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Volume 6 - Numero 6 - Novembre 2016

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Volume 6 - Numero 6 - Novembre 2016

Big Data e Scienze Regionali: una relazione inesplorata 163 - 169 di Barbara Martini

L’impatto delle politiche di coesione in Puglia: una lettura macro-economica 170 - 175 di Nunzio Mastrorocco, Elisa Calò

Strumenti per l’autonomia finanziaria delle Città metropolitane 176 - 181 di Chiara Agnoletti, Claudia Ferretti, Patrizia Lattarulo, Mauro Massaro

Utility e sviluppo territoriale 182 - 185

di Alberto Bramanti

Povertà ed esclusione: il welfare della Caritas in tre città 186 - 189 di Massimo Castellano

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Redazione

Marco Alderighi, Universit`a della Valle d’Aosta Valerio Cutini, Universit`a di Pisa

Dario Musolino, CERTeT – Universit`a Bocconi Paolo Rizzi, Universit`a Cattolica di Piacenza Francesca Rota, IRES Piemonte

Carlo Tesauro, CNR Ancona

Comitato Scientifico Giovanni Barbieri, ISTAT

Raffaele Brancati, Centro studi MET Roberto Camagni, Politecnico di Milano Luigi Cannari, Banca d’Italia

Riccardo Cappellin, Universit`a di Roma Tor Vergata Enrico Ciciotti, Universit`a Cattolica, sede di Piacenza Fiorenzo Ferlaino, IRES Piemonte

Laura Fregolent, Università di Venezia Iuav

Luigi Fusco Girard, Università di Napoli Federico II Gioacchino Garofoli, Universit`a dell’Insubria Fabio Mazzola, Universit`a degli Studi di Palermo Riccardo Padovani, SVIMEZ

Guido Pellegrini, Università di Roma La Sapienza

Andres Rodriguez Pose, The London School of Economics Lanfranco Senn, Universit`a Bocconi

Agata Spaziante, Politecnico di Torino Andr´e Torre, INRA, Paris

La rivista `e destinata ad accogliere i contributi di chi intenda partecipare allo sviluppo e alla diffusione delle scienze regionali, promuovere il dibattito su temi attuali e rilevanti, formulare e discutere strategie e azioni di policy regionale. La rivista, giornale on-line dall’Associazione Italiana di Scienze Regionali (AISRe), ha un taglio divulgativo, con articoli relativamente brevi e agevolmente comprensibili. E` prevista (ed incoraggiata) la possibilit`a di commentare gli articoli. La rivista `e aperta a contributi di opinioni diverse, anche potenzialmente discordanti tra loro, purch`e ben argomentati e rispettosi delle regole elementari del confronto civile e della contaminazione delle idee.

ISSN: 2239-3110 EyesReg (Milano)

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

Big Data e Scienze Regionali: una relazione inesplorata

di

Barbara Martini, Università di Roma “Tor Vergata”

Il termine Big Data sta riscuotendo un notevole interesse in numerosi campi. Esso fu utilizzato per la prima volta nel 2011 dal McKinsey Global Institute e, allo stato attuale, non esiste una definizione univoca (Floridi 2012, Loverace et al., 2016; Kitchin, 2014).

Le diverse definizioni oltre a identificare i Big Data con le usuali 3V: velocità (dati che possono essere ottenuti in tempo reale), volume (grande mole di dati) e varietà (dati provenienti da fonti diverse), ne sottolineano da un lato la complessità e dall’altro l’eterogeneità delle fonti. Ne consegue che i Big Data non sono “grandi” soltanto per le loro dimensioni ma anche per la possibilità di essere messi in relazione con altri dati spesso provenienti da fonti diverse (Boyd & Crawford, 2012). Nonostante il crescente interesse da parte di molte discipline le scienze sociali, ed in particolare l’economia regionale, sembrano non aver colto le potenzialità e le problematiche ad essi connesse rimanendo ancora ai margini del dibattito.

Obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare lo stato dell’arte dell’utilizzo dei Big Data nell’ambito delle scienze sociali, e di trarre alcune considerazioni in merito alle potenzialità e ai rischi derivanti dal loro utilizzo.

Per un lungo periodo di tempo le scienze sociali hanno operato in un ambiente povero di dati. Come conseguenza le più comuni tecniche di analisi si basano sull’utilizzo di un numero di dati limitato provenienti da campionamento e insiemi di informazioni raggruppati in forma di panel data o di serie storiche costruite per rispondere ad una specifica domanda di ricerca. La possibilità di accedere a una grande mole di dati da un lato aumenta l’esattezza e la completezza delle misurazioni, ponendo lo studioso in grado di catturare fenomeni che prima erano difficili da indagare ma, contemporaneamente, dall’altro lato ne incrementa il livello di complessità. Questa crescente complessità richiede un cambio di paradigma che le tecniche di analisi comunemente usate nelle scienze sociali e nelle scienze regionali non hanno ancora affrontato (Einav and Levin, 2013). I Big Data provengono da fonti diverse, sono archiviati in basi dati differenti, non sono privi di rumore (noise) e sono spesso incompleti; sono pertanto dati non strutturati. In presenza di dati non strutturati il primo problema diviene quello di organizzare e strutturare i dati stessi, nonché ridurne la mole cercando di mantenere l’informazione (segnale) ed eliminando tutto ciò che non è necessario per l’analisi (rumore). Uno dei metodi più comunemente utilizzati è rappresentato dal così detto Knowledge Discovery from Database (KDD). Il KDD è un processo volto a scoprire informazioni utili da una grande mole di dati, e si basa sull’ipotesi che l’informazione possa essere trovata attraverso la scoperta di sentieri relazionali nascosti in una grande

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EYESREG -GIORNALE DI SCIENZE REGIONALI

L’utilizzo dei Big Data e delle sue tecniche di analisi muta, in modo più profondo, l’approccio epistemologico ed il modo di fare scienza (Kitchin, 2014), passando da un modello science driven ad un modello data driven, in cui il rischio è che “i dati parlino da soli” senza che vi sia una vera teoria di supporto: la catena causale che fino ad ora ha guidato la ricerca scientifica potrebbe essere invertita. In altre parole, anziché partire dalla formulazione di ipotesi ed utilizzare i dati per sottoporle a verifica, l’utilizzo dei Big Data e le tecniche di analisi ad essi associati, potrebbero portare alla scoperta di significative associazioni tra i dati senza essere guidati da una ipotesi (Kitchin, 2014).

Generalmente, l’approccio seguito nelle scienze regionali è quello di lavorare con campioni rappresentativi, costruiti per rispondere ad una specifica domanda di ricerca, che vengono generalizzati utilizzando tecniche quali l’inferenza. Nel caso di utilizzo dei Big Data, al contrario, si utilizza spesso la dizione “correlation supersedes causation”

(Anderson’s, 2008). L’idea sottostante questa affermazione è che i possibili pattern trovati all’interno di una base dati siano significativi. Questa osservazione, oltre ad essere falsa, è anche pericolosa: la correlazione tra due variabili all’interno di una base dati può essere casuale o spuria. Gli approcci basati sul KDD sono ben lungi dal proporre soluzioni automatiche. Il loro obiettivo è quello di descrivere soluzione e scenari che potrebbero non essere catturati o percepiti. La scoperta di eventuali correlazioni, non precedentemente ipotizzate, può divenire oggetto di ulteriori analisi (Kitchin, 2014). Ne consegue che i Big Data costituiscono una opportunità per la disciplina che non si sostituisce, bensì si affianca, alle tradizionali tecniche di analisi.

