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1. Livorno nel ‘600: porto della Toscana e porto del Mediterraneo

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1. Livorno nel ‘600: porto della Toscana e porto del

Mediterraneo

1.1 Le origini di Livorno e il suo sviluppo nel ‘600. Il porto franco e la politica di neutralità.

Le origini di Livorno e il suo sviluppo tra fine „500 e inizio „600.

All‟inizio degli anni ‟70 del „600 un ragazzino inglese di nome William Plowman giunse a Livorno, una città portuale che in pochi decenni era diventata uno scalo fondamentale per chi commerciava nel Mediterraneo nonché un ottimo luogo di residenza per numerose comunità mercantili straniere.

Come è ormai noto il castello di Livorno ricoprì un ruolo importante già nel basso medioevo all‟interno del sistema portuale pisano1

, quindi con il declino di Pisa e il passaggio sotto la dominazione fiorentina2 visse un lungo periodo di latenza fino alla seconda metà del‟500, periodo in cui per volontà dei Medici si ebbe il rapido e deciso sviluppo del porto.

Sotto Cosimo I3 vi furono vari interventi volti a favorire la crescita di Livorno, tra i quali spicca la costruzione del Canale dei Navicelli4, ma fu il figlio e successore Francesco I il primo a proporre e perseguire un progetto globale di sviluppo5. L‟idea del granduca era quella di sfruttare la posizione della Toscana nei rinnovati assi commerciali tra oriente e occidente in seguito alla battaglia di Lepanto e alla ricomparsa degli inglesi nel Mediterraneo.

L‟intuizione fondamentale fu quella di associare al porto una nuova città, una decisione che anticipava il fenomeno della fondazione delle città portuali che nei

1 O. Vaccari, La nascita della città portuale: un nuovo tema per la storia di Livorno, in D.

Pesciatini (a c.), Livorno dal Medioevo all‟età contemporanea: ricerche e riflessioni, Livorno, Banco di Sardegna, 2003, pp. 9-35.

2 Firenze comprò Livorno dai genovesi per 100.000 fiorini, cfr. L. Frattarelli Fischer, «Livorno

città nuova: 1574-1609», in Società e storia, XII (1989), n.46, p. 873.

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Cosimo I de‟ Medici (1519-1574) salito al potere nel 1537 ottenne il titolo di Granduca nel 1569.

4 Il canale, che congiunge Livorno a Pisa, fu scavato tra il 1564 e il 1575.

5 Francesco I de‟Medici (1541-1587), fu granduca di Toscana dal 1574. Sull‟importanza del

suo ruolo nello sviluppo di Livorno e sull‟effettiva “nascita” della nuova città cfr. Frattarelli Fischer, «Livorno città nuova: 1574-1609» cit e Ead., Le origini di Livorno e le Livornine, in P. Castignoli, L. Frattarelli Fischer, Le livornine del 1591 e del 1593, Livorno, Cooperativa edile Risorgimento, 1987, p. 1.

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decenni successivi si diffuse in tutta Europa. Nel 1577 fu Filippo Sassetti6 nel suo

Ragionamento sopra il commercio ordinato dal Granduca fra i suoi sudditi e la nazione del Levante a sostenere l‟importanza di rendere Livorno un

porto-deposito nel quale la presenza di abitazioni e magazzini, unita ad eventuali facilitazioni doganali, rendesse possibile ai mercanti trovarvi merci di ogni tipo per poter non solo vendere, ma anche acquistare il carico per il ritorno7.

Con il granduca Ferdinando I8 si ebbe la definitiva accelerazione nello sviluppo di Livorno, tanto che nel 1606 al nuovo centro abitato venne conferito lo status di città. Il nuovo granduca seppe sfruttare il periodo di carestia degli anni 1590-92 facendo di Livorno lo scalo chiave del Mediterraneo occidentale nell‟importazione e nello smercio dei grani del nord Europa, come affermano anche Fernand Braudel e Ruggiero Romano:

«…cette année est le tournant décisif de la fortune de Livourne, impensable sans les arrivées massives de blé nordique, car c‟est le blé qui ouvre largement le port à un large commerce international qu‟il n‟abandonnera plus de longtemps».9

Proprio nel 1591 Ferdinando I stipulò un contratto di navigazione con la regina d‟Inghilterra Elisabetta: in cambio della protezione ai mercanti toscani nel Mare

6

Filippo Sassetti (Firenze 1540, Goa 1588) conciliò la sua attività di commerciante con una preparazione culturale spiccatamente umanistica. Frequentò l‟università di Pisa dal 1568 al 1574 e in seguito entrò nell‟Accademia fiorentina e poi in quella degli Alterati. Lasciò l‟Italia nel 1578 per recarsi in Spagna e Portogallo come sovrintendente all‟azienda commerciale dei Capponi. A Lisbona gli fu offerta la direzione del traffico del pepe per conto di un mercante portoghese che ne aveva ottenuto l‟appalto dal re di Spagna. Perciò il S. partì per l‟India dove arrivò nel 1583 per stabilirsi a Goa. Importanti le sue lettere dall‟India, in particolare quelle al granduca Francesco I, che gli aveva chiesto informazioni precise sui posti da lui visitati, nonché due lettere, una a Bernardo Davanzati, l‟altra a Pietro Vettori, contenenti notizie sulle lingue dell‟India. Cfr. Grande

dizionario enciclopedico, Torino, Utet, 1961 (II ediz.), vol. XI, pp.470-1, voce curata da Azelia

Arici. Per ulteriori e più dettagliate informazioni sul Sassetti cfr. M. Milanesi, Filippo Sassetti Firenze, La Nuova Italia, 1973; F. Sassetti, Lettere da vari paesi (1570-1580), a c. di V. Bramanti, Milano, Longanesi, 1970.

7

Frattarelli Fischer, «Livorno città nuova» cit., p. 878. Per il Sassetti la creazione di un porto così ben attrezzato era fondamentale per attrarre i mercanti Levantini nel Tirreno, sottraendoli a Venezia ed Ancona e ridando così ossigeno all‟industria laniera fiorentina che era in crisi.

8 Ferdinando I de‟Medici (1549-1609), fu granduca di Toscana dal 1587. 9

F. Braudel, R. Romano, Navires et Marchandises à l‟entrée du Port de Livourne (1547 –

1611), Paris, Armand Colin, 1951, p. 51; cfr. Frattarelli Fischer, «Livorno città nuova» cit., p. 885

e i grafici in Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell‟età di Filippo II, trad. it. di C. Pischedda, Torino, Einaudi, 1986 (II ediz.), pp. 676-7.

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del Nord il granduca offrì una sicura base logistica sia ai convogli della Levant

Company che ai capitani avventurieri. Gli inglesi, che giunsero a Livorno per la

prima volta nel 157110, esportavano partite di piombo, stagno e i cosiddetti

baccalari cioè aringhe e baccalà salati11. Il pesce salato, il cui consumo era garantito nei paesi cattolici, rappresentò sempre una voce fondamentale nei traffici degli inglesi con Livorno, tanto che a metà „600 a Yarmouth, capitale del commercio di pesce salato nel Mediterraneo, si usava come unità di misura il

Legorne Barrel (barile di Livorno)12.

Sempre a Ferdinando I sono dovuti i principali provvedimenti volti ad attirare a Livorno i mercanti stranieri, o per riprendere le parole del bando del 1591 i «mercanti di qualsivoglia natione, Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portugesi, Greci, Todeschi et Italiani, Hebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani et altri»13. Si tratta delle celebri livornine14, un salvacondotto reale che garantiva tolleranza religiosa e salvaguardia delle persone e dei beni e che furono la base solida e necessaria per la convivenza generalmente pacifica fra cattolici e non cattolici15.

Se già da mezzo secolo l‟area di Livorno era stata oggetto di provvedimenti volti a favorire il popolamento16, il successo delle livornine e di altri provvedimenti contemporanei fu dovuto, oltre alle più ampie libertà concesse, alla particolare congiuntura favorevole che le accompagnò: dal già visto aumento del flusso mercantile ai rinnovati investimenti granducali che attirarono soprattutto addetti all‟edilizia e al porto17

.

La decisione di conferire nel 1606 a Livorno lo status di città sancì simbolicamente il punto di non ritorno nello sviluppo di questa realtà nuova,

10 Frattarelli Fischer, Merci e mercanti nella Livorno seicentesca, «magazzino d‟Italia e del

Mediterraneo», in S. Balbi de Caro (a c.), Merci e monete a Livorno in età granducale, Milano,

Silvana, 1997, p. 71.

11

Ibid.

