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CAPITOLO 1

LA CRESCITA DELL’ATTENZIONE VERSO IL RISCHIO DI CONTROPARTE E DI CREDIT VALUATION ADJUSTMENT

1.1 La crisi finanziaria del 2007

Il contesto in cui nascono una forte attenzione ed un notevole interesse verso il rischio di controparte e di Credit Valuation Adjustment, ovvero il rischio di aggiustamento della valutazione del credito, è quello della crisi finanziaria che ha avuto inizio nel 2007.

Infatti, è proprio da quel momento che sui mercati finanziari si fa strada la consapevolezza dei costi impliciti nelle transazioni con determinate controparti e si afferma la necessità sia di valutare correttamente il rischio di credito delle controparti sia di incorporare il suo valore nel prezzo delle operazioni.

La crisi dei mutui subprime affonda le radici nella politica monetaria oltremodo espansiva tenuta dalla Federal Reserve in risposta al crollo della new economy1. Tra il 2001 e il 2003, la riduzione del tasso di riferimento (dal 6 all’1%) spinge le famiglie americane ad indebitarsi per acquistare immobili, i cui prezzi cominciano a salire impetuosamente. Si innescano così due processi circolari che alimentano la bolla speculativa: da un lato, l’aumento del valore degli immobili, incrementando il valore delle garanzie, facilita l’accesso al credito e così la maggior offerta di credito contribuisce a far crescere il valore degli immobili; dall’altro, il rialzo delle quotazioni immobiliari innalza il valore dei titoli frutto del processo di cartolarizzazione, cosa che permette agli intermediari di raccogliere altri fondi per acquistare ulteriori titoli, il cui valore continua a salire.

Tra il 2004 e il 2006 il tasso di riferimento statunitense cresce dall’1 al 5% e provoca un forte aumento degli interessi sui mutui a tasso variabile. Così molti debitori, soprattutto quelli del segmento subprime2, non essendo più in grado di pagare gli interessi sui loro mutui, cominciano a divenire insolventi. La domanda di immobili si riduce e così il prezzo di questi ultimi comincia a calare. Col passare dei mesi, mentre il tasso di insolvenza sui mutui

subprime aumenta, il ribasso dei prezzi immobiliari accelera sensibilmente.

Dal segmento subprime, ben presto le difficoltà si estendono anche nel resto del mercato finanziario in virtù della cartolarizzazione effettuata precedentemente: i mutui venivano

1 V. D’APICE, G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Carocci editore, Roma, 2009, pagg. 68-74.

2 Il mutuo subprime è un prestito concesso, a un tasso di interesse più alto di quelli stabiliti dal mercato, a un soggetto che, a causa del basso reddito o di insolvenze pregresse, non offre sufficienti garanzie di restituzione del capitale.

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“impacchettati” in titoli complessi (mortgage-backed securities) e venduti a investitori di tutto il mondo che non li avevano originati. Questi titoli erano inizialmente considerati sicuri ed erano caratterizzati da rating elevati. Tuttavia, i downgrades annunciati dalle agenzie di

rating convincono il mercato della mancata capacità dei rating di stimare la probabilità di default di tali strumenti e di valutarne correttamente i rischi.

Nel corso del 2007, sia Bear Stearns che BNP Paribas annunciano agli investitori di non poter recuperare denaro dai fondi di investimento a causa delle perdite registrate sui mutui

subprime ed in ragione di una completa evaporazione della liquidità sul mercato che non

consente di stabilire il valore degli assets presenti nei portafogli di tali fondi.

A settembre del 2007, la banca inglese Northen Rock entra in crisi in virtù di uno sbilanciamento delle sue passività sul breve termine: l’illiquidità dei mercati finanziari internazionali le impedisce il rinnovo di tali passività, minando così la sua solvibilità e scatenando il panico tra i clienti, che si concretizza nella famosa corsa agli sportelli.