Le nuove fonti di dati aprono la possibilità, soprattutto nel campo delle scienze sociali, di studiare fenomeni fino ad ora difficili da catturare. Come è stato sottolineato da Capello (2016), le scienze regionali focalizzano la loro attenzione sull’aspetto spaziale nella analisi del funzionamento del mercato. Tutti i dati concernenti le città, i comportamenti sociali, i network di imprese e sociali che possono concorrere a determinare l’attrattività delle città, la concentrazione spaziale delle imprese e gli effetti sulle politiche economiche e sociali, sono stati fino ad ora collezionati attraverso l’utilizzo di survey ed interviste. I Big Data in questo campo possono rappresentare una opportunità per sviluppare nuovi tipi di analisi più accurate e geo-referenziate.

Nonostante queste opportunità i Big Data non sembrano riscuotere interesse nelle scienze regionali.

Analizzando le riviste più importanti di scienze regionali (http://www.regionalscience.org) emerge che in solo 7 di esse la parola Big Data appare nel titolo, nelle key words o nell’abstract, come riportato nella tabella I in appendice. La tabella IA riassume le caratteristiche dei contributi che riportano nel titolo, nelle keywords o nell’abstract, la parola Big Data a cui sono state aggiunte due pubblicazioni apparse su NBER. Come si osserva dalle fonti dei dati non è ancora possibile fare emergere una applicazione organica dei Big Data nell’ambito della disciplina delle Scienze Sociali. Un copioso numero di contributi (ben 8, dal 2013 al 2016) è stato pubblicato in Geojournal che, nell’agosto 2015, ha dedicato una sezione speciale al tema dal titolo “What’s So Big about Big Data? Finding the Spaces and Perils of Big Data”. Le Tabelle II e IIA sintetizzano i contributi ed i relativi obiettivi. Dall’analisi emerge come le

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

scienze regionali possano beneficiare dei Big Data utilizzando informazioni di tipo spaziale in essi contenute, evidenziando le criticità connesse al loro utilizzo.

Nonostante questo scarso interesse da parte delle scienze regionali nei confronti del tema dei Big Data, è possibile affermare che essi possono rappresentare un valore aggiunto sotto una serie di profili. Utilizzando i Big Data è possibile avere migliori informazioni circa i comportamenti sociali, le opinioni politiche, i network relazionali.

Queste informazioni risultano essere molto utili per analizzare tutta una serie di comportamenti sociali che spesso non potevano essere studiati con i dati a nostra disposizione. Inoltre, sotto il profilo delle policies, è possibile ottenere, in fase decisionale, significativi contributi circa le azioni da intraprendere attraverso l’analisi dei bisogni e dei desiderata dei cittadini, e, in fase operativa, dei feedback circa i risultati e il gradimento delle policies adottate. È inoltre possibile concorrere alla creazione e al miglioramento di smart cities attraverso un aggiornamento continuo sul modo con cui le città sono organizzate e regolamentate. Infine è possibile ottimizzare o migliorare l’uso di alcuni beni pubblici ottenendo maggiori informazioni in termini di domanda e di efficienza degli stessi. Per quanto i Big Data possano rappresentare una preziosa fonte di informazioni, esse devono essere utilizzate con le opportune cautele. Esiste infatti un problema connesso al campionamento. Nell’ambito degli small data il campione, oltre ad essere scelto per rispondere ad una specifica domanda di ricerca, è rappresentativo. Nel caso dei Big Data il campione, per quanto amplio, potrebbe essere non rappresentativo (self selected). Se si prendono tutti gli utenti che utilizzano Facebook per misurare qualche attributo della popolazione italiana, si è di fronte ad un campione non rappresentativo. Inoltre, i dati e le informazioni che le persone decidono di rilasciare attraverso i social sono filtrati dagli stessi utenti: le informazioni condivise sono una parziale rappresentazione dell’individuo e dei suoi comportamenti. La narrazione e l’immagine che gli utenti vogliono dare di loro stessi potrebbe non corrispondere alla realtà. Un utente potrebbe decidere di postare una foto su Facebook mentre si trova ad un concerto lirico, ma potrebbe decidere di non postare una foto di se stesso in palestra alle 10 del mattino. Mentre la prima da’ un’immagine colta e raffinata, la seconda potrebbe fornire una immagine negativa.

A conclusione, è necessario evidenziare un elemento importante nell’ambito della analisi. I Big Data generalmente provengono da imprese private e come tali sono di proprietà delle stesse. Essi rappresentano spesso, per le imprese detentrici, la possibilità di avere informazioni che conferiscono loro un vantaggio competitivo. L’accesso ai dati da parte della comunità scientifica è spesso inibito. Occorre pertanto che gli Atenei concorrano a stipulare accordi con le imprese detentrici dei dati affinché gli studiosi possano, nel rispetto della normativa vigente, accedervi ed utilizzarli nei loro lavori.

Riferimenti bibliografici

Anderson C. (2008), The end of theory: the data deluge makes the scientific method obsolete, Wired, 23.

Body D., & Crawford K. (2012), Critical Questions for Big Data, Information Communication and Society, 15,5, 662-679.

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EYESREG -GIORNALE DI SCIENZE REGIONALI Capello R. (2016), Regional Economics, NY: Routledge.

Einav L., & Levin J. D. (2013), The Data Revolution and Economic Analysis, NBER Working Paper, n. 19035.

Floridi L. (2012), Big Data and their Epistemiological Challenger, Philosopy and Technology, 25, 435-437.

Kitchin R. (2014), The Data Revolution, London: Sage.

Loverace L., Birkin M., Cross P., & Clarke M. (2016), From Big Noise to Big data:

towards the verification of large data set for understanding regional retail flows, Geographical Analysis, 48, 59-81.