12 E. Stumpo, Livorno in età granducale: la città ideale e la patria di tutti, in Balbi de Caro (a

c.), Merci e monete cit., p. 127.

13

Frattarelli Fischer, Le origini di Livorno cit., p. 17.

14

La prima livornina fu emanata il 30 luglio 1591, la seconda il 1 giugno 1593.

15 Frattarelli Fischer, «Livorno città nuova» cit., p. 886.

16 Già con Cosimo I si ebbero dei provvedimenti adottati nel 1547-48 cfr. E. Fasano Guarini,

Esenzioni e immigrazioni a Livorno tra sedicesimo e diciassettesimo secolo, in Atti del convegno «Livorno e il Mediterraneo nell‟età medicea», Livorno, Bastogi, 1978, pp. 56-59. Ead., La popolazione, in Livorno progetto e storia di una città tra il 1500 e il 1600, Pisa, Nistri-Lischi e

Pacini Editori, 1980, p. 202.

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caratterizzata da una comunità mercantile sempre più multietnica e da una scarsa presenza ecclesiastica18. Una città voluta direttamente dal potere statale e che ebbe un costante e deciso sviluppo assumendo una posizione di forza, sia verso la Toscana, dove, assieme a Firenze, rappresentò uno dei capisaldi della politica e dell‟economia granducale19

, sia verso tutto il Mediterraneo, in quanto vi si concentrarono molti affari che collegavano centri di produzione e di smercio di paesi stranieri20.

La connessione tra Livorno e l‟entroterra toscano è stata recentemente descritta da Rossano Pazzagli21. Egli ha posto l‟attenzione sulla regione economica basata sull‟asse centrale Firenze-Pisa-Livorno che si creò lungo l‟Arno. Il fiume però divenne infrastruttura solo grazie alla presenza dello Stato, che nel XVI secolo investì pesantemente su questo sistema viario con la creazione del già citato Canale dei Navicelli e con il raddrizzamento del corso del fiume nel tratto pisano. Grazie a questi e ad altri interventi «il corso dell‟Arno e il tracciato della via fiorentina (o pisana) vennero definitivamente costituendo, dunque, un corridoio vitale, collettore di flussi e di circuiti commerciali a livello regionale e subregionale»22.

La tesi di Pazzagli mitiga il vecchio schema della decadenza e della ruralizzazione della Toscana nel corso dell‟età moderna. Resta tuttavia evidente come la particolare ricchezza di Livorno fosse basata sulla presenza delle comunità mercantili straniere attratte e trattenute, tra l‟altro, da due tipologie di provvedimenti legislativi: il porto franco e la neutralità.

18

Frattarelli Fischer, «Livorno città nuova» cit, p. 893. La scarsa presenza di religiosi facilitava l‟applicazione delle libertà religiose previste dalle livornine. Inoltre Livorno era l‟unica città toscana senza un vescovo e divenne sede diocesana soltanto nel 1806.

19

R. Pazzagli, «La circolazione delle merci nella Toscana moderna. Strade, vie d‟acqua, porti e passi di barca nel bacino dell‟Arno», in Società e Storia, XXVI (2003), n. 99, p. 26.

20 A. Mangiarotti, Il Porto Franco (1565-1676), in Balbi de Caro, Merci e monete cit., p. 52.

Cfr. anche C. Ciano, Uno sguardo al traffico tra Livorno e l‟Europa del Nord verso metà del

Seicento, in Atti del convegno «Livorno e il Mediterraneo nell‟età medicea» cit., p. 151.

21

Pazzagli, «La circolazione delle merci nella Toscana moderna» cit., pp. 1-30.

22 Ivi, p. 5. Cfr. anche p. 23: le zone toccate dalle vie d‟acqua conobbero dalla metà del „500

alla seconda metà del „600 una decisa crescita demografica, a conferma della presenza di importanti flussi commerciali.

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11 Livorno e il suo sviluppo nel „600. Il porto franco.

A cavallo tra XVI e XVII secolo la volontà politica granducale era quella di favorire uno sviluppo contestuale di Pisa e Livorno. Fu significativa al riguardo la costruzione a Pisa nel 1605 delle Logge dei Banchi, luogo deputato al trattamento degli affari23. In quest‟ottica Livorno sarebbe stato lo scalo e Pisa la sede dei mercanti, ma questo schema resistette poco e negli anni Trenta del Seicento i mercanti avevano ormai lasciato l‟antica repubblica per la nuova città. Proprio a quel periodo risale la concessione granducale del “beneficio libero perpetuo”24 grazie al quale i mercanti potevano trattenere in deposito dietro pagamento di un piccolo dazio le merci destinate ai traffici lontani per un periodo di tempo illimitato25. Nel 1676 poi, con il motuproprio di Cosimo III, fu stabilito il regime legale completo di porto franco trasferendo tutte le gabelle nella sola tassa di stallaggio26, un provvedimento che dal punto di vista giuridico figurò come l‟accettazione di una supplica presentata dalle comunità mercantili di Livorno, fatto che dimostra l‟importanza che esse avevano assunto nel porto toscano27.

Per quanto vi fossero altri porti mediterranei a godere di regimi fiscali, gli scali concorrenti non poterono contare su di una politica altrettanto sensibile all‟accoglienza e alla permanenza dei mercanti stranieri. Ad esempio a Genova le politiche doganali non furono costanti, non vi fu mai lo sviluppo del deposito e i mercanti locali si opposero ai forestieri; Nizza era piccola e assieme a Villafranca era mal collegata con l‟entroterra; a Marsiglia il commercio di levante rimase in mano ai francesi scoraggiando la presenza straniera28. A Livorno invece il commercio di deposito fu, almeno nel XVII secolo, decisamente fiorente rappresentandone senza dubbio il punto di forza29.

23

A. Addobbati, Commercio rischio guerra. Il mercato delle assicurazioni marittime di

Livorno (1694-1795), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, p. 27.

24 Concesso nel 1629 da Ferdinando II. 25

Mangiarotti, Il porto franco cit., p. 37

26

Ibidem. La stessa tassa di stallaggio venne ritoccata.

27 Frattarelli Fischer, Livorno 1676: la città e il porto franco, in F. Angiolini, V. Becagli, M.

Verga (a.c), La Toscana nell‟età di Cosimo III, Atti del convegno, Pisa – San Domenico Fiesole

4-5 giugno 1990, Firenze, 1993, pp. 4-51-2.

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A. Hirst, Il porto franco di Livorno e la politica inglese nel Mediterraneo. Tesi di Laurea discussa nell'anno accademico 1995-1996 presso l'Università degli Studi di Milano. Relatore Isabella Superti Furga, correlatore prof. Nino Recupero.

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12 Livorno e il suo sviluppo nel „600: la neutralità

Nel corso del XVII secolo il Granducato di Toscana riuscì a stabilizzare e mantenere la propria posizione sulla scena internazionale mutando la propria politica con il mutare del contesto Mediterraneo ed Europeo30.

In particolare dall‟ascesa al trono di Cosimo II31

fino alla fine della guerra di Castro32 la Toscana si mosse nel consesso internazionale dando ampio spazio all‟utilizzo delle armi, in particolar modo nello scacchiere marittimo33

.

E‟ noto che già Ferdinando I fece di tutto per attirare corsari e uomini di mare, soprattutto inglesi34. Cosimo II quindi tentò di dare al Granducato un ruolo di punta nel Levante spostando il baricentro dell‟attività delle galere e dei cavalieri dell‟Ordine di Santo Stefano dalle scorrerie corsare a vere e proprie spedizioni militari35. Questa scelta però portò a pagare un notevole prezzo sia in termini economici sia umani e al tempo stesso fece diminuire i profitti della guerra di corsa che richiedeva una tipologia differente di naviglio. Dagli anni Venti del Seicento l‟attività marittima militare toscana conobbe un rapido e continuo declino dovuto a molteplici fattori. Stava mutando il quadro politico e navale estero, con un Mediterraneo sempre più trafficato da avversari temibili e una penisola destinata a tornare al centro dell‟attenzione delle grandi potenze; ma mutò anche il quadro politico interno con la morte di Cosimo II e l‟affidamento

30 F. Angiolini, Il lungo Seicento (1609-1737): declino o stabilità?, in L. Lotti (a c.), Storia

della civiltà toscana, vol. III, E. Fasano Guarini (a c.), Il principato mediceo, Firenze, Le Monnier,

2003, p. 42.

