4. DISCUSSIONE DEI RISULTATI
Lo scarico del rigassificatore comporta una concentrazione iniziale, allo scarico stesso, di ipoclorito di sodio di 2380 mg/mc. La legge stabilisce che il limite di concentrazione di cloro in mare deve essere di 0,2 mg/l, ovvero 200 mg/mc.
Perché la concentrazione dello scarico rientri nel limite consentito, deve diminuire del 91%, arrivando ad essere 214 mg/mc. Questo avviene ad una distanza di 54,80 m dallo scarico stesso.
Osservando le curve della velocità e della concentrazione sulla centerline (um e Cm)
si nota un medesimo andamento. I due parametri, infatti, decrescono proporzionalmente nelloo spazio. um vs. x 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 0 10 20 30 40 50 55 x um Grafico 1
Cm vs x 0 500 1000 1500 2000 2500 0 10 20 30 40 50 55 x Cm Grafico 2
Il punto di scarico si trova nelle primissime vicinanze dell’ancoraggio del terminale galleggiante, posizionato in coordinate 43°38’40” N – 9°59’40” E.
Dagli studi analizzati si evince che gli organismi marini,viventi o transitanti in tali zone, potrebbero, verosimilmente, subire effetti dovuti alle acque clorinate.
I maggiori impatti potenziali si hanno sul plancton, sulle varie forme larvali e sui pesci adulti.
Osservando nuovamente la distribuzione aerale del Merluccius merluccius (in rosso) si nota che ricade pienamente nell’area sito del rigassificatore che scaricherà acque clorinate a 5m di profondità.
Il Nasello1 appartiene al superordine dei Teleostei come il Persico2 protagonista di molti studi sugli effetti del cloro residuo sugli organismi.
La struttura branchiale è la medesima e lo stesso vale per il funzionamento.
Fig. 4.2 - Merluccius merluccius
1
Gadiformi, divisione dei Teleostei, sottoclasse Actinopterigi, classe Osteitti.
2
Si è visto che il pesce persico dopo 2 ore di esposizione a acque clorinate, a 15°C, con concentrazioni di cloro residuo di 1,3 mg/l perde l’equilibrio. Questo, è stato dimostrato, è dovuto alla sopraggiunta incapacità di trasportare ossigeno a causa dell’ossidazione dell’emoglobina da parte degli ossidanti prodotti dalla clorinazione.
Altri pesci riconducibili al persico, riscontrabili nell’area in studio, sono: la cernia, il ghiozzo, la triglia3.
Merluccius merluccius migra verso acque più profonde nella stagione invernale, mentre è presente a minori profondità nella stagione estiva. Gli adulti durante il giorno lasciano il fondo per alimentarsi.
Dalla soluzione trovata si ha che, a 54,80 metri di distanza dall’orifizio di scarico, la concentrazione di cloro residuo sarà di 214 mg/mc. Concentrazioni equivalenti a circa 1300 mg/mc si avranno intorno ai 9 m dall’immissione in mare ovvero a circa 14 m di profondità.
Anche la cernia (Epinephelus marginatus), vive la sua esistenza tra la superficie e 120 m di profondità.
Per ciò che riguarda il fitoplancton, anello primo della catena trofica in ambiente marino, tra i 10 e i 50 m, in periodo estivo, quando la colonna d’acqua è stratificata per via del termoclino che si stabilisce, si ha una fioritura di dinolagellate (Gymnodiceae) che segue quella primaverile di diatomee.
Concentrazioni da 50 a 150 mg/mc risultano in variazioni nella composizione di specie delle comunità. Questi livelli sono, addirittura, al di sotto del limite per la concentrazione di cloro rilasciato in mare consentito per legge.
Uova e larve di pesci ossei mostrano sviluppo anomalo anche già a concentrazioni di ipoclorito tra 0,31 e 0,38.
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Ad inizio autunno, a batimetrie comprese tra 100 e 200 m, sono individuabili aree adibite a nursery da giovani di Merluccius merluccius. Giovani di Mullus barbatus si trovano entro profondità di 50m, tra luglio e agosto.
Verosimilmente, a lungo andare (il periodo di vita per l’impianto è 25 anni), lo scarico di migliaia di metri cubi al giorno di acque clorinate andranno ad influire su un sistema già largamente compromesso e che, invece di essere ristabilito, visto i siti di interesse nei quali ricade o con i quali confina4, viene adibito a sito industriale.
Il progetto proposto5 non considera, né tale posizione è stata rivista nel tempo, alcuna alternativa al sistema qui descritto o al sito di costruzione.
Dall’analisi qui condotta emerge, invece, la necessità di approfondire alcune tematiche inerenti le ricadute locali del progetto e di valutare le opportunità, se ne esistono, di avanzare valide proposte alternative.
