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TESI DI LAUREA IN INGEGNERIA AEROSPAZIALE INDIRIZZO SPAZIALE

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(1)

TESI DI LAUREA IN

INGEGNERIA AEROSPAZIALE INDIRIZZO SPAZIALE

MODELLO NUMERICO DELLA SCARICA IN UN PROPULSORE

AD EFFETTO HALL

Claudio Nittoli

Anno Accademico 2007-2008

T220

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(3)

Università degli Studi di Pisa Facoltà di Ingegneria

Tesi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale

MODELLO NUMERICO DELLA SCARICA IN UN PROPULSORE AD EFFETTO HALL

Candidato

Claudio Nittoli

Relatori

Prof. M. Andrenucci

Ing.P.Rossetti Ing. M. Saverdi

(4)
(5)

A chi mi ha dato forza,

serenità, coraggio

ed amore

in tutti questi anni

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(7)

Sommario

Negli ultimi anni la propulsione ad effetto Hall ha trovato grandi spazi applicativi in campo spaziale. Ciò è stato possibile grazie ad un intenso lavoro sperimentale condotto nell’ex Unione Sovietica, negli Stati Uniti d’America e recentemente anche in Europa e soprattutto grazie ai moderni sistemi satellitari in grado di supportare a bordo la potenza elettrica necessaria per alimentare propulsori di crescenti dimensioni.

Il presente lavoro, svolto presso ALTA, riguarda l’elaborazione e conseguente validazione di un modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall.

Il modello qui proposto, può essere di grande utilità ai fini progettuali, data la sua capacità di descrivere, in tempi di esecuzione relativamente brevi e con una certa accuratezza il complesso dei fenomeni fisici esistenti nel canale d’accelerazione di un propulsore ad effetto Hall nonché di predire i parametri integrali dello stesso.

Il modello, elaborato, presenta alcune semplificazioni, rese necessarie dalla complessità dei fenomeni fisici coinvolti, le più evidenti delle quali sono relative alla monodimensionalità e alla stazionarietà del plasma.

Nonostante le semplificazioni sopra elencate, il modello tiene conto delle complesse interazioni tra effetti di natura elettrostatica, termica, cinetica caratteristici di un propulsore ad effetto Hall.

Il modello è stato validato mediante i risultati sperimentali relativi al ROS2000, propulsore ad effetto Hall di 2kW di potenza nominale realizzato da Astrium Gmbh e testato nella camera di prova di ALTA e mediante i dati relativi all’ SPT100 estrapolati da un database in possesso di ALTA.

Il presente lavoro, dopo una parte introduttiva relativa alle generalità della propulsione spaziale ed elettrica in modo particolare e un’attenta analisi del principio di funzionamento di un motore ad effetto Hall con tutti gli aspetti fisici connessi, descrive in modo accurato le equazioni e le condizioni al contorno che sono alla base del modello fisico adottato.

Segue una descrizione dettagliata del tipo di algoritmo numerico adottato, un’analisi dei risultati ottenuti e una rassegna dei possibili sviluppi futuri.

(8)
(9)

Abstract

In recent years, the Hall effect propulsion has found a large application in space.

This has been possible thanks to intense experimental work done in the ex Soviet Union, in the USA and recently in Europe, and especially thanks to modern satellite systems which are able to supply the electric power necessary to feed even bigger thrusters. The work presented, done in ALTA, concerns the elaboration and consequent validation of a numerical model of the discharge in a Hall effect thruster.

The presented model could be of great profit for project purposes, because it’s able to describe in a short time and with great accuracy the complexity of physical phenomenon, existing in the acceleration channel of a HET and its integral parameters. The model presented is characterized by some simplifications that were necessary, because of the complexity of physical phenomenon involved.

The most evident of these simplifications are connected to the monodimensionality and the stationarity of plasma.

Despite of the simplifications, the model takes into account the complex correlation between electrostatic, thermic, kinetic effects which are characteristics of a HET.

The model has been validated with experimental results regarding the ROS2000, a 2kW HET produced by Astrium Gmbh and tested in ALTA’s test chamber, and the SPT100. This work, after an introduction regarding the generalities of space and electric propulsion and after an analysis of the working principle of a HET with all the relevant physical aspects, accurately describes the equations and boundary conditions which are the basis of the physical model adopted.

Following, is a detailed description of the numerical algorithm, an analysis of results obtained and a list of possible future development.

(10)
(11)

Ringraziamenti

Desidero ringraziare in modo particolare il Prof.Andrenucci per avermi dato la possibilità di svolgere questo lavoro nell’affascinante campo della ricerca spaziale. Un ringraziamento particolare va all’Ing.Paola Rossetti per la sua disponibilità, per i suoi preziosi consigli; all’Ing.Massimo Saverdi per il grande aiuto datomi in tutte le fasi di questo lavoro.

Un grazie di cuore agli amici di Pisa, in modo particolare ad Andrea, la sua conoscenza è stata uno dei più bei regali di quest’esperienza universitaria; a Frapà, per la sua sincera e preziosa amicizia; a Generoso, per la sua grande disponibilità; a tutte le altre persone con le quali ho condiviso forti emozioni.

Grazie agli amici di Salerno:Vincenzo, per l’affetto che ci unisce sin dall’infanzia, Biagio, Marcello e tutti gli altri, per la serenità che mi hanno donato nei pochi momenti trascorsi insieme.

Grazie a Dea, per essermi stata sempre vicina, per aver condiviso con me ansie e preoccupazioni non facendomi mai mancare il suo importante conforto.

Grazie ai nonni e a tutti i parenti che hanno sempre dimostrato una grande stima nei miei confronti.

Il ringraziamento più grande va a mamma e papà, per avermi trasmesso un innato senso di responsabilità, un grande coraggio, virtù necessarie per realizzare quello che ‘finora’ è il mio più grande ‘capolavoro’.

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(13)

Indice

LISTA DELLE FIGURE LISTA DELLE TABELLE LISTA DEI SIMBOLI

1 INTRODUZIONE

1.1 La propulsione spaziale: generalità ed aspetti introduttivi 1

1.2 La propulsione elettrica 6

1.3 Classificazione dei propulsori 11

1.3.1 Propulsione chimica 12

1.3.2 Propulsione elettrotermica 15

1.3.3 Propulsione elettrostatica 17

1.3.4 Propulsione elettromagnetica 22

1.4 I propulsori ad effetto Hall 26

1.5 Evoluzione dei motori ad effetto Hall 30

1.6 Motivazioni ed obiettivi della tesi 31

2 TEORIA DEL FUNZIONAMENTO DI UN MOTORE

AD EFFETTO HALL

2.1 Richiami sul comportamento dei plasmi 33

2.2 Descrizione di un propulsore ad effetto Hall 42

2.3 Influenza del campo magnetico 45

2.3.1 Aspetti introduttivi 45

2.3.2 Requisiti del campo magnetico indotto 48

2.4 Ionizzazione 50

2.4.1 Aspetti introduttivi 50

2.4.2 Lunghezza caratteristica del processo di ionizzazione 52

2.4.3 Costo energetico della ionizzazione 54

(14)

2.5.1 Il processo di diffusione e il suo effetto sulla conduttività 55

2.5.2 Diffusività di Bohm 61

2.5.3 Lunghezza di diffusione 67

2.6 Interazioni plasma pareti 70

2.6.1 Introduzione 70

2.6.2 Emissione secondaria 72

2.6.3 Guaina e pre-guaina alle pareti 75

2.6.4 Erosione 82

2.7 Parametri di prestazione di un propulsore ad effetto Hall 85 2.8 Criteri di scalaura di un propulsore ad effetto Hall 87

3 MODELLO FISICO DELLA SCARICA IN UN

PROPULSORE AD EFFETTO HALL

3.1 Aspetti introduttivi 93

3.2 Panoramica dei principali modelli numerici presenti in letteratura 96

3.3 Modello fisico adottato 104

3.3.1 Assunzioni principali 104 3.3.2 Equazioni fluide 107 3.3.2.1 L’equazione di Boltzmann 107 3.3.2.2 Equazioni di continuità 110 3.3.2.3 Equazioni di momento 116 3.3.2.4 Equazione dell’energia 121