31 Cosimo II (1590 – 1621) fu granduca dal 1609.

32 La guerra di Castro (1641-44) vide contrapposti vari principi italiani, tra i quali Ferdinando

II granduca di Toscana, al papa Urbano VIII, che aveva occupato il feudo appartenente a Odoardo Farnese cognato di Ferdinando II. Per un quadro sulle guerre che intercorsero in Italia nel corso del „600 cfr. E. Lollini, Il genio bellicoso degli Italiani. Gli Italiani e il mestiere delle armi in età

moderna, Tesi di Laurea discussa nell'anno accademico 2006-2007 presso l'Università degli Studi

di Pisa. Relatore prof. Franco Angiolini, correlatore dott. Arturo Pacini. Sulle politiche militari, soprattutto in ambito terrestre, dei granduchi Medici nella prima metà del XVII secolo, cfr. C. Sodini, L‟Ercole tirreno. Guerra e dinastia medicea nella prima metà del „600, Firenze, Leo S. Olschki, 2001.

33 Angiolini, Il lungo Seicento cit., p. 42. 34

Ciano, Corsari inglesi al servizio di Ferdinando I, in Atti del convegno di studi «Gli inglesi a

Livorno e all‟Isola d‟Elba» (sec. XVII-XIX), Livorno, Bastogi, 1980, p. 79.

35 Angiolini, Il lungo Seicento cit., p. 44. Cosimo II investì anche su Livorno dove fece

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del governo al Consiglio di Reggenza la cui linea maggioritaria era contraria alla politica navale fino ad allora tenuta36.

L‟attrazione sempre maggiore che Livorno esercitava verso i mercanti stranieri rendeva l‟attività corsara una pratica più dannosa che remunerativa e la crescente necessità di interventi sul piano militare terrestre portarono infine Ferdinando II37 a vendere, nel 1647, le galere toscane al principe Grimaldi di Monaco, che agiva per conto del re di Francia38.

Da quel momento la Toscana non ebbe più un ruolo navale di significativo livello e si caratterizzò per una politica di neutralità che, se in un primo periodo fu osservata solo sul mare, divenne in seguito generale con lo smantellamento dell‟organizzazione militare del Granducato attuato da Cosimo III39

.

La politica granducale influì senza dubbio pesantemente sulla realtà livornese, ma secondo Andrea Addobbati si commetterebbe un errore di prospettiva nel confondere la posizione di neutralità del Granducato, che nacque in una congiuntura politica particolare e che era teoricamente revocabile, con la neutralità del porto che rappresentava invece un elemento costitutivo di quella realtà economico-politica e che non poteva essere revocata senza minare la funzionalità stessa del porto40.

Di neutralità del porto si può parlare già a partire dalla proclamazione delle famose Livornine poiché il garantire la convivenza pacifica di numerose comunità mercantili straniere rendeva necessario un reciproco rispetto della neutralità. Si trattava di una consuetudine che venne messa a dura prova nel 1646, quando Livorno fu minacciata dalla flotta francese inviata da Mazzarino e Ferdinando II dovette stipulare un trattato di neutralità con i francesi41, e nuovamente nel 1653 nell‟occasione della celebre battaglia di Livorno che vide fronteggiarsi inglesi e

36

Ivi, p. 46. Il Consiglio di Reggenza governò la Toscana tra il 1621 e il 1628, ovvero dalla morte di Cosimo II fino al raggiungimento della maggiore età di Ferdinando II. Al suo interno spiccavano le figure di Cristina di Lorena, granduchessa vedova di Ferdinando I e Maria Maddalena, arciduchessa d‟Austria vedova di Cosimo II.

37

Ferdinando II (1610 - 1670) fu granduca dal 1621.

38 Angiolini, Il lungo Seicento cit., p. 47.

39 Ivi, p. 51. Cosimo III (1642 – 1723) fu granduca dal 1670.

40 Addobbati, La neutralità del porto di Livorno. Costume mercantile, garanzia internazionale,

diritto interno, in corso di stampa.

41 Ibidem. Ferdinando II concesse ai francesi il libero uso del porto alle stesse condizioni

accordate alle altre nazioni europee e in quello stesso frangente procedette alla già menzionata vendita delle galere.

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olandesi. Per la lunga insistenza delle autorità granducali lo scontro avvenne fuori dal porto, tuttavia la sua neutralità risultò inevitabilmente messa in pericolo, e lo fu sempre di più nella seconda metà del XVII secolo allorché Livorno si affermò come mercato delle navi e delle merci predate dai vascelli da guerra e dai corsari di tutte le nazioni. Ciò esponeva lo scalo a possibili rappresaglie dalle quali, vista l‟esiguità della marina toscana, poteva difendersi solo con i cannoni della fortezza assolutamente insufficienti di fronte a flotte navali sempre più potenti e all‟aggressività di Luigi XIV che turbava gli equilibri europei e mediterranei42

. Fondamentale fu quindi, l‟approvazione del trattato di neutralità del porto di Livorno nel 1691. L‟iniziativa, che partì da Cosimo III, preoccupato per i rapporti tesi con la Francia e per la guerra cosiddetta della “Lega di Augusta” allora in corso43, andò in porto grazie alla collaborazione fondamentale dei consoli delle nazioni straniere di Livorno che negoziarono con il governatore Alessandro del Borro i punti dell‟accordo ratificato il 9 ottobre 1691 con il seguente testo44

:

«Concerto concordato da noi infrascritti consoli delle nazioni in guerra con il marchese e generale dal Borro governatore di Livorno per l‟osservanza della neutralità e sicurezza di tutti nel porto e spiaggia di Livorno, delli seguenti Articoli approbati da nostri sovrani e da noi segnati in nome e per parte medesimi nostri sovrani in vigore della facoltà pienamente da essi datacene.

1° Che al molo et alla spiaggia del porto di Livorno non fusse usata ostilità fra le dette nazioni;

2° Che qualsivoglia legno armato in guerra tanto regio che corsale ritrovandosi ancorato, sì al molo, come alla spiaggia, vedendo mettere al fanale segno di vascello, non dovesse partire, per andare incontro a quello che viene;

42

Addobbati, La neutralità cit.

43 I rapporti tra la Toscana e la Francia si fecero molto tesi nel 1691 allorché Cosimo III dette

in sposa la figlia Anna al principe Giovanni Guglielmo d‟Austria, Elettore Palatino, fratello della Regina di Spagna; una scelta vista come una minaccia dalla Francia. La guerra della “Lega d‟Augusta” (1688-1697) vide contrapposte la Francia alla Grande Alleanza al cui interno figuravano tra gli altri l‟Impero, l‟Inghilterra e la Spagna.

44 A ratificare il trattato furono i consoli inglese, francese, spagnolo e olandese. Cfr. Hirst, Il

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3° Che ritrovandosi dato fondo al molo, o alla spiaggia vascelli mercantili, tanto dell‟una, che dell‟altre nazioni, volendo partire, stesse nell‟arbitrio di partir prima, o poi, di quello che fu ancorato prima nel porto. E che in caso, che vi si trovassero ancorati vascelli armati in guerra, o regij, non potessero partire. che ventiquattro ore doppo. E che l‟istesso regolamento, si osservava anche tra i legni mercantili.

Et io Marco Alessandro del Borro di comandamento, e parte del Serenissim Granduca di Toscana mio signore, come suo governo di Liborno e la garantia di S.A., rispettivamente di tal trattato della neutralità presente, affermo e prometto quella del suo cannone, che sparerò sempre e subito contro il primo che sarà a sfidare l‟obbligo del presente trattato … e a tal verso farà l‟A.S. rendere esatta ragione dall‟insultante all‟insultato45

Questo trattato, nato per essere permanente, dovette essere rinnovato e modificato sulla base dei nuovi equilibri internazionali, all‟inizio di ogni guerra fino alla guerra dei Sette Anni46.

45 Hirst, Il porto franco cit., p. 156-7 e Addobbati, La neutralità cit. Ai tre punti iniziali fu

successivamente aggiunto un quarto punto a lungo dibattuto e controverso su proposta della nazione olandese volto a proibire in modo categorico l‟esercizio dell‟attività corsara e di perquisizione delle navi neutrali nelle acque antistanti Livorno.

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16 1.2 Livorno e gli stranieri: la comunità inglese nel XVII secolo.

