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CAPITOLO 1 Caratterizzazione del fenomeno della luminescenza dai dispositivi CMOS

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CAPITOLO 1

Caratterizzazione del fenomeno della

luminescenza dai dispositivi CMOS

1.1 Meccanismo di fotoemissione ed emissione dai

MOSFET

Come punto di partenza si tratta di capire quale sia il meccanismo di emissione di fotoni nel silicio. E’ noto infatti che, nei semiconduttori a gap diretto, la ricombinazione di un elettrone con una lacuna produce l’emissione di un fotone con energia maggiore o uguale a quella del gap, viceversa l’assorbimento di un fotone porterà alla generazione di una coppia elettrone-lacuna. Nel silicio tutto ciò non è possibile in quanto è un semiconduttore a gap indiretto, interverranno allora altri meccanismi di emissione.

Affrontando il problema in modo generale, è possibile distinguere nei semiconduttori due tipi di meccanismo di fotoemissione: ricombinazioni radiative che coinvolgono entrambi i portatori e transizioni radiative che, invece, riguardano un solo tipo di portatore. Le prime si riferiscono a transizioni interbanda, ovvero dalla banda di conduzione a quella di valenza, le seconde a transizioni intrabanda, che si verificano cioè all’interno della stessa banda, di conduzione o di valenza. Questi due processi possono essere ulteriormente suddivisi a seconda che la transizione sia diretta, quando il singolo fotone

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provvede alla conservazione dell’energia e del momento, o indiretta, quando il fotone è coinvolto nella conservazione dell’energia e un’interazione ausiliaria riguarda la conservazione del momento. In figura 1.1 sono riportati questi quattro tipi di transizione.

Figura 1.1: struttura a bande del Si e tipi ti transizioni possibili.

Nei materiali a gap indiretto, come il Si, le transizioni indirette, cioè le ricombinazioni elettrone-lacuna con emissione di un fotone, possono avvenire solo se partecipa un altro elemento per la conservazione del momento, che può essere un fonone o un atomo di un’impurezza. Questi fenomeni, indicati in figura con le lettere (a) e (c), sono così inefficienti che altri fenomeni, se pur poco probabili, in certe condizioni devono essere tenuti in considerazione. Si tratta dell’emissione di fotoni dovuta a elettroni “caldi” tramite transizioni intrabanda, indicata in figura con la lettera (b). [1]

Per portatore “caldo” si intende un portatore libero, che può essere un elettrone o una lacuna, con un’energia cinetica molto maggiore di quella dovuta alla temperatura del reticolo. Un elettrone caldo occuperà uno stato in banda di conduzione ben al di sopra del minimo di tale banda, ad esempio all’inizio delle linee (a),(b) e (d). Ugualmente una lacuna calda occupa uno stato in banda di valenza molto più in basso del minimo della banda stessa.

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I portatori caldi possono essere generati in vari casi particolari, ad esempio quando un semiconduttore assorbe un fotone con energia molto maggiore del gap, generando una coppia elettrone-lacuna caldi e un fonone se il gap è indiretto, ma questo non è il caso di nostro interesse. Un elettrone immerso in un reticolo a temperatura T avrà una certa energia proporzionale a kT. Se questo elettrone viene sottoposto anche ad un campo elettrico elevato, la sua energia cinetica crescerà molto, come se si trovasse ad una temperatura equivalente molto maggiore di quella effettiva, da cui il termine “caldo”.