3.3.3 Altri fenomeni fisici descritti nel modello 122

3.3.4 Condizioni al contorno e dati d’ingresso 128

4 METODO NUMERICO

4.1 Presentazione del problema numerico e di possibili algoritmi di risoluzione 131 4.2 Descrizione del metodo numerico adottato: il metodo delle secanti 141

(15)

5 VALIDAZIONE DEL MODELLO

5.1 Introduzione 151

5.2 Risultati sperimentali relativi al ROS2000 152

5.2.1 Confronto fra risultati ottenuti e risultati sperimentali 154

5.3 Risultati sperimentali relativi all’SPT100 186

5.3.1 Confronto fra risultati ottenuti e risultati sperimentali 187

6 CONCLUSIONI E POSSIBILI SVILUPPI FUTURI DEL

MODELLO

6.1 Conclusioni 205

6.2 Possibili sviluppi futuri del modello 206

BIBLIOGRAFIA

209

(16)
(17)

Lista delle figure

Capitolo 1

Fig.1.1 Impulso specifico ottimale per la propulsione elettrica 6

Fig.1.2 Robert Goddard 7

Fig.1.3 H.Oberth e E.Stuhlinger due tra i più grandi pionieri della propulsione

elettrica 10

Fig.1.4 Schema di un endoreattore a propellente solido 14 Fig.1.5 Schema di un endoreattore a propellente liquido alimentato con

turbopompe 14

Fig.1.6 Schema di un endoreattore a propellente ibrido 14

Fig.1.7 Fotografia di un resistogetto 16

Fig.1.8 Fotografia di un arcogetto 17

Fig.1.9 Schema di funzionamento di un propulsore a ioni 18 Fig.1.10 Schema di funzionamento di un propulsore Feep 20 Fig.1.11 Feep: menisco del metallo liquido prima e dopo l’applicazione del

campo elettrico 21

Fig.1.12 Fotografia di un Feep 21

Fig.1.13 Schema di funzionamento di un propulsore a bombardamento

elettronico 22

Fig.1.14 Schema di funzionamento di un propulsore elettromagnetico 23 Fig.1.15 Schema di funzionamento di un propulsore magnetoplasmadinamico 24

Fig.1.16 Schema di funzionamento di un MPD 25

Fig.1.17 Kink instability in un MPD 25

Fig.1.18 Schema di funzionamento di un MPD con campo magnetico applicato 26

Fig.1.19 Schema di funzionamento di un HET 28

Fig.1.20 SPT e TAL a confronto 28

Capitolo 2

Fig.2.1 Moto di ioni ed elettroni in una regione di campo con campo elettrico

uniforme 37

Fig.2.2 Moto generico di una particella in presenza di E e B uniformi 40 Fig.2.3 Velocità di deriva e raggio di Larmour per particelle di carica positiva e

negativa 41

Fig.2.4 Schema di riferimento di un HET 43

Fig.2.5 Andamento qualitativo del campo magnetico nel canale d’accelerazione

di un HET 50

Fig.2.6 Cross-section per lo Xenon in funzione dell’energia elettronica. 51 Fig.2.7 Peso relativo dei fenomeni di ionizzazione e ricombinazione in un range

di temperatura tipico di un HET 53

Fig.2.8 Condizione di potenziale innesco delle onde di deriva 62

Fig.2.9 Schema di generazione delle onde di deriva 64

Fig.2.10 Schema di riferimento per la comprensione delle onde di deriva 65

(18)

Fig.2.12 Salto di potenziale in prossimità della parete 71 Fig.2.13 SEE per il Macor in funzione dell’energia elettronica primaria 74 Fig.2.14 Rappresentazione della guaina secondo il modello di Ahedo 79

Fig.2.15 SPT e TAL 82

Fig.2.16 Ratei di erosione per diversi materiali a base di BN a confronto 85

Capitolo 3

Fig.3.1 Distribuzione assiale di campo magnetico assunta nel modello di

Manzella 99

Fig.3.2 Sezioni d’urto per la ionizzazione di atomi di Xenon e rateo di ionizzazione relativo ad una distribuzione dell’energia elettronica di tipo maxwelliano

100 Fig.3.3 Confronto tra profili di potenziale, temperatura elettronica, densità

elettronica, ottenuti dai modelli di Manzella, Fife, Bishaev-Kim 101

Fig.3.4 Geometria semplificata del canale 106

Fig.3.5 Andamento di potenziale nella guaina in assenza o presenza di

condizione di saturazione di carica 115

Fig.3.6 Valori relativi all’espressione del coefficiente di emissione elettronica

secondaria per materiali di pratico interesse 123

Capitolo 4

Fig.4.1 Metodo di Eulero 135

Fig.4.2 Metodo di Runge-Kutta del quarto ordine 136

Fig.4.3 Descrizione simbolica del metodo di shooting 138

Fig.4.4 Metodo delle secanti 143

Fig.4.5 Possibili problemi di convergenza legati all’utilizzo del metodo delle

secanti 144

Capitolo 5

Fig.5.1 ROS2000 152

Fig.5.2 SPT100 152

Fig.5.3 Profilo di densità dei neutri e di campo magnetico per il caso1 del

ROS2000 156

Fig.5.4 Profilo di densità del plasma e di campo magnetico per il caso1 del

ROS2000 156

Fig.5.5 Profilo di velocità ionica e di campo magnetico per il caso1 del

ROS2000 157

Fig.5.6 Profilo di potenziale e di campo magnetico per il caso1 del ROS2000. 157 Fig.5.7 Corrente di scarica per il caso1 del ROS2000. 158 Fig.5.8 Percentuale di densità di corrente per il caso1 del ROS2000 158

Fig.5.9 Densità di corrente per il caso1 del ROS2000 159

(19)

Fig.5.11 Profilo di mobilità elettronica per il caso1 del ROS2000 160 Fig.5.12 Rateo di ionizzazione, SEE coefficient, costo di ionizzazione per il

caso1 del ROS2000 160

Fig.5.13 Caduta di potenziale alle pareti per il caso1 del ROS2000 161 Fig.5.14 Potenze perse alle pareti per unità di lunghezza per il caso1 del

ROS2000 161

Fig.5.15 Flussi e angoli di incidenza di ioni alle pareti per il caso1 del ROS2000 162 Fig.5.16 Energia di ioni ed elettroni alle pareti per il caso1 del ROS2000 162 Fig.5.17 Frequenza di collisione elettronica per il caso1 del ROS2000 163 Fig.5.18 Profilo di temperatura elettronica e di campo magnetico per il caso1

del ROS2000

163 Fig.5.19 Residui adimensionali per il caso1 del ROS2000 164 Fig.5.20- 5.36 Profili relativi al caso 5 del RO2000 166-174 Fig.5.37- 5.53 Profili relativi al caso 3 del RO2000 176-184 Fig.5.54- 5.69 Profili relativi al caso 1 dell’ SPT100 189-196

Appendice

Fig.7.1 Definizione di sezione d’urto 214

Fig.7.2 Angoli per la sezione d’urto differenziale 216

(20)
(21)

Lista delle tabelle

Capitolo 1

Tab 1.1 ΔV caratteristici delle principali missioni spaziali 3

Tab 1.2 Prestazioni dei principali sistemi propulsivi 29

Capitolo 2

Tab 2.1 Valori sperimentali di SEE per nitruro di boro, quarzo e macor 75

Tab 2.2 Materiali isolanti a base di BN 85

Tab 2.3 Matrice di scalatura: criteri geometrici 91

Tab 2.4 Matrice di scalatura: criteri di campo 92

Tab 2.5 Matrice di scalatura risultato delle combinazioni tra criteri geometrici e

di campo 93

Capitolo 3

Tab 3.1 Condizioni iniziali ed operative adottate nel modello fisico di Manzella 99

Capitolo 4

Tab 4.1 Equazioni governanti e condizioni al contorno per il problema fisico

adottato 132

Capitolo 5

Tab 5.1 Misure sperimentali del campo magnetico del ROS2000 153

Tab 5.2 Casi del ROS2000 analizzati 153

Tab 5.3 Confronto tra risultati ottenuti e risultati sperimentali per il ROS2000. 185

Tab 5.4 Casi analizzati dell’SPT100 186

Tab 5.5 Confronto tra risultati ottenuti e sperimentali per i casi analizzati

dell’SPT100 204

Appendice

Tab 7.1 Probabilità relativa dei diversi processi collisionali di elettroni nell’atomo di idrogeno