I primi inglesi a Livorno: da marinai a mercanti

Come già visto i primi inglesi giunsero a Livorno nel 1571 a bordo della nave

La Rondine47 aprendo una rotta che divenne ben presto chiave per la presenza

britannica nel Mediterraneo48, tanto che già nel 1597 si registra la nomina di un console della nazione inglese a Livorno49. Negli stessi anni Ferdinando I volle sfruttare a proprio favore le notevoli capacità piratesche e l‟evoluto naviglio che gli inglesi portarono in dote a Livorno soprattutto in seguito alla pace del 1604 tra Spagna e Inghilterra50. Pertanto il granduca, con l‟intenzione di proiettare sul mare la Toscana e di sganciarsi dall‟influenza spagnola, attirò i corsari inglesi sia appoggiandone direttamente le imprese, sia inserendoli nella propria marina, come quando creò appositamente per loro una squadra navale da affiancare alle galere medicee e stefaniane51. Tra tutti gli uomini di mare inglesi che Ferdinando I ammirò e appoggiò spicca certamente la figura di Sir Robert Dudley52, al quale permise di guidare la costruzione di svariate navi per la marina granducale e di realizzare svariate opere ingegneristiche essenziali per la crescita di Livorno53.

47 Frattarelli Fischer, Merci e mercanti cit., p. 71. E‟ bene ricordare che secondo Braudel e

Romano La Rondine giunse a Livorno non nel 1571, ma il 23 giugno 1573, cfr. Braudel, Romano,

Navires et Marchandises cit., p. 49.

48 Occorre ricordare come già Francesco I nel 1585 «raccomandava alla regina Elisabetta di

proteggere “gli Appaltatori degli Allumi d‟Italia”, suoi sudditi, che desideravano servirsi delle navi inglesi, che giungevano a Livorno e negli altri porti italiani, “per condurre la lor Mercantia ne i Regni di Vostra Maestà et in altre parti della Francia, et Fiandra”»; G. Pagano de Divitiis,

Mercanti inglesi nell‟Italia del Seicento, navi, traffici, egemonie, Venezia, Marsilio, 1990, p. 20.

49 Si tratta del capitano irlandese Raymond Dawkins, accreditato dalla Trinity House, che fu

con ogni probabilità il primo a ricoprire questo ruolo; P. Castignoli, Aspetti istituzionali della

nazione inglese a Livorno, in Atti del convegno di studi «Gli inglesi a Livorno e all‟Isola d‟Elba» (sec. XVII-XIX), cit., pp. 104, e S. Villani, «I consoli della nazione inglese a Livorno tra il 1665 e il

1673: Joseph Kent, Thomas Clutterbuck e Ephraim Skinner» in Nuovi Studi Livornesi, XI (2004), p. 11.

50

M. D‟Angelo, Mercanti inglesi a Livorno 1573-1737. Alle origini di una “British Factory”, Messina, Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini”, 2004, pp. 36-8; Pagano de Divitiis,

Mercanti inglesi cit., p. 138.

51 C. Ciano, Corsari inglesi cit., pp. 79-82.

52 Sir Robert Dudley (1574-1649), figlio illegittimo del conte di Leicester (preferito della

regina Elisabetta), nel 1605 si trasferì in Toscana dove poté mettere al servizio dei Medici le sue conoscenze nel campo della matematica e dell‟ingegneria navale vivendo tra grandi onori.

53 D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., pp. 39-40; P. F. Kirby, Robert Dudley e le navi granducali

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Al di là delle figure di spicco la comunità inglese nel porto toscano fu in questa prima fase poco strutturata e il ruolo dei mercanti rimase in secondo piano. Ben lo dimostra la scelta dei primi due consoli, Raymond Dawkins e Thomas Hunt, entrambi accreditati dalla Trinity House, una corporazione marittima di soli piloti54. Thomas Hunt fu addirittura ammesso nella élite alla guida della comunità livornese e naturalmente era cattolico, come la gran parte degli inglesi allora presenti a Livorno55. Alla sua morte, nel 1621, si aprì però una disputa per la successione al ruolo di console tra il capitano cattolico Robert Thornton, accreditato dalla Trinity House, e il mercante protestante Richard Allen, designato dalla Levant Company56. Le autorità toscane chiesero alle parti di far pervenire da Londra dichiarazioni autentiche per porre fine alla diatriba e fu lo stesso re Giacomo I a dirimere la questione riconoscendo alla Compagnia del Levante il potere di nominare il console a Livorno e assegnando di conseguenza il ruolo ad Allen57.

La decisione di Giacomo I indica l‟importanza raggiunta dal porto toscano per i traffici inglesi e può essere indicata come cesura cronologica tra la prima fase della presenza inglese a Livorno, caratterizzata da una comunità non totalmente formata e dal ruolo di primo piano dei capitani, e la nuova fase a partire dalla quale si può parlare di una comunità realmente strutturata e dominata dalla presenza di mercanti, armatori e factors58.

54 La Trinity house, fondata da Enrico VIII nel 1515, nacque con lo scopo di aiutare la

navigazione fornendo a capitani e piloti segnalazioni relative a scogli e secche, in corrispondenza degli approdi e lungo tutto il litorale britannico; Castignoli, Aspetti istituzionali della nazione

inglese, cit. p.104.

55

Ivi, p. 103. Per un quadro relativo ai mercanti inglesi a Livorno fino a questa data cfr. D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., pp. 34-43, e H. A. Hayward, Gli inglesi a Livorno al tempo dei

Medici, in Atti del convegno «Livorno e il Mediterraneo nell‟età medicea» cit., pp. 269-70.

56 A parere di Allen, Giacomo I avrebbe dato facoltà di eleggere consoli alla compagnia fin dal

14 dicembre 1605 «per migliore governo di loro traffico et accrescimento di esso in diversi porti dove negoziassero»; Castignoli, Aspetti istituzionali della nazione inglese cit., p. 105.

57 Ibid.

58 Ivi, p. 106, Villani «I consoli della nazione inglese» cit., p. 11. I factors erano agenti che si

(12)

18 Gli inglesi a Livorno: l‟ascesa e la «British Factory»

La presenza dei mercanti d‟oltremanica a Livorno divenne stabile pochi anni dopo, tra il 1625 e il 1628, quando l‟Inghilterra accentrò le proprie rotte mediterranee sul porto toscano a causa dei conflitti insorti con la Francia e la Spagna59. Già negli anni ‟40 del „600 la comunità inglese, pur essendo numericamente esigua, annoverava tra le sue fila i mercanti più facoltosi della città, attorno ai quali ruotava una nutrita folla di familiari, dipendenti, piccoli mercanti che rendeva più colorita e visibile la presenza britannica nelle strade livornesi60.

In seguito, con l‟ascesa al potere di Cromwell, si aprì un periodo florido per tutte le classi mercantili inglesi che beneficiarono delle politiche connesse al famoso Atto di Navigazione (1651). L‟atto impose «che le merci che giungevano via mare in Inghilterra dovessero essere trasportate o su navi inglesi o su navi dei paesi produttori»61 ed era pensato per contrastare direttamente gli olandesi, che reagirono dando luogo alla prima guerra anglo-olandese62.

Questa politica aggressiva portò gli inglesi a sfruttare Livorno non solo come base commerciale, ma anche come base militare per la flotta impegnata nel Mediterraneo nella scorta ai mercantili e nelle spedizioni punitive verso i corsari barbareschi63, una scelta che preoccupò i mercanti inglesi dello scalo che non potevano fare a meno del fragile equilibrio di libertà e sviluppo economico che

59 Pagano de Divitiis, Mercanti inglesi cit., p.132.

60 D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., p. 66-7. Una fonte fiscale del 1642 ci indica la presenza di

10 mercanti inglesi a Livorno su un totale di 171 (80 ebrei, 33 francesi, 8 fiamminghi), la quota dei mercanti inglesi salirà nel corso del secolo attestandosi sulle 20-25 unità.

Per ulteriori indicazioni sul numero degli inglesi presenti a Livorno cfr. Villani, "Una piccola

epitome di Inghilterra". La comunità inglese di Livorno negli anni di Ferdinando II: questioni religiose e politiche, in S. Villani, S. Tutino, C. Franceschini (a c.), Questioni di storia inglese tra Cinque e Seicento: cultura, politica e religione. Atti del seminario tenutosi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa l‟11 e 12 aprile 2002, < http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/villani.html >, paragrafo 22.

61

A. Prosperi, P. Viola, Storia moderna e contemporanea, vol. II, Dalla Rivoluzione inglese

alla Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 2000, pp. 40-1.

62 Alla prima guerra, svoltasi negli anni 1652-54, si aggiunse, nel periodo 1665-67, la seconda

guerra anglo-olandese. Entrambi i conflitti si risolsero a favore degli inglesi.

63 D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., p. 83. «Per i seguenti 200 anni la Marina Britannica fece di

Livorno o Leghorn la sua base regolare per le navi di pattuglia tra Gibilterra e il Levante», Hayward, Gli inglesi a Livorno cit., p.271. Probabilmente Hayward esagera, ma è indubbio che per molto tempo gli inglesi sfruttarono Livorno quantomeno per il rifornimento delle flotte militari spedite nel Mediterraneo.