Appendice

Tabella 1: Riviste e contributi sui Big Data Titolo Parole

chiave Abstract

1 Applied Spatial Analysis and Policy 0 0 0

2 Cities 0 3 3

3 Computers, Environment and Urban Systems 1 7 7

4 Economic Geography 0 0 0

5 Economic System Research 0 0 0

6 Geographical Analysis 1 2 2

7 Growth and Change 0 0 0

8 International Journal of Urban and Regional

Research 0 0 0

9 International Regional Science Review 0 0 0

10 Italian Journal of Regional Science 0 0 0

11 Journal of Economic Geography 0 0 0

12 Journal of Geographical Systems 0 2 2

13 Journal of Geography and Planning 0 0 0

14 Journal of Regional Analysis and Policy 0 0 0

15 Journal of Regional Science 0 0 0

16 Journal of Urban Economics 0 0 0

17 Letters in Spatial and Resource Sciences 0 0 0

18 Location Science 0 0 0

19 Networks and Spatial Economics 0 0 0

20 Papers in Regional Science 0 1 1

21 Region 0 0 0

22 Regional Science and Urban Economics 0 0 0

23 Regional Science Policy & Practice 0 0 0

24 Regional Studies 1 0 0

25 Regional Studies, Regional Science 1 1 1

26 Review of Urban & Regional Development

Studies 0 0 0

27 Socio-Economic Planning Sciences 0 0 0

28 Spatial Economic Analysis 0 0 0

29 Studies in Regional Science 0 0 0

30 The Annals of Regional Science 0 0 0

31 The Review of Regional Studies 0 0 0

32 Transportation Research Part A: Policy and

Practice 0 0 0

33 Urban Studies 0 0 0

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

Tabella 1a: Obiettivi dei contributi

Rivista Titolo Autori Anno Affiliazi

one Obiettivi dei contributi Fonte dei dati 1 Cities Evaluating the

effectiveness of urban growth boundaries using human mobility and activity records

Ying Long et al

2015 Cina Evaluate Bejiing's urban growth boundaries; real time representation of urban dynamics and evolution over time and space

Mobile device;

2 Head/tail breaks for visualization of city structure and dynamics

Bin Jiang 2015 Svezia Studying natural cities defined by a bottom up approach and from individual people and thier interractions

VGI (Volunteer Geographic Information);

Social media;

immages

3 How website users

segment a city: The geography of housing search in London

Alasdair Rae, Ebru Sener

2016 UK,

Turchia Spatial patterns of housing search in London

Most popular Real Estate portal UK 4 Compu

ters, Enviro nment and Urban System s

MERRA Analytic Services: Meeting the Big Data challenges of climate science through cloud-enabled Climate Analytics-as-a-Service

John L.

Schnasea , et al

2014 USA Study climate change Coming from Nasa center from Climate Simulation and Climate Science

5 Volunteered Geographic

Information: Towards the establishment of a new paradigm

Bin Jiang, Jean- Claude Thill

2015 USA,

Svezia Contribution of VGI to social science and urban environmental

VGI (Volunteer Geographic Information)

6 Understanding U.S.

regional linguistic variation with Twitter data analysis

Yuan Huang et al

2015 USA,

UK Regional linguistic

variation in US Tweeter

7 An

efficient data processing framework for mining the massive trajectory of moving objects

Yuanchu n Zhou, et al

2015 Cina,

USA Efficient processing of

trajectory data Theoretical

8 Constructing gazetteers from

volunteered Big Geo- Data based on Hadoop

Song

Gao et al 2014 USA Construct gazzetter using a data driven approach VGI

9 A scalable framework for spatiotemporal analysis of location-based social media data

Guofeng

Cao et al 2015 USA Harm massive location based social media for spazio temporal analysis

Social media

10 Compu ters, Enviro nment and Urban System s

Online interactive thematic mapping:

Applications and techniques for socio- economic research

Duncan

A. Smith 2016 UK Investigate the use of interacctive tematic mapping tools for visualizing, exploring and analyzing socio- economic data on line

US open data portal site; UK open data;

Geospatial geometry data (free in US)

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EYESREG -GIORNALE DI SCIENZE REGIONALI Tabella 1a: Obiettivi dei contributi - segue

11 Geograp hical Analysis

From Big Noise to Big Data: Toward the Verification of Large Data sets for Understanding Regional Retail Flows

Robin Lovelace et al

2016 UK Human movements from home location to shopping centers

(1) mobile telephone provider;

commercial consumer survey;

geotagged Twitter messages 12 Spatial Distribution of City

Tweets and Their Densities Bin Jiang

et al 2016 USA,

Svezia Study natural cities and mapping them using tweeter; spatial distribution of tweets and density within the cities

Tweeter

13 Journal of Geograp hical Systems

Mobile phone usage in complex urban systems: a space–time, aggregated human activity study

Emmanou il Tranos, Peter Nijk amp

2015 UK, Paesi Bassi

To investigate the potential of the data generated from mobile phone usage in modelling the aggregate activity in space and time using Amsterdam as point of reference

Mobile phone operators

14 Optimizing distance-based

methods for large data sets Tobias Sc holl, Tho mas Bren ner

2015 German

ia Improve the distance based methods for measuring spatial concentration of industries and adapt them, dealing with large data sets, bypassing limiting

concerning memory requrements and running time

Theoretical

15 Papers in Regiona l Science

Uncovering regional characteristics from mobile phone data: A network science approach

Guanghua

Chi et al 2014 Cina Network science methods to cover inherent

characteristics of functional regions to understand spatial interractions of regional structures

Mobile phone operators

16 Regiona l Studies, Regiona l Science

Putting big data in its place:

a Regional Studies and Regional Science perspective

Alasdair Rae &

Alex Singleton

2015 Irlanda Position paper

17 Regiona

l Studies The Data Revolution. Big Data, Open Data, Data Infrastructures and Their Consequences

Barbara

Martini 2015 Book Review

18 NBER Big Data And Big Cities:

The Promises And Limitations Of Improved Measures Of Urban Life

Edward L.

Glaeser et al

2015 USA Using big data in urban social science to answer the following questions: (a) how does urban development influence the econony? (b) how does the phisical cities interact with social outcomes? (c ) How much do people value urban aminities? (d) how can public policies improve the quality of physical space?

Street view

19 The Data Revolution And

Economic Analysis Liran Einav, Jonathan D. Levin

2013 USA How the big data impact on economic policy and economic research

government administrative data

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

Tabella 2: Contributi in Geojournal

Autore Anno Titolo

1

John Steenbruggen, Maria Teresa Borzacchiello, Peter Nijkamp, Henk

Scholten 2013

Mobile phone data from GSM networks for traffic parameter and urban spatial pattern assessment: a review of applications and opportunities

2 Rob Kitchin 2014 The real-time city? Big data and smart urbanism

3 Ryan Burns, Jim Thatcher 2015 Guest Editorial: What’s so big about Big Data? Finding the spaces and perils of Big Data

4 Ryan Burns 2015 Rethinking big data in digital humanitarianism: practices, epistemologies, and social relations

5 Linnet Taylor, Ralph Schroeder 2015 Is bigger better? The emergence of big data as a tool for international development policy

6 Rob Kitchin, Tracey P. Lauriault 2015 Small data in the era of big data

7 Jeremy W. Crampton 2015 Collect it all: national security, Big Data and governance 8 Harvey J. Miller,

Michael F. Goodchild 2015 Data-driven geography

Tabella 2 a: Obiettivi dei contributi

1 The aim of the paper is to provide a systematic overview of the main project addressing the use of data derived from mobile phone networks to obtain location and traffic estimations of individuals as starting point of further research on incident and traffic management. The results concern the use of the telco data to understand individual

presence and mobility in regular situation and during non recurrence events.

2 The paper analyze the concept of smart cities underlying that these cities are being instrumented with digital device infrastructures that produce big data. These data are raw material for envisioning and enacting more efficient, sustainable, competitive, productive and transparent cities.