215 Tab 7.2 Sezioni d’urto di ionizzazione ed eccitazione per lo Xenon 220 Tab 7.3 Sezioni d’urto d assoluta e parziale ionizzazione per lo Xenon 221

(22)

Tab 7.5 Sezioni d’urto per collisioni elastiche, eccitazione, ionizzazione e loro somma per atomi di Xenon

(23)

Lista delle costanti

g0 = accelerazione gravità al livello del mare, 9.81 ݉/ݏଶ

k୆ = costante di Boltzmann 1.380658 × 10−23 J/K

ܩ =costante gravitazionale, 6.67 × 10ିଵଵܰ݉/݇݃

ࢿ૙= costante dielettrica, 8.85418 × 10ିଵଶ F/m q = carica elementare, 1.602177 × 10ିଵଽ Coulomb

u.m.a = unità di massa atomica, 1.66 × 10ିଶ଻݇݃ ߤ଴ = permeabilità magnetica, 1.256637 × 10ି଺ ܰ/ܣଶ

ߪ = costante di Stefan-Boltzmann, 5.67 × 10ି଼ܹ/(݉°ܭ)

ℎ = costante di Planck, 6.6260755 × 10ିଷସ ܬݏ

mୣ= massa dell’ elettrone,9.1093897 × 10ିଷଵ ݇݃

mଡ଼ୣ = massa atomo di Xenon, 131.293 a. m. u;

Nୟ= numero di Avogadro, 6.0221415 × 10ଶଷ moleିଵ ܴ =costante universale dei gas, 8.31 J/ mole °K

(24)
(25)

1

1

1

1

INTRODUZIONE

1.1 La propulsione spaziale: generalità e aspetti introduttivi

In un motore a reazione, la spinta viene generata, in base alla terza legge di Newton, per mezzo dell’accelerazione di un fluido di lavoro in direzione opposta alla spinta stessa. Le modalità di accelerazione del propellente sono diverse e verranno discusse in modo dettagliato nel paragrafo seguente.

Il volo di un razzo in un campo gravitazionale è descritto mediante la seguente equazione di moto[1] :

݉ ∙ ݒሶ = ݉ሶ ∙ ݑ+ ܨ (1.1)

In cui:

m = massa del veicolo ad un dato istante; ݒሶ = accelerazione del veicolo;

݉ሶ = portata di propellente in uscita dal motore;

ݑ௘ = velocità della massa di propellente relativa al veicolo nella direzione della spinta, qualora la velocità avesse solo tale componente, altrimenti con essa si intende una velocità media equivalente.

ܨ௚ = forza gravitazionale.

In tale bilancio della quantità di moto non si fa riferimento alle forze di natura aerodinamica data la loro irrilevanza nella dinamica spaziale.

(26)

Capitolo 1 Introduzione

2

Per quanto concerne il termine di natura gravitazionale, esso può essere trascurato qualora il razzo operi ad una velocità di scarico costante in una regione in cui il campo gravitazionale risulti trascurabile rispetto la spinta, o nel caso di spinta impulsiva.

In tali casi l’equazione del moto si riduce alla seguente: ݉ ∙ ݒሶ = ݉ሶ ∙ ݑ௘ (1.2)

Integrando tale espressione tra gli istanti di accensione e spegnimento del propulsore, si ottiene la famosa ‘equazione di Tsiolkovsky’, equazione alla base della propulsione spaziale:

Δܸ = ݑ௘∙ ݈݊ܯ݂ (1.3)ܯ݅

Dove: ܯ݅, ܯ݂ sono rispettivamente la massa del veicolo ad inizio e fine sparo; Δܸ è la variazione del modulo della velocità del veicolo tra inizio e fine sparo nelle condizioni ideali di forze aerodinamiche e gravitazionali trascurabili e velocità di espulsione del propellente costante durante la spinta.

La massa del veicolo spaziale a fine sparo sarà:

ܯ௙ = ܯ௜ − ܯ௣ (1.4)

in cui ܯ indica la massa di propellente espulsa.

L’ equazione di Tsiolkovsky, pertanto, può anche essere rielaborata nel modo seguente: ܯ௣

ܯ௜ = 1 − ݁ ି୼௏

(1.5)

In tal modo può esser messo in evidenza che l’aumento della velocità di scarico del propellente consente un risparmio di combustibile.

Le operazioni spaziali sono usualmente caratterizzate e definite per mezzo del Δܸ necessario alla loro realizzazione, stando attenti però ad interpretare tale incremento di velocità non come un incremento di velocità effettivo, ma come quell’incremento di velocità che si otterrebbe qualora la missione in questione venisse realizzata sotto le ipotesi di validità dell’equazione di Tsiolkovsky: assenza di forze aerodinamiche e gravitazionali, velocità di scarico costante durante l’erogazione della spinta.

(27)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

3

Il Δܸ in questione è un valore di riferimento, un modo per tradurre il complesso delle nozioni per una missione in un solo valore.

Fatta questa doverosa premessa, risulta evidente dall’equazione che, missioni onerose come i trasferimenti interplanetari, richiedendo valori elevati di Δܸ, comportano, pertanto, un rapporto tra la massa iniziale e finale del veicolo piuttosto elevato.

Al fine di contenere tale rapporto, è necessario utilizzare propulsori dotati di elevate velocità di scarico confrontabili con il Δܸ caratteristico della missione.

Riuscire nell’intento di mantenere basso il rapporto tra massa iniziale e finale, significherebbe poter utilizzare una maggiore frazione della massa iniziale per il trasporto del carico pagante, con ovvi vantaggi economici annessi.

In tabella 1.1 si riportano i valori tipici dei Δܸ relativi alle missioni di maggiore interesse.

Missione Δܸ (݉/ݏ)

Fuga dalla superficie terrestre (impulsiva) 11200

Fuga da un’orbita di 540 km (impulsiva) 3150

Trasferimento Terra-Marte e ritorno 34000

Trasferimento dall’orbita terrestre all’orbita di Giove e ritorno 64000 Trasferimento dall’orbita terrestre all’orbita di Venere e ritorno 16000 Compensazione resistenza aerodinamica 320/anno Sollevamento orbitale (da 250 km a 600 km) 200

EWSK per satelliti geostazionari 2/anno

NSSK per satelliti geostazionari 49/anno

Tab 1.1 ઢࢂ per alcune tipiche missioni spaziali [2].

(trasferimenti interplanetari effettuati mediante manovra alla Hohmann).

In base a quanto detto, risulta chiaro che la propulsione elettrica trova la sua prima applicazione nelle missioni a lungo raggio, di lungo periodo quali trasferimenti interplanetari, controllo d’assetto e posizionamento per diversi anni, che richiedendo elevati valori della ݑ, rendono inadatto l’utilizzo della propulsione chimica per gli elevati consumi di propellenti ad essa associati.

Altri vantaggi della propulsione elettrica sono: • la possibilità di riaccensioni multiple;

• possibilità di modulare la spinta nell’arco dei lunghi tempi di sparo;

tutto ciò fa si che la propulsione elettrica sia una valida alternativa a quella chimica anche per missioni in orbita bassa.

(28)

Capitolo 1 Introduzione

4

Il più grande parametro di merito per la propulsione a razzo, misurante l’efficienza del propulsore nell’utilizzo del propellente è l’impulso specifico, così definito:

ܫ௦௣ =݉݃ܶ ଴

ሶ =ݑ݃௘଴ (1.6)

dove T è pari alla spinta ݉ݒሶ .

Il grande vantaggio di tale parametro, che riferisce la spinta alla portata in peso di propellente, è il fatto di essere misurato in secondi, il che lo rende indipendente dal sistema di misura adottato rendendone universale l’interpretazione.

Nel paragrafo seguente verranno riportati in tabella gli impulsi specifici relativi alle diverse tipologie di propulsori, in questa sezione, invece, ci si limita a sottolineare che gli impulsi specifici dei propulsori elettrici sono da 2 a 100 volte superiori rispetto a quelli chimici.

Analizzando l’equazione di Tsiolkowsky si comprende come l’avere impulsi specifici elevati ovvero elevate velocità di scarico, consenta di ottenere lo stesso incremento di velocità con un minor rapporto tra massa iniziale e finale, ovvero con un minor quantitativo di propellente.

