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L’INFORMAZIONE CORROTTA: I SISTEMI DELLA CORRUZIONE GIORNALISTICA PARTE I

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Academic year: 2021

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PARTE I

L’INFORMAZIONE CORROTTA:

I SISTEMI DELLA CORRUZIONE

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Capitolo Primo

Il rapporto giornalista-lettore nella prospettiva

della teoria dell’agenzia

1.

Il contratto tra principale ed agente

Oggi è impossibile concepire la vita in un mondo senza informazione. Durante le nostre giornate siamo inondati, spesso frastornati, dall’innumerevole quantità di fatti che ci vengono proposti da telegiornali, programmi di approfondimento, giornali, radio. Soprattutto negli ultimi venti anni l’offerta di informazione è divenuta assai maggiore rispetto al bisogno. Viviamo, come sostiene Giorgio Bocca, nell’era del «giornalismo quantitativo o gigantista» [ Bocca, 1989, p.41 ].

Molto spesso interpretiamo il reale proprio sulla base di ciò che vediamo, larga parte dei fatti viene recepita ed analizzata grazie al preziosissimo lavoro dei giornalisti.1

1

Gli assunti di fondo dei più recenti modelli teorici sottolineano il fatto che i media contribuiscono alla costruzione sociale della realtà. In tale contesto, i fruitori utilizzano le rappresentazioni dei fenomeni sociali fornite dai media come risorse per orientarsi, per comprendere, per allinearsi nelle proprie interazioni quotidiane. Tuttavia, l’influenza attribuita ai media si realizza necessariamente attraverso il “filtro” degli schemi propri dei fruitori, per mezzo

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Il giornalista non è altro che un mediatore, ovvero colui che seleziona fatti che ritiene meritevoli di approfondimento ed esposizione al grande pubblico, ovvero al cittadino lettore [Lepri, 1999, p.8]. La posizione mediatrice pone il giornalista nella condizione di poter scegliere il modo e il tempo o la necessità di esporre al suo pubblico un particolare fatto. L’obiettività del giornalista è quindi un parametro fondamentale per il buon funzionamento di qualsiasi sistema informativo. Il ruolo di chi lavora nell’informazione va ad influenzare anche le basi delle società moderne: le democrazie contemporanee non potrebbero definirsi tali senza un’ informazione corretta. Sin dalla nascita della stampa, e con la sua diffusione capillare avvenuta alla fine del XIX secolo, essa ha sviluppato il ruolo di arbitro dell’arena politica. Mentre fino alla prima metà dell’800 i giornalisti influenzavano fortemente la vita politica, scrivendo su giornali fondati molto spesso da partiti o movimenti politici, alla fine del secolo essi avevano assunto la veste moderna di “arbitri neutrali”, commentatori della vita politica. Il grado d’influenza dei media sulla vita politica, proprio grazie alla funzioni di arbitri imparziali, è divenuto via via più importante, fino a diventare essenziale nei sistemi politici contemporanei. [Mancini e Hallin, 2004] Il giornalista contemporaneo si trova quotidianamente davanti ad una scelta tra i fatti da raccontare. Se questa scelta viene condotta seguendo alcuni parametri deontologici, il giornalista svolge la sua mansione in modo ottimale. Ma se il giornalista sceglie, dietro compenso in denaro o in natura, di manipolare o falsificare una

dei quali essi organizzano e rielaborano informazioni ricevute. In tal modo, l’influenza dei media non è diretta, immediata, subita passivamente dallo spettatore. Cfr. M.Wolf, Gli effetti sociali dei

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notizia, ecco che si creano le condizioni per cui si possa parlare di corruzione dell’informazione o de–formazione.

Andremo ora a vedere in dettaglio come si sviluppa questo scambio illecito, presentandone gli attori, evidenziandone gli effetti, utilizzando il modello teorico delle teorie dell’agenzia.

1.1

La teoria dell’agenzia

Come già accennato nel capitolo introduttivo la corruzione può essere definita come « quei modi criminali, o quantomeno illegali, di impiegare denaro pubblico per conseguire scopi privati con mezzi politici, inducendo individui che ricoprono incarichi pubblici ad abusare della funzione loro assegnata e trasgredire i propri doveri» [Vannucci, 1997, p.7]. Nel caso della corruzione del giornalista non abbiamo, o almeno non abbiamo sempre, l’impiego di denaro pubblico, né è possibile considerare lo stato come rappresentante degli interessi della collettività: nel nostro caso il rapporto è tra il giornalista, il quale non adempie ai suoi doveri, e la pubblica opinione. In definitiva, i principali protagonisti sono il giornalista e il cittadino lettore.