3 Introduction to special issue concerning big data; Geography as discipline can have a lots of benefits from the big data studies; The 60% of the data sets contain spatial information. Through an emphasis on space and spatial relations geographer have the opportunity to emerge as a central pillar of the big data research agenda. The aim of the special issue is to situate big data and its accompanying methodologies in their contingent social and historical contexts.

4 Big Data future is not inevitable, and would emerge embodying multiple forms of values and privileges. The attention is focalized on Big Data digital humanitarianism. Big Data is constituted by profound changes in how data is collected, processed, and visualized; and they can effect the political-economic and socio-political processes 5 The use of mobile phone give the opportunity to access a mobile phone location information and calling metadata.

These data have the potential to fill some of the problematic gaps in data resources available to country policy makers. The paper considers the implication of these new types of data for development policy and planning. The analysis indicates that these new data sources represent an important complement to country level statistics 6 Small data are been used for long time in academic knowledge buildings. The small data are generated to answer to

specific questions. The paper analyze the logic and the value of small data studies, their relationship to emerging bid data and data science and the implication of scaling small data into data infrastructures with the focus on spatial data

7 The paper focused on the contradictions and the complications of dealing with geospatial data. The geopolitical assemblage of the data includes and incorporates different institutions: military, state, legislature and knowledge process. None of these are easily separated from each other. Whit in this staring point in mind the paper highlight the importance of the concept of geopolitical assemblage.

8 Big Data can change the future of geography because now, more than ever, it is possible to capture georeferenced data coming from different sources. The beliefs that spatial context matters is an important theme in geography.

There is a potential to use big data to inform both geographical knowledge discovery and spatial modelling. There are also some challengers such us how to formalize geographic knowledge to clean data and to ignore spurious patterns and how to build data-driven models that are true and understandable.

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EYESREG -GIORNALE DI SCIENZE REGIONALI

L’impatto delle politiche di coesione in Puglia: una lettura macro-economica

di

Nunzio Mastrorocco, IPRES Elisa Calò, IPRES

La Politica di coesione, operante attraverso i fondi a finalità strutturale è funzionale alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo dei territori europei e al recupero del ritardo delle regioni meno favorite, con un’attenzione particolare alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, come quelle più settentrionali con bassissima densità demografica o le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

L’analisi delle dinamiche che hanno interessato le regioni europee nel passaggio tra il ciclo di programmazione 2007-2013 e il 2014-2020, evidenzia come 53 (19,41%) delle 273 regioni UE abbiano cambiato la propria categoria di appartenenza; di contro, 136 (49,82%) sono rimaste nel gruppo delle più sviluppate (MD), 14 (5,13%) sono rimaste in transizione (TR) e 70 (25,64%) hanno mantenuto la status di meno sviluppate (LD).

La Puglia non ha cambiato la propria condizione, rimanendo tra le Regioni Meno Sviluppate (ex Convergenza) per il periodo 2014-2020, al contrario di quanto accaduto in 16 regioni europee, che sono riuscite a superare la soglia del 75% del PIL medio dell’UE 27.

In tale contesto, il presente lavoro intende contribuire al dibattito sul tema dell’efficacia degli interventi finanziati dalla Politica di coesione, analizzando il caso della regione Puglia, per la quale, dopo una breve disamina dei principali studi disponibili in letteratura in merito all’impatto delle politiche di coesione sul PIL, si descrivono i risultati dell’applicazione del modello macroeconomico REMI, quale strumento di stima dell’impatto generato dagli investimenti cofinanziati dal Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013 nel periodo 2009-2014.

(i) Impatto regionale delle politiche di coesione

La revisione degli studi econometrici disponibili in letteratura su questo argomento, nonché dei rapporti sulla coesione economica, sociale e territoriale elaborati annualmente dalla Commissione Europea per valutare l’efficacia dei fondi strutturali, conducono a conclusioni contrastanti, evidenziando la necessità di ulteriori approfondimenti metodologici e di contenuto, soprattutto a livello regionale, sia in merito alla misurazione dell’effettivo contributo che tali fondi determinano in termini di PIL e di occupazione nei diversi settori d’intervento, sia riguardo ad un’analisi dei fattori che sono in grado di massimizzarne l’impatto.

La maggior parte dei modelli econometrici disponibili evidenzia un impatto positivo, sebbene in alcuni casi molto modesto e differenziato territorialmente, dei fondi strutturali sulla crescita economica delle regioni, in particolare di quelle meno

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

sviluppate. Al contrario, un numero limitato di studi sostengono l’assenza di un impatto significativo o addirittura la presenza di un impatto negativo sulla crescita economica delle regioni. Tali differenze possono essere spiegate dalla diversità di metodologie, variabili esplicative, database e periodi di tempo utilizzati nelle analisi.

La 6a Relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale della CE del luglio 2014 ha evidenziato, inoltre, un trend verso la convergenza fino al 2008, anno di avvio della crisi economica, a seguito della quale le disparità tra le regioni hanno ripreso a crescere.

Con riferimento ai modelli econometrici di analisi, la Commissione Europea ha rilevato come, nonostante la complessità analitica con cui sono formulati, tali modelli mostrano una scarsa utilità ai fini della politica economica. A tal fine, lo strumento più idoneo a valutare l’impatto dei fondi strutturali sulla crescita economica, in particolare a livello regionale, sembra essere quello dei modelli macroeconomici, che prendono in considerazione un numero elevato di interazioni tra le variabili macroeconomiche e ne descrivono gli impatti settoriali.

Nel 2013 la CE ha cominciato ad utilizzare Rhomolo, un nuovo modello macroeconomico, utile a colmare la lacuna conoscitiva esistente in merito all’impatto della politica di coesione a livello regionale. Rhomolo si inserisce nel filone dei modelli input-output multiregionali e multisettoriali dinamici, tra i quali il più adeguato ai fini della valutazione dei fondi strutturali è costituito dal REMI, un modello che integra la disaggregazione settoriale dei modelli input-output, l’approccio dei modelli di equilibrio economico generale con riferimento a prezzi al consumo, salari e funzione di produzione, le tecniche econometriche di analisi delle serie storiche e le teorie della Nuova Geografia Economica per considerare i legami e gli spillover tra le regioni.

Il modello REMI consente di valutare come e quanto l’investimento in politiche pubbliche riesca a influire sul trend di sviluppo economico di un determinato territorio.

REMI si compone di 5 moduli che, interagendo tra loro, simulano rispettivamente le dinamiche relative alla domanda di beni e servizi (output); al livello dell’occupazione (mercato del lavoro); alla crescita della popolazione e della forza lavoro; a salari, prezzi e costi di produzione; all’import ed export (quote di mercato).

Di concerto con l’IRPET, si è, quindi, svolto un esercizio di valutazione degli effetti indotti dagli investimenti finanziati dal FESR 2007-2013 sull’economia regionale pugliese, prendendo in considerazione il totale delle risorse disponibili, come risultanti dalla somma del contributo dell’Unione Europea e del cofinanziamento nazionale.