Altro parametro di merito di un propulsore elettrico è il rendimento di spinta, ߟ, che indica il rapporto tra l’energia cinetica media associata al moto del propellente nella direzione della spinta e la potenza in ingresso:

ߟ௧ =݉ሶ ∙ ݒ௘ ଶ

2 ∙ ܲ = ܶ ∙ ݒ2 ∙ ܲ (1.7)௘

Da tale espressione può ricavarsi un altro parametro di merito che è la potenza specifica,Wsp,

pari alla potenza necessaria per ottenere 1 N di spinta: ܹ௦௣ =ܲܶ =2 ∙ ߟݒ௘

௧ =

݃଴∙ ܫ௦௣

2 ∙ ߟ௧ (1.8)

L’avere quindi Isp elevati, comporta delle penalizzazioni: maggiore è l’Isp maggiore è la potenza necessaria ad ottenere 1 N di spinta.

La propulsione elettrica, al contrario di quella chimica, necessita di un sistema di generazione e conversione di potenza; l’energia deve essere fornita dall’esterno ad esempio mediante:

• celle fotovoltaiche • celle a combustibile

(29)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

5 • generatori a radioisotopi

• batterie

Attualmente la potenza disponibile a bordo è modesta (3-4 W di potenza per ogni Kg di massa del satellite).

Conoscendo, pertanto, la potenza massima disponibile a bordo del satellite, si può ottenere il valore massimo della spinta e quindi la classe di missioni in cui il propulsore può operare.

Tale limitazione di spinta comporta tempi di funzionamento decisamente più lunghi rispetto quelli relativi alla propulsione chimica per ottenere il medesimo incremento di velocità, ciò comporta maggiori perdite gravitazionali e durate a volte non compatibili con le specifiche della missione.

Altro fattore da tenere in conto è la massa del sistema di generazione di potenza, Mg,

che può essere espressa come funzione della potenza richiesta per mezzo di un coefficiente di proporzionalità ߙ rappresentante la massa specifica del sistema di potenza:

M୥ = α ∙ W୧୬= α ∙ T ∙ u2 ∙ η

୘ (1.9)

E’ possibile, pertanto, individuare un impulso specifico ottimale, Ispott, che consente di

minimizzare il valore della massa totale del sistema di propulsione e dell’impianto di potenza. Isp୭୲୲= g1 ଴( 2η୲ΔT α ) ଵ ଶ (1.10)

Discostandosi da tale valore di Isp, in cui ΔT rappresenta il tempo di missione, si hanno penalizzazioni o per l’aumento di massa del combustibile o per l’aumento di massa del sistema di generazione e condizionamento dell’energia, come si evince in fig1.1.

La ricerca di sistemi di generazione di energia di minore massa specifica α è pertanto uno degli obiettivi da perseguire, dato che in tal modo si riescono ad ottenere valori più elevati dell’impulso specifico del propulsore.

(30)

Capitolo 1 Introduzione

6

Fig1.1 Impulso specifico ottimale per un propulsore elettrico.

1.2 La propulsione elettrica

La propulsione elettrica nelle applicazioni spaziali, come asserito da Robert Jahn [3], è:

“l’accelerazione di un gas per la propulsione mediante riscaldamento elettrico e/o per mezzo di forze di massa elettriche e/o magnetiche.”

Nel ripercorrere, brevemente, la storia della propulsione elettrica, la sua nascita può probabilmente essere ricondotta al 1903, anno in cui il famoso articolo del russo Konstantin Tsiolkovsky, :‘Investigation of Universal Space by means of Reactive Devices’ viene pubblicato[4].

Tale celebre articolo contiene l’equazione di Tsiolkovsky per i razzi, l’espressione matematica alla base della propulsione spaziale, che verrà analizzata nei prossimi paragrafi.

Ciò che invece in questo contesto si vuol mettere in risalto sono le idee rivoluzionarie espresse dallo scienziato russo in tale articolo, idee che non possono essere spiegate se non attraverso le sue stesse parole:

‘Il mio lavoro è ancora lontano dal considerare tutti gli aspetti del problema e non risolve nessuno dei problemi pratici annessi alla sua realizzazione; tuttavia, nel prossimo futuro, guardando oltre la nebbia, posso intravedere scenari così affascinanti e importanti da portarmi a credere che, probabilmente, nessuno oggi è in grado di sognarli.’

Dall’articolo prende vita per la prima volta l’idea della propulsione elettrica:

Massa di propellente Massa totale del sistema

propulsivo

Isp

Isp Massa sistema di generazione e di condizionamento di potenza Mtot

(31)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

7

‘E’ possibile che nel tempo si possa utilizzare l’elettricità per ottenere un’elevata velocità delle particelle emesse da un razzo’.

In tale testo Tsiolkovsky pensa agli elettroni come particelle utili ai fini propulsivi pur conoscendone la massa esigua.

Il motivo di tale apparente incongruenza risiede nel fatto che, in quei tempi si pensava che i soli elettroni potessero raggiungere velocità così elevate, il concetto di ione come particella avente una carica netta positiva non era stato ancora introdotto.

Nonostante tale inesattezza dovuta ai limiti scientifici del tempo, l’idea rivoluzionaria di Tsiolkovsky risiede nella scoperta dell’importanza di elevate velocità di scarico ai fini propulsivi unita alla consapevolezza dell’esistenza di particelle estremamente veloci come osservato nei tubi a raggi catodici.

Tuttavia, Tsiolkovsky, non riesce a realizzare alcun studio analitico in merito all’utilizzo di elettricità in campo propulsivo.

Egli ammette che allo stato attuale la propulsione elettrica rimaneva un sogno e per tale motivo si dedica a problemi più comuni.

Il fisico Robert Goddard, che ha diviso la sua vita tra il suo lavoro come ricercatore nel campo dell’elettricità e la sua passione personale per la propulsione, con studi del tutto indipendenti da quelli del collega russo, arriva ad affermare che la propulsione elettrica sarebbe presto divenuta naturale, se non inevitabile.

‘,

Fig. 1.2 Robert Goddard

(32)

Capitolo 1 Introduzione

8

“Era uno di quei calmi, colorati pomeriggi di splendida bellezza che abbiamo in Ottobre nella Nuova Inghilterra, e, mentre guardavo i campi verso est, immaginavo quanto sarebbe stato meraviglioso riuscire a costruire un qualche dispositivo che avesse la possibilità di raggiungere Marte…”.

In un documento del 1906, il fisico americano si concentra sulla possibilità di accelerare gli elettroni alla velocità della luce interrogandosi sulle conseguenze. Questa è la domanda da lui posta:

‘ Ad enormi potenziali possono essere liberati elettroni alla velocità della luce, ma se il potenziale viene ulteriormente incrementato, la reazione procederà o verrà prodotta radioattività?’

Chiaramente le conoscenze del tempo impediscono a Goddard di trovare una risposta esauriente, le teorie relativistiche di Einstein, infatti, erano state pubblicate da pochi mesi senza riscontrare approvazione alcuna.

I suoi primi studi sono dedicati all’accelerazione degli elettroni per la scarsa conoscenza che ancora si aveva sugli ioni e per la convinzione, in quei tempi diffusa, che l’ottenere voltaggi così elevati comportava difficoltà tecniche, rendendo quindi necessario l’utilizzo di particelle meno pesanti per raggiungere elevate velocità.

Tra il 1906-1912 le idee del fisico americano si sono evolute al punto tale da portarlo alla prima invenzione nel 1913, egli realizza un metodo per produrre “particelle aventi carica elettrica”.

Tale metodo consisteva nel confinare elettroni in un gas per mezzo di un campo magnetico al fine di aumentare il numero di collisioni con gli atomi neutri e quindi di incrementare il processo di ionizzazione.

Nel 1917 mette, definitivamente, a punto le sue intuizioni ideando il primo acceleratore elettrostatico a ioni.

Pertanto, la propulsione elettrica, dopo aver mosso i primi passi all’inizio del novecento per merito degli studi indipendenti dell’americano Robert H.Goddard e del russo Konstantin Tsiolkovsky; ottiene un grande sviluppo grazie ai preziosi contributi da parte di Hermann Oberth in Germania nel 1929 e da parte di Sheperd e Cleaver in Gran Bretagna nel 1949.

La prima analisi sistematica e dettagliata sui sistemi di propulsione elettrica viene elaborata da Emst Stuhlinger, recentemente scomparso, nel suo testo ‘Ion propulsion for

(33)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

9

La prima trattazione completa sulla fisica dei propulsori elettrici avviene ad opera di Robert Jahn nel 1968.