L’attenzione va focalizzata sulle cariche che si muovono nel canale di un MOSFET, dove in genere i campi elettrici sono dell’ordine di 105V cm o / addirittura maggiori. Poiché le lunghezze tipiche dei canali sono di diverse decine di nanometri, le energie cinetiche acquisite dai portatori saranno elevate. Nella realtà, però, è necessario tenere in considerazione anche gli eventi di scattering, portatore-reticolo o portatore-portatore, che tendono a fare perdere velocità, e quindi energia, alle cariche; i tempi medi di questi eventi sono di poche decine di picosecondi. L’energia cinetica di un elettrone (o una lacuna) di una certa massa efficace m∗, di carica e, e sottoposta ad un campo elettrico E, la possiamo

esprimere come:

( )

2 2 2 * 2 * 2 * 2 * * 1 1 1 1 ( ) 2 2 2 2 c F t E m v m at m t eE m m ⎛ ⎞ = = = = ⎝ ⎠ (1.1)

Le variabili v, a, F, t si riferiscono rispettivamente a velocità, accelerazione, forza e tempo. Per i valori del campo elettrico dati in precedenza, un elettrone può raggiungere energie di circa 1 eV in tempi di 0.2 ps, molto minori del tempo di scattering. Si evince dunque che, in un FET in conduzione sottoposto a campi elevati, si avranno molti portatori caldi che potranno dare luogo al fenomeno della luminescenza.

Nel canale di un MOSFET, in condizioni lineari, non è possibile raggiungere valori del campo elettrico di tale entità, perché questo risulterà distribuito uniformemente su tutta la lunghezza del canale. Quando, invece, si raggiunge la condizione di saturazione (VDSVGS − ), in cui il canale si strozza e si va in VT

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pinch-off, la caduta di tensione ai capi della zona di canale resta fissa a VGS − e VT

quella residua finirà interamente sulla zona svuotata.

E’ proprio in questa regione che si osserva la generazione di elettroni caldi e la conseguente emissione di fotoni. In figura 1.2 viene raffigurata l’energia media degli elettroni in funzione della loro posizione nel canale rispetto al limite inferiore della banda di conduzione.

Figura 1.2: a tratto continuo è rappresentata l’energia media degli elettroni in funzione della loro

posizione nel canale; a tratteggio è riportato il limite inferiore della banda di conduzione dalla parte del drain. Siamo in condizioni di saturazione.

Si osserva che nella regione di pinch-off, nei pressi del drain, gli elettroni possono acquisire energie di circa 1 eV superiori al limite inferiore della banda di conduzione, questa energia verrà persa con l’emissione di un fotone NIR. Anche se, in queste condizioni, le transizioni intrabanda diventano più probabili, i meccanismi esatti responsabili di questa emissione non sono ancora chiari. In ogni caso bisogna sottolineare che la fotoemissione da portatori caldi è un fenomeno molto debole, ma che risente istantaneamente dei cambiamenti di campo elettrico e di corrente che si hanno all’interno dei dispositivi FET. [2]

In figura 1.3 vengono rappresentate le distribuzioni del campo elettrico e della velocità degli elettroni caldi in condizioni di saturazione, tali risultati sono stati ottenuti con un simulatore di dispositivo nel caso di un nMOS in tecnologia 0.1 µm.

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In figura 1.4 si ha una visione dell’area di emissione del mosfet, è una vista dal basso del dispositivo e la regione blu che appare luminosa è quella di drain. [3]

Figura 1.3: simulazione bidimensionale della velocità degli elettroni caldi e del campo elettrico di

un nMOS, in tecnologia 0.1 µm e in condizioni di saturazione.

Figura 1.4: visione della zona di emissione dal sotto di un mosfet.

L’emissione di fotoni è associata al passaggio di corrente in un mosfet in condizioni di saturazione, non si specifica quindi niente rispetto al tipo di canale. Risultati sperimentali dimostrano che possono essere emessi fotoni sia da un n-FET che da un p-n-FET, ma con una fondamentale differenza. La mobilità delle lacune ha un valore poco inferiore alla metà di quella degli elettroni, per cui, quando sottoposti allo stesso campo elettrico, i secondi acquisteranno un’energia cinetica media molto maggiore rispetto alle prime. Come effetto, si ha un’emissione di luce nel NIR per entrambi i tipi di dispositivo, ma, se tale emissione è debole per gli n-FET, quella dei p-FET sarà circa un 2% (1/50) della

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precedente, per cui ancora più difficile da rivelare. Per questo motivo si focalizza quasi sempre l’attenzione sui fotoni emessi dagli n-FET.