Affinché si possa parlare di corruzione, occorre che si verifichino alcune condizioni, che Vannucci riconosce in: «– (a) una violazione occulta delle clausole di un contratto (implicito ed esplicito) di lavoro; (b) che prevede l’utilizzo di un potere discrezionale,da parte del dipendente che, in contrasto con gli interessi del principale; (c) agisce a beneficio di una terza parte da cui riceve, in cambio, un compenso» [Vannucci, 1997, p.8]

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Il rapporto di scambio illecito può infatti essere analizzato come una deformazione del rapporto contrattuale tra un principale ed un

agente, seguendo lo schema teorico della teoria dell’agenzia.I modelli

principale-agente nascono all’ interno dell’ economia dell’ organizzazione per spiegare la formazione di linee gerarchiche, la scelta fra alternative forme di controllo all’interno delle aziende.[ Zucchini, 2005] In qualsiasi forma di organizzazione (Stato, azienda, comunità) può realizzarsi un contrasto tra: «i membri dell’organizzazione chiamati a prendere delle decisioni (l’agente), e il titolare degli interessi per i quali l’organizzazione opera (il principale) che può essere un soggetto collettivo, come il popolo sovrano, la comunità dei cittadini.» [Vannucci, 2004, p. 308]

Molti attori sociali sembrano assolvere il ruolo di principale o quello di agente, o entrambi, e molti fuori dalla sfera delle transazioni economiche. E’ possibile ritrovare le figure in qualsiasi rapporto contrattuale, figure che non sono solo entità individuali. Nelle pubbliche amministrazioni, ad esempio, il rapporto tra principale (lo stato, le organizzazioni burocratiche che rappresentano tutti i cittadini) e l’agente (il funzionario dipendente, o il politico) è definito da un contratto che impegna gli agenti (ovvero i funzionari) ad operare per soddisfare gli interessi (pubblici) del principale (lo Stato). La violazione del contratto interviene nel momento in cui l’agente viene contattato da una terza parte, il corruttore, che pagando una tangente lo induce a cedere alcune risorse ( potere, protezione, informazione) caratteristiche della sua posizione, in cambio di rendite economiche o politiche (a scopo privato). [Vannucci,1997]

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1.2

L’agente

Adattando il corpus teorico al caso della corruzione dell’informazione, o meglio, alla corruzione del giornalista, la definizione del rapporto tra principale ed agente acquista delle forme nuove. E’ assai complicato infatti definire il principale e l’agente, soprattutto quando essi non possono essere riconosciuti − ovvero nella maggior parte dei casi empirici − in un soggetto individuale.

Per chiarire meglio la questione è innanzitutto opportuno definire in maniera puntuale chi è l’agente, nel nostro caso, il giornalista.

Chi è un giornalista? Seguendo il testo della legge italiana istitutiva dell’Ordine professionale, possiamo trovare più di una definizione della categoria dei giornalisti, ovvero:

1) i giornalisti professionisti, 2) i giornalisti pubblicisti.

« Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista. Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi2.» Esiste inoltre un'altra categoria , ovvero i free lance, che invece non hanno un rapporto di collaborazione continuativa o dipendente da un giornale, ma sono veri e propri liberi professionisti dell’informazione.

Di qualsiasi categoria il giornalista faccia parte, egli intrattiene un rapporto contrattuale, più o meno continuativo, con un editore (sia esso della carta stampata, televisivo o di testate internet), in cui si impegna a prestare la propria professione, ovvero a selezionare notizie

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e scrivere un certo numero di articoli, seguendo o meno una particolare linea editoriale.