La tecnologia dei primi propulsori a ioni, utilizzanti cesio e mercurio come propellenti, è stata pubblicata da George Bewer nel 1970.

Tra i tanti testi che hanno approfondito i principi basiliari della propulsione elettrica, è doveroso citare il testo pubblicato in Russia nel 1989 da S.Grishin e L.Leskov.

In linea di massima, la propulsione elettrica trova grande applicazione dopo i conflitti mondiali nei centri di ricerca delle due superpotenze, durante la guerra fredda; ma è solo dopo la caduta del comunismo che le conoscenze acquisite in questo campo escono dalla riservatezza dei laboratori per approdare in campo commerciale, soprattutto grazie all’utilizzo di sistemi satellitari ad alta potenza.

La prima vera e propria applicazione estensiva dei principi della propulsione elettrica avviene in Russia con l’utilizzo di motori ad effetto Hall per le funzioni di station-keeping nei satelliti per telecomunicazione.

La prima applicazione russa risale al 1961; si tratta di due SPT-60 montati sul satellite Meteor.

Il primo sistema propulsivo a ioni, invece, viene introdotto in Giappone nel 1995, al fine di garantire Nord-Sud station-Keeping sul satellite per telecomunicazione Engineering Test Satellite (ETS).

Nonostante il primo tentativo non va a buon fine, l’utilizzo di propulsori a ioni diviene sempre più comune in campo spaziale a causa dei successi ottenuti dall’utilizzo di tali motori.

L’uso commerciale dei motori a ioni negli Stati Uniti comincia nel 1997 con il lancio di un motore a ioni utilizzante Xenon come propellente.

Nel frattempo, il Giappone utilizza la propulsione a ioni come propulsione primaria per la missione legata all’esplorazione dell’asteroide Hayabusa, mentre l’ESA (European Space Agency) utilizza un motore a effetto Hall (Snecma PPS-1350) sul satellite SMART1 per una missione terra-luna.

I russi sono i primi ad utilizzare i motori ad effetto Hall in maniera estesa ai fini di station-keeping per satelliti per telecomunicazione, solo nel 2004 gli Stati Uniti cominciano ad utilizzare tale tecnologia propulsiva in modo esteso ed in termini commerciali.

(34)

Capitolo 1 Introduzione

10

Negli ultimi venti anni, l’uso della propulsione elettrica in campo spaziale è divenuto sempre più diffuso a causa dei notevoli benefici che tale tecnologia propulsiva comporta.

Fig1.3 In basso Hermann Oberth, alla sua sinistra Ernst Stuhlinger. Nella foto compaiono altre persone che contribuirono allo sviluppo della propulsione elettrica in Germania in quegli anni: Werner von Braun (a destra), il generale Holger Toftoy (ultimo a sinistra), Eberhard Rees (ultimo a destra).

I grandi vantaggi che hanno reso competitivo questo tipo di propulsione rispetto ad altri che sfruttano energia nucleare o chimica sono la semplicità realizzativa rispetto ai primi ma soprattutto la grande efficienza nell’utilizzo del propellente in confronto ai secondi; il risparmio di propellente legato all’utilizzo di questi motori consente infatti un incremento del carico pagante ed una conseguente riduzione dei costi della missione. Per trasformare in energia cinetica di un propellente l’energia elettrica a disposizione, fornita da opportuni apparati di generazione e conversione, tali motori possono sfruttare diverse tecnologie, come si vedrà nei prossimi paragrafi.

(35)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

11

1.3 Classificazione dei propulsori

I possibili criteri di classificazione dei vari sistemi propulsivi ad uso spaziale sono i seguenti [2,5]:

• Il processo accelerativo utilizzato;

• Il tipo di energia che viene utilizzato per generare la spinta. I processi accelerativi in questione sono di tipo:

 Gasdinamico: con tale processo si accelera un gas, contenuto in condizioni di

elevata pressione e temperatura all’interno di una camera di reazione, tramite una sua espansione attraverso un condotto dalla sezione opportunamente sagomata (ugello).  Elettrostatico: in tal caso, il propellente, costituito da un gas altamente ionizzato,

è accelerato mediante l’applicazione di opportuni campi elettrici.

 Elettromagnetico: viene sfruttata l’interazione tra correnti elettriche che

percorrono il fluido ionizzato ma globalmente neutro (plasma) e i campi magnetici indotti dall’esterno o autoindotti dal moto stesso delle particelle (forza di Lorentz). In base a quanto sopracitato, si parlerà di propulsione elettrotermica qualora si utilizzi un processo accelerativo gasdinamico, propulsione elettrostatica caratterizzata da un processo accelerativo elettrostatico, propulsione elettromagnetica con processo accelerativo di tipo elettromagnetico.

Le varie forme di energia disponibili sono, invece:

 Energia chimica: liberata in seguito ad una qualsiasi reazione chimica

esotermica;

 Energia nucleare: energia derivante dalla fissione o fusione nucleare;

 Energia elettrica: prodotta per mezzo di processi di ossidoriduzione, fotovoltaici

o termoelettrici, per poi essere utilizzata per produrre campi elettrici o elettromagnetici al fine di ionizzare ed accelerare il propellente.

(36)

Capitolo 1 Introduzione

12

1.3.1 Propulsione chimica

I propulsori chimici, con processo accelerativo di tipo gasdinamico, sono quelli di gran lunga più utilizzati in campo spaziale, comunemente impiegati nelle operazioni di lancio, in manovre orbitali e controllo d’assetto[6].

L’energia utilizzata è di tipo chimico, contenuta nei legami chimici delle molecole dei propellenti stoccati, i quali per effetto delle reazioni di combustione si trasformano in un gas ad alta temperatura costituente il fluido propulsivo.

Tali prodotti di reazione ad alto contenuto entalpico, subiscono poi un’espansione e conseguente accelerazione in un ugello opportunamente sagomato.

Tale tipo di propulsori può essere ulteriormente suddiviso in tre classi che si differenziano per lo stato di aggregazione del propellente utilizzato:

• Endoreattori a propellente solido (Isp =180 -250 sec);

• Endoreattori a propellente liquido (Isp =280 - 450 sec);

• Endoreattori a propellente ibrido (Isp max 350 sec);

Gli endoreattori a propellente solido (fig.1.4) sono concettualmente semplici: costituiti da un involucro esterno riempito di un ‘grano’ di propellente e corredato di un ugello in corrispondenza della sezione d’uscita dei gas prodotti dalla combustione del propellente di forma convenzionale (convergo-divergente) e fatto in materiali refrattari.

Gli elementi costitutivi di tali razzi sono: • Involucro esterno;

• Grano di propellente: contenente combustibile e comburente (chiamato in tal modo poiché proveniente dalla polvere nera dei Cinesi): può aderire all’involucro esterno avendo così il vantaggio di proteggere esso stesso la camera di combustione dai gas combusti, oppure, può essere separato dalla camera esterna avendo così il vantaggio di poter essere riprodotto e realizzato della forma più desiderata. La forma del grano influisce sulla legge di generazione della spinta, maggiori sono la superficie e la velocità di combustione maggiore è la spinta. Ecco il motivo per cui si utilizzano dei grani di forma stellata, i quali ad inizio combustione offrono una superficie di combustione più elevata; successivamente le pareti del grano si ritirano rendendo circolare il perimetro di combustione;

• Accenditore: altro razzo a propellente solido che una volta innescato infiamma il propellente confinante;

(37)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

13

• Sistemi di protezione termica: in genere di tipo passivo, rallentano l’onda termica diretta verso il materiale sottostante;

• Ugello: esterno o interno; fisso o mobile.

Diversi additivi vengono utilizzati nel propellente: il solfato di potassio consente una maggiore regolarità della combustione; polveri di Alluminio consentono, da un lato, l’aumento della temperatura di fiamma, dall’altro, determinano la formazione di particelle d’allumina sotto forma di fase condensata, il che limita le capacità di espansione del getto.

Gli endoreattori a propellente liquido (fig.1.5) possono utilizzare un monopropellente, in cui un’ unica molecola è in grado di decomporsi in combustibile e comburente, oppure due propellenti stoccati separatamente in due serbatoi.

Quest’ultima soluzione è maggiormente adottata consentendo un dosaggio della spinta più efficace ed immediato.