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rendeva unico il porto toscano tra tutti i porti italiani, ed è forse anche per questo che nel 1660 festeggiarono con grande sfarzo la restaurazione degli Stuart64.

Carlo II tuttavia mantenne e anzi rafforzò il ruolo di Livorno come punto di appoggio per i convogli della Royal Navy, ma ciò non eliminò la presenza olandese65, né sembrò turbare i traffici inglesi se consideriamo che nel 1667 il residente inglese in Toscana Sir John Finch giunse a definire il porto toscano «Magazine and Scale of the English Levant Trade»66.

L‟ottima collocazione geografica, le leggi e le infrastrutture che favorirono lo sviluppo della funzione di deposito, l‟aver strappato a Genova la direttrice commerciale che univa Milano al Tirreno, resero irresistibile Livorno anche e soprattutto per gli inglesi interessati ad un porto di confine in grado di comunicare con il Levante e con l‟Oriente e di accogliere veramente le comunità straniere. A tal proposito sono esemplari le parole di Edoardo Grendi nel suo studio sugli inglesi a Genova:

«I granduchi avevano inventato un centro portuale per così dire

liminale: un mostro che era del tutto fuori dalle consolidate pratiche

della sovranità genovese e che doveva ossessionarle per un paio di secoli67».

Analizzando i traffici di Livorno Jean Pierre Filippini ha individuato una triplice funzione del porto toscano che nell‟età moderna fu contemporaneamente

64 D‟Angelo, Mercanti inglesi cit p. 85 e pp. 93-8; Villani ”Se è vero secondo Galileo che il

mondo ha suo moto quotidiano non è da maravigliarsi della instabilità d‟ogni cosa in esso…”. Charles Longland: un “rivoluzionario” inglese nella Livorno del „600, in C. Ossola, M. Verga,

M. A. Visceglia (a c.), Religione, cultura e politica nell'Europa dell‟età moderna. Studi offerti a

Mario Rosa dagli amici, Firenze, Olschki, 2003, pp. 591-3. La sontuosità dei festeggiamenti

indica anche la notevole ricchezza economica raggiunta dai mercanti inglesi di Livorno.

65

Hayward, Gli inglesi a Livorno cit., p. 272

66 Public Record Office, State Paper, 98/8, Livorno 4 e 11 aprile 1667, Finch ad Arlington;

citato da Pagano de Divitiis, Mercanti Inglesi nell‟Italia del Seicento cit., p. 140 e D‟Angelo,

Mercanti inglesi cit., p. 109. Sir John Finch, prestigioso intellettuale, studiò tra Cambridge e

Padova e quindi fu professore di anatomia presso l‟Università di Pisa tra il 1659 e il 1664.

67 E. Grendi, «Gli inglesi a Genova (secoli XVII-XVIII)», in Quaderni storici, XXXIX (2004),

n.115, p. 248; corsivo nel testo. Rinvio a questo interessante saggio per un quadro sulla realtà inglese a Genova.

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porto regionale, porto peninsulare e porto internazionale68. Gli inglesi, interessati in prima istanza ai traffici col Levante, seppero rapidamente inserirsi in queste molteplici funzioni gestendo molti commerci diretti dal Granducato verso altri mercati mediterranei e anche extra mediterranei come nel caso del cosiddetto

caviar business che si svolgeva tra la Toscana e la Russia69.

Il controllo costante di tutti questi traffici fu possibile per gli inglesi solo grazie ad una complessa organizzazione. Mercanti e factors britannici non si riunivano più solamente in periodi di difficoltà70, ma si presentavano all‟esterno e all‟interno come un corpo compatto sotto la guida del console, erano cioè riuniti in una

British Factory71.

La British Factory, o English Factory, era un‟organizzazione tipicamente britannica che si formò nel „6-„700 nei porti dove la presenza inglese era importante72. Essa svolgeva numerose funzioni tipiche delle corporazioni mercantili, dei clubs o delle società di mutua assistenza, ma era caratterizzata da una compattezza e unitarietà difficilmente eguagliabili grazie al ruolo di guida attribuito al console ed è per questo che Michela d‟Angelo è giunta a definirla «a kind of Chamber of Commerce cum Consulate»73. Un altro elemento che determinava la compattezza era l‟esclusione di alcuni mercanti e factors: la nazionalità inglese infatti era necessaria ma non sufficiente, e generalmente erano i cattolici e i soci di stranieri a trovare chiuse le porte della Factory74.

68 J.P. Filippini, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Napoli, Edizioni Scientifiche

Italiane, 1998, Vol. 1, pp. 48-63. Questo schema è stato ripreso da Lucia Frattarelli Fischer che ha scritto di Livorno: «si presenta come un porto regionale di notevole importanza per i commerci della Toscana, è porto di deposito e di traffico fra il Nord Europa e il Mediterraneo ed è anche mercato che fornisce diverse parti d‟Italia»; Fischer, Merci e mercanti cit., p. 88.

69 D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., pp. 109-13; Hirst, Il porto franco di Livorno cit., pp.

175-90; Pagano de Divitiis, Mercanti Inglesi nell‟Italia del Seicento cit., p. 27.

70 Come nel 1608 quando gli inglesi di Livorno si definirono English nation in una petizione

presentata al Granduca; D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., p. 149.

71

D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., pp. 143-154.

72

British Factory si formarono a Lisbona, Buenos Aires, Goteborg, Surat, Madeira, Singapore oltre che a Livorno; D‟Angelo, Mercanti inglesi cit., p. 145. La Factory di Livorno, come molte altre, non ebbe mai un riconoscimento ufficiale da parte del governo inglese, ma questo non le impedì di inserirsi attivamente nei rapporti politici anglo-toscani.

73

D‟Angelo, The British Factory at Leghorn: a kind of Chamber of Commerce cum Consulate, in C.Vassallo (a c.), Consolati di Mare and Chambers of Commerce, La Valletta, Malta University Press, 2000, p. 113.

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21 Il ruolo dei consoli

Abbiamo già accennato in precedenza alla disputa avvenuta nel 1621 tra l‟Allen e il Thornton per ricoprire il ruolo di console della nazione inglese, ma la storia di questa comunità è ricca di episodi simili che possono aiutarci a capire l‟evolversi dei rapporti di forza sia interni che esterni ad essa. Esemplare fu il caso della nomina a console di Livorno di John Burrow avvenuta nel 1701. In quel caso infatti il governo inglese dovette scegliere tra il suddetto Burrow, sostenuto da numerosi mercanti di Londra commercianti con Livorno, e John Horsey, membro della Factory livornese e appoggiato dalla stessa75.

E‟ necessario non confondere il ruolo politico degli ambasciatori e inviati della corte inglese all‟estero con quello dei consoli che erano «purely commercial agents, and only took part in politics in absence of a diplomatic representative»76. Questo schema si adatta anche a Livorno dove «non si ammettono né patenti né ministri sotto qualunque titolo che siano eziandio agenti, e che si ricercano solo i consoli che non hanno né figura né rappresentanza alcuna, ma sono semplici capi di mercanti»77.

Essendo generalmente mercanti, i consoli non potevano godere di particolari immunità poiché erano titolari di contratti e quindi sottoposti alla giurisdizione locale, tuttavia era inevitabile che si occupassero anche di questioni diplomatiche essendo i primi referenti degli ambasciatori e degli inviati78. Guardando a Livorno è evidente che il loro peso diplomatico-politico crebbe nel corso del „600, basti pensare al trattato di neutralità del 1691 che li vide protagonisti, anche se probabilmente grazie a procure reali particolari79. Più in particolare i consoli inglesi svolsero la funzione di agent for prizes riferendo le notizie di catture di prede da parte di bastimenti inglesi e a Livorno poterono ottenere informazioni di ogni tipo soprattutto quando, a fine XVII secolo, l‟ammiragliato inglese stabilì

75

Ivi, p. 171. Sui consoli inglesi a Livorno cfr. Villani, «I consoli della nazione inglese» cit.

76

M. Lane, The Diplomatic Service under William III, Royal Historical Society Transaction, Fourth Series, vol. X, p. 97. Citato da Pagano de Divitiis (a c.), Il commercio inglese nel

Mediterraneo dal „500 al „700. Corrispondenza consolare e documentazione britannica tra Napoli e Londra, Napoli, Guida Editori, 1984, p. 36.

77

Citato in Castignoli, Aspetti istituzionali della nazione inglese, cit. p.113 e tratto da Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 4236, nota del 26 novembre 1700 e successive.