Come riportato nel Rapporto Annuale di Esecuzione 2014 della Regione Puglia, a fronte di un investimento complessivo del FESR nel periodo 2009‐2014 pari a 2,691 miliardi di euro, l’importo per l’annualità 2014 ammonta a 613,3 milioni di euro, pari allo 0,9% del PIL regionale e con una crescita del 9% rispetto al 2013; nel 2010 la spesa era di 100 milioni di euro (appena lo 0,1% del PIL). L’ammontare annuale della spesa certificata è stato opportunamente riclassificato distinguendo tra investimenti infrastrutturali nei principali servizi pubblici locali, settoriali, immateriali e nel settore manifatturiero1 (Tabella 1).

1 Sono escluse le seguenti tipologie di spesa del FESR poiché non riconducibili a vettori specifici del modello Input‐Output: Governance e capacità istituzionale (Asse VIII), misure di marketing e promozione

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EYESREG -GIORNALE DI SCIENZE REGIONALI

Tabella 1: Riclassificazione della spesa FESR 2009-2014 (milioni di euro)

Fonte: spesa FESR (RAE, Regione Puglia), PIL (Istat, Svimez). Elaborazioni IPRES- IRPET mediante modello I-O uniregionale Puglia, REMI-IRPET.

Il PIL attivato nel 2014 è pari a 379,5 milioni (Tabella 2); dal 2009 al 2014 il PIL cumulato attivato è pari ad oltre 1,6 miliardi di euro, con un andamento annuale che si quintuplica tra il 2010 (67,8 milioni) ed il 2012 (360,3 milioni), flette lievemente nel 2013 e nel 2014 fa registrare il massimo del periodo. Più esplicativo è il dato relativo all’impatto sul PIL regionale complessivo generato dalla spesa FESR; l’incidenza percentuale, infatti, risulta crescente, passando dallo 0,1% del 2010 allo 0,6% del 2014.

Tabella 2: Impatti annuali generati dal FESR nel periodo 2009-2014: PIL, valore aggiunto e output espressi a prezzi correnti

Fonte: spesa FESR (RAE, Regione Puglia), PIL (Istat, Svimez). Elaborazioni IPRES- IRPET mediante modello I-O uniregionale Puglia, REMI-IRPET.

*Elaborazioni IPRES su previsioni Svimez.

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EYESREG -VOLUME 6-NUMERO 6-NOVEMBRE 2016

Ancora dal RAE 2014 della Regione Puglia, con riferimento alle unità lavorative, nel triennio 2011-2013, si evince che gli investimenti hanno supportato annualmente la domanda di circa 7 mila unità; nel 2009 erano state 2.700 le unità lavorative supportate, che flettono a 1.400 nell’anno successivo. Il dato del 2014 evidenzia il massimo del periodo: 8.500 ULA, con un incremento, rispetto all’anno precedente di 1.000 ULA. In termini relativi l’impatto delle ULA attivate nel 2011, nel 2012 e nel 2013 è stato annualmente pari a 0,6 punti percentuali delle unità di lavoro totali regionali.

Con riferimento al valore aggiunto settoriale, il comparto delle “costruzioni”, tra il 2012 ed il 2013, registra una crescita di oltre 13 milioni di euro (+8,5%), ed un mantenimento sui medesimi livelli (171 milioni) nel 2014. In generale, per i quattro macro-settori osservati (agricoltura, industria in senso stretto, costruzioni, servizi) il trend specifico del valore aggiunto risulta crescente nell’intero periodo considerato (2009‐2014).

In funzione della struttura della spesa in investimenti, sono le costruzioni – sia in termini di output che di valore aggiunto – ad aver maggiormente beneficiato delle risorse FESR. Per altro verso, in merito al peso incidentale della spesa FESR, l’impatto cumulato sul comparto dell’industria in senso stretto è minore rispetto a quello dei servizi. Questo si spiegherebbe alla luce di tre fattori: la quota di valore aggiunto per unità di output dei servizi è più elevata rispetto a quella rinveniente dai settori industriali; il peso delle importazioni per una unità di domanda rivolta ai settori manifatturieri è maggiore rispetto a quello di pertinenza dei servizi; la maggiore incidenza di imposte indirette nette e margini commerciali e di trasporto incidenti sui settori manifatturieri (passaggio da prezzi di acquisto a prezzi base) influenzano tale differenziale.

Cosicché, nel periodo 2009-2014, con riferimento al valore della produzione si osserva un valore cumulato complessivo pari a 3,7 miliardi di euro. Nello specifico, in termini relativi l’agricoltura ha inciso con 3,7 milioni di euro, l’industria in senso stretto con circa 633 milioni di euro, le costruzioni con 1,8 miliardi di euro ed i servizi con 1,1 miliardi di euro.

Per quanto attiene l’andamento degli impatti sul valore aggiunto per macro settore si registra la crescita relativa dell’industria in senso stretto, da 13,4 a 47,2 milioni di euro.

E’ interessante constatare che, sebbene in termini relativi l’incidenza annuale del comparto dei servizi rimanga pressoché costante nell’arco di tempo osservato, in termini assoluti si rileva una variazione positiva più che tripla, passando da 49,3 a 152,8 milioni di euro nell’ultimo anno rilevato.

(ii) Conclusioni e spunti per futuri approfondimenti

L’impatto generato sul PIL pugliese dal FESR nel corso del ciclo di programmazione 2007-2013 è crescente (0,6% nel 2014). Tale valore è coerente con quanto stimato da alcuni studi econometrici (Pellegrini et al. (2013)) e con le stime della CE descritte nella Sesta Relazione sulla Coesione.

Data la complessità degli argomenti trattati, il presente contributo non ha velleità di esaustività; tuttavia esso intende rappresentare un primo esercizio di valutazione

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a migliorare la conoscenza delle determinanti del successo delle politiche di coesione, con precipui obiettivi di utilità ai fini della politica economica regionale.

In Puglia, infatti, come nel resto del Mezzogiorno, le risorse della politica di coesione costituiscono una delle principali fonti di finanziamento a disposizione delle istituzioni, in considerazione della stretta imposta ai trasferimenti nazionali per lo sviluppo delle aree del Sud e di una sempre più risicata disponibilità di risorse proprie, all’interno dei bilanci autonomi. Risulta, quindi, prioritario individuare le leve che consentano di massimizzarne l’efficacia.

Su quest’ultimo fronte, in particolare, rimangono aperte numerose opportunità di approfondimento, soprattutto con riferimento a:

• impatto delle risorse UE complessive (Programmi operativi regionali e Programmai operativi nazionali);

• impatto delle politiche di coesione nelle altre regioni europee: al riguardo la diffusione del modello Rhomolo può costituire l’occasione per un confronto interregionale;

• individuazione delle determinanti del successo della politica di coesione, e in particolare, valutazione dei concetti di addizionalità, tipologia di investimenti, sviluppo delle infrastrutture, qualità delle istituzioni e capacità di governance, ruolo dei vincoli di bilancio;

• adeguatezza degli indicatori attualmente disponibili nel rappresentare il livello di sviluppo delle regioni: si pensi, ad esempio, a diverse sperimentazioni in corso (BES, OECD Regional well-being, Global Emotion Report).