Tali endoreattori possono servirsi di un sistema di alimentazione dotato di bombole di pressurizzazione o di turbopompe.

Il primo metodo consente di ottenere spinte più rapide al momento di generazione e cessazione della stessa. Anche questo tipo di propulsori necessita di un efficace sistema di protezione termica in camera di combustione e nella prima parte dell’ugello.

Gli endoreattori a propellente ibrido (fig.1.6): sono caratterizzati da una configurazione mista di tipo liquido-solido (Motori con combustibile solido e comburente liquido o viceversa).

A differenza che nei motori a propellente solido, in essi la combustione può essere interrotta, sono ancora in fase di sperimentazione e i problemi tecnologici legati alla loro realizzazione e al loro funzionamento sono rilevanti.

I principali fattori di limitazione della propulsione chimica sono i seguenti:

• Formazione di specie chimiche indesiderate alle alte temperature limitando le capacità di espansione del flusso, fenomeni di dissociazione;

• Perdita di una quota consistente di energia che rimane ‘congelata’ nei moti propri interni delle molecole o perché dissipata tramite flusso termico verso l’esterno.

(38)

Capitolo 1 Introduzione

14

Fig1.4 Schema di un endoreattore a propellente solido.

Fig1.5 Schema di un endoreattore a propellente liquido alimentato da turbopompe.

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Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

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1.3.2 Propulsione elettrotermica

La propulsione elettrotermica viene ottenuta energizzando un fluido tramite il suo riscaldamento a spesa di energia elettrica per poi farlo espandere all’interno di un ugello in modo da ottenere l’energia cinetica desiderata.

All’interno di tale famiglia di propulsori si distinguono tre categorie che si differenziano per il processo scelto per scaldare il gas:

Resistogetti: il calore viene trasferito al propellente tramite le pareti o una resistenza riscaldate per effetto Joule (fig.1.7); facendo in modo di evitare un contatto diretto tra fluido e resistenza il che porterebbe quest’ultima a rapida usura.

Arcogetti: il calore è trasferito al flusso tramite archi elettrici fatti scoccare nel fluido stesso (fig.1.8). Anche in tal caso, va evitato il contatto diretto tra plasma e pareti, a tal fine si utilizza il cosiddetto ‘effetto pinch’ che determina una strizione del flusso. Tale effetto, però, può essere suscettibile di instabilità, ’kink instability’, per evitare la quale, si introduce un tubo costrittore all’interno del quale viene fatta avvenire la scarica. − Sistemi a riscaldamento induttivo e radiativo: propellente riscaldato tramite eccitamento degli atomi mediante radiazioni ad alta frequenza.

Tale tecnologia propulsiva consente di superare le limitazioni intrinseche presenti nella propulsione chimica e relative alla scelta del propellente, potendo scegliere liberamente quest’ultimo per le sue favorevoli proprietà fisiche in modo indipendente dalla chimica della combustione.

I vincoli relativi al trasferimento di calore e le perdite legate a quella porzione di energia ‘congelata’ nei modi interni e nella dissociazione delle molecole, accomunano tale tecnologia propulsiva a quella di tipo chimico.

Le prestazioni di arcogetti e resistogetti devono sottostare alla limitazione intrinseca caratteristica del processo accelerativo di tipo gasdinamico, in base alla quale, la velocità di scarico del flusso deve necessariamente essere inferiore o al più uguale alla velocità di scarico di un ugello completamente espanso.

Pertanto,

(40)

Capitolo 1 Introduzione

16 In cui:

ܿ௣ = calore specifico a pressione costante per unità di massa di propellente;

ܶ௖ = massima temperatura tollerabile in camera.

La scelta di propellenti a basso peso molecolare porta ad un aumento della velocità di scarico, la quale però, comunque, non può essere troppo elevata in quanto vincolata dal fatto che la temperatura in camera deve rimanere al di sotto di certi limiti, pena l’integrità della camera stessa.

Alla luce di tali limitazioni, i resistogetti presentano Isp= 250-450 sec; gli arcogetti, i

quali hanno velocità di scarico maggiori poiché nell’arco si possono raggiungere temperature più elevate, hanno Isp leggermente superiori, con la possibilità di raggiungere Isp di 1000 sec qualora si utilizzasse l’idrogeno come propellente (come riportato in Tab.1.2).

In realtà, per le difficoltà di immagazzinamento dell’idrogeno, ad esso si preferiscono, di solito, gas molecolari più complessi, come l’idrazina o l’ammoniaca, che si dissociano nella camera in una miscela di basso peso molecolare e alto calore specifico.

(41)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

17

Fig. 1.8 Schema di funzionamento di un arcogetto.

1.3.3 La propulsione elettrostatica

Le limitazioni intrinseche caratteristiche della propulsione elettrotermica, legate al processo accelerativo gasdinamico ed al limitato tempo di vita, possono essere aggirate accelerando il propellente direttamente mediante forze di massa causate da campi esterni. L’applicazione concettualmente più semplice è rappresentata dai motori a ioni:

in sintesi, in tale dispositivo, si porta un gas ad elevata temperatura, ad esempio mediante scarica elettrica, riuscendo ad ottenere una miscela di ioni ed elettroni che si muovono senza nessun vincolo se non quello di essere intimamente mescolati.

Al fine di consentire un’estrazione dei soli ioni, si utilizza una griglia collegata ad un polarizzatore che consente la repulsione degli elettroni e il passaggio dei soli ioni (fig.1.9).

Gli ioni, pertanto, soggetti ad una differenza di potenziale favorevole instauratasi tra la superficie di sorgente ionica e la griglia polarizzata, accelerano attraversando la griglia. Altro elemento necessario è il neutralizzatore il quale, fornisce la forza necessaria agli elettroni, intrappolati internamente, affinché essi possano uscire.

Tali elettroni, prelevati ed emessi dal neutralizzatore vanno poi a neutralizzare gli ioni uscenti dalla griglia, consentendo una compensazione delle cariche e la globale neutralità del dispositivo.

(42)

Capitolo 1 Introduzione

18

Il fascio neutro creatosi, esce dall’acceleratore ad una velocità determinata dalla caduta netta di potenziale tra la sorgente di ioni ed il piano di effettiva neutralizzazione, e dal rapporto carica-massa della specie ionica usata.

La velocità di scarico per qualsiasi dispositivo caratterizzato da un processo accelerativo di tipo elettrostatico è:

ݒ௘ = ඨ2ݍܸܯ (1.12)

V= differenza di potenziale applicata; q/M = rapporto carica-massa dello ione;

Introducendo in tale espressione valori tipici del voltaggio e del rapporto carica-massa dello ione, si ottengono valori della velocità di scarico elevati, dell’ordine di 105 m/s. Nella pratica, però, i vantaggi legati ad un elevato impulso specifico, sono contrastati e resi vani dalla penalizzazione ponderale del sistema di potenza necessario per ottenere delle elevate velocità (come evidenziato nella fig.1.4), ciò specie per le missioni nelle vicinanze della Terra e nelle missioni interplanetarie.

Oltre agli aspetti critici legati alla configurazione degli elettrodi e alla scelta del propellente utilizzato, un grande inconveniente, per questa categoria di motori, è rappresentato dai bassi valori della densità di spinta.

Infatti, la massima densità di corrente che può essere sostenuta in un motore con una distanza d tra gli elettrodi e un potenziale applicato V è:

(43)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

19 ݆௠௔௫ =4ߝ9 ∙ ൬݉ ൰

଴.ହ

∙ܸ݀ଵ.ହ (1.13)

Dove ߝ = permettività dielettrica costante.

Da ciò si evince che la massima densità di spinta ottenibile dipende solo da V/d secondo la relazione:

ܶ௠௔௫

ܣ =݉ݒܣ =ሶ ௘ ݆௠௔௫∙ ܯ ∙ ݒݍ ௘ = 8 ∙ ߝ9 ∙ ൬ܸ݀൰

(1.14)

A = area della sezione di scarico.

Per valori comuni di V, d, q/M, le densità di spinta e di potenza così ottenute, sono piccole, pari rispettivamente a: pochi N/m2, 105W/ m2 nella migliore delle ipotesi.