In figura 1.5 è raffigurata la caratteristica ottica di un mosfet, cioè l’andamento dell’intensità luminosa al variare delle due tensioni di controllo del dispositivo; in asse z è riportato il numero di fotoni rivelati per secondo e per micron di larghezza di canale. Si osserva immediatamente che c’è una forte dipendenza da entrambe le tensioni. In particolare, tenendo costante la VGS e facendo variare la VDS, l’intensità della luce crescerà esponenzialmente, come mostrato in figura 1.6. Questo avviene perché, aumentando tale tensione, crescerà di conseguenza il campo elettrico nella regione di pinch-off. L’effetto della VGS è quello di andare ad agire sulla densità di portatori nel canale per bassi valori: per tensioni inferiori alla VT, infatti, non si ha emissione per l’assenza del canale. Per valori molto elevati, invece, l’intensità decrescerà a causa dell’aumentare della VDS sat, , che riduce il campo elettrico nella regione di pinch-off, vedi relazione (1.3). In figura 1.7 è riportato tale andamento.

Figura 1.5: caratteristica ottica di un MOSFET con dimensioni del canale W=10µm e L=0.5µm.

Da notare come, nelle figure 6 e 7, l’intensità vari anche con la lunghezza del canale, in particolare quest’ultima aumenta col ridursi delle geometrie.

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In figura 1.8 è mostrato lo spettro di emissione di un n-FET, ovvero l’andamento

dell’emissione in funzione dell’energia dei fotoni generati.

Per completare la trattazione della fotoemissione da elettroni caldi bisogna, però, tenere presente anche un altro fenomeno che si può verificare. Un elettrone caldo può perdere energia generando un fotone, ma anche producendo una ionizzazione da impatto; nel secondo caso verrà quindi creata una coppia elettrone-lacuna. Una rappresentazione del fenomeno è osservabile in figura 1.9. [4] Gli elettroni

generati dalla ionizzazione non possono acquistare una energia sufficiente per contribuire all’emissione di fotoni, verranno dunque raccolti dal drain, mentre le lacune costituiranno una corrente di substrato.

Figura 1.6: dipendenza dell’intensità luminosa dalla tensione drain-source di un n-FET.

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E’ opportuno adesso andare a quantificare l’emissione di fotoni, sapendo che questa dipende da due fattori: il numero di elettroni che transitano nel canale e la probabilità di ciascun elettrone di emettere un fotone. Per quanto riguarda il primo termine, dobbiamo considerare soltanto la corrente di source I , poiché quella di S

drain, ID, include anche il contributo della corrente di substrato IB, dovuto alla

ionizzazione da impatto: ID = IS + IB .

La probabilità di emissione dipende dal campo elettrico massimo nel canale, che può essere espresso come

, ( ) DS DS sat GS MAX V V V F l − = (1.2)

con l pari alla lunghezza della regione di pinch-off. Questa probabilità risulta molto bassa e, in condizioni di saturazione, è di un fotone emesso ogni 100.000 elettroni che transitano nel canale.

Combinando i due fattori si ottiene l’espressione dell’intensità dei fotoni emessi:

(

)

, , DS DS sat B V V S PH DS DS sat I N A V V e q − − = ⋅ ⋅ − ⋅ (1.3)

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Figura 1.9: alcuni elettroni che transitano nel canale possono acquistare energia sufficiente per

generare fotoni NIR o per creare una coppia elettrone-lacuna tramite ionizzazione da impatto.