Alla fine del 2007, i mercati finanziari vengono ulteriormente scossi dalle gravi difficoltà riscontrate dalle compagnie assicurative monoline3, che avevano fornito assicurazione alle banche su mutui e altri debiti. Il rating AAA attribuito a queste compagnie non aveva messo le banche in allerta su un loro possibile default; al contrario, le banche, ignorando il rischio di controparte relativo a tali compagnie, avevano assunto notevoli esposizioni verso di esse, addirittura senza chiedere di fornire garanzie. Nel dicembre, quando queste compagnie registrano forti downgrades in seguito alle grandi perdite da esse riportate, le banche sono costrette a rilevare danni per miliardi e miliardi di dollari, dovute proprio a quel rischio di controparte che finora avevano trascurato4. Più precisamente, si tratta di una particolare forma di rischio di controparte, il cosiddetto wrong-way risk, che si ha quando l’esposizione verso una determinata controparte e la sua probabilità di default sono strettamente legate tra loro. Nel frattempo, le difficoltà per Bear Stearns continuano a farsi sentire a causa dell’incapacità di rinnovare i debiti a breve termine e così la FED decide di effettuare un prestito di 29 miliardi di dollari a JP Morgan Chase per facilitare l’acquisto della banca d’affari statunitense.

3 «Le monoline o compagnie assicurative monoline garantiscono il puntuale pagamento del capitale e degli interessi delle obbligazioni quando un emittente è insolvente. Sono dette "monoline" (monolinea) in quanto assicurano solo una categoria di rischio.» (AFME, Glossary of Bond Terms, in www.investinginbondseurope.org, consultato il 14 giugno 2016)

4 J. GREGORY, Counterparty credit risk and credit value adjustment: a continuing challenge for global

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Nel settembre 2008, Fannie Mae e Freddie Mac, che detengono oltre il 50% dei mutui immobiliari in America, vengono nazionalizzate dal Tesoro americano per evitarne il fallimento e per scongiurare il pericolo del rischio sistemico.

Poco dopo accade l’impensabile, quando dichiara la più grande bancarotta della storia americana la nota banca d’affari Lehman Brothers, che fino al momento del fallimento aveva un rating pari almeno ad A. Né la FED né il governo decidono di sottrarre al default il colosso bancario, che era fortemente esposto sul mercato immobiliare, per evitare di incoraggiare le altre istituzioni finanziarie ad assumersi rischi eccessivi nella speranza di essere poi salvate (moral hazard). Lehman aveva effettuato circa un milione e mezzo di transazioni in derivati con quasi 8000 diverse controparti, la maggior parte delle quali non aveva probabilmente mai considerato il rischio di controparte verso di essa come un particolare problema.

In quei giorni, la banca d’affari Merril Lynch viene acquistata da Bank of America e le banche d’affari Morgan Stanley e Goldman Sachs vengono autorizzate a trasformarsi in banche commerciali. In più, la FED decide di erogare un prestito di 85 miliardi di dollari alla AIG (American International Group), la compagnia assicurativa più grande del mondo, per evitarne il fallimento, altrimenti possibile a causa di scommesse contro il default di molti strumenti finanziari collegati ai mutui subprime. Come accaduto in altri casi appena discussi, prima della crisi il rischio di controparte di AIG era considerato minimo in virtù della sua dimensione, della suo rating eccellente e del fatto che, a differenza delle assicurazioni

monoline, forniva garanzie.

Alla fine di settembre 2008, la crisi finanziaria colpisce in modo significativo anche il sistema finanziario europeo, dove il dissolversi della liquidità conduce ad una serie di salvataggi, nazionalizzazioni e aiuti di stato. Dal 2009, in Europa si diffonde anche il timore di una crisi del debito sovrano, sollevato dagli alti livelli di debito e da un downgrading di alcuni dei titoli di stato europei.

Ad aprile del 2009, le perdite totalizzate dalle banche ammontano a più di mille miliardi di dollari.

1.2 Le evidenze della crisi: il rischio di controparte

Come si può dedurre dalla descrizione dei punti salienti della crisi del 2007, nessun tipo di controparte, comprese quelle con rating AAA, le banche di investimento mondiali e gli stati sovrani, può essere considerata risk-free5. Se prima della crisi il rischio di controparte era

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nascosto da rating inappropriati e garanzie, dopo di essa è emerso con tutta la sua forza sui mercati finanziari globali, provocando milioni di perdite.