Riferimenti bibliografici

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Mastrorocco N, Calo’ E. (2015), Sulle politiche di coesione: “passaggi di status regionale”

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Sitografia

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http://www.oecdregionalwellbeing.org/

http://www.irpet.it

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Strumenti per l’autonomia finanziaria delle Città metropolitane

di

Chiara Agnoletti, IRPET Claudia Ferretti, IRPET Patrizia Lattarulo, IRPET Mauro Massaro, IRPET

Nelle odierne politiche nazionali in materia di governo locale l’attenzione verso le aree metropolitane assume una rilevanza crescente. Soprattutto in tempi di vincoli stringenti sulle finanze centrali e locali le modifiche degli assetti organizzativi e fiscali dei grandi agglomerati urbani vengono viste come un’opportunità per il rilancio delle economie territoriali e con esse dell’intero sistema Paese. L’importanza accordata dall’agenda politica è testimoniata dalle numerose riforme portate avanti da diversi Paesi1 con l’obiettivo di creare o, in caso già presenti, rafforzare delle entità di governo specifiche per le grandi aree metropolitane.

Coerentemente con quanto avvenuto nel contesto europeo, anche nel nostro Paese l’istituzione delle Città metropolitane ha indubbiamente rappresentato un passaggio rilevante del processo, ancora in atto, di ripensamento dell’attuale architettura istituzionale alimentato dalla necessità di ritrovare maggiore coerenza tra confini reali delle comunità e quelli formali delle istituzioni (Oates, 1999). Tuttavia, a fianco delle numerose aspettative, permangono le incertezze legate al quadro finanziario ed in particolare resta aperta la questione dell’autonomia finanziaria del nuovo ente.

Oggi infatti le Città Metropolitane possono contare sulla fiscalità ereditata dalle vecchie province: l’imposta sulle RC auto (per 703 milioni di euro), l’imposta provinciale di trascrizione (480 milioni) e l’imposta ambientale, che utilizza la stessa base imponibile della TARSU/TIA (151 milioni)2. In altre parole le Città Metropolitane possono contare su risorse tributarie per importi che vanno da 50 a 100 euro pro capite, a seconda dei territori. Questa fiscalità fa riferimento principalmente alla base imponibile relativa all’automobile, retaggio delle competenze delle province in ambito di mobilità. A questo si aggiunga che i margini di manovrabilità delle imposte sono stati largamente esauriti nello sforzo di far fronte alle ristrettezze di bilancio.

Partendo da queste premesse e volgendo lo sguardo alle esperienza maturate in ambito europeo appare opportuno esplorare le diverse ipotesi in grado di aumentarne l’autonomia finanziaria. Il ripensamento degli strumenti di finanziamento delle Città Metropolitane deve prendere spunto dalle caratteristiche del nuovo ente e del suo territorio. In particolare:

1 Limitandoci al caso europeo si possono annoverare tra gli altri la Francia e la Gran Bretagna.

2 Dati sui bilanci delle amministrazioni provinciali 2013.

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1. la Città Metropolitana è generatrice di una serie di vantaggi che derivano dalle economie di agglomerazione, questo determina una concentrazione di reddito superiore al resto della regione;

2. di questi vantaggi godono le attività economiche del territorio, ma anche la popolazione che gravita sulla città, i city users;

3. la congestione urbana può comportare delle esternalità negative critiche per lo sviluppo e, pertanto, è necessario che venga controllata e contenuta. Sulla base del principio del beneficio e della responsabilità fiscale, è possibile considerare che:

coloro che godono dei vantaggi della competitività urbana possono essere chiamati a reinvestire nella città e che, parimenti, i city users dovranno contribuire al sostegno dei servizi di cui usufruiscono (OECD, 2006).

L’esperienza internazionale fornisce alcuni suggerimenti, in quanto le Città Metropolitane adottano, ad esempio in Francia, la fiscalità municipale, pur con più ampi margini di manovra; oppure sono enti a prevalente fiscalità derivata, come in Inghilterra o Spagna. Anche traendo ispirazione dai modelli fiscali delle grandi realtà urbane europee, si nota che in questi Paesi sono presenti (oltre ad alcune compartecipazioni) prelievi sulle superfici di vendita, sul valore aggiunto prodotto dalle imprese e sui trasporti, che come vedremo più avanti, potrebbero essere declinati anche nel nostro contesto.

Figura 1: Entrate proprie nelle Città Metropolitane europee. Valori pro capite in euro

Fonte: nostre elaborazioni sui bilanci preventivi

Traendo ispirazione dal contesto europeo, vogliamo offrire una panoramica dei possibili tributi utilizzabili. Le ipotesi prese in esame contemplano due campi di possibilità: il primo riguarda l’utilizzo di tributi esistenti portati a livello di Città Metropolitana o sotto forma di compartecipazione al gettito comunale, regionale o erariale sulla base del principio della capacità fiscale locale e che trova fondamento nel trasferimento di alcune funzioni in capo al nuovo ente.

L’altro campo di possibilità prevede, contrariamente al precedente, l’istituzione di nuovi tributi specifici del nuovo ente afferenti alla tassazione di scopo, quali le imposte

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ambientali ovvero le smart taxes, con riferimento alla correzione delle esternalità negative. In particolare le forme analizzate riconducibili al primo ambito di opzioni sono:

la compartecipazione al gettito sugli edifici produttivi e l’Imu secondaria. Tra le imposte appartenenti al secondo gruppo che gravano sugli utilizzatori della città (city users) proponiamo un approfondimento sull’addizionale dei diritti di imbarco, collegata all’attrattività urbana, sulla istituzione di un tributo sulle grandi strutture di vendita, generatrici di esternalità e sulla congestion charge, rivolta anch’essa alla tassazione ambientale.

Se partiamo dalle proposte fino ad oggi avanzate per le Città Metropolitane italiane, la più accreditata è sicuramente quella relativa all’addizionale sui diritti di imbarco portuali e aeroportuali, la cui applicazione potrebbe consegnare ai nuovi enti circa 126 milioni di euro (dei 152 milioni complessivi), nell’ipotesi di applicare la misura massima ipotizzata di 2 euro a passeggero, da ripartire tra città metropolitana e città sede dell’infrastruttura.

L’ipotesi analizzata è infatti di far contribuire con 2 euro i passeggeri in arrivo (di cui uno destinato alla città che ospita l’infrastruttura di riferimento). Il prelievo è modesto e il gettito complessivo piuttosto contenuto. Gli arrivi agli scali aerei sono commisurati alla dimensione metropolitana, mentre i porti sono distribuiti in modo dettato dalla geografia del territorio.