Nell’espressione (1.3), NPH rappresenta l’andamento dei fotoni emessi, I è la S

corrente di source, q la carica dell’elettrone, mentre A e B sono due coefficienti fittizi: A tiene conto dell’efficienza del sistema ottico per la rivelazione della luce emessa e B dipende dal processo, ovvero dalle geometrie del dispositivo. [5] Con i dati esposti fino ad adesso è possibile trarre delle conclusioni riguardo a come varierà l’emissione dai dispositivi CMOS col progredire delle tecnologie. Le nuove generazioni di IC sono caratterizzate da geometrie sempre più piccole e da tensioni di lavoro inferiori: la prima caratteristica tenderebbe, a parità di tensione, a fare crescere l’intensità luminosa, mentre la seconda la fa diminuire. Come risultato, la fotoemissione resta circa costante, rendendo praticabile questa tecnica anche negli anni futuri. [6]

L’utilizzo principale di questo nuovo sistema di misura è quello di andare a rivelare l’evoluzione dinamica delle tensioni presenti su nodi interni a circuiti integrati CMOS per mezzo dei fotoni emessi. C’è, però, anche la possibilità di andare a caratterizzare la degradazione di tali dispositivi, infatti questa è legata agli effetti degli elettroni caldi, e, in particolare, alla corrente di substrato. Sperimentalmente è stato osservato che la fotoemissione cresce di pari passo con questa corrente.

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1.2 Fotoemissione dalle porte logiche CMOS

Le porte CMOS sono costituite da un insieme di n-FET combinato opportunamente con un insieme di p-FET, al fine di compiere una certa operazione logica. Si tratta adesso di capire quando sia possibile avere emissione di fotoni durante il normale funzionamento di questi circuiti.

Per comodità, si consideri inizialmente un semplice inverter, senza carico, il cui schema circuitale è dato in figura 1.10.

Figura 1.10: schema circuitale di un inverter e caratteristiche I-V di p-MOS e n-MOS.

In tale figura sono rappresentate anche le caratteristiche del p-FET e del n-FET al variare della tensione di ingresso, l’intersezione di due di queste curve, ad una data V , dà il valore della corrente in IDD che fluisce attraverso entrambi i

transistors. In condizioni statiche, cioè per Vin = e 0 Vin =VDD, non si osserva passaggio di corrente poiché uno dei due mos è interdetto (punti A e B indicati in

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figura 10). Ne segue che, quando i livelli logici vengono mantenuti costanti, non si osserverà emissione di luce.

Quando, invece, l’inverter è pilotato in modo da far cambiare il suo stato logico in uscita, scorrerà una certa corrente attraverso i due canali, dall’alimentazione verso massa. Questa corrente non sarà costante, ma partirà da zero, raggiungerà un certo valore massimo, per poi tornare ad annullarsi secondo il percorso indicato dai punti ACEDB. Ci sarà, dunque, un breve istante di tempo durante il quale entrambi i mos si troveranno in condizioni di saturazione, nell’intorno del punto E. Tale regione viene attraversata su entrambe le commutazioni e sarà caratterizzata dall’emissione di fotoni.

Un primo risultato importante che si è ottenuto sta, quindi, nel fatto che la fotoemissione avviene solo durante le commutazioni delle porte logiche CMOS.

Figura 1.11: caratteristica ingresso-uscita di un inverter, andamento della corrente e dell’intensità

di emissione del n-FET e del p-FET al variare della tensione di ingresso.

In figura 1.11, a tratto continuo in nero, è mostrato l’andamento della corrente

durante la commutazione, essa è non nulla solo quando entrambi i fet sono in conduzione. Per quanto riguarda l’emissione di luce, invece, si osserva sperimentalmente che questa non avviene in contemporanea nei due transistor. Se consideriamo la transizione da Vin = a 0 Vin =VDD, l’n-MOS emetterà durante la prima metà della commutazione, mentre il p-MOS durante la seconda metà, come si vede in figura 1.11. Ciò avviene poiché le condizioni di forte saturazione per i

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due fet non possono essere contemporanee, ma cambieranno a seconda del valore di Vout.