La dimensione e il peso del rischio di controparte sono sempre stati notevoli ma oscurati dal mito della buona qualità creditizia di quelle grandi istituzioni finanziarie che poi sono fallite o sono state salvate dal default perché “troppo grandi per fallire” (too big to fail). Per molti anni, le istituzioni hanno dunque trascurato il rischio di controparte relativo a tali entità. La crisi ha invece mostrato che esse spesso rappresentano la fetta più grande del rischio di controparte. Ecco che da qui ha avuto origine la necessità di considerare questo rischio in tutte le transazioni con altri soggetti. L’interesse verso il rischio di controparte è stato poi alimentato dalla pressione della regolamentazione finanziaria.

Ma come può essere definito il rischio di controparte? E quali sono le relazioni che ha con gli altri tipi di rischio? Borsa Italiana definisce il rischio di controparte come “il rischio che la controparte di un'operazione non adempia, entro i termini stabiliti, ai propri obblighi contrattuali”. Il rischio di controparte, detto anche rischio di credito di controparte, è dunque il rischio che la controparte di un contratto finanziario fallisca prima della scadenza del contratto e non sia in grado di effettuare tutti i pagamenti dovuti. Esso viene dunque associato al rischio di pre-regolamento, che viene proprio definito come il rischio di default di una controparte prima della scadenza del contratto.

Si tratta di una forma specifica di rischio di credito6, che caratterizza le transazioni in

strumenti derivati, in particolare gli strumenti derivati non scambiati su mercati organizzati (over-the-counter)7, e le securities financing transactions (SFT). Tra i derivati OTC troviamo

interest rate swaps, FX forwards e credit default swaps, mentre esempi di SFT sono il prestito

titoli ed i pronti contro termine. I derivati scambiati sui mercati organizzati non sono influenzati dal rischio di controparte poiché esiste una controparte centrale che garantisce la conclusione dei contratti stipulati dalle parti.

Il rischio di controparte ha in comune con il rischio di credito il fatto che la causa della perdita economica sia il default del debitore8. Ci sono, però, due aspetti che lo distinguono dal rischio di credito tradizionale: l’incertezza dell’esposizione e la natura bilaterale del rischio. Infatti, il rischio di credito è caratterizzato dal fatto che l’ammontare a rischio è generalmente

6 Il rischio di credito è «il rischio che il debitore non sia in grado di adempiere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale.» (BORSA ITALIANA S.p.A., Glossario-Rischio di credito, in

www.borsaitaliana.it, consultato il 15 giugno 2016)

7 BORSA ITALIANA S.p.A., Glossario-Rischio di controparte, in www.borsaitaliana.it, consultato il 15 giugno 2016.

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conosciuto in qualsiasi momento con un determinato grado di certezza, mentre nel caso del rischio di controparte il valore futuro del contratto risulta incerto, in quanto il valore di un derivato all’eventuale data di default è dato dal valore attuale netto dei flussi di cassa. Questo valore, oltre ad essere incerto, può anche essere positivo o negativo ed è per questo che il rischio di controparte è tipicamente bilaterale. Sostanzialmente, in una transazione in derivati ogni controparte si assume un rischio nei confronti dell’altra. Questo non accade nella fattispecie del rischio di credito, dove, ad esempio, colui che ottiene un prestito non subisce perdite se il creditore fallisce.

Oltre ad essere strettamente connesso con il rischio di credito, il rischio di controparte è legato anche quello di mercato9. Quest’ultimo può essere definito come il rischio relativo agli effetti imprevisti sul valore di mercato di attività e passività prodotti da variazioni dei tassi di interesse, dei tassi di cambio e da altri prezzi delle attività10. Esso può essere eliminato effettuando un’operazione di pari importo e di segno opposto rispetto a quella originaria. Tuttavia, è proprio a questo punto che si genera il rischio di controparte, a meno che questa operazione non sia fatta con la stessa controparte del contratto iniziale. Infatti, se le controparti delle due operazioni controbilancianti sono diverse e una delle due fallisce, allora la posizione assunta non risulta più neutrale. Il rischio di mercato è, quindi, in un certo senso una componente del rischio di controparte.

