del quale diviene cittadino di un determinato Stato colui che sia figlio di genitori che abbiano la cittadinanza di quello Stato. Viene, poi, in rilievo il criterio dello ius soli, in base al quale è cittadino di un determinato Stato colui il quale sia nato nel territorio di quello Stato. Abbiamo, poi, il criterio della acquisizione per matrimonio; ed infine abbiamo la naturalizzazione. Infatti, oltre all’acquisto della cittadinanza in base allo

ius sanguinis, o in base al luogo di nascita, o in base al matrimonio, è

possibile acquisire la cittadinanza di uno Stato anche per naturalizzazione. Quest’ultimo è un provvedimento discrezionale che ogni singolo Stato può emanare; si tratta di una sorta di concessione, da parte di uno Stato, della propria cittadinanza. Generalmente, tale concessione è subordinata alla sussistenza di determinati requisiti (tra i quali, ad esempio, la residenza per un dato periodo di tempo sul territorio

28 CGUE, caso Rottman, cit. Sulla sentenza, vedi in particolare MARINAI,

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nazionale, l’assenza di precedenti penali, la rinuncia alla cittadinanza d’origine, ecc.)29.

In Italia, ai sensi della disciplina risultante dalla L. 5 febbraio 199230, il criterio prevalente di acquisizione della cittadinanza è il criterio dello ius sanguinis, in base al quale è cittadino italiano colui che sia nato da genitori di nazionalità italiana (art. 1 lett. a). Lo ius soli, invece, in base alla normativa vigente, ha un’applicazione soltanto eccezionale. In particolare, in Italia si applica lo ius soli solo per evitare possibili casi di apolidia. Così, acquisisce la cittadinanza italiana in base allo ius soli la persona che sia nata in Italia da genitori sconosciuti, da genitori apolidi, oppure da genitori i quali non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio (art. 1 lett. b e c).

Si può, poi, acquisire la cittadinanza italiana a seguito di adozione (art. 3), per matrimonio (art. 5), cosi come per naturalizzazione. Per quanto riguarda quest’ultima, in Italia, essa è, come regola generale, subordinata alla residenza ininterrotta per almeno dieci anni nel territorio dello Stato (art. 9); ma sono previste delle norme di favore a beneficio dei cittadini dell’Unione, che possono chiedere la

29 È da notare che, secondo principio comune a molti ordinamenti nazionali, può essere naturalizzata anche la persona che abbia compiuto atti di particolare valore civico a favore della popolazione del territorio di un determinato Stato. 30 L. 5 febbraio 1992 n. 91, “Nuove norme sulla cittadinanza”, in G.U. n. 38 del 15 febbraio 1992. Vedi CLERICI, La cittadinanza nell’ordinamento

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naturalizzazione anche dopo una residenza di soli quattro anni nel territorio dello Stato; mentre si prevede che gli stranieri nati in Italia possono ottenere la naturalizzazione dopo tre anni di residenza continuativa nel nostro territorio.

Anche se lo ius soli si applica solo in via eccezionale, gli stranieri nati in Italia godono, però, di un altro diritto; essi hanno il diritto di acquisire la cittadinanza al compimento della maggiore età, a condizione che abbiano vissuto ininterrottamente in Italia (art. 4, comma 2 della l. 91/1992). A tal fine essi dovranno dichiarare, entro un anno dalla maggiore età, di voler acquisire la cittadinanza italiana.

Si è molto discusso sull’opportunità di modificare la disciplina vigente, e sono state presentate varie proposte di riforma della normativa sulla cittadinanza italiana, soprattutto al fine di favorire una più ampia acquisizione della cittadinanza da parte di coloro che siano nati in Italia. Nella scorsa legislatura era in particolare stata approvata dalla Camera dei Deputati una proposta che prevedeva uno ius soli c.d. temperato31. La riforma prevedeva cioè la possibilità di un’acquisizione della cittadinanza, per lo straniero che sia nato in Italia da cittadini stranieri, a condizione che almeno uno dei genitori fosse residente in Italia da almeno cinque anni. Si era poi proposto di introdurre anche il c.d. ius

31 Per il testo della proposta, e informazioni al riguardo, vedi:

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culturae, cioè la possibilità per lo straniero, nato in Italia o giunto in

Italia prima dei dodici anni di età, di acquisire la cittadinanza italiana al termine del perfezionamento di un corso di studi.