Il fattore positivo di questi motori risiede nel fatto che la maggior limitazione al rendimento di spinta proviene dal costo energetico necessario alla formazione degli ioni, il quale rappresenta solo una minima frazione della loro energia cinetica di scarico. All’interno di questo genere di propulsori si possono ulteriormente distinguere tre famiglie che si differenziano tra loro per le modalità di ionizzazione del gas:

− Propulsori ad emissione ad effetto di campo (FEEP): due piastrine metalliche piatte, contenenti all’estremità una piccola lama e provviste di una piccola camera per il contenimento del propellente sono sovrapposte l’una sull’altra, esse costituiscono l’emettitore. Il contatto tra le due piastrine è mediato dall’interposizione di una maschera protettiva che protegge la lama e di uno strato di metallo (nichel) di spessore controllato deposto su tutto il perimetro della piastrina eccetto che nella parte centrale della lama.

Così facendo, si ottiene una fessura di circa 1μm nella parte centrale della lama all’interno della quale il propellente liquido (cesio) per capillarità forma una sorta di menisco (fig1.11a).

Si introduce un elettrodo, detto acceleratore, avente un’asola centrale, a distanza ravvicinata dall’emettitore (fig.1.10).

Polarizzando opportunamente l’acceleratore rispetto l’emettitore, in corrispondenza della lama si forma un intenso campo elettrico il quale determina in corrispondenza del menisco di cesio la formazione di una fila ordinata di coni di Taylor (fig.1.11b),

(44)

Capitolo 1 Introduzione

20

dai quali avviene l’emissione degli ioni che vengono accelerati attraverso l’asola dell’elettrodo interposto e poi neutralizzati da un terzo elettrodo.

La legge che determina la velocità di scarico per tali motori è la medesima dei motori a ioni; si utilizza come propellente un metallo liquido, tipicamente il cesio.

Gli impulsi specifici ottenibili sono dell’ordine di 6000-8000 sec, potenze specifiche elevate dell’ordine di 55 KW/N, densità di spinta dell’ordine di 0.2 mN/cm2.

Limiti tecnologici consentono di produrre motori fino a 5 mN di spinta.

Per i valori elevati di potenza specifica, i FEEP sono per lo più utilizzati per spinte di micro newton, adatti per applicazioni di puntamento fine.

(45)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

21

Fig 1.11 FEEP: menisco del metallo liquido prima (a) e dopo (b) l'applicazione del campo elettrico

Fig. 1.12 Fotografia di un Feep

− Propulsori a bombardamento elettronico: in tale dispositivo il gas viene ionizzato mediante bombardamento da parte di elettroni emessi per effetto termoionico da parte di catodi incandescenti (fig.1.13). La ionizzazione è ottenuta grazie al moto spiraleggiante degli elettroni determinato dalla concomitante presenza di un campo elettrico assiale e di un campo magnetico radiale generato attraverso elettromagneti. Gli ioni infine sono accelerati dal campo elettrico esterno ottenendo così la spinta. Gli impulsi specifici ottenibili vanno dai 3000 ai 4500 sec.

(46)

Capitolo 1 Introduzione

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Fig.1.13 Schema di funzionamento di un propulsore a bombardamento elettronico

− Propulsori a ioni a radio frequenza (RIT): si utilizza un gas nobile pesante, tipicamente Xenon o Kripton, la cui ionizzazione avviene in una camera di scarica di materiale isolante (allumina o quarzo) in cui gli elettroni sono eccitati tramite onde elettromagnetiche a frequenze radio. I vantaggi di tali dispositivi risiedono in un rendimento elevato (60%), tempi di vita maggiori di quelli a bombardamento elettronico per la mancanza di catodi all’interno della camera.

1.3.4 Propulsori elettromagnetici

La propulsione elettromagnetica è basata sull’interazione di una corrente elettrica, guidata attraverso un propellente conduttore, con un campo magnetico presente nella stessa regione, al fine di produrre una forza per accelerare la massa.

Tali sistemi consentono di ottenere velocità di scarico superiori rispetto a quelle relative alla propulsione elettrotermica e densità di spinta superiori rispetto quelle dei propulsori elettrostatici.

Tuttavia, tale tecnologia propulsiva coinvolge fenomeni piuttosto complessi da indagare e descrivere analiticamente.

L’essenza dei propulsori elettromagnetici è illustrata in fig.1.14, in cui un fluido di lavoro elettricamente conduttivo e ionizzato è soggetto ad un campo elettrico E e ad un campo magnetico B, mutuamente ortogonali ed entrambi ortogonali alla velocità U del fluido.

(47)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

23

Se il gas ha una conduttività pari a ߪ, si crea una densità di corrente J = ો ∙ (۳ + ܝ ∧ ۰) che attraverserà il gas in direzione parallela ad E.

La densità di corrente J, interagisce con B generando una forza di massa F = J x B nella

direzione di U che accelera il fluido lungo il canale.

Tale processo può essere rappresentato in maniera alternativa, ma nella sostanza equivalente, da un punto di vista particellare, ovvero, in termini di traiettoria media degli elettroni portatori di corrente, i quali nel tentativo di seguire la direzione del campo elettrico, vengono ruotati a valle dal campo magnetico nella direzione del flusso. Il momento acquistato dagli elettroni viene poi trasferito al gas (gli ioni) per mezzo di collisioni e/o mediante microscopici campi polarizzati.

Fig. 1.14 Schema di funzionamento di un propulsore elettromagnetico.

Aldilà del tipo di rappresentazione si prediliga, è importante sottolineare che, in entrambe, il fluido di lavoro è macroscopicamente neutro, non ci sono cariche spaziali macroscopiche, pertanto non ci sono limiti di carica spaziale come accade nei propulsori elettrostatici.

Mentre le tecnologie propulsive precedentemente analizzate, offrono poche configurazioni, i propulsori elettromagnetici possono essere implementati in tanti modi diversi agendo su:

campi applicati, correnti interne che possono essere stazionari, pulsati o alternati sopra un dato intervallo di frequenze; il campo B può essere applicato esternamente o indotto dalla corrente; la geometria del canale, la disposizione degli elettrodi, la scelta del propellente, mezzi di ionizzazione sono tutti elementi suscettibili di variazione.

(48)

Capitolo 1 Introduzione

24 Tre sono i principali tipi di propulsori:

− Propulsori magnetoplasmadinamici (MPD) senza campo magnetico applicato (fig.1.15, 1.16) :

l’interazione tra corrente elettrica e campo magnetico indotto dalla corrente stessa, produce una forza di massa che accelera il fluido, direttamente proporzionale al quadrato della corrente con un fattore di proporzionalità dipendente dalla geometria del propulsore.

La cosa sorprendente è che la spinta non dipende dalla portata di massa di propellente. Gli impulsi specifici tipici ottenibili con propellenti gassosi variano dai 2000-3500 sec, rendimenti non superiori al 35%; potenze specifiche dell’ordine di 40 KW/N. Il problema legato a tali propulsori è legato ad un fenomeno di instabilità, l’onset, il quale si verifica quando si oltrepassa un certo valore limite di ௝

௠ሶ

.

Sono state fatte un gran numero di ipotesi per spiegare tale fenomeno senza però arrivare ad una sua completa cognizione.

Al di là di tutto si tratta di un fenomeno complesso che non ha una causa singola ma correlato ad una moltitudine di instabilità di tipo macroscopico e microscopico.

(49)

Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

25

Fig. 1.16 Schema di funzionamento di un motore MPD [5].

Fig. 1.17 Kink instability in un MPD per valori crescenti del rapporto tra corrente e flusso magnetico [5].

− Propulsori magnetoplasmadinamici (MPD) con campo magnetico applicato (fig.1.18):

presentano lo stesso principio di funzionamento e le stesse problematiche dei precedenti, eccetto per il fatto che in essi è presente anche un campo magnetico applicato esternamente per aumentare il rendimento di spinta alle potenze più basse. In tal caso, il campo magnetico complessivo sarà di tipo elicoidale, in quanto il campo applicato è assiale, mentre il campo auto-indotto è azimutale.

In tale configurazione, come illustrato nella figura sottostante, le linee di corrente si chiudono sull’anodo solo al di fuori del canale, rendendo più critici i test che richiedono camere abbastanza ampie in modo da diminuire la possibilità di interazione della parete della camera con il getto del motore.