Il rischio di controparte è piuttosto complesso poiché presenta dei legami anche con altri tipi di rischio, come quello di liquidità e quello operativo11. Sono in particolare le sue tecniche di

mitigazione che possono creare queste altre forme di rischio. Infatti, la gestione del rischio di controparte si basa sulla stipula di accordi legali come la compensazione (netting)12 e la collateralizzazione (collateralisation)13 che inevitabilmente generano il rischio operativo, cioè quel rischio di subire perdite derivanti dall’inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni.

Inoltre, la tecnica di collateralizzazione può creare il rischio di liquidità nel caso in cui una controparte sia improvvisamente costretta a vendere il collateral ricevuto a causa del default dell’altra. Infatti, il venditore, a causa dell’illiquidità dell’attività, potrebbe non essere in

9 J. GREGORY, op.cit., pag. 9-10.

10 BORSA ITALIANA S.p.A., Glossario-Rischio di mercato, in www.borsaitaliana.it, consultato il 15 giugno 2016.

11 J. GREGORY, op.cit., pag. 19-20.

12 Il netting è una tecnica che consente di compensare eventuali flussi debitori di una controparte con flussi creditori generati da altri contratti derivati. Generalmente si applica in caso di default.

13 La collateralizzazione, ovvero la costituzione di un collateral, è una tecnica che prevede la rivalutazione della posizione a cadenze giornaliere o settimanali e la richiesta del deposito della perdita come garanzia.

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grado di vendere tale attività o potrebbe riuscirci ma a prezzi non di mercato. Questa è in particolare la componente del rischio di liquidità nota come market liquidity risk, ovvero l’incapacità di far fronte ai propri impegni di pagamento dovuta all’impossibilità di smobilizzare i propri attivi. L’altra componente del rischio di liquidità, ovvero il funding

liquidity risk, può invece generarsi nel caso in cui una controparte non sia in grado di fornire i collateral richiesti per l’incapacità di reperire fondi sul mercato.

1.2.1 La crescita esponenziale dei derivati OTC

E’ soprattutto grazie ai derivati over-the-counter (OTC), protagonisti indiscussi della crisi finanziaria, che il rischio di controparte è stato oggetto negli ultimi tempi di una crescente attenzione da parte dei mercati, degli operatori e delle Autorità di Vigilanza. Infatti, essendo il rischio di controparte considerato come il rischio di credito dovuto a operazioni in derivati OTC, l’importanza assunta da questi ultimi nel definire la crisi lo ha reso il rischio finanziario per eccellenza. Utilizzando un’espressione inglese potremmo parlare di “the key financial

risk”14.

Potremmo spiegare questo fenomeno applicando metaforicamente la proprietà transitiva: se il rischio di controparte è il rischio di credito che caratterizza i derivati OTC e questi ultimi sono stati fondamentali durante la crisi finanziaria, di conseguenza anche il rischio di controparte è divenuto un aspetto cruciale del mondo finanziario. Ecco perché parlando della crescita dell’attenzione verso il rischio di controparte (ed il relativo prezzo, cioè il CVA) entra in gioco questo tipo di strumento finanziario.

I derivati OTC si distinguono dai derivati negoziati su mercati regolamentati

(exchange-traded). Mentre questi ultimi sono rappresentati da contratti le cui caratteristiche (l’attività

sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione, le modalità di liquidazione, ecc.) sono standardizzate e definite dall’autorità del mercato su cui vengono scambiati, i derivati OTC sono negoziati bilateralmente (direttamente tra le due parti) fuori dai mercati regolamentati. In quest’ultimo caso, quindi, i contraenti possono stabilire tutte le caratteristiche dello strumento liberamente15.

Il rischio di controparte è presente esclusivamente nei derivati OTC, dal momento che sui mercati regolamentati esiste una controparte centrale che si interpone tra i due contraenti e assicura la compensazione e la conclusione dei contratti stipulati, divenendo essa stessa

14 J. GREGORY, op.cit., pag. 18.

15 BORSA ITALIANA S.p.A., Glossario-Strumenti Finanziari Derivati, in www.borsaitaliana.it, consultato il 16 giugno 2016.