CONCLUSIONI
Il rigassificatore galleggiante da realizzare a 12 miglia dalla costa tra Livorno e marina di Pisa reca seco una serie di quesiti irrisolti legati, oltre che ai vizi nella procedura di autorizzazione, rilevati dallo stesso Ministero dell’ambiente6, all’approfondimento, come detto, delle tematiche legate al territorio.
Le principali ulteriori osservazioni su cui si vuole, per concludere, focalizzare l’attenzione sono:
- ancora sul sistema antibiofouling utilizzato nell’impianto;
- il prelievo, insieme all’acqua, di organismi del plancton, uova e larve; - il pericolo esistente in caso di eventi meteorologici estremi;
- la sicurezza del sistema di rigassificazione per l’approvvigionamento energetico del paese.
4
Santuario dei Cetacei; Riserva delle Secche della meloria; Parco dell’Arcipelago Toscano.
5
Progetto preliminare, Olt 15 febbraio 2003. Il progetto esecutivo non è stato, ad oggi, nonostante l’inizio dei lavori a terra, depositato.
6
Il sistema di rigassificazione proposto prevede, com sarà ormai chiaro, uno scarico a mare di acque clorinate, contenenti, cioè, ipoclorito di sodio prodotto per elettroclorazione dell’acqua di mare all’interno dell’impianto stesso.
Dal progetto autorizzato il 23 Febbraio 2006 non viene dichiarata esplicitamente la quantità di ipoclorito di sodio prodotta nell’impianto.
Viene, invece, sostenuto di recente dalla società proponente7 che “il cloro residuo verrà monitorato di continuo e mantenuto nel range tra 0,01 e 0,05 mg/l” ovvero tra 10 e 50 mg/mc.
Dal progetto e dagli studi presentati non viene dichiarato per mezzo di quale sistema tale contenimento potrà essere realizzato.
Per altri progetti di terminal di rigassificazione per GNL8 si dichiara che quando il cloro ha concentrazioni più elevate di 0,2 mg/l si realizza una riduzione dello stesso tramite miscelazione con biosolfito di sodio (Na2S2O):
_
Na2S2O + 2HClO + 6H3CO → 2SO4 + 2NaOH + 2Cl + 6CO2 + 3H2O
Per il rigassificatore che vedrà luce nelle acque di Livorno non viene descritto alcun sistema finalizzato al contenimento del contenuto di cloro nello scarico, contrariamente a quanto sostenuto.
Si immagina, dunque, che il sistema, così come da noi ipotizzato, scarica in mare acque con concentrazione di cloro residuo di circa 2,38 mg/l.
Ad oggi non esistono precisazioni a riguardo.
Non esiste, nella documentazione presentata, uno studio sull’effettiva perdita di biomassa e, quindi, di produttività primaria, dovuta al prelievo, insieme all’acqua, di plancton, oltre che uova e larve.
7
“Driver per azioni di cominicazione locale”. Olt, 26 Novembre 2007.
8
“Rapporto di valutazione ambientale dello scarico di acqua di matre con una concentrazione di 0,2 mg/l di cloro residuo”, GasNatural Internacional SDG SA, Taranto 2005.
Un’iniziativa del genere dovrebbe essere intrapresa per il sostegno degli stock della piccola pesca, che negli anni andrebbero diminuendo accelerendo la crisi già presente nel settore, e per il mantenimento in equilibrio degli ambienti marini e i suoi abitanti.
Nello studio qui realizzato si è condotta l’analisi su di un ambiente in assenza di correnti. Questo è verosimile in quanto le correnti, nell’area in studio, sono pressoché assenti.
In situazioni particolari, però, si sviluppano, insieme alle fortissime mareggiate, correnti superficiali generate da venti che soffiano a velocità tra 100 e 150 m/s.
Mancano approfondimenti riguardanti la possibilità di eventi estremi di tal portata e le conseguenze sulla nave-rigassificatore.
La variazione interannuale della frequenza media annuale del Libeccio a Livorno dal 1961 al 2000 mostra un’aumento di tale frequenza col passare degli anni.
Grafico 3
Di fronte a tale situazione si pongono le questioni relative alla tenuta della nave, adibita a terminale galleggiante composto da un’unica unità in cui dimorano il deposito di GNL e l’impianto di rigassificazione vero e proprio uno al fianco dell’altro.
La nave sarà ancorata tramite un complesso sistema di ormeggio. Verosimilmente, in presenza di venti di intensità attorno ai 130 m/s, al sistema di ancoraggio verrà applicata una tensione che movimenterà i materiali del substrato ovvero, per la maggior parte, i fanghi dragati dal porto e dalla darsena e ivi depositati.