Va comunque notato che all’interno dell’Unione europea lo ius

soli “puro”, come criterio diretto di attribuzione della cittadinanza, non

è attualmente previsto in alcuno Stato membro. Lo ius soli era previsto in Irlanda, ma a seguito di un referendum popolare tenutosi nel 2004 esso è stato abolito. Tale riforma è stata senz’altro influenzata dalla nota sentenza della Corte di Giustizia nel caso Chen (esso verteva su di una coppia cinese che aveva organizzato la nascita in Irlanda della propria figlia, allo scopo di farle acquisire la cittadinanza irlandese, e in modo da acquisire per tal via il diritto di soggiornare nel Regno Unito in virtù delle disposizioni sulla cittadinanza europea)32. In alcuni paesi, come ad esempio in Francia, si prevede il c.d. “doppio ius soli”. Si tratta, però, di un sistema abbastanza restrittivo: in base alla legge francese, lo straniero nato nel territorio diviene cittadino francese a condizione che almeno uno dei suoi genitori sia nato in Francia.

Una particolare attenzione deve esser dedicata al fenomeno delle c.d. “cittadinanze in vendita”, recentemente emerso anche fra i

32 Corte di Giustizia, sentenza 19 ottobre 20004, causa C-200/02, Chen. Vedi BERGAMINI, Il difficile equilibrio fra riconoscimento del diritto alla libera

circolazione, rispetto della vita familiare e abuso del diritto, in Diritto dell’Unione europea, 2006, p. 347 ss.

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paesi dell’Unione europea33. Vi sono, cioè, diversi casi, i più eclatanti dei quali sono quelli di Malta e Cipro, in cui Stati europei concedono la cittadinanza per naturalizzazione a persone che abbiano fatto consistenti investimenti economici nello Stato in questione. Alla luce di tali circostanze, si è parlato di cittadinanza in base allo ius pecuniae.

Le situazioni più evidenti sono senz’altro quelle di Cipro e di Malta. Per quanto riguarda il primo Stato, il Consiglio dei ministri ha istituito sin dal 2013 il programma Cyprus Citizenship for Foreign

Investors34. Quest’ultimo prevede, essenzialmente, la possibilità di una attribuzione della cittadinanza cipriota (e dell’UE), mediante naturalizzazione, condizionata da 2 milioni di euro in investimenti immobiliari, in titoli di Stato o in imprese cipriote e dalla titolarità nello Stato di una residenza di proprietà del valore di almeno 500.000 euro. Una normativa simile è stata introdotta anche da Malta. In virtù dello

Individual Investor Programme of the Republic of Malta è possibile

l’acquisizione della cittadinanza maltese a seguito dell’acquisto di un bene immobiliare del valore di almeno 350.000 euro, di una contribuzione a favore del National Economic and Social Development

Fund di 650.000 euro e di investimenti finanziari approvati dal Governo

per 150.000 euro.

33 Vedi C

ALAMIA, Riforme abusive, cit., p. 3 ss.

34 Vedi, anche per i necessari riferimenti, CALAMIA, Riforme abusive, cit., p. 13 ss., nota 20.

(22)

Inizialmente, tale legislazione non prevedeva neppure un obbligo, per la persona naturalizzata, di aver risieduto per un certo periodo di tempo nell’arcipelago maltese. È proprio l’acquisizione della cittadinanza dell’Unione a costituire la principale attrattiva dei programmi in parola, dato che la stessa attribuisce ai nuovi cittadini europei il diritto di soggiornare e svolgere attività economiche in tutti gli Stati dell’Unione nonché di godere di un regime di particolare privilegio per quanto riguarda l’accesso al territorio di Stati terzi (per i cittadini dell’UE molti Stati terzi non richiedono il visto di ingresso).

Programmi del genere sono stati oggetto di forti critiche, proprio in ragione del fatto che l’attribuzione della cittadinanza dello Stato in questione determina l’acquisto, da parte della persona interessata, anche della cittadinanza dell’Unione. In particolare, il Parlamento europeo, in una risoluzione del 2014, ha condannato fermamente il fenomeno della cittadinanza in vendita. Il Parlamento sottolinea che “la cittadinanza

dell’UE è una delle principali conquiste dell’Unione” (punto M) e

rileva, tra le altre cose, che essa “implica un interesse nell’Unione e

dipende dai legami di una persona con l’Europa e i suoi Stati membri o dai legami personali con cittadini dell’Unione” e afferma di

conseguenza che essa “non dovrebbe mai diventare un prodotto

commerciabile”35. Le censure del Parlamento europeo si fondano sul

35 Risoluzione del Parlamento europeo del 16 gennaio 2014 sulla cittadinanza dell'UE in vendita (2013/2995(RSP), in GUUE, serie C 482, 23.12.2016, p. 16 ss.