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garante unica del buon esito dei contratti. Per realizzare la copertura del rischio di controparte, la controparte centrale utilizza il sistema dei margini: questi ultimi vengono versati giornalmente dagli operatori al fine di costituire le garanzie sufficienti a coprire i costi teorici di liquidazione che la controparte sosterrebbe, in caso di insolvenza, per chiudere le posizioni dell’operatore. Grazie a questo sistema, la controparte centrale gestisce l'assunzione di rischi in una maniera tale che la sua probabilità di default risulta assai inferiore rispetto alla probabilità di default di tutto il mercato e dei soggetti che vi partecipano. Questo è un aspetto importante poiché il rischio di credito della controparte centrale va a sostituire il rischio di credito di ogni soggetto che esegue un’operazione sul mercato regolamentato.

I derivati OTC rappresentano dei contratti “privati” e non garantiti da nessuna istituzione, perciò ogni controparte si assume il rischio di default dell’altra. In aggiunta, molti operatori del mercato dei derivati OTC non presentano un merito creditizio elevato o non sono in grado di fornire garanzie per ridurre il rischio di controparte. Quindi, quest’ultimo rappresenta un’inevitabile conseguenza di questo mercato.

Nonostante ciò, il mercato dei derivati OTC è ad oggi molto più ampio rispetto a quello dei derivati negoziati su mercati regolamentati. Ciò risulta evidente se si osserva il Grafico 1.1, dove sono rappresentati i valori nozionali in essere (in trilioni di dollari) delle due categorie di derivati dal giugno del 1998 fino al dicembre del 201516.

Grafico 1.1 Confronto tra derivati OTC ed exchange-traded.

Fonte: BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, BIS Statistical Bulletin, giugno 2016.

16 I derivati exchange-traded comprendono futures e opzioni su cambi e su tassi di interesse; i derivati OTC comprendono derivati su cambi, su tassi di interesse, su azioni, su materie prime e credit default swaps (BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, BIS Statistical Bulletin, giugno 2016).

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Come si vede in tale grafico, il mercato dei derivati OTC è cresciuto molto rispetto a quello degli exchange-traded in particolar modo nell’ultimo decennio. Ciò è evidente, nonostante vada fatta una precisazione: in realtà, i valori nozionali in essere (notional amounts

outstanding) non sono direttamente confrontabili per le due categorie di strumenti poiché essi

si riferiscono alle posizioni nette per i derivati exchange-traded e a quelle lorde per i derivati OTC; se nei mercati regolamentati le posizioni lunghe e corte che possono essere compensate si annullano e vanno a ridurre le posizioni in essere, nel mercato dei derivati OTC generalmente le posizioni si compensano entrando in nuovi contratti e quindi il valore nozionale totale aumenta.

La ragione della crescita del mercato dei derivati OTC deve essere comunque ricercata sia nella capacità di questi ultimi di soddisfare meglio il bisogno della personalizzazione dei contratti sia nella nascita di nuovi strumenti come i derivati esotici e quelli creditizi. Infatti, ad esempio, il mercato dei credit default swaps è addirittura decuplicato tra la fine del 2003 e la fine del 200817.

I valori nozionali rappresentati nel grafico sono molti utili per poter apprezzare l’importanza economica e finanziaria assunta dal mercato dei derivati OTC negli ultimi anni. E’ in particolare nel dicembre 2005 che si nota l’inizio di una rapida ascesa del valore nozionale dei derivati OTC, per poi raggiungere il primo picco nel giugno 2008, in piena crisi, con 673 trilioni di dollari (1 trilione= 1012= 1000 bilioni/miliardi). L’utilizzo dei derivati prima dello scoppio della crisi è stato infatti piuttosto esasperato. E’ stata poi la crisi stessa a dare origine alla consapevolezza della pericolosità di questi strumenti se usati in modo inappropriato. E’ per questo che dopo giugno 2008 si assiste ad una riduzione del valore nozionale: le banche riducono i loro attivi più rischiosi e procedono ad una riallocazione del loro capitale, mentre i clienti diventano più avversi al rischio e quindi meno interessati ai derivati, in particolar modo ai prodotti strutturati. Successivamente, il valore nozionale raggiunge però nuovi picchi, con 707 trilioni nel giugno 2011 e 711 trilioni nel dicembre 2013.