Un vento così forte porterà, inoltre, vista la bassa profondità a cui è posto lo scarico (5 metri al di sotto della superficie), ad una interazione/interferenza col getto potendolo deviare verso altre zone, a seconda della direzione del flusso di corrente presente.
Allargando la visuale di investigazione ci si interroga su quanto questa vera e propria corsa ai rigassificatori sia la giusta scelta per il sistema di approvvigionamento energetico del paese.
Nel 2005 l’Italia ha consumato circa 86 miliardi di metri cubi di gas dei quali 73 miliardi importati.
Viene ipotizzato che nel 2010 il fabbisogno sarà di 100 miliardi e, tenendo costante il tasso di crescita, 115 miliardi nel 2015.
Con la realizzazione dei progetti attualmente presentati, autorizzati o in corso di autorizzazione, si avrebbero, nel giro di quattro, cinque anni:
- 95, 5 miliardi di mc di gas dalla rigassiicazione (11 impianti);
- 13 miliardi di mc di gas derivanti dal potenziamento dei gasdotti esistenti (da Algeria, Tunisia e Russia);
- 20 miliardi dai gasdotti di nuova realizzazione: IGI dalla Grecia, GALSI dall’Algeria9.
Quindi, entro il 2011, la totalità di gas in arrivo in Italia ammonterà a circa 128,5 miliardi di mc di gas, che si andranno ad aggiungere alla quantità già oggi importata (73 miliardi) e alla produzione nazionale che si aggira intorno ai 10 miliardi di mc. Per un totale di 211,5 miliardi di mc di gas.
Se ne deduce che, a fronte di un’ipotetica richiesta, al 2015, di 115 miliardi di mc, si manifesterà un’offerta equivalente a quasi il doppio. Anche con la realizzazione di soli 5 rigassificatori, invece degli 11 proposti (solo 35 miliardi di mc anziché 95,5), si avrebbe
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una situazione di eccesso arrivando, infatti, a circa 140 miliardi di mc di gas. Tanto da suscitare una domanda: a chi serve tutto questo gas?
Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico “l’Italia potrebbe, vista la sua posizione geografica, occuparsi dell’approvvigionamento del gas”, specie per quei paesi, in Europa, che non presentano sbocchi sul mare10.
I lavori per la costruzione del terminale galleggiante di rigassificazione con inizio previsto, stando alle autorizzazioni rilasciate alla società proponente, per Marzo 2007 sono, in realtà, iniziati nel successivo Agosto quando, pare, parte dei permessi era già scaduto.
Lo stesso progetto esecutivo, necessario alla conduzione dei lavori, da consegnare entro i primi mesi dell’anno 2007, ad oggi, non è ancora stato depositato.
La questione aperta dall’utilizzo dell’art. 8, L. 340/2000 non è ancora, nonostante i goffi tentativi di legittimazione, stata sciolta.
All’insicurezza sulla fine del gas in eccesso rispetto ai fabbisogni del paese, si aggiungono ulteriori domande rimaste aperte quali la sicurezza del nuovo modello di contrattazione sviluppato appositamente per gli impianti di rigassificazione, i contratti spot, secondo i quali, diversamente da quanto avviene per i rifornimenti via gasdotto, di durata pluriannuale, i contratti di fornitura di GNL, il gas da avviare a processo di rigassificazione, verranno stabiliti di volta in volta.
L’Autorità dell’Energia e del Gas ha, inoltre, stabilito, con delibera 178 del 200511 che, in caso di mancato esercizio da parte dell’impianto, si provvederà alla copertura di una quota pari all’80% dei ricavi di riferimento. Tale copertura “ha durata per un periodo di venti anni”.
10
Finanza Mercati, 26 Luglio 2006.
11
“Misure per incentivare la realizzazione e l’utilizzo di nuovi terminali”. Art. 13, comma 2, Delibera 178/05, Autorità Energia e Gas.
Alcune domande aperte, rimangono ancora senza risposta.
La mancanza di ricerca delle migliori alternative esistenti, di concordia tra le parti chiamate a decidere durante l’iter e la scelta della procedura da seguire sono sintomatiche dell’atteggiamento avuto nell’affrontare la questione.
La volontà, in particolare, di voler costruire un impianto nel bel mezzo del mare, ridefinito, per l’occasione, “sito industriale” provoca preoccupazioni per il futuro di questo specchio d’acqua, nel Tirreno del Nord, teatro nel passato, insieme alle terre che vi si affacciano, di uno slancio nella ricerca di uno sviluppo al servizio di tutti, in concordia tra uomo e ambiente e uomo e uomo, e che, al contrario, dal dopoguerra ad oggi, ha visto solo una corsa sfrenata verso il progresso, sempre più aggressivo, ricercato e voluto dal mondo creato dall’industrializzazione, divenuto, oggi, nell’era post-industriale, globalizzato e globalizzante.