78 Grendi, «Gli inglesi a Genova» cit., p. 264.

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che i vascelli della Royal Navy attivi nel Mediterraneo si recassero nel porto toscano per i rifornimenti necessari, rendendo così lo scalo dei granduchi un osservatorio privilegiato sulla situazione politica e militare del Mare Nostrum80.

Due temi per la storia degli inglesi a Livorno: la religione e la sanità.

La più volte citata nomina dell‟Allen a console nel 1621 vide il prevalere dei mercanti sui marinai all‟interno della comunità inglese di Livorno, ma vide anche il prevalere dei protestanti sui cattolici. Questo mutamento è importante perché i protestanti inglesi tentarono continuamente di ottenere dalle autorità toscane il permesso di poter manifestare apertamente la propria religione.

Le richieste principali erano due: la possibilità di avere un ministro protestante per amministrare i sacramenti ai correligionari e la possibilità di avere un cimitero per seppellire i protestanti morti a Livorno81.

E‟ bene ricordare che dopo lo scisma di Enrico VIII i paesi cattolici furono sostanzialmente interdetti ai viaggiatori protestanti inglesi. Le cose cambiarono soltanto con il trattato di pace del 1604 tra Inghilterra e Spagna che riaprì ufficialmente le porte dei paesi cattolici agli inglesi protestanti. L‟Inquisizione, prima quella spagnola, poi quella romana, non rappresentò più una seria minaccia per i viaggiatori protestanti che da allora poterono venire e mantenere la loro fede. Tuttavia agli “eretici” venne rigorosamente impedita la celebrazione pubblica dei riti e il proselitismo82. Come ha evidenziato Stefano Villani la parola chiave che delimitò la tolleranza verso i protestanti era “scandalo”. Una parola non casuale che evidenzia come le preoccupazioni della Chiesa fossero rivolte principalmente al rischio che «si potesse introdurre subdolamente l‟idea che alcune delle prescrizioni della Chiesa cattolica non fossero poi né rilevanti né giuste»83.

80 Hirst, «La politica inglese dei convogli nel Mediterraneo tra fine „600 ed inizi „700 con

particolare riferimento al porto di Livorno», in Nuovi Studi Livornesi, VI (1998), pp. 56-57.

81 S. Villani, Religione e politica: le comunità protestanti a Livorno nel XVII e XVIII secolo, in

Pesciatini (a c.), Livorno dal Medioevo all‟età contemporanea cit., p. 41.

82 Villani, «”Cum scandalo catholicorum…”. La presenza a Livorno di predicatori protestanti

inglesi tra il 1644 e il 1670», in Nuovi studi livornesi, VII (1999), p. 14.

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Il limite dello “scandalo” creò a Livorno una zona di conflitto tra le autorità inquisitoriali e le autorità granducali che, per necessità commerciali ed economiche, favorirono l‟insediamento di comunità di stranieri anche protestanti. L‟Inquisizione fu così una presenza discreta nella realtà livornese e anche nei casi in cui interveniva le autorità civili si impegnavano a fare di tutto per trovare una soluzione di compromesso84. All‟interno di questo gioco politico si inserirono i mercanti inglesi che tentarono più volte di spostare in avanti il limite della tolleranza85.

Un tentativo eclatante risale al gennaio 1644 quando su un settimanale londinese apparve la notizia che a Livorno (“a poche miglia da Roma”) un bambino era stato battezzato con rito protestante86. L‟articolo sottolineava come questo battesimo fosse stato celebrato mentre era in corso una guerra che vedeva contrapposti il Granducato e Roma87 e forse gli inglesi speravano, in questo frangente, di poter dare spazio a una propaganda protestante in Toscana88. Ad ogni modo il granduca Ferdinando II era stato avvisato in anticipo da Robert Sainthill, agente del re inglese residente a Livorno, dell‟arrivo del ministro protestante e certamente aveva dato una forma di assenso. Quello che Sainthill però non capì fu la necessità di non dare pubblicità alla presenza del predicatore e alle sue attività e così fu la stessa Congregazione del Sant‟Uffizio a intervenire elevando formale protesta nel maggio 1644 e rendendo inevitabile per il granduca ordinare l‟allontanamento del “predicante” inglese89

.

Altre due espulsioni di predicatori avvennero nel 1645 e 164990. In entrambi i casi il granduca prese tali decisioni soltanto quando non ebbe più alternative, nonostante non avesse da temere reazioni da oltremanica, dato che l‟Inghilterra in

84 Ibid. 85

Ivi, p. 16. Secondo Elsa Luttazzi però queste limitazioni al vivere la propria religione furono

un elemento importanze nel garantire proprio la tolleranza nella Livorno del XVII secolo. In una città portuale, dove agli abitanti stanziali si mescolavano marinai e viaggiatori di ogni luogo, le libertà si poggiavano sulla duplice politica di apertura e di messa a punti di efficaci strumenti di controllo; E. Luttazzi, Alcune considerazioni su conflitti e controllo sociale a Livorno in età

moderna, in Pesciatini (a c.), Livorno dal Medioevo all‟età contemporanea cit., pp. 70-1, 78.

86 Villani «”Cum scandalo catholicorum…”» cit., p. 9. 87 Ibid. Si trattava della guerra di Castro.

88

Villani, Religione e politica cit., p. 43.

89 Ivi, pp. 42-3.

90 Per i dettagli di questi ed altri avvenimenti relativi alla presenza di predicatori protestanti

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quegli anni era lacerata dalle guerre civili91, fatto che indica quanto Firenze tenesse allo sviluppo dei traffici attraverso Livorno.

Un decennio più tardi, nel 1658, il problema tornò a porsi con la permanenza a Livorno di due ministri anglicani: Daniel Harcourt e Eleazar Duncon, la cui presenza fu denunciata dal sacerdote irlandese William Mergin. La situazione internazionale era però mutata poiché l‟Inghilterra era adesso una delle maggiori potenze europee. Ferdinando II dovette perciò mostrarsi ancora più prudente e temporeggiò permettendo ai due ministri di rimanere a Livorno per alcuni mesi sostanzialmente indisturbati92.

Un altro tentativo si ebbe dopo la restaurazione di Carlo II. Il sovrano inglese accreditò nel 1665 come residente inglese presso la corte medicea Sir John Finch il quale chiese a Londra la nomina formale di un cappellano per la Factory di Livorno credendo che il clima fosse favorevole93. Ma, come Sainthill prima di lui, egli sottovalutò la complessità della politica italiana e tra il 1666 e il 1670 furono eseguite numerose espulsioni di predicatori inglesi94. In questo caso però la questione della libertà di culto per la comunità inglese era diventata una questione di Stato essendo stata respinta una richiesta formalizzata addirittura da Londra95. Fu ancora lo “scandalo” a segnare il confine della tolleranza religiosa, infatti il granduca si difese affermando come egli fosse intervenuto soltanto in seguito alle proteste delle autorità ecclesiastiche, che lui giudicava le autorità preposte a determinare la presenza dello scandalo96.

Un nuovo conflitto scoppiò nel settembre 1685 allorché William Upton, mercante inglese residente a Livorno, fece battezzare il suo bambino da un ministro presbiteriano a bordo di una nave inglese approdata nel porto, un certo Mr. Inglis, andando così contro il costume, sino ad allora seguito dagli inglesi, di far battezzare i bambini in Duomo97. La reazione del governo toscano non si fece attendere poiché in meno di un mese l‟Inglis venne arrestato e si impose all‟Upton

91 Villani, Religione e politica cit., p. 44. 92 Ivi, pp. 44-5.

93 Ivi, pp. 45-6. 94

Ibid.

95 Villani, «”Cum scandalo catholicorum…”» cit., p. 28. 96 Ivi, p. 31.

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di far ribattezzare il figlio secondo il rito cattolico, condizione necessaria per la liberazione del “predicante”98. L‟aspetto più importante di questa vicenda fu la fermezza con la quale il governo toscano affrontò la situazione, un atteggiamento in contrasto con la politica moderata e temporeggiatrice fino ad allora mostrata. Stefano Villani ha sottolineato che l‟episodio mostra «come le libertà concesse ai protestanti residenti a Livorno fossero direttamente e immediatamente legate alle ragioni della politica»99, infatti la presenza sul trono di Inghilterra di un sovrano cattolico, Giacomo II, fece sì che i mercanti protestanti di Livorno fossero considerati eretici anche in patria cosa che li privava di qualsiasi sostegno politico100. Occorre specificare che vi erano evidenti difficoltà in Toscana, e del resto in tutta Italia, a comprendere la rivoluzione politica che visse l‟Inghilterra del XVII secolo, soprattutto per quanto riguarda il tema della libertà di coscienza che ne costituì un aspetto fondamentale. Non è un caso se tra i protestanti furono proprio gli inglesi ad avanzare maggiori pretese ai granduchi, i quali affrontarono il tema della libertà di coscienza con sostanziale indifferenza per le questioni di principio, preoccupandosi soltanto dei risvolti politici101.