(50)

Capitolo 1 Introduzione

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Fig. 1.18 Schema di funzionamento di un motore MPD con campo magnetico applicato

1.4 I propulsori ad effetto Hall

Il processo accelerativo caratteristico dei motori ad effetto Hall è di tipo elettrostatico, ma il campo elettrico auto consistente responsabile dell’accelerazione del fluido è legato a sua volta alla concomitante presenza di un campo elettrico e un campo magnetico mutualmente ortogonali. Pertanto, nonostante alcuni autori introducano tali propulsori nella categoria dei propulsori elettrostatici, altri nella categoria dei propulsori elettromagnetici, risulterebbe troppo semplicistico introdurre tale tipologia di propulsori all’interno di una delle classi sopracitate. Appare più corretto, pertanto, considerare tali propulsori in una categoria a sé stante.

Un approccio diverso, che ha riscosso grande approvazione, è stato utilizzato dai Russi, i quali asserirono che HET ed MPD potessero rientrare in un'unica categoria denominata “plasma thrusters”. L’implicazione più importante di ciò sta nell’assumere che il fluido di lavoro nel propulsore sia un mezzo che conduca elettricamente e che rimane quasi neutro attraverso il processo accelerativo. Chiaramente in tale categoria non rientrerebbero i motori a ioni il cui processo accelerativo è basato sulla separazione di carica, essi, pertanto sono considerati in una categoria a parte.

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Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

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Tralasciando questi aspetti formali, il funzionamento di un propulsore ad effetto Hall è caratterizzato dalla presenza di un campo magnetico generato da un opportuno circuito magnetico costituito da bobine percorse da corrente elettrica e da elementi ferromagnetici al fine di indirizzare le linee del campo nella zona di introduzione del propellente. Internamente, un oggetto funge sia da anodo che da iniettore, è un oggetto in metallo (titanio o acciaio) anulare avente sezione rettangolare con all’interno una sorta di labirinto che consente al gas di entrare in camera a pressione e densità uniformi. Il gas iniettato è generalmente Xenon, in virtù delle sue caratteristiche di massa atomica elevata e basso potenziale di ionizzazione, ma possono essere usati come propellenti anche altri gas nobili quali Argon e Kripton. Un catodo esterno funge anche da neutralizzatore, emettitore di elettroni, i quali tendono a fluire in direzione assiale verso l’anodo.

Gli elettroni, penetrando all’interno del motore, risentono del campo magnetico radiale e del campo elettrico derivante da una differenza di potenziale tra anodo e catodo. In presenza di E e B mutuamente ortogonali, una particela compie un moto cicloidale; elettroni e ioni derivano pertanto nella direzione E∧B.

Omettendo ulteriori dettagli sul processo accelerativo, i quali verranno trattati in seguito, in tale introduzione ci si limita ad evidenziare che gli elettroni, tendono a descrivere un’orbita circolare avente raggio molto piccolo se confrontato con quello degli ioni. Pertanto, gli elettroni provenienti dal catodo rimangono intrappolati nella zona di massima intensità del campo magnetico, il che annulla il loro moto verso l’anodo impartendo loro una velocità azimutale. Si forma una corrente elettronica azimutale ad elevata densità che ionizza il propellente iniettato dall’anodo.

Per effetto di equilibri elettrici interni, si forma un campo elettrico auto consistente; gli elettroni hanno prodotto una carica spaziale negativa e consentono l’accelerazione degli ioni i quali si muovono verso di essi per ristabilire la situazione di quasi neutralità. Per tale motivo gli HET sono definiti come motori a ioni senza griglia, pur differenziandosi notevolmente da questi ultimi.

Gli HET si presentano in due varianti: SPT (Stationary-Plasma-Thruster); TAL (Thruster with Anode Layer). Le principali differenza tra le due configurazioni sono evidenti in fig.1. 20 e verranno messe ulteriormente in risalto nei prossimi paragrafi.

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Capitolo 1 Introduzione

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Fig. 1.19 Schema di funzionamento di un HET.

Fig. 1.20 SPT e TAL a confronto: da notare come il canale di accelerazione nei TAL sia più corto, parte dei processi di accelerazione e ionizzazione avvengono fuori dal motore, tra i due elettrodi.

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Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

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Capitolo 1 Introduzione

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1.5 Evoluzione dei motori ad effetto Hall

Lo sviluppo dei propulsori ad effetto Hall ha inizio nei primi anni ’60 in maniera indipendente negli Stati Uniti e in Unione Sovietica. I primi dispositivi risalgono al 1962 e sono statunitensi, ma a causa del concomitante sviluppo dei motori a ioni e dei risultati insoddisfacenti ottenuti, ovvero bassi rendimenti di ionizzazione, gli esperimenti cessarono intorno gli anni ’70.

Nell’URSS, invece, l’attività di ricerca su questi propulsori coinvolse due gruppi di ricerca distinti. Il primo guidato da A.I.Morozov studiava un motore ad effetto Hall denominato SPT (Stationary Plasma Thruster) avente come particolarità una camera di accelerazione piuttosto estesa; il secondo gruppo, guidato da A.Z.Ahzrinov ne studiava un altro avente il canale di accelerazione più corto e denominato TAL (Thruster with Anode Layer) [7].

Il 29 Dicembre 1971, volò il primo prototipo di SPT, l’SPT-60 sul satellite Meteor. Dopo questo altri motori di dimensioni diverse hanno volato e solo dopo la guerra fredda l’occidente comprese le potenzialità di tale propulsore.

Per manovre di station-keeping su satelliti GEO sono stati usati motori da 1.35kW; un propulsore PPS-1350 è stato usato come sistema propulsivo principale per il trasferimento terra-luna di SMART1.

Dagli anni ’90 ad oggi l’interesse per tale categoria di propulsori è aumentato e attualmente lo sviluppo di tali motori è nei programmi spaziali di tutte le più grandi aziende mondiali che si occupano di propulsione.

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Modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall

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1.6 Motivazioni ed obiettivi della tesi

Il presente lavoro, svolto presso ALTA, riguarda l’elaborazione e conseguente validazione di un modello numerico della scarica in un propulsore ad effetto Hall.

Negli ultimi anni la propulsione ad effetto Hall ha trovato grandi spazi applicativi in campo spaziale. Ciò è stato possibile grazie ad un intenso lavoro sperimentale condotto nell’ex Unione Sovietica, negli Stati Uniti d’America e recentemente anche in Europa e soprattutto grazie ai moderni sistemi satellitari in grado di supportare a bordo la potenza elettrica necessaria per alimentare propulsori di crescenti dimensioni.

Da qui nasce l’esigenza di un modello numerico che sia in grado di descrivere in tempi di esecuzione relativamente brevi e con una certa accuratezza il complesso dei fenomeni fisici esistenti nel canale d’accelerazione di un propulsore ad effetto Hall nonché di predire i parametri integrali dello stesso. Pertanto, l’idea che è alla base della realizzazione del modello proposto è legata alla necessità di disporre di uno strumento duttile nella fase preliminare di progettazione del motore.

Con tale modello infatti, in tempi di esecuzioni brevi, si possono avere informazioni dettagliate sui parametri di prestazione del motore e la sensibilità di questi al variare dei dati geometrici e delle condizioni operative del propulsore. Altro vantaggio è rappresentato dal poter disporre, in tal modo, degli andamenti delle principali grandezze fisiche del fluido lungo il canale d’accelerazione i quali consentono una miglior comprensione fisica del processo accelerativo e degli aspetti caratteristici osservati nelle prove sperimentali.

La difficoltà e la complessità legate alla realizzazione di un modello di tal tipo sono denunciate e messe in evidenza in tutti gli articoli presenti in letteratura trattanti tale argomento. Esaminando alcuni di essi in modo dettagliato, per far tesoro delle precedenti esperienze in merito, diverse lacune sono state riscontrate sulle semplificazioni adottate, in alcuni casi troppo drastiche e non congruenti con la fisica del problema, altre trattazioni risultano poco dettagliate specie in merito all’algoritmo numerico adottato, in altre vengono introdotte ipotesi poco attendibili per giustificare pesanti incongruenze tra risultati ottenuti e dati sperimentali. L’insieme di tali fattori mette ancor di più in evidenza la complessità e l’importanza del lavoro svolto. Nonostante le semplificazioni sopra elencate, il modello tiene conto delle complesse interazioni tra effetti di natura elettrostatica, termica, cinetica caratteristici di un propulsore ad effetto Hall.

Riferimenti

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