(23)

richiamo al principio della leale cooperazione, stabilito dall’art. 4 para. 3 TUE, il quale risulterebbe intaccato nella specie, dato che l’attribuzione della cittadinanza statale nei modi descritti avrebbe comunque ripercussioni per gli altri Stati, e per l’Unione, in virtù dell’acquisto della cittadinanza dell’Unione e dei diritti dalla stessa attributi. Da notare che tra questi ultimi, il Parlamento menziona espressamente il diritto di

“beneficiare, nei paesi terzi, dell’assistenza dall’ambasciata o del consolato di un altro Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato, se il loro paese non è rappresentato” (punto H).

La Risoluzione, pur facendo astratto rifermento anche ad altre situazioni, fa specifica menzione della sola legislazione di Malta, invitando tra l’altro la Commissione ad esercitare in questa materia le proprie competenze di vigilanza, in quanto “custode dei trattati”.

Anche a seguito di tale presa di posizione, la Commissione europea ha avviato un negoziato colle autorità maltesi, minacciando di iniziare un procedimento d’infrazione, a seguito del quale si è raggiunto il 29 gennaio 2014 un accordo in materia tra la Commissione e Malta36. In base a tale accordo, Malta ha acconsentito a introdurre il requisito della residenza minima di dodici mesi nell’arcipelago ai fini dell’acquisto della cittadinanza nazionale.

36 Vedi C

(24)

Come si è rilevato in dottrina, le legislazioni in parola sollevano problemi di compatibilità col diritto dell’Unione europea, in particolare con il principio di leale collaborazione, tenuto conto dell’impatto che una facile attribuzione della cittadinanza nazionale viene ad avere sugli altri Stati membri e sull’Unione stessa; esse sembrano anche intaccare l’essenza della cittadinanza, che come si vedrà immediatamente, costituisce lo statuto fondamentale dell’individuo37.

37 Ibidem, para. 7. L’Autore richiama anche, al riguardo, la presa di posizione della Commissione europea, nella sua Relazione sulla cittadinanza dell’UE

2017. Rafforzare i diritti dei cittadini in un’Unione di cambiamento democratico, Lussemburgo, 2017, nella quale la Commissione afferma che

essa “salvaguarderà l’essenza della cittadinanza dell’UE e dei suoi valori

intrinseci. Nel 2017/2018 elaborerà una relazione sui regimi nazionali di concessione della cittadinanza dell’UE agli investitori che descriverà l’operato della Commissione in tale ambito, le pratiche e le normative nazionali in vigore e fornirà orientamenti agli Stati membri”. Secondo quanto

suggerito da CALAMIA, Riforme abusive, cit., p. 19, una soluzione alle questioni sollevate dai programmi in parola sarebbe quella di riconoscere agli investitori il diritto di risiedere legittimamente negli Stati interessati, e anche di circolare nel territorio dell’UE, senza però giungere all’attribuzione della cittadinanza.

(25)

4. La cittadinanza dell’Unione come “statuto fondamentale” dell’individuo.

Abbiamo già sottolineato il fatto che l’istituzione della cittadinanza dell’Unione rappresenta una delle novità più rilevanti del Trattato di Maastricht. Si tratta, infatti, di una previsione molto importante: in questo modo, l’individuo non viene più considerato solo in quanto soggetto economicamente attivo, ma anche in quanto soggetto politico, titolare di diritti e doveri ulteriori rispetto a quelli che gli derivano dalla cittadinanza nazionale. Nella stessa prospettiva di rafforzare la dimensione politica del processo di integrazione europea, il Trattato di Maastricht aveva istituito una “Unione europea” e determinato il mutamento di denominazione della Comunità economica europea in “Comunità europea”.

Il valore della cittadinanza europea si è ulteriormente rafforzato a seguito della previsione di tale istituto, e dei diritti a esso legati, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale dedica ai diritti di “Cittadinanza” il suo Titolo V. La Carta è stata proclamata a Nizza nel 2000 da Parlamento, Consiglio e Commissione, inizialmente quale atto non vincolante; in virtù delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona al TUE, la Carta (in una versione “adattata” il 17 dicembre

(26)

2017 a Strasburgo38) oggi “ha lo stesso valore giuridico dei trattati” (art. 6, para. 1 TUE), cioè rango di diritto primario dell’Unione europea.

L’art. 20 TFUE par. 2 dispone che “i cittadini dell’Unione

godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati”39. La

norma provvede poi a elencare tali diritti, rilevando che i cittadini dell’Unione hanno, “tra l’altro”:

a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;

b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;

c) il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;

d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua40.

38 G.U. C 303 del 14 dicembre 2007.

39 Nonostante tale enunciazione, per quanto concerne i doveri dei cittadini dell’Unione manca ogni ulteriore riferimento ad essi nei Trattati. Vedi ADAM,

TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2017, p. 381, 40 I diritti indicati alla lett. d) sono peraltro riconosciuti anche ai cittadini di Sati terzi residenti nel territorio dell’Unione.