Andando ad osservare contemporaneamente l’emissione del p-FET e del n-FET di uno stesso inverter, sarebbe possibile risalire ai livelli logici iniziali e finali della commutazione. Nella pratica, però, sia perché l’emissione da un canale p è molto più bassa di quella da un canale n, sia perché gli IC su cui si effettuano misure sono più complessi di un semplice inverter, si va a monitorare solo la fotoemissione degli n-MOS.

I circuiti integrati CMOS sono caratterizzati da ritardi porta-porta di circa 10-50 ps, mentre i tempi di salita e di discesa di queste porte valgono circa il doppio di tale valore. Poiché l’emissione di luce avviene in un tempo che è approssimativamente la metà del tempo di risposta della porta, ne segue che la larghezza dell’impulso luminoso risulta comparabile con il ritardo porta-porta. Finora si è analizzato il caso di un inverter preso singolarmente, ma se si considera una porta, in un generico chip, questa si troverà a pilotare altre porte poste in cascata. La circuiteria a valle e le piste di metal che fungono da collegamento, costituiscono un carico, prevalentemente capacitivo, per la porta logica in questione. Nel caso di un inverter che pilota un carico capacitivo, la sua tensione di uscita non può seguire istantaneamente le variazioni della tensione di ingresso (vedi figura 1.12).

Figura 1.12: dipendenza dell’intensità di emissione luminosa dal tempo, nei casi di un n-FET

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In presenza di un carico, la corrente che passa nell’inverter sarà composta da due parti: la prima è una corrente di cortocircuito che fluisce dall’alimentazione verso la massa attraverso entrambi i fet, mentre la seconda componente riguarda la carica o la scarica del carico capacitivo.

Durante le transizioni dell’uscita da 1 a 0 si avrà la scarica verso massa attraverso l’n-FET, viceversa, sulla commutazione da 0 a 1, il p-FET verrà attraversato da una corrente, proveniente dall’alimentazione, che carica le capacità a valle. Questo maggiore afflusso di corrente produce una luminosità più forte.

Quello che si osserva esternamente da una porta CMOS con carico è una forte emissione dal n-MOS, quando Vout varia da VDD a 0, e una forte emissione dal

pMOS sulla transizione opposta.

In figura 1.13 è mostrato schematicamente quello che accade durante i due tipi di

commutazione.

Ricordando poi che l’emissione da un transistor a canale p è molto inferiore a quella da uno a canale n, si conclude che l’emissione dominante è quella rivelata dal n-FET in corrispondenza della transizione dell’uscita da 1 a 0.

Generalmente, quindi, si va a rivelare la fotoemissione dagli n-mos, ma questo non esclude, usando rivelatori più sensibili, di andare ad osservare anche i p-mos, le informazioni ottenute dai due tipi di dispositivo saranno simili tra loro. [2]

Figura 1.13: relazione tra grandezze elettriche ed emissione ottica indotta dai portatori caldi nel

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Sulla base di quanto esposto finora, è possibile definire delle tabelle di verità dinamiche, ovvero delle tabelle in cui vengono indicate le possibili commutazioni interessate dall’emissione ed i corrispondenti transistor. Nel caso precedentemente esaminato dell’inverter, otteniamo la tabella 1.1. Quando l’ingresso viene

mantenuto costante non si ha emissione (indicata dalla lettera T), negli altri due casi i caratteri #1 e #2 indicano i canali di emissione primaria e secondaria, rispettivamente. Questo perché, a seconda del tipo di transizione dell’uscita, emette prima un fet o l’altro (figura 1.11). Tabelle simili si possono ottenere per porte logiche più complesse, come quelle la cui uscita è riportata in tabella 1.2.

Tabella 1.1: tabella di verità dinamica per un inverter.

Tabella 1.2: tabella di verità (statica) per porte CMOS di base.