Per dare un’idea della dimensione di questo mercato, possiamo dire che il valore nozionale dei derivati OTC alla fine del 2014, che è all’incirca pari a 630 trilioni di dollari, risulta otto volte più grande della produzione mondiale e 6,5 volte più grande del valore in essere dei titoli di debito18.

17 J. GREGORY, op.cit., pag. 25.

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Una possibile inversione di rotta si nota a partire proprio dal 2014, quando comincia una decrescita che permane fino ad oggi19. Elemento chiave in questo decremento è sicuramente

la “portfolio compression”, tecnica di riduzione del valore nominale dei derivati OTC tramite l’eliminazione di contratti che possono compensarsi tra loro, prima riconosciuta come best

practice e poi introdotta nel quadro regolamentare dall’EMIR (European Market Infrastructure Regulation) e dalla riforma Dodd-Frank.

Grafico 1.2 Suddivisione del valore nozionale totale dei derivati OTC per tipo di prodotto.

Fonte: BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, Monetary and Economic Department, Statistical

release-OTC derivatives statistics at end-December 2015, giugno 2016.

Il Grafico 1.2 mostra la suddivisione del valore nozionale totale dei derivati OTC per tipo di prodotto negli ultimi anni. Ciò che si nota è che la maggior parte del valore nozionale totale è costituita dai derivati su tasso di interesse, che contribuiscono alla formazione del rischio di controparte (e di CVA) in misura maggiore rispetto agli altri tipi di derivati OTC. Questo è anche il motivo per cui nel capitolo 4 l’implementazione della stima del CVA in MATLAB® prenderà in considerazione un portafoglio di interest rate swaps.

Una misura alternativa al valore nozionale totale per poter apprezzare la rilevanza del mercato dei derivati OTC è data dal valore di mercato lordo (gross market value), che rappresenta la perdita massima che i partecipanti del mercato potrebbero subire se tutte le controparti fallissero e i contratti venissero sostituiti ai prezzi di mercato alla data di rilevazione in bilancio20.

Nel Grafico 1.3 vengono rappresentati i valori (in trilioni di dollari) assunti da queste due misure tra giugno 1998 e dicembre 2015.

19 L’ultimo dato disponibile è quello rilevato in dicembre 2015.

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Grafico 1.3 Confronto tra valore nozionale e valore di mercato lordo dei derivati OTC.

Fonte: BANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, BIS Statistical Bulletin, giugno 2016.

Se confrontato con il valore nozionale totale, il valore di mercato lordo appare di gran lunga più ridotto. Questo perché il valore di mercato lordo corrisponde al valore assoluto dato dalla somma del mark-to-market positivo e negativo di tutti i contratti in essere (le somme che verrebbero pagate e ricevute dalle controparti nel caso di chiusura anticipata del derivato)21. Nonostante ciò, anche questa misura ci dà l’idea di quanto il mercato dei derivati sia significativo, considerando che dal 2010 in poi il valore di mercato lordo oscilla tra i 10 ed i 35 trilioni di dollari e nello stesso periodo il PIL degli USA raggiunge valori compresi tra 15 e 17 trilioni di dollari22.

1.3 Le evidenze della crisi: il CVA

Durante la crisi, l’attenzione è cresciuta notevolmente anche nei confronti del Credit

Valuation Adjustment (CVA), che può essere definito in generale come il prezzo del rischio di

controparte. Il CVA è infatti divenuto un’espressione comune nel gergo finanziario, mentre prima della crisi rappresentava esclusivamente un termine tecnico che raramente veniva utilizzato. L’inclusione del rischio di controparte nel prezzo delle transazioni tramite il CVA adesso rappresenta la regola e non più l’eccezione. Tutte le banche, e non solo le banche di investimento più grandi, hanno ormai costruito modelli piuttosto complessi per la stima del CVA e desk per la sua gestione, spinte anche dalle nuove misure introdotte dai principi

21 IL SOLE 24 ORE, Parole chiave – Gross market value, in www.ilsole24ore.com, consultato il 18 giugno 2016.

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contabili internazionali e da Basilea 3. Nel prossimo capitolo vedremo che la preoccupazione principale del Comitato di Basilea è stata quella di far sì che le banche avessero capitale a sufficienza per poter coprire le perdite inattese dovute al CVA, che possono verificarsi in due circostanze:

1. con l’aumento dei credit spreads delle controparti della banca, il quale identifica un deterioramento della loro qualità creditizia;

2. con l’aumento dell’esposizione della banca nei confronti delle sue controparti.