(27)

La norma aggiunge che “tali diritti sono esercitati secondo le

condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi”.

La precisazione per la quale i cittadini godono “tra l’altro” dei diritti sopra enunciati è stata introdotta dal Trattato di Lisbona, coll’evidente scopo di sottolineare che l’elenco contenuto nell’art. 20 TUE non è esaustivo41. In primis, va riportato allo status di cittadinanza, di cui costituisce una componente essenziale, il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’art. 18 TFUE42. Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali ha incluso tra i diritti di cittadinanza il diritto ad una buona amministrazione (art. 41). Il Trattato di Lisbona ha poi introdotto l’importante diritto di iniziativa legislativa dei cittadini europei, previsto dagli artt. 11 par. 4 TUE e 24 par. 1 TFUE, e articolato dal Regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 201143.

Da notare anche che l’art. 25 TFUE contiene una clausola evolutiva, che consente al Consiglio, con decisione all’unanimità e mediante una procedura legislativa speciale che richiede la previa approvazione del Parlamento, d’integrare i diritti elencati dall’art. 20 par. 2 TFUE. Le disposizioni adottate in tal modo, precisa la norma,

41 Vedi M

ORVIDUCCI, I diritti, cit., pp. 11-12.

42 Vedi, anche per le citazioni della giurisprudenza, A

DAM,TIZZANO,op. cit., p. 390.

(28)

entreranno però in vigore solo una volta approvate da tutti gli Stati membri, conformemente alle rispettive disposizioni costituzionali. Si tratta in sostanza di una procedura semplificata di revisione dei trattati44.

Più in generale, si è osservato che la cittadinanza europea rappresenta qualcosa di più della semplice attribuzione di singoli diritti ai beneficiari: essa attribuisce un “plus”, un valore aggiunto anche ai vari diritti conferiti in base alla cittadinanza degli Stati nazionali nonché agli altri diritti attribuiti agli individui dai trattati europei. Tali diritti vengono a costituire, nel loro insieme, uno status di gran lunga più articolato, che trova nella cittadinanza europea il fattore unificante.

Ma soprattutto, è stata la Corte di giustizia a rafforzare, in virtù della propria giurisprudenza, lo statuto di cittadino dell’Unione europea. A tale riguardo, la Corte ha in primo luogo operato, e costantemente ripreso, l’affermazione di un principio per cui:

“Lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo

status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico”45.

44 Vedi M

ARINAI, Perdita, cit., pp. 148-149.

45 Grzelczyk, causa n. C-184/99, sentenza del 20 settembre 2001, in Racc., p. I-6193 ss., punto 31.

(29)

Il riconoscimento alla cittadinanza di statuto fondamentale ha portato, e dovrebbe condurre, a diverse conseguenze, tra l’altro determinando in generale la necessità di interpretare in maniera restrittiva i limiti e le condizioni poste al godimento dei diritti legati alla cittadinanza46. Si è anche rilevato che da tale principio debba derivare una valutazione anche in termini europei di norme nazionali le quali, come quelle sull’attribuzione della cittadinanza, producano effetti nell’ambito dell’Unione47.

Si tratta di un principio di cui dovrà tenersi conto anche nell’esame dei problemi relativi alla tutela diplomatica e consolare dei cittadini dell’Unione, che saranno esaminati nei seguenti capitoli. È significativo in tal senso che la recente Direttiva che provvede a definire le norme chiave in materia muova proprio dalla riaffermazione, nel considerando (1), del principio per cui “la cittadinanza dell’Unione è lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”48.

46 M

ARINAI, Perdita, cit., p. 153 ss. 47 C

ALAMIA, Riforme abusive, cit., p. 17 ss.

48 Direttiva(UE) 2015/637 del Consiglio del 20 aprile 2015 sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentanti nei paesi terzi e che abroga la Decisione 95/553/CE, in GUUE, L 106 del 24 aprile 2015.

(30)
(31)

CAPITOLO II

PROTEZIONE DIPLOMATICA, PROTEZIONE E

ASSISTENZA CONSOLARE NEL DIRITTO

INTERNAZIONALE

SOMMARIO: 1. La portata del diritto di cui all’articolo 23 TFUE: protezione diplomatica o assistenza consolare? 2. La protezione diplomatica. 3. Definizione dell’ufficio consolare e breve inquadramento delle principali funzioni consolari. 4. La protezione consolare. 5. L’assistenza consolare.