Figura 2: Gettito dai diritti di imbarco. Valori pro capite in euro

Fonte: stime su dati Enac, Istat e Eurostat

Il secondo tributo che analizziamo fa riferimento alla presenza nei contesti metropolitani di grandi insediamenti produttivi e alla loro necessità di essere supportati da un sistema di infrastrutture (materiali e immateriali) il cui potenziamento o mantenimento può essere ricondotto alla sfera delle competenze della Città Metropolitana, sulla base di quanto avviene, ad esempio in Francia e in Inghilterra. A tale proposito appare giustificabile la previsione di una compartecipazione in favore della Città Metropolitana del gettito proveniente dall’IMU sulle attività produttive (categoria

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D) e destinato alla Stato. L’ipotesi trova fondamento nell’effetto positivo delle economie di agglomerazione sulle performance d’impresa e dalla capitalizzazione delle rendite di posizione nei valori immobiliari. Ipotizzando un gettito totale di 125 milioni di euro, la realtà più avvantaggiata è quella di Milano (11 euro pro capite), mentre Reggio Calabria si fermerebbe a 1 euro pro capite. I gettiti sarebbero, quindi, molto concentrati, in relazione alla localizzazione di attività produttive sul territorio. Si tratterebbe di una compartecipazione al gettito statale (pari al 10% dell’intero ammontare del prelievo) quindi non creerebbe competizione fiscale tra comuni appartenenti alla stessa Città Metropolitana.

Figura 3: Gettito da compartecipazione all’IMU D. Valori pro capite in euro

Fonte: stime su dati MEF

Una seconda ipotesi prevede la compartecipazione del gettito relativo all’IMU secondaria (IMUS) o alle sue componenti. L’IMU secondaria è una forma di tassazione comunale istituita all’art.11 del Dlgs 23 del 2011 nella quale dovrebbero confluire l’imposta sulla pubblicità, la Cimp ovvero il canone istallazione mezzi pubblicitari, la TOSAP, la Cosap. L’introduzione effettiva di questa imposta prevista inizialmente per il 2014 è stata posticipata al 2015 e successivamente al 2016, sebbene l’attuale formulazione della Legge di Stabilità ne prevede l’abolizione. In questo caso la ratio fiscale richiama una delle caratteristiche funzionali dei contesti metropolitani, ovvero la prevalente concentrazione in queste aree delle attività terziarie. Questo prelievo che risulta maggiormente concentrato sul comune centrale, genera un gettito complessivo di 125 milioni di euro con una compartecipazione dei comuni pari al 22%.

Una possibilità già utilizzata in alcuni contesti metropolitani europei, e che si colloca anch’essa sul solco della ipotesi precedente è quella che riguarda gli oneri generati dalla mobilità privata (congestion charge) che vengono tassati sia in termini compensativi seguendo il principio “chi inquina paga” sia per disincentivare l’uso del mezzo privato e quindi per ridurre la congestione. Si tratta di modalità di compensazione degli oneri

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provocati dal traffico, in conseguenza della grande attrattività degli ambiti metropolitani.

In questo senso operano principalmente due strumenti: il road pricing e il park pricing. Il primo costituisce una tariffazione sull’uso dell’infrastruttura finalizzata a ridurre la congestione e a internalizzare le esternalità; il suo utilizzo è oggi frequente in molte città.

Con questa tariffa viene colpito l’accesso a determinate zone della città disincentivando, di fatto, l’uso delle auto. Nel panorama nazionale ricordiamo il caso di Milano, che ha istituito nel 2008 il primo pedaggio urbano per alcune categorie di mezzi privati che accedono alla cosiddetta “Area C” ovvero la zona a traffico limitato dell’area dei Bastioni.

La capacità di gettito che deriva complessivamente dalle Ztl della città di Milano è di circa 25 milioni. Più interessante è l’ipotesi di una sovra tariffazione agli ingressi autostradali in città. Una sovra imposta molto ridotta porterebbe a gettiti significativi. La natura ambientale di questo tributo è facilmente apprezzabile, mentre il sovraccarico sui flussi pendolari in ingresso sarebbe scarsamente rilevante (0,18 euro per i veicoli leggere e 0,3 per i veicoli pesanti).

Figura 4: Gettito da compartecipazione all’IMU S. Valori pro capite in euro

Fonte: elaborazioni su dati dei certificati di Bilancio delle Amministrazioni comunali In conclusione, appare utile sottolineare come di là della capacità di gettito di ciascuna imposta o della pressione fiscale da questa generata, per giudicare le caratteristiche di uno strumento di finanziamento degli enti è necessario tener conto dei margini di manovra disponibili. L’autonomia fiscale rappresenta, infatti, un fattore determinante della accountability e la politica fiscale dell’ente è lo strumento più importante nel delineare le diverse modalità di risposta alle necessità del proprio territorio. Assumendo questa prospettiva in riferimento alle ipotesi avanzate possiamo evidenziare come, nel caso dell’IMU sulle categorie D, il prelievo delle Città metropolitane si configura come una compartecipazione ad una imposta statale poiché riferito al gettito standard. Tuttavia i comuni possono applicare un’aliquota superiore a quella standard il cui gettito rimane nella loro disponibilità; questo spazio di manovra potrebbe essere ceduto, in parte o in toto, alla Città metropolitana. Anche nel caso della

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compartecipazione all’IMU secondaria, possono essere previsti ulteriori spazi di manovra da assegnare all’ente metropolitano. Nel caso invece della congestion charge siamo in presenza di una imposta aggiuntiva di natura ambientale la cui manovrabilità dunque dovrebbe rispondere a logiche di earmarking.

In ogni caso, l’appropriatezza rispetto alle funzioni che dovranno essere finanziate, andrà misurata anche sulla base della copertura dei fabbisogni standard delle città metropolitane, grandezza questa ancora in corso di definizione.

Riferimenti bibliografici

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OECD (2006), Competitive Cities in the Global Economy.

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Utility e sviluppo territoriale

di

Alberto Bramanti, CERTeT-Bocconi

Il mondo delle public utility è popolato da una molteplicità di operatori1, tra cui pochi grandi fanno il mercato e molti piccoli si contendono i territori su cui operano, spesso senza raggiungere soglie minime di efficienza2. In un mondo in rapida evoluzione – da un lato, sotto la spinta delle tecnologie e, dall’altro, per gli effetti di una domanda in rapida evoluzione – è utile proporre tre differenti scenari di evoluzione delle società che erogano servizi di pubblica utilità a livello locale (SPUL).

Si tratta di scenari certamente non deterministici, che discendono dalle scelte che il regolatore opererà e dalla competizione per il mercato e nel mercato, con qualche ulteriore differenziazione territoriale che necessariamente discende dalla storia pregressa, dalle dimensioni rilevanti dei sistemi territoriali e dalla maturità della domanda espressa dagli utenti (Utilitatis, 2015).

(i) Tre scenari evolutivi

Un primo scenario è quello in cui le municipalizzate (o ex–) di piccola dimensione spariscono dal mercato per la progressiva incapacità a competere con aziende di maggiori dimensioni nelle gare per l’assegnazione degli SPUL. La competizione per il mercato può divenire molto selettiva laddove i ribassi di prezzo continuano a giocare un ruolo significativo. Nel migliore dei casi – quando cioè la piccola municipalizzata ha degli asset interessanti (in termini di professionalità e di radicamento territoriale) – il suo destino può essere quello dell’acquisizione da parte di player più grandi che coprono un mercato almeno interregionale, che hanno buoni mezzi finanziari a disposizione ma, eventualmente, carenza di personale specializzato.