L‟atteggiamento politico cambiò nuovamente a seguito della Gloriosa Rivoluzione quando, come console inglese a Firenze, venne nominato Lambert Blackwell che divenne poi inviato nel 1697. Blackwell, di cui parleremo più approfonditamente in seguito in relazione al “caso Plowman”, pose la questione di poter tenere presso di sé un cappellano che servisse come ministro sia alla nazione inglese che a quella olandese102. I tempi però non erano ancora maturi e soltanto nel 1707 la comunità inglese di Livorno poté avere un ministro protestante. Fu Basil Kennett il primo cappellano della comunità inglese ufficialmente riconosciuto e il suo arrivo fu il risultato di un‟aspra contesa tra il nuovo inviato inglese, Henry Newton, fortemente pressato dal segretario di stato Sunderland, e le autorità toscane. Il problema divenne estremamente serio tanto che la regina Anna giunse a minacciare sia l‟intervento armato, sia di riservare ai preti cattolici, assegnati all‟ambasciatore del granduca in Inghilterra, lo stesso trattamento che

98 Ivi, pp. 47-8. 99

Ivi, p. 49.

100 Ivi, p. 50.

101 Villani, «”Cum scandalo catholicorum…”» cit., pp. 38-9. 102 Villani, Religione e politica cit., pp. 50-1.

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subivano i predicatori protestanti in Toscana. Alla fine Cosimo III dovette cedere, se non pienamente nella forma, certamente di fatto103.

L‟insediamento del cappellano non segnò la fine degli attriti tra i protestanti livornesi e le autorità toscane; infatti altri casi sono documentati per gran parte del Settecento, ma essi riguardarono singoli individui e non coinvolsero più la comunità intera104.

Parallela alle vicende finora analizzate fu la questione relativa alla creazione di un cimitero per seppellire i protestanti inglesi morti a Livorno. La Chiesa era preoccupata dalle celebrazioni pubbliche che potevano accompagnare i funerali protestanti e soprattutto dal fatto che persone morte al di fuori della Chiesa cattolica fossero sepolte con conveniente decoro105. L‟Inquisizione intervenne, ad esempio, nel 1609 arrestando il marinaio William Davies che aveva seppellito a Livorno un suo connazionale secondo i riti protestanti106.

La Chiesa cattolica pretendeva che i protestanti venissero sepolti in un campo aperto, senza alcun monumento funebre sulla tomba, ad evidenziare la loro posizione al di fuori del consorzio civile107. A maggior ragione la recinzione dei cimiteri acattolici (quindi anche ebrei) era vietata, soprattutto per il timore che vi si potessero svolgere riti religiosi protestanti. Non a caso, quando furono permesse, le recinzioni non dovevano mai impedire la vista del cimitero dall‟esterno108

.

Condizioni dure da accettare per i mercanti inglesi che di fatto iniziarono ad edificare tombe di pietra in un campo posto fuori di Livorno109. La prima tomba conservata è quella di Leonard Digges e risale al 1646, ma è probabile che gli inglesi seppellissero in quel posto sin da fine „500110

.

103 Castignoli, Aspetti istituzionali della nazione inglese cit., pp. 108-11; D‟Angelo, Mercanti

inglesi cit., pp. 154-59.

104 Per i dettagli su queste vicende e la loro analisi cfr. Villani, Religione e politica cit., pp.

51-9 e note relative.

105

Villani, Religione e politica cit., pp. 60-1.

106

Per le vicende di William Davies cfr. A. Neri, Uno schiavo inglese nella Livorno dei

Medici, Pisa, ETS, 2000.

107 Villani, Religione e politica cit., p. 61.

108 S. Villani, «Alcune note sulle recinzioni dei cimiteri acattolici livornesi», in Nuovi Studi

Livornesi, XI (2004), p. 37.

109 Villani, Religione e politica cit., pp. 61-2. Il cimitero era situato in località Fondo Magno,

oggi via Verdi.

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Anche la comunità olandese aveva un proprio cimitero ed essa fu la prima a tentare di costruire un muro di recinzione per il quale ottenne il permesso soltanto nel 1695 dopo anni di polemiche111. A questo punto anche gli inglesi pretesero di poter costruire un muro e nel 1706 ottennero la promessa che non sarebbero stati ostacolati nell‟edificazione. Nonostante ciò però essi non costruirono la recinzione fino al 1746112.

Un altro aspetto che creò forti tensioni tra gli inglesi dimoranti e in transito a Livorno e le autorità toscane fu l‟osservanza degli obblighi della sanità marittima. Queste incomprensioni derivavano dal diverso atteggiamento verso le questioni sanitarie tra l‟Inghilterra e l‟Italia settentrionale che, fin dalla nota pandemia di peste che sconvolse l‟Europa a metà XIV secolo, conobbe un eccezionale sviluppo nello studio delle epidemie e nel potenziamento della sanità pubblica. Il risultato di quest‟attenzione portò alla costruzione di lazzaretti e all‟istituzione di Uffici di Sanità113.

Gli Uffici di Sanità, nati con funzione temporanea, di emergenza, divennero col tempo delle istituzioni permanenti, volti principalmente all‟azione preventiva e perciò furono dotati di un proprio potere legislativo, giudiziario ed esecutivo assumendo il nome di Magistrature114.

Anche Livorno naturalmente aveva il suo Magistrato alla Sanità la cui attività era rivolta al traffico marittimo. L‟ufficio aveva il compito di decidere se ammettere oppure no i bastimenti in arrivo e il loro carico, nonché quali tipi di “purga” e quarantena far passare agli equipaggi e alle merci115

.

Attorno ai regolamenti sanitari si sviluppò un vero e proprio confronto culturale, infatti fuori dall‟Italia settentrionale i controlli erano assai meno rigorosi o addirittura inesistenti116. In particolare i più scettici erano proprio gli inglesi, che non credevano nell‟efficacia delle misure preventive contro il contagio, ma che soprattutto si basavano su una cultura per la quale gli interessi commerciali

111 Ivi, pp. 62-3.

112 Villani, «Alcune note sulle recinzioni dei cimiteri acattolici livornesi» cit., p. 44.

113 C. M. Cipolla, Il burocrate e il marinaio. La «Sanità» toscana e le tribolazioni degli inglesi

a Livorno nel XVII secolo, Bologna, il Mulino, 1992, p. 35.

114 Ivi, p. 36. 115 Ivi, pp. 38-9. 116 Ivi, p. 41.

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precedevano gli interessi della sanità117. Era quindi inevitabile uno scontro con gli italiani che si attenevano agli ordinamenti sanitari con una puntigliosità esasperante118.

La teoria medica dell‟epoca riteneva la peste così contagiosa da obbligare il Magistrato a sospettare di tutto. Il paradosso è che non si sospettava proprio dei topi e delle pulci, i veri responsabili delle epidemie, questo perché essi erano sempre presenti, anche quando non vi era alcuna epidemia119. L‟ abitudine di fare parte della quarantena fuori dal porto era comunque una misura saggia, proprio perché impediva lo sbarco di topi infetti, ma questo beneficio era casuale, dato che essa veniva ordinata non per paura dei roditori, ma dei cosiddetti “atomi miasmatici”, che il vascello in arrivo poteva far “appiccicare” ai moli e che, secondo le credenze dell‟epoca, erano ritenuti dei possibili portatori della peste120

. Il risultato di queste misure precauzionali fu che gli inglesi vedevano nella Sanità di Livorno la fonte di soprusi e violenze giungendo anche a fare delle ipotesi estreme, secondo le quali la Sanità sarebbe stata in realtà la copertura di un complesso spionaggio commerciale121.

Quando gli inglesi stavano per opporsi con forza a questa politica vi fu però la peste di Londra, che imperversò soprattutto nel 1665. Come conseguenza le regole sanitarie divennero ancora più severe ed opprimenti, almeno fino a metà 1667122.

Gli ufficiali di sanità livornesi e i marinai inglesi non facevano nulla per diminuire l‟ostilità che intercorreva tra loro, infatti mentre i primi erano inclini a cadere nell‟abuso di potere i secondi facevano di tutto per provocarli123

. Ad esempio le navi da guerra inglesi si rifiutavano di sottostare ai controlli sanitari, anche quando accettavano di trasportare merci per conto terzi o passeggeri, cosa peraltro severamente proibita dai regolamenti della Royal Navy124.