1. La portata del diritto di cui all’articolo 23 TFUE: protezione diplomatica o assistenza consolare?

Come si è visto nel Capitolo precedente, tra i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione europea, elencati all’articolo 20 par. 2 del TFUE, rientra il diritto del cittadino europeo, che si trovi in una situazione di difficoltà in un Paese terzo nel quale lo Stato nazionale non sia rappresentato, di ricevere tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro dell’Unione.

Il diritto alla tutela diplomatica e consolare del cittadino europeo, specificamente disciplinato dall’articolo 23 del TFUE, riveste un “forte valore simbolico nell’istillare e nel consolidare il senso di

(32)

certa distanza”49. Inoltre, il diritto di cui all’articolo 23 del TFUE è importante anche perché è l’unico diritto che può consentire di verificare in quale misura lo status di cittadino europeo, e i diritti ad esso collegati, siano efficaci a livello internazionale 50.

Tuttavia, si deve notare che il diritto in questione ha dato luogo, fin dalla sua prima formulazione, a varie difficoltà interpretative, tanto che è stato definito come il diritto “più problematico e meno realizzato

tra quelli enunciati”51.

In particolare, le difficoltà interpretative maggiori si sono registrate con riguardo al contenuto stesso del diritto in materia. Quando venne istituito, nel 1992, dal Trattato di Maastricht, il diritto sembrava riguardare, infatti, anche un istituto proprio del diritto internazionale: la protezione diplomatica.

Al fine di accertare in quale misura lo status di cittadino europeo possa essere invocato al di fuori dei territori degli Stati membri dell’Unione, dobbiamo determinare la portata del diritto sancito

49 Così I

ZZO, La dimensione esterna della cittadinanza europea: tutela

consolare e protezione diplomatica nell'ambito dell'Unione europea, in Diritto dell’Unione europea, 2015 p. 404.

50 Vedi V

IGNI, The Right of EU Citizens to Diplomatic and Consular

Protection: A Step toward Recognition of EU Citizenship in Third Countries,

in KOCHENOV (ed.), EU Citizenship and Federalism. The Role of Rights, Cambridge, 2017, p. 585.

51 Così M

(33)

dall’articolo 23 del TFUE, e soprattutto il tipo di protezione che l’articolo intende garantire ai cittadini europei.

Le incertezze che si sono prodotte riguardo al contenuto del diritto in parola sono state causate soprattutto dal tenore letterale dell’articolo 8 C del Trattato di Maastricht, come anche da quello dell’attuale articolo 23 del TFUE.

Le norme appena ricordate, infatti, non fanno riferimento, in modo espresso, all’istituto della protezione diplomatica e/o a quello dell’assistenza consolare, né determinano i caratteri e le differenze tra gli stessi, ma semplicemente attribuiscono la facoltà di agire in tutela del cittadino europeo alle “autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi

Stato membro”.

La formulazione dell’articolo 23 TFUE è stata oggetto di interpretazioni contrastanti. La Commissione europea, nella sua Comunicazione del 5 dicembre 2007, rilevava come nel corso di una consultazione pubblica tenuta negli anni precedenti fosse emerso che, nell’interpretare la norma del Trattato, “alcuni ritengono che riguardi la

tutela sia diplomatica che consolare, mentre altri affermano che il suo campo d’applicazione sia limitato alla tutela consolare”52. Ancora nel 2011, la Commissione europea ha riconosciuto che non era stata raggiunta una posizione univoca sul contenuto dell’articolo e che la

52 Per un’efficace tutela consolare nei paesi terzi: il contributo dell’Unione

(34)

formulazione dello stesso “è troppo succinta per conferire effettività e

significato concreto al diritto previsto” 53.

La causa principale dell’ambiguità della formulazione è l’uso simultaneo, nell’odierno art. 23 TFUE, degli aggettivi “consolare” e “diplomatico”, che potrebbe indurre a mettere sullo stesso piano l’istituto della protezione diplomatica e quelli della protezione e assistenza consolare, che sono marcati da vistose differenze a norma del diritto internazionale.

Ciò è stato sottolineato anche dal Relatore Speciale in materia di protezione diplomatica, John Dugard, durante i lavori della cinquantottesima sessione della Commissione del diritto internazionale. Egli ha affermato che la formulazione della disposizione in materia, così come quella dell’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali, potrebbe determinare “a particular source of confusion of diplomatic protection

and consular assistance”54.

Di particolare interesse è l’esame del linguaggio dei trattati fatto dal Professor Torsten Stein, nel quadro dei lavori dedicati dalla

International Law Association al tema della protezione diplomatica. Nel

suo rapporto sulla protezione diplomatica in base al Trattato sull’Unione

53 Relazione che accompagna la Proposta di Direttiva del Consiglio sulla tutela

consolare dei cittadini dell’Unione all’estero, doc. COM(2011) 881 def. del

14 dicembre 2011, p. 2 ss., a p.3.

54 International Law Commission, Seventh report on diplomatic protection, by

(35)

europea, Stein rileva come vi sia una differenza tra le diverse versioni linguistiche del Trattato. In particolare, la versione tedesca fa espresso riferimento alla “protezione diplomatica” (“diplomatischer und

konsularischer Schutz”), mentre le versioni in lingua francese

(“protection de la part des autorités diplomatiques et consulaires”), spagnola, inglese e olandese risultano più vicine a quella italiana (“tutela

da parte delle autorità diplomatiche e consolari”)55. Secondo Stein, non si potrebbe dubitare del fatto che la versione tedesca comprenda un diritto alla protezione diplomatica in senso stretto, quale riconosciuta dall’ordinamento internazionale, mentre le altre versione sarebbero più ambigue, prestandosi sia all’interpretazione più ampia (protezione diplomatica e tutela consolare) che a quella più ristretta (solo tutela consolare). In ogni caso, tale autore, a seguito di un’approfondita indagine, si pronuncia per l’interpretazione più ampia della norma56. Anche secondo Condorelli e Nascimbene, il testo della norma del Trattato è sufficientemente ampio perché vi si possa far rientrare la protezione diplomatica57. Altri autori escludono invece che dai trattati

55 S

TEIN, Interim report on diplomatic protection under the European Union

Treaty, Report of the Seventieth Conference held in New Delhi, 2–6 April 2002,

London, International Law Association, 2002, pp. 277–289.

56 Alla medesima conclusione giungono, in base a un’interpretazione sistematica del’art. 23 TFUE, VON BOGDANDY, ARNDT, European

Citizenship, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, 2011,

para. 16 ss. Nello stesso senso, IZZO, La dimensione esterna, cit, pp. 405-406. 57 CONDORELLI, La protection diplomatique et l’évolution de son domaine

(36)

dell’Unione europea possa ricavarsi un riferimento alla protezione diplomatica58.

Di seguito, analizzeremo nello specifico gli istituti della protezione diplomatica, della protezione consolare e dell’assistenza consolare così come disciplinati nel quadro del diritto internazionale.

2. La protezione diplomatica.

Cominciamo con l’analizzare l’istituto della protezione diplomatica. In base al diritto internazionale consuetudinario, se uno Stato viola le norme sul trattamento degli stranieri, previste dallo stesso diritto internazionale, commette un illecito internazionale nei confronti dello Stato del quale lo straniero ha la cittadinanza. Qualora la violazione di una norma sul trattamento degli stranieri provochi un danno ad un determinato soggetto (persona fisica o giuridica), lo Stato del quale il soggetto è cittadino può esercitare la protezione diplomatica

ROSSI DAL POZZO, Diritti di cittadinanza e libertà di circolazione nell’Unione

europea, Padova, 2012, p. 44 ss.. Cfr. MORVIDUCCI, I diritti dei cittadini cit., p. 337 ss., la quale nota che le norme dei trattati sembrano includere un riferimento alla vera e propria protezione diplomatica ma che la prassi si è orientata in senso restrittivo.

58 Vedi ad. es. P

AVLOVIC, Protection of EU Citizen according to art. 23 TFEU:

Diplomatic Procetion as Defined by International Law?, in Journal of Interdisciplinary Research, 2012; VIGNI, The Right of EU Citizens to

(37)

nei confronti dello Stato autore dell’illecito internazionale; vale a dire, assumere la difesa del proprio cittadino sul piano internazionale, attraverso proteste, minacce o ricorso a contromisure, richieste di risarcimento, o l’instaurazione di un procedimento conciliativo o giurisdizionale internazionale (se ne ricorrono i presupposti) contro lo Stato territoriale; ciò al fine di ottenere la cessazione della violazione e il risarcimento del danno causato al proprio cittadino 59.

Tradizionalmente, si ritiene che, attraverso l’esercizio della protezione diplomatica, lo Stato nazionale faccia valere un proprio diritto per la violazione delle norme sul trattamento degli stranieri, e non un diritto di cui risulti titolare lo straniero leso. Il cittadino, dunque, non avrebbe alcun diritto a che lo Stato di cui ha la cittadinanza agisca, in sua difesa, in protezione diplomatica; lo Stato di nazionalità, infatti, non agirebbe come rappresentante o mandatario dell’individuo. Lo Stato può, in ogni momento, anche rinunciare ad agire in protezione dello straniero leso, o sacrificare l’interesse dello straniero danneggiato ad altri interessi 60.

I caratteri dell’istituto della protezione diplomatica sono stati ben espressi in un celebre passo della sentenza Mavrommatis, pronunciata il 30 agosto 1924 dalla Corte permanente di giustizia internazionale. Nella sentenza, in particolare, si legge che :

59 Vedi R

ONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, V edizione, Torino, 2016, p. 376.

60 Vedi C

(38)

“C’est un principe élémentaire du droit international que

celui qui autorise l’État à protéger ses nationaux lésés par des actes contraires au droit international commis par un autre État, dont ils n’ont pu obtenir satisfaction par les voies ordinaires. En prenant fait et cause pour l’un des siens, en mettant en mouvement, en sa faveur, l’action diplomatique ou l’action judiciaire internationale, cet État fait, à vrai dire, valoir son droit propre, le droit qu’il a de faire respecter en la personne de ses ressortissants, le droit international”61.

Si deve, però, notare che si è affermata, soprattutto in dottrina, una concezione più moderna dell’istituto della protezione diplomatica. In particolare, secondo tale concezione, lo Stato, nell’esercitare la protezione diplomatica, farebbe valere non soltanto un proprio diritto, ma un diritto dell’individuo; tanto che si giunge ad affermare che esisterebbe, in capo allo Stato di apparenza del cittadino leso, un vero e proprio obbligo di esercitare la protezione diplomatica nel caso di violazioni gravi dei diritti dell’uomo62.

Questa concezione, se fosse accolta, comporterebbe l’esistenza, a favore dell’individuo leso, di un diritto a che il proprio Stato di appartenenza eserciti la protezione diplomatica nei confronti dello Stato

61 Cour Permanente de Justice Internationale, Affaire des concessions

Mavrommatis en Palestine, sentenza del 30 agosto 1924, in Publications de la Cour Permanente de Justice internationale, sèrie A, n. 2, p.12.

62 PUSTORINO, Recenti sviluppi in tema di protezione diplomatica, in Rivista

(39)

che abbia agito in violazione delle norme di diritto internazionale. In questo modo, risulterebbe limitata la discrezionalità che viene invece tuttora generalmente riconosciuta agli Stati in materia di interventi in protezione diplomatica (che, tradizionalmente, sono considerati liberi di decidere se agire o meno in protezione diplomatica)63. Se così fosse, inoltre, il cittadino potrebbe convenire in giudizio il proprio Stato di appartenenza per omesso esercizio, in sua difesa, del diritto alla protezione diplomatica.

Si tratta, tuttavia, di una costruzione che, affermata da parte della dottrina, non è stata ancora accolta dalla prevalente giurisprudenza, la quale è ancora generalmente orientata a sostenere che l’individuo non sia titolare di un vero e proprio diritto a che lo Stato di nazionalità intervenga in protezione diplomatica. Tutt’al più, si è affermata l’esistenza di un interesse legittimo alla protezione64.

Abbiamo visto che condizione principale per l’esercizio della protezione diplomatica è la violazione, da parte di uno Stato territoriale, di una norma di diritto internazionale sul trattamento degli stranieri. Nel caso in cui si configuri una tale violazione, l’esercizio della protezione diplomatica spetta allo Stato di appartenenza dello straniero leso, ovvero allo Stato del quale quest’ultimo ha la cittadinanza (c.d. rule of

nationality of claims). Vige, poi, in materia, il principio della continuità

63 In tal senso si è espresso, recentemente, anche il Consiglio di Stato italiano. Vedi Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792.

(40)

della protezione. In base a tale principio, la cittadinanza dello Stato che interviene in protezione diplomatica deve essere posseduta dalla straniero leso sia al momento in cui quest’ultimo subisce il danno, sia al momento in cui lo Stato interviene in protezione diplomatica65.

Dunque, il vincolo di cittadinanza tra un individuo e uno Stato costituisce condizione necessaria per l’esercizio della protezione diplomatica. Ora, se in linea di massima spetta a ogni Stato determinare in base a quali criteri attribuire la propria cittadinanza, la Corte internazionale di giustizia ha precisato, nel caso Nottebohm (Liechtenstein v. Guatemala), che tale determinazione deve esser riconosciuta sul piano esterno, in particolare ai fini dell’esercizio della protezione diplomatica, solo quando esista un vincolo o connessione effettiva (“genuine link” o “a genuine connection of existence”) tra l’individuo e l’ordinamento dello Stato in questione66. Come è stato osservato, si esige “che dietro all’esternazione della potestà statale

sussista una realtà”67. Più in particolare, il signor Nottebohm era un cittadino tedesco che aveva acquisito, durante la seconda guerra mondiale e sostanzialmente per corrispondenza, la cittadinanza del Liechtenstein. Nella sentenza, la Corte internazionale di giustizia negò allo Stato del Liechtenstein il diritto di intervenire in protezione

65 R

ONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, cit. p. 379.

66 ICJ, Nottebohm Case (second phase), Judgment of April 6th, 1955, in I.C.J.,

Reports, 1955, p. 4, in particolare alle pp. 21 e 24.

67 C

(41)

diplomatica nei confronti dello Stato del Guatemala, per i danni arrecati al signor Nottebohm. Secondo la Corte, infatti, l’attribuzione all’individuo della cittadinanza del Liechtenstein non rifletteva quel legame sostanziale minimo richiesto dal diritto internazionale, e non era dunque opponibile allo Stato del Guatemala ai fini dell’esercizio della protezione diplomatica.

In materia di protezione diplomatica, si sono posti alcuni problemi di disciplina per gli apolidi (ovvero quei soggetti i quali non hanno la cittadinanza di alcuno Stato), così come per quei soggetti i quali abbiano una doppia nazionalità. Per quanto riguarda gli apolidi, vi è una tendenza a riconoscere che il criterio da ritenersi valido in questi casi sia quello della residenza; interverrà in protezione diplomatica, dunque, lo Stato del quale il soggetto apolide abbia la residenza68. Per quanto riguarda, invece, i soggetti aventi una doppia nazionalità, vale il criterio della nazionalità effettiva; dunque, interverrà in protezione diplomatica lo Stato con il quale il soggetto abbia un “collegamento più stretto”.

Prima che lo Stato di cittadinanza dell’individuo leso possa intervenire in protezione diplomatica a difesa del proprio cittadino è necessario che quest’ultimo abbia esaurito tutti i ricorsi previsti

68 R

ONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, cit. p. 379. Vedi anche l’art. 8 del Progetto di articoli della Commissione del diritto internazionale:

Draft Articles on Diplomatic Protection, in Report of the International Law Commission., 58th sess., Official Records of the General Assembly, Sixty-first Session, Supplement No. 10 (A/61/10).

(42)

dall’ordinamento interno dello Stato territoriale che ha commesso l’illecito internazionale. Si tratta della c.d. regola del previo esaurimento dei ricorsi interni. Peraltro, si deve notare che i ricorsi s’intendono esauriti, e lo Stato può quindi intervenire in protezione diplomatica, in quelle situazioni in cui l’ordinamento interno dello Stato non predisponga rimedi adeguati ed effettivi (ovvero celeri, efficaci, e accompagnati da adeguate garanzie costituzionali a tutela degli individui). Come rileva Ronzitti, “la regola del previo esaurimento dei

ricorsi interni obbedisce ad un palese criterio di economicità”69. Infatti, finché l’individuo ha ancora la possibilità di ottenere la soddisfazione delle proprie pretese attraverso l’esperimento dei rimedi previsti dall’ordinamento interno dello Stato che ha commesso l’illecito, l’intervento dello Stato nazionale in protezione diplomatica non è configurabile.

Ed anzi, sul piano del diritto internazionale, le norme sul trattamento dello straniero non possono neppure ancora ritenersi violate, e, dunque, l’illecito non si sarebbe neppure ancora prodotto, poiché è sempre possibile porre rimedio alla violazione commessa dallo Stato nei confronti dello straniero (c.d. natura sostanziale della regola del previo esaurimento)70.

69 R

ONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, cit. p. 378.

70 In tal senso, vedi l’art. 21, par. 2, del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale elaborato dalla Commissione del diritto intenzionale nel 2006, cit.

(43)

Come abbiamo visto, della protezione diplomatica si è occupata, a partire dal 2000, anche la Commissione del diritto internazionale. In particolare, nel 2006, la Commissione ha concluso i propri lavori approvando, in seconda lettura, un Progetto di articoli sulla protezione

diplomatica delle persone fisiche e giuridiche71. Il Progetto è stato presentato all’Assemblea generale, che ne ha preso nota e ha invitato gli Stati a formulare commenti riguardo all’opportunità di convocare una conferenza internazionale per l’adozione di una convenzione in materia72. All’articolo 1 del Progetto, è data la seguente definizione di protezione diplomatica:

“diplomatic protection consists of the invocation by a State,

through diplomatic action or other means of peaceful settlement, of the responsibility of another State for an injury caused by an internationally wrongful act of that state to a natural or legal person that is a national of the former State with a view to the implementation of such responsibility”.

Per concludere, possiamo rilevare che l’istituto della protezione diplomatica è un istituto classico del diritto internazionale, per il cui esercizio le condizioni fondamentali sono: a) la violazione, da parte di uno Stato territoriale, di una norma internazionale sul trattamento degli stranieri; b) il possesso, da parte del soggetto vittima dell’illecito

71 Draft Articles on Diplomatic Protection, cit..

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