La rilevanza del CVA si è mostrata soprattutto nel momento in cui è emerso che le perdite connesse con esso fossero superiori rispetto a quelle dovute ai casi di insolvenza. Infatti, un’analisi condotta dalla Financial Services Authority sulle perdite subite nell’attività di

investment banking da gennaio 2007 a marzo 2009 dalle dieci maggiori banche internazionali

operanti nel Regno Unito23 ha dimostrato che le perdite connesse con il CVA sono state cinque volte più ampie rispetto a quelle dovute ai default. Ciò si può dedurre dalla Tabella 1.1 che mostra la suddivisione delle perdite per tipo di prodotto o categoria di attività da cui derivano.

Tabella 1.1 Suddivisione delle perdite per tipo di prodotto o categoria subite dalle dieci maggiori

banche internazionali del Regno Unito nel periodo gennaio 2007-marzo 2009.

Fonte: FINANCIAL SERVICES AUTHORITY

23 FINANCIAL SERVICES AUTHORITY, The prudential regime for trading activities-A fundamental review, Discussion Paper n.10/04, agosto 2010.

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Infatti, le perdite dovute al default delle controparti ammontano ad 8 miliardi di dollari, mentre quelle dovute al CVA sono pari a 43. Queste ultime sono di due tipi:

1) 37 miliardi di dollari derivano dalle esposizioni verso le assicurazioni monoline, che avevano fornito alle banche protezione contro le Collateralized Debt Obligations o CDOs (in particolare le tranche “senior”)24;

2) 6 miliardi di dollari derivano da esposizioni diverse da quelle verso le monoline. In particolare tra le “other CVA losses” sono incluse quelle derivanti da esposizioni verso le Credit Derivative Product Companies (CDPCs), ossia compagnie di solito altamente indebitate che si occupano principalmente della vendita di Credit Default

Swaps (CDS).

Durante la crisi, le perdite connesse con il CVA si sono formate principalmente a causa del deterioramento della qualità creditizia della maggior parte dei partecipanti al mercato dei derivati, in particolare proprio assicurazioni monoline e CDPC. Infatti, il destino di queste ultime era altamente correlato con le performance delle attività che stavano proteggendo e, nel momento in cui CDO e CDS hanno cominciato a perdere valore, sia le esposizioni delle banche verso monoline e CDPC che i credit spreads relativi a queste ultime hanno cominciato a crescere, essendo ormai chiaro che questi venditori di protezione avrebbero dovuto effettuare ingenti pagamenti in futuro per compensare i loro clienti25. Il Grafico 1.4 mostra la

serie storica dei CDS spreads di tre grandi compagnie di assicurazione monoline nel periodo 2006-2009 e ne evidenzia una forte crescita durante il periodo della crisi.

24 Le CDO sono «strumenti di debito emessi su un portafoglio di obbligazioni o titoli in generale.L'emissione avviene a seguito di un’operazione di cartolarizzazione che prevede la cessione di un pool di titoli da un intermediario sponsor ad una società appositamente costituita (Special Purpose Vehicle, SPV); quest'ultima, a fronte dell'acquisto del pool, si finanzia emettendo appunto CDO. Normalmente lo SVP emette diverse tranche caratterizzate da un diverso grado di rischio ed una diversa priorità nei rimborsi: la "senior tranche" viene rimborsata per prima, la "junior tranche" viene rimborsata con una priorità secondaria, mentre la "subordinated

tranche" viene rimborsata per ultima». (BORSA ITALIANA S.p.A., Glossario-CDO, in www.borsaitaliana.it,

consultato il 30 giugno 2016)

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Grafico 1.4 Serie storica dei CDS spreads di tre grandi compagnie di assicurazione monoline nel

periodo 2006-2009.

Fonte: MARKIT

E’ dunque in questo contesto che il rischio di controparte ed il relativo prezzo, ovvero il

Credit Valuation Adjustment, hanno assunto un’importanza tale da rendere necessaria una

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