117 Ivi, p. 44. 118 Ivi, p. 45. 119 Ibid. 120 Ivi, p. 46. 121 Ivi, p. 53, 55. 122 Ivi, pp. 59-65. 123 Ivi, p. 67, 77. 124 Ivi, pp. 86-7.

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E‟ importante notare come il granduca talvolta intervenisse cercando di mitigare il rigore della magistratura livornese, ma neanche questo serviva a far mutare seriamente l‟atteggiamento degli zelanti ufficiali portuali125

.

Le imposizioni sanitarie erano assai gravose, in termini economici, per i commerci marittimi. In particolare va notato come ai tempi della navigazione a vela il costo del trasporto via mare consistesse soprattutto nella paga e nel vitto da dare all‟equipaggio, quindi la quarantena poteva far lievitare i costi anche del 50%126. Come se non bastasse l‟amministrazione toscana faceva ricadere su capitani e mercanti tutte le spese suppletive per le pratiche sanitarie127.

Le imbarcazioni che restavano bloccate dalle imprevedibili pretese della burocrazia livornese rischiavano inoltre di non poter far parte dei convogli il cui sistema fu uno degli aspetti che decretarono il successo inglese nel Mediterraneo128. A partire da metà „600 i mercantili d‟oltremanica ebbero la possibilità di farsi scortare da navi da guerra lungo le rotte più pericolose, mentre altre squadre perlustravano il mare in funzione di difesa-offesa; perdere un convoglio quindi aumentava esponenzialmente la possibilità di essere attaccati con la conseguente perdita dell‟intero carico, nel migliore dei casi129

.

Se gli inglesi tollerarono a lungo questa situazione fu anche perché i tempi morti imposti dalla Sanità marittima potevano conciliarsi con quelli imposti dalla stagionalità, che dettava limiti alla navigazione e alla disponibilità di merci da importare o esportare. Quindi le perdite in termini economici risultavano in fin dei conti limitate dato che le imbarcazioni sarebbero comunque state costrette a rimanere ancorate al porto130.

Tuttavia gli inglesi cercarono di ottenere delle facilitazioni da parte del granduca minacciando di trasferire altrove la base dei loro traffici131. Le loro minacce erano realistiche, in particolare Genova era pronta ad accoglierli132. La

125 Ivi, pp. 71, 85. 126 Ivi, p. 102. 127 Ivi, p. 103. 128 Ivi, p. 104.

129 Per un quadro dei sistemi di difesa dei commerci marittimi messi a punto dagli inglesi nel

XVII secolo, cfr. Pagano de Divitiis, Mercanti Inglesi nell‟Italia del Seicento cit., pp. 62-91.

130 Cipolla, Il burocrate e il marinaio cit., pp. 104-5. 131 Ivi, p. 105.

(24)

30

loro insistenza fu premiata con delle facilitazioni e l‟allentamento delle coercizioni sanitarie divenne progressivo nella seconda metà del „600133

. Le manovre concorrenziali dei genovesi ci forniscono una spiegazione parziale di questo allentamento che fu principalmente il risultato di un altro fenomeno, potremmo dire di lungo periodo, ossia il mutamento «dei rapporti di forza e delle gerarchie tra Stati sovrani e la percezione che di tale mutamento ebbero gli uomini del tempo»134.

133 Ivi, p. 108: «Il 23 marzo 1666 fu loro concesso “d‟abolir l‟antipurga de 10 giorni a quei

vasselli che havevano condotto solo salumi”».

(25)

31 1.3 William Plowman, dal suo arrivo a Livorno fino al 1695.

Molti dettagli sulla vita di William Plowman fino al 1682 ci sono forniti da una sua spontanea deposizione al Sant‟Uffizio dell‟Inquisizione di Pisa, dove egli si recò il 30 aprile di quell‟anno per accusarsi di bigamia135

.

Seguendo questa fonte possiamo infatti ricostruire gli avvenimenti principali della sua giovinezza. Il Plowman nacque a Londra attorno al 1660 da genitori cattolici e giunse a Livorno, presumibilmente nel 1673, chiamato dal padre Matthew che già vi risiedeva136. Accompagnato nel viaggio dalla madre Mary, rimase con i genitori per almeno un anno, dopodiché fu inserito come “giovane” nel banco di Pier Antonio Guadagni, presso il quale rimase per due anni e mezzo137.

Lasciato solo a Livorno dai genitori, che nel frattempo erano rientrati a Londra, Plowman si imbarcò come scrivano sulla nave inglese Rosa Incoronata e in seguito fece altri viaggi su varie imbarcazioni138.

Dopo questa prima esperienza sui mari il giovane inglese rientrò a Livorno e si sposò con Maddalena Fenis, figlia di Giacomo Fenis e di Margherita139, con la quale restò per due anni e mezzo prima di imbarcarsi per Londra, dove giunse presumibilmente nell‟estate del 1681 per rimanervi pochi mesi140

.

A questo breve soggiorno inglese risale la vicenda della bigamia, confessata dallo stesso Plowman nella sua deposizione:

135

AAPi, Tribunale dell‟Inquisizione, 22, cc. n. nn..

136 Ivi. Per quanto riguarda l‟arrivo del Plowman a Livorno vi sono fonti discordanti. Stando a

quanto riportato nelle carte dell‟Inquisizione si evince che il Plowman vi giunse nel 1673; in base ad un documento del 28 giugno 1693, conservato in ASFi, Mediceo del Principato, 2213, cc. n. nn., egli risultava residente a Livorno da 16 anni, il che sposterebbe la data del suo arrivo al 1677.

137 AAPi, Tribunale dell‟Inquisizione, 22, cc. n. nn.. 138 Ivi.

139

La famiglia era di origine francese, ASFi, Mediceo del Principato, 2213, cc. n. nn., documento del 28 giugno 1693.

140 AAPi, Tribunale dell‟Inquisizione, 22, cc. n. nn., prima del viaggio a Londra il Plowman

ebbe due figli dalla moglie, entrambi chiamati Matteo (come il nonno, Matthew) dato che il primo figlio morì prima della nascita del secondo.

In seguito il Plowman ebbe sicuramente almeno una figlia, presumibilmente sempre da Maddalena Fenis, chiamata Maria Anna, che il fratello Matteo concesse in sposa a Giorgio Pradington, inglese “eretico”, nella primavera del 1703, AAPi, Tribunale dell‟Inquisizione, 30, c. 281, 14 aprile 1703.

(26)

32

«…giunsi in Londra, dove stiedi circa due mesi e mezzo in circa, et essendo andato in una villa con il capitano della nave Vigna, che di sopra ho nominato, il quale amoreggiava una giovine, che stava in detta villa chiamata Caterina figlia di Guglielmo Salisbury, e doppo d‟esservi stato due, o tre giorni partissimo, e doppo due settimane tornassimo il detto Capitano et io. La seconda notte che io dormii in detta casa mentre che io ero al letto sentii bussare alla porta della camera dove dormivo e domandai che era, et immaginandomi che fusse la sopraddetta Catarina mi levai in camicia ad aprirli e poi tornai a letto e detta Catarina entrò e cominciò a discorrere meco di cose d‟affetto et io gli dissi che se haveva freddo fusse entrata in letto, et essa levatasi una gonnella, che portava entrò in letto, et hebbi che fare con essa carnalmente, e doppo essersi trattenuta meco detta Catarina sino all‟Alba sene tornò in sua Camera, et io il giorno seguente tornai in Londra con mio compagno, et in sei settimane fui più volte fatto chiamare da detta Catarina, et io andai e la godei sempre, et ella restò gravida come diceva e mi disse che io dovesse sposarla et io gli dissi che no potevo, che ero ammogliato et ella pianse e poi disse bisogna che habbi pazienza. Ma consigliatasi con il padre per quanto io credo, fui da esso suo padre invitato ad andare in villa, per una lettera che mi scrisse, et io andai…141

»

Il Plowman continua raccontando di come il signor Salisbury lo condusse con un pretesto all‟interno di un carcere, qui lo fece arrestare a tradimento e lo minacciò di tenerlo recluso finché non avesse acconsentito a salvare l‟onore della figlia sposandola142. Dopo un mese, a corto di denaro e senza reali alternative, il Plowman acconsentì al matrimonio a patto di potersene successivamente andare, una decisione che in un primo momento fu accettata dal padre della giovane incinta143.

141 AAPi, Tribunale dell‟Inquisizione, 22, cc. n. nn.. 142 Ivi.

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