Un secondo scenario è quello in cui nascono delle nuove multiutility – oppure che le maggiori e più robuste utility esistenti riescono, opportunamente rinnovate, ad incorporare e utilizzare tecnologie e servizi differenti o più avanzati rispetto a quelli che conosciamo – quale risposta a una domanda urbana crescente, connessa ai rapidi cambiamenti in atto all’interno di tre grand trend che stanno modificando rapidamente l’evoluzione delle aree urbane: smart city (CDP, 2013a), green economy (CDP, 2014) e invecchiamento attivo).

1 Il presente lavoro nasce all’interno del Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”[http://economia.uniroma2.it/dmd/crescita-investimenti-e-territorio/]. L’autore desidera ringraziare Francesco Silva con cui ha scritto il lavoro (Bramanti, Silva 2016) all’origine della presente nota e i partecipanti alla sessione della XXXVII Conferenza Nazionale AISRe dove è stato presentato

2Mediobanca (R&S, 2015) svolge un’indagine dettagliata sulle maggiori 440 società di servizi pubblici locali, che producono il 50% del totale e occupano il 48% dei dipendenti (dato 2013). Gran parte del fatturato deriva da quattro società (quotate) – A2A, Hera, Acea, Iren –, e in larghissima prevalenza da elettricità e gas.

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Si tratta probabilmente dello scenario più stimolante – certamente dal punto di vista industriale e forse anche foriero di cambiamenti positivi e impulsi all’economia locale – ma anche più difficile da realizzare. Richiede infatti grande vision, una buona solidità finanziaria che consenta di investire sul nuovo e rimane dunque alla portata delle poche medie imprese esistenti, delle multiutility con mercati di riferimento almeno inter- regionali (Agici, 2015).

Un terzo scenario è probabilmente il più preoccupante per i territori implicati. In questo scenario il mercato dei nuovi bisogni emergenti (siano essi economici, ambientali o sociali) viene catturato da grandi player internazionali provenienti da altri settori – Google, Amazon, Huber, ecc. – in forza delle loro competenze tecnologiche, disponibilità finanziarie, capacità di intercettare la domanda grazie alla propria abilità nella gestione del contatto cliente (il mondo rischia di essere dei venditori più che dei produttori).

Dentro questi scenari – fluidi e soggetti al gioco incrociato delle regole e della concorrenza di mercato – torna prepotente la domanda circa i destini delle municipalizzate, e cioè se esse siano in grado o meno di modificare anche radicalmente le proprie prospettive e svilupparsi, ossia evitare il primo e il terzo scenario e provare a collocarsi nel secondo, che consente una loro rivitalizzazione (Gilardoni, 2015).

(ii) Il ruolo degli SPUL e quello delle PA

Le condizioni esistenti, finanziarie, di governance, di specializzazione produttiva, di dimensione, indurrebbero a dare una risposta negativa. D’altra parte vi sono anche opportunità e vantaggi di posizione che le utility territoriali potrebbero sfruttare anticipando il prevedibile ingresso di altri operatori, internazionali. Si fa qui riferimento, in particolare, a quelle società che – per dimensione, vision, posizionamento di mercato – avrebbero effettive possibilità di evolvere investendo e prestando più attenzione ai clienti, offrendo soluzioni innovative, legate innanzitutto al risparmio energetico e all’ambiente.

I mercati potenziali esistono, e certamente anche le risorse: basta creare le condizioni affinché vengano attratte (Gilardoni, 2015).

Molte utility italiane stanno ridisegnando il proprio futuro in uno scenario complesso (Agici, 2015). Il compito non è semplice perché i debiti elevati offrono pochi margini di manovra e l’attuale bassa redditività non presenta prospettive di crescita significative.

Le debolezze maggiori delle utility territoriali sono certamente un debole assetto finanziario (Scarpa et al., 2009) – che non consente gli investimenti necessari per stare al passo coi rapidi cambiamenti di mercato – ma anche, e forse soprattutto, una gestione manageriale non all’altezza delle sfide che si prospettano. I settori e le fasi regolate sono ovviamente più “sicure” e finiscono per divenire il mercato captive per molte utility territoriali che non riescono ad intraprendere sentieri di cambiamento rapidi e significativi. Presentano infatti un minor rischio imprenditoriale, protette – ma ancora non per molto – da assegnazioni del servizio al di fuori di procedure di evidenza pubblica.

I contesti a più forte concorrenza impongono capacità innovative che consentano di posizionarsi sulla frontiera ed esigono capacità culturali e manageriali più difficili da ipotizzare nelle ex-municipalizzate.

Rimane, certo, un grande spazio per alleanze e fusioni (Mori, 2015), anche orientate

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eccessive illusioni circa gli assetti di governance. Nelle fusioni comanda sempre il più forte e occorrerà pertanto mettere a punto contratti di servizio “dinamici”, con meccanismi di revisione periodici che consentano di garantire al proprio territorio la qualità e l’innovazione dei servizi erogati.

In tema di nuovi servizi le sperimentazioni sono parecchie anche se ancora si fatica a trovare modelli che siano economicamente sostenibili (TEH-A, 2015): dal trasporto elettrico on demand (CDP, 2013b), all’illuminazione pubblica a led; dall’efficienza energetica negli edifici, allo sviluppo della generazione distribuita e delle reti locali (smart grid), dalla gestione delle bande larghe e ultra larghe, alle autostrade ciclabili.

Ecco che gli SPUL che rispondono pro-attivamente ai bisogni del territorio possono contribuire non poco alla qualità dei servizi offerti, all’innovazione nei, e alla sperimentazione di, nuovi servizi, alla qualità dell’ambiente urbano e insediativo esercitando un’attrattività non effimera su persone, idee imprenditoriali e capitali provenienti dall’esterno.

Un compito fondamentale rimane però in capo alla Pubblica Amministrazione che di questi servizi sono i compratori e, in parte, anche i regolatori. Un ruolo forte di pianificazione strategica per il proprio territorio che dovrà trovare modalità di coordinamento anche operativo, prerequisito essenziale per sviluppare delle vere smart city.

Questa azione di supervisione e di raccordo operativo tra i differenti gestori potrebbe anche divenire il nuovo ruolo di alcune delle ex-municipalizzate, troppo piccole per continuare ad essere anche provider multilivello (Bramanti, Silva, 2016). La sfida, per chi tra loro vorrà candidarsi a tali ruoli, è di avere competenze tecniche e un management adeguato per svolgere questi nuovi ruoli, reinventandosi un posizionamento radicalmente differente a sostegno i propri territori.

Riferimenti bibliografici

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Gilardoni A. (2015), a cura di, Public Utilities e infrastrutture. Profili economici e gestionali, Milano:Agici Publishing Division.

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Scarpa C., Bianchi P., Bortolotti B., Pellizzola L. (2009), Comuni SpA. Il capitalismo municipale in Italia, Bologna:Il Mulino.

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Riferimenti

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