1.3

Il principale

L’editore, nella prassi, è colui che ha l’ultima parola sull’operato del giornalista, ovvero colui che spesso decide o influenza la linea editoriale o le sorti professionali. Nonostante questo non si può affermare che il principale possa essere riconosciuto nell’ editore: guardando infatti alle carte di autoregolamentazione si capisce come il giornalista sia responsabile tanto nei confronti dell’editore che davanti alla pubblica opinione, ovvero davanti al cittadino lettore. Tuttavia neppure la pubblica opinione può essere considerato come l’unico principale: i giornalisti nello svolgere la propria professione sono responsabili di fronte ad una pluralità di soggetti: davanti al partito, se la professione è svolta all’interno di un giornale schierato politicamente, di fronte allo stato, se lavorano nelle emittenti pubbliche. In altre parole il giornalista ha una serie di principali, man mano riconoscibili a seconda del tipo di rapporto contrattuale che si vuol mettere in evidenza.

La difficoltà di individuare un singolo principale per l’agente giornalista è suffragata dal fatto che esistono svariati codici di autoregolamentazione3, codici deontologici, che prevedono sanzioni

3 L’italia è uno dei paesi che conta il maggior numero di codici e carte di autoregolamentazione. Le più significative sono: legge n. 69/63 istituitva dell’ordine dei giornalisti, la Carta informazione

e pubblicità, la Carta di Treviso, la Carta dei doveri del giornalista, la carta informazione e sondaggi. Per una rassegna delle carte deontologiche approvate a livello europeo si veda Barbara

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(anche penali) per coloro che contravvengono alle norme previste,4ma non esistono precise forme di controllo contrattuale a favore di un solo principale.

Tuttavia, se andiamo a leggere i testi delle carte deontologiche, specialmente quelle italiane, ci accorgiamo che i giornalisti riconoscono come loro unico principale il cittadino lettore. La carta dei doveri del giornalista (1957) afferma infatti che: «– giornalisti ed editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la collaborazione tra giornalisti ed editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori. Il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista.»5 La carta dei doveri del giornalista riconosce il

cittadino lettore come primo principale rispetto al proprio lavoro, e lo distingue dal resto della pubblica opinione.

Le moderne teorie relative alle comunicazioni di massa tendono a separare infatti la “massa dei cittadini” da coloro che sono i veri consumatori dell’informazione, ovvero i lettori e gli ascoltatori. Gli effettivi fruitori dei contenuti dei giornali e più in generale dei media non possono essere riconosciuti nell’insieme dei cittadini, in quanto nella realtà i fruitori sono limitati [Volf, 1987, pp.16–28].

Al contrario dei casi di corruzione che interessano l’apparato burocratico oppure la pubblica amministrazione, dove il principale è

4 L’italia è l’unico paese europeo a prevedere strumenti repressivi di diritto pubblico. La legge 69/63 istitutiva dell’ordine dei giornalisti, la quale verrà ampliamente analizzata nei successivi capitoli, contiene infatti le procedure e le sanzioni che scattano nei confronti degli iscritti all’ordine nel caso in cui infrangano le norme disciplinari o deontologiche.

5 Tratto dall’articolo 2 della carta dei doveri del giornalista, Ordine dei Giornalisti, Consiglio nazionale, 1957.

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rappresentato dallo stato o da un altro ente pubblico,6 il quale si fa garante del buon andamento della cosa pubblica in nome e per conto dei cittadini, nel mercato dell’informazione il principale è rappresentato, almeno al livello che interessa questo studio, direttamente da tutti coloro che fruiscono dei canali d’informazione. In definitiva, relativamente al mondo dell’informazione, è possibile affermare che il principale è il cittadino lettore.

I giornalisti contemporanei, nel “contratto”7 che stipulano con i cittadini, si accollano il compito di selezionare i fatti più significativi, sintetizzarli e renderli comprensibili per la comunità, cercando di dare un’approssimativa versione della verità. Non esistono particolari meccanismi di controllo sull’operato da parte del principale, se non il lavoro di altri giornalisti che vigilano sulla qualità e sulla veridicità delle notizie riportate da altri colleghi. In altre parole il controllo sul reale adempimento delle clausole del contratto da parte dei giornalisti non è svolto dal principale, ovvero il singolo lettore, ma dai giornalisti stessi, che attraverso l’Ordine professionale, (in Italia), o attraverso altre forme di regolazione (nel resto del mondo), adottano forme di auto–controllo. La mancanza di modalità di controllo effettivo da parte di un autorità esterna sul lavoro dei giornalisti aumenta le opportunità degli agenti di non rispettare il contratto con il cittadino lettore, favorