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CAPITOLO 1 CENNI STORICI DI CARRARA 1.1 Carrara e la sua conformazione

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CAPITOLO 1

CENNI STORICI DI CARRARA

1.1 Carrara e la sua conformazione

La città di Carrara è collocata nella Toscana nord-occidentale, insieme alla città di Massa (distante solo 7 km), dà il nome alla Provincia di Massa Carrara, la quale confina a sud e a est con la Provincia di Lucca, a nord con quelle di Parma

e Reggio Emilia, e a nord-ovest con quella di La Spezia. La città sorge sul lato meridionale delle Alpi Apuane e si sviluppa verso il mare,

lungo le rive del fiume Carrione, formando un unico agglomerato urbano con la zona industriale di Avenza e Marina di Carrara, che è porto nonché stazione turistico-balneare della città.

A nord-est si innalzano i rilievi montuosi che costituiscono l’estremità nord-ovest della catena delle Alpi Apuane; lungo i versanti di questi monti si trovano le cave di marmo.

La regione montuosa è divisa in tre valli, che corrispondono ai bacini di estrazione del marmo; i bacini prendono il nome dai paesi che sorgono dal loro interno, rispettivamente, da ovest verso est, Torano, Miseglia e Colonnata.

Il paese di Torano si trova all’incrocio di due valli, una ad oriente che costituisce il bacino stesso, l’altra ad occidente costituisce il bacino di Pescina/Boccanaglia, un bacino di minor importanza. Da questo bacino provengono alcuni tra i più pregiati marmi di Carrara, tra cui lo Statuario.

Il marmo viene estratto fin dall’epoca Romana, e lo testimonia il fatto che salendo lungo la strada principale della valle, poco oltre il bivio per il Canale di Lorano, è possibile arrivare alla cava del Polvaccio, dalla quale secondo alcuni

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storici è stato estratto il marmo per la costruzione della Colonna Traiana e di altri famosi monumenti della Roma Imperiale.

Al centro della regione marmifera si trova il bacino di Miseglia; lungo la strada di accesso al bacino, dopo aver superato il paese da cui prende il nome, si giunge ai Ponti di Vara.

Tali ponti furono costruiti nel 1890 a completamento della Ferrovia Marmifera che serviva per il trasporto dei blocchi dalle cave al piano.

Guardando verso monte, sulla destra si trova il viadotto principale, che conduce al bacino di Colonnata, sulla sinistra un viadotto più piccolo verso il bacino di Torano, e, in mezzo ai due, dove era stata costruita una stazione ferroviaria, c’era una tratto ferroviario che conduceva alla parte alta del bacino del bacino.

Negli anni sessanta, a seguito dello smantellamento della ferrovia, fu realizzato il

ponte che collega la località con la strada proveniente da Miseglia1. Proseguendo

lungo la strada si giunge alla Bocca del Canal Grande, che è il centro di partenza di tutte le strade che portano alle cave soprastanti. Proseguendo la strada che sale verso il bacino marmifero, dopo alcuni tornanti, si arriva ad un bivio e andando verso destra si sale nella zona di Canal Grande, mentre proseguendo verso sinistra si accede alla zona di Fantiscritti, la quale deve il suo nome ad un bassorilievo scolpito sulla parete marmorea, raffigurante Giove mentre abbraccia Ercole e Bacco, anche se alcuni storici ritengono che le tre figure rappresentino

Settimo Severo e i suoi figli Caracalla e Geta2. Il bassorilievo, datato tra il 203 e

il 212 d.c., fu staccato dalla sua sede nel 1864 ed è custodito nell’Accademia di Belle Arti di Carrara. Da questo bacino fu anche estratto il blocco che andò a formare l’obelisco del foro Mussolini a Roma; il blocco fu soprannominato il “monolite” per le sue grandi dimensioni (18 metri di lunghezza, 2.35 di altezza e altrettanti di larghezza, per circa 300 tonnellate di peso).

La parte orientale della regione marmifera carrarese è costituita dal bacino di Colonnata; la strada di accesso parte dal paese di Bedizzano, antico borgo di

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Bradley Frederick, “Guida alle cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag.85-88 e pag.60-63

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cavatori e prosegue attraverso numerose cave contenenti numerose testimonianze archeologiche di cave d’Epoca Romana (località Calagio e Fossacava). Alla fine della strada si trova il paese di Colonnata, famoso per la bontà del suo lardo, la cui preparazione dipende dal fatto di essere conservato in conche di marmo

locale, la cui particolare tessitura cristallina garantisce una perfetta stagionatura3.

1.2 Cenni storici

Le prime notizie certe sulla coltivazione dei giacimenti di marmo di Carrara risalgono al I secolo a.c., durante la dominazione romana. All’epoca il marmo era detto “marmor lunense”, poiché il centro estrattivo era identificato con la città di Luna, dal cui porto salpavano le navi cariche del suddetto materiale. Le cave che produssero di più in quel periodo furono quelle di Colonnata, del Polvaccio e di Fantiscritti, da cui fu estratto il marmo per la porta del Panteon.

La lavorazione avveniva a mano, tramite l’uso di mazzuolo e scalpello, cercando di sfruttare al massimo le fratture naturali del monte. Talvolta per favorire il distacco del masso dal monte, venivano inseriti dei cunei di ferro o di legno. Rispetto ad oggi, la lavorazione del materiale grezzo avveniva in cava.

Già all’epoca i lavoratori erano suddivisi in base alle mansioni: gli addetti al taglio erano i “caesores”, gli addetti al riquadro dei blocchi “quadratarii”, coloro che si occupavano del sollevamento “maquinarii”, gli addetti alla segagione “sectores serrariis”. Tutti quanti erano diretti dal “magister ab marmoribus”,

figura che corrisponde all’attuale capo cava4

.

Non si hanno notizie sulla coltivazione delle cave durante l’Alto Medioevo. Le notizie ripartono dal 1185, quando Federico Barbarossa, dopo aver nominato conte il Vescovo di Luni, inserisce le cave tra i beni produttivi la cui giurisdizione spettava alla chiesa lunense. Il Vescovo vantava diritti non solo

3

Bradley Fredirick, “Guida alle Cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991, pag.68, pag.73, pag 75-79 e pag. 82-83

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sulle cose di superficie, ma anche sul sottosuolo. Pochi anni dopo comparvero i primi documenti che attestano un’attività produttiva (atti notarili che riguardano forniture di colonne e capitelli che andavano consegnati nel porto di Genova). I diritti del Vescovo all’epoca si limitavano alla riscossione di una gabella sui marmi in uscita.

Tra il 1300 e il 1500 Carrara passò sotto varie dominazioni (Pisa, Milano, Lucca, Firenze, Genova), fino al 1473, anno in cui passò ai marchesi Malaspina di Massa.

Tra la metà del secolo XIV e la metà del secolo XV, furono gli imprenditori fiorentini a determinarne il rilancio. C ’erano a Firenze degli imprenditori capaci di accollarsi le operazioni di estrazione, riquadratura, sbozzatura e trasporto dei marmi ad un prezzo fissato in base al peso dei blocchi.

Nel 1500 i più grandi scultori dell’epoca, tra cui Michelangelo, si recarono a Carrara per procurarsi il marmo, specialmente statuario, per le loro opere.

Nello stesso periodo gli imprenditori fiorentini diventarono dei semplici intermediari, affidando le forniture ai maestri locali. La gestione delle cave era affidata o a società familiari o a società alla pari nelle quali i soci si dividevano in egual misura le spese e i profitti, ma poteva anche succedere che uno dei soci fosse il proprietario della cava, per cui si faceva pagare un canone in denaro o in blocchi di marmo dagli altri soci, relegandoli in uno stato di dipendenza economica. Altre volte le cave potevano essere affittate a cottimisti, che pagavano l’affitto in blocchi.

Esisteva il caso di maestri che ottenevano profitti o dal possesso di una cava o da una società alla pari nella quale si facevano sostituire da un salariato, mentre loro gestivano una bottega di lavorazione in città, o, prestavano opera specializzata in giro per l’Italia.

Tra la metà del XV secolo e la metà del XVI, i marmi di Carrara, grazie al largo utilizzo che ne fu fatto nelle cattedrali toscane e nei palazzi genovesi, e grazie alle descrizioni dei visitatori inglesi, francesi ed olandesi, divennero famosi e richiesti in molte parti d’Europa. L’aumento della domanda fece si che i

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produttori, per aumentare i loro guadagni, si dedicassero di più al commercio che non alla produzione. Tuttavia si verificarono ritardi ed inadempimenti causati da un lato, dal fatto che i produttori rimasti alle cave non riuscivano a far fronte al ritmo delle ordinazioni dall’altro, che coloro che si erano trasformati in commercianti non avevano sufficienti disponibilità finanziarie. Per far fronte al problema, il Principe Alberico I Cybo Malaspina nel 1564 stipulò un accordo con i 16 maggiori produttori, in base al quale gli ordini venivano tutti ricevuti da un Offitium marmoris, gestito da uomini del Principe che li ripartiva tra i produttori. L’accordo durò solo dieci anni.

Successivamente il Principe, preoccupato dalla scarsezza di denaro, aveva appaltato le gabelle (entrate di denaro applicate sui marmi in uscita) a dei finanzieri genovesi.

Un loro intermediario di fiducia, un certo Diana, finì per ereditare l’Ufficio del marmo, diventando l’intermediario delle commesse più rilevanti.

Durante il XVI secolo il numero delle cave scese da venti a quindici, a causa delle scarse capacità dei maestri di gestire contemporaneamente produzione, vendita e lavorazione; bisogna aggiungere a tutto questo la crescente domanda di marmi colorati e la concorrenza della vicina Versilia, dove il Granduca Cosimo I Medici aveva fatto aprire delle cave sul monte Altissimo, la dove Michelangelo aveva scoperto lo statuario.

Durante il settecento, sotto Maria Teresa Cybo Malaspina, moglie di Ercole d’Este, figlio del Duca di Modena, si ebbe una ripresa della produzione, favorita dall’utilizzo del marmo nell’architettura neoclassica. In quel periodo fu iniziata la costruzione di un porto dei marmi ad Avenza. Nel 1769 fu fondata l’Accademia di Belle Arti, la quale ebbe il merito di rilanciare la scultura.

Nel 1751 i nuovi sovrani pubblicarono un editto sulla concessione degli agri marmiferi, con il quale si codificava l’accesso a tali concessioni, evitando di creare contestazioni e liti, favorendo la ricerca e l’espansione di nuove coltivazioni. In seguito alla nuova legislazione, risultarono 440 cave, un numero assai maggiore rispetto al XVI secolo. La gabella dei marmi che era stata

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appaltata da Alberico I Cybo Malaspina, nel 1778 tornò ad essere gestita dalla camera ducale. Nonostante i miglioramenti apportati, il settore non era ancora stabile da un punto di vista economico, cosa che risultò evidente quando l’Inghilterra rallentò le importazioni a seguito della guerra di indipendenza

americana5.

Durante il periodo delle guerre napoleoniche la produzione visse un periodo di paralisi. La produzione riprese intensamente con la Restaurazione; contemporaneamente gli aspetti socio-economici della Rivoluzione francese introdussero, da un lato una nuova mentalità imprenditoriale nella borghesia, dall’altro una coscienza di classe da parte dei lavoratori. Il processo industriale si presentò difficoltoso rispetto ad altri settori, a causa della natura stessa dell’attività, che non si presta a fasi della lavorazione programmate. Una spinta al decollo dell’industria carrarese venne dai capitali inglesi e francesi, che seguirono le orme dell’ex ufficiale napoleonico Alexandre Henraux, il quale nel 1815 aprì a Seravezza in società con un imprenditore locale, nuovi impianti, installando frulloni azionati da una ruota ad acqua per levigare, e telai a più lame, ideati dall’operaio Giuseppe Pertugi, i quali erano appesi ad una trave oscillante e venivano azionati da veloci ruote orizzontali ad acqua.

Nel frattempo a Carrara si continuava ad esportare blocchi grezzi.

L’inserimento di imprenditori stranieri (Thomas Robson, Guglielmo Walton, tra gli altri) era favorito dal fatto che gli imprenditori locali non avevano esperienza imprenditoriale di tipo capitalistico e neppure ingenti capitali da investire. Tuttavia l’emulazione portò vantaggi all’industria lapidea, conducendo ad un aumento della produzione (dalle novemila tonnellate del 1838 alle quarantamila del 1857), e favorendo l’apertura di impianti per la lavorazione, seppur antiquati rispetto agli impianti stranieri, dove la lucidatura avveniva già con delle

macchine a vapore, mentre a Carrara era ancora fatta a mano6 (la

meccanizzazione si avrà solo nell’ultimo quarto del secolo)7.

5

Mannoni Luciana e Tiziano, “Il marmo, materia e cultura”, Genova, Sapeg editrice, 1984, pag. 208-229

6 Magenta Carlo, “L’industria dei marmi Apuani”, Carrara, Casa di Edizioni in Carrara, 1871, pag. 105-106 7

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Agli inizi del novecento ci fu un ulteriore progresso nelle segherie, grazie alla distribuzione automatica della miscela acqua e sabbia.

L’escavazione avveniva con la tecnica delle mine, specialmente il sistema delle “grandi varate” che oltre ad essere pericoloso per i lavoratori, rendeva utile solo un terzo del materiale estratto, costituendo una economia di rapina nei confronti del patrimonio naturale.

Alla fine dell’ottocento furono introdotti i primi impianti di taglio a filo elicoidale: l’impianto consisteva in un cavo d’acciaio di circa 5 mm di diametro chiuso ad anello, formato dall’avvolgimento a forma elicoidale di tre piccoli cavi d’acciaio, che veniva disteso per mezzo di una serie di pulegge di rinvio montate su tubi di ferro sull’intera superficie di cava. Il movimento al filo veniva impresso da un motore elettrico; il filo passava numerose volte sopra una data sezione, creando un incisione.

L’incisione non era formata dal filo stesso, ma dalla miscela abrasiva di acqua e sabbia silicea che lo stesso trasportava.

Nel campo dei trasporti la “lizzatura” consisteva nel calare a valle una grossa slitta, detta “lizza”, su cui erano sistemati dei blocchi, detti “carica”; la slitta veniva fatta appoggiare su delle traverse di legno insaponate dette “parati”. La lizza scendeva sfruttando la gravità trattenuta da dei cavi, detti “canapi”, legati intorno a dei pali di legno, detti “piri”. Per la sua discesa potevano essere preparate delle vie massicciate apposite, ma spesso veniva calata direttamente sui

ravaneti (discariche di marmo su cui oggi sono costruite le vie di arroccamento)8.

Durante la discesa i “lizzatori” tolgono le traverse dietro e le spostano davanti; tutta l’operazione viene diretta dal “capolizza”, il quale con i precisi segnali della voce segnala agli uomini addetti ai “canapi” il giusto grado di avanzamento. La lizzatura è stata progressivamente sostituita dalla ferrovia marmifera e dalle teleferiche.

Nonostante l’apertura del canale di Suez, i rapporti commerciali con i mercati orientali (Cina, India, Australia) non erano molto sviluppati, dato che il marmo di

8 Bradley Frederick, “Guida alle cave di Carrara”, Carrara, Internazionale Marmi e Macchine Carrara,

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Carrara arrivava in quei paesi direttamente dalla Francia, dall’Inghilterra, dal

Belgio e dall’Olanda già lavorato, con un notevole aumento di costi9.

Nel 1909 un consorzio di sedici industriali controllava più della metà degli impianti di estrazione, lavorazione e trasporto, mentre gli altri erano divisi tra piccoli imprenditori e ditte familiari, che non erano in grado di gestire tutte le fasi della produzione, per cui finivano per appoggiarsi alle ditte più grosse. Inoltre, le cave meno redditizie venivano affittate dalle imprese più grandi, le quali si facevano pagare il canone di affitto con un settimo della produzione, ma spesso andava a finire che il piccolo imprenditore non avendo una propria organizzazione di vendita, finiva per cedere l’intera produzione all’affittante. Durante la prima guerra mondiale la produzione crollò, per riprendere alla sua fine toccando le trecentoquarantamila tonnellate nel 1926. Tre quarti della produzione erano destinati all’estero, per cui gli stranieri non trovarono più convenienti i marmi nel momento in cui ci fu la rivalutazione della lira. Un ulteriore danno alle esportazioni fu arrecato dalle sanzioni economiche applicate all’Italia fascista a seguito della guerra di Etiopia. La dittatura cercò di compensare imponendo l’utilizzo del marmo nell’edilizia nazionale, essendo un materiale autarchico, ed utilizzandolo nella architettura monumentale che celebrava i suoi fasti. Inoltre vennero impiegati gli scarti della lavorazione nelle industrie chimiche per diminuire le crescenti discariche.

La seconda guerra mondiale, oltre al calo della produzione, toccò direttamente Carrara e le sue cave tra il 1944 e il 1945, essendo collocate lungo la linea gotica. Finita la guerra la ripresa dell’attività fu costante, fino a raggiungere le cinquecentomila tonnellate negli anni sessanta.

Contemporaneamente sono migliorate le vie di accesso, che hanno permesso l’arrivo in cava di macchine semoventi, sia per l’escavazione che per il

trasporto10.

9

Mannoni Luciana e Tiziano, “Il marmo, materia e cultura”, Genova, Sagep editrice, 1984, pag. 111 e pag. 237-241

10

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