Come esempio, si considerino le porte universali NAND e NOR: di seguito vengono mostrati lo schema circuitale, il layout e la tabella di verità dinamica per entrambe le porte. Le cose adesso si complicano poiché gli ingressi sono due: delle 16 possibili transizioni dell’ingresso, solo 6 saranno interessate dall’emissione, delle altre 10, infatti, 4 sono configurazioni statiche e 6 non sono caratterizzate da variazioni dell’uscita. [7]

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Figura 1.14: layout di una porta NAND.

Figura 1.15: schema circuitale di una porta

NAND.

Figura 1.16: layout di una porta NOR.

Figura 1.17: schema circuitale di una porta

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A B Y=OUT TAnMOS TBnMOS TApMOS TBpMOS 0 0 0 0 1 1 0 1 0 0 1 1 1 0 0 0 1 1 1 1 0 0 1 1 0 0 0 1 1 1 0 1 0 1 1 0 #1_N #1_N #2_P #2_P 1 0 0 1 1 1 1 1 0 1 1 0 #1_N #2_P 0 0 1 0 1 1 0 1 1 0 1 1 1 0 1 0 0 1 #2_N #2_N #1_P #1_P 1 1 1 0 0 1 #2_N #1_P 0 0 1 1 1 1 0 1 1 1 1 0 #1_N #2_P 1 0 1 1 0 1 #2_N #1_P 1 1 1 1 0 0

Tabella 1.3: tabella di verità dinamica per una porta NAND.

A B Y=OUT TAnMOS TBnMOS TApMOS TBpMOS

0 0 0 0 1 1 0 1 0 0 1 0 #1_N #2_P 1 0 0 0 0 1 #2_N #1_P 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 #1_N #2_P 0 1 0 1 1 0 #1_N #1_N #2_P #2_P 1 0 0 1 0 0 1 1 0 1 0 0 0 0 1 0 0 1 #2_N #1_P 0 1 1 0 0 0 1 0 1 0 0 1 #2_N #2_N #1_P #1_P 1 1 1 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 1 1 0 0 1 1 1 1 0 0

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BIBLIOGRAFIA

[1] Bude, et al., “ Hot-carrier luminescence in Si ”, Physical Review B, 45, pp.

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[2] J. C. Tsang, J. A. Kash, D. P. Vallett, “Picosecond imaging circuit analysis”, IBM Journal of Research and Development, vol. 44, pp.

583-603 (July 2000).

[3] M. Leibowitz, T. Lundquist, K. Shah, “Automated PICA Transistor Channeling and Spatial-Temporal Photon Correlation for Fast IC Diagnosis”, NPTest Technology library.

[4] F. Stellari, S. Cova, F. Zappa, “Tools for Non-Invasive Optical Characterization of CMOS Circuits”, IEDM Tech. Dig. 1999, pp. 487-490.

[5] F. Stellari, S. Cova, F. Zappa, A. Tosi, “CMOS Circuit Testing via Time-Resolved Luminescence Measurements and Simulations”, IEEE Transaction on Instrumentation and Measurement, vol. 53, no. 1, February

2004.

[6] F. Stellari, S. Cova, F. Zappa, A. Tosi, “Hot-carrier luminescence: comparison of different CMOS technologies”, pp. 351-354, IBM T.J. Watson Research Center.

[7] N. Nataraj, T. Lundquist, K. Shah, “Fault Localization using Time Resolved Photon Emission and STIL Waveform”, ITC International Test Conference, 2003, pp. 254-263.

Figura

Figura 1.1: struttura a bande del Si e tipi ti transizioni possibili.
Figura 1.2: a tratto continuo è rappresentata l’energia media degli elettroni in funzione della loro
Figura 1.4: visione della zona di emissione dal sotto di un mosfet.
Figura 1.5: caratteristica ottica di un MOSFET con dimensioni del canale W=10µm e L=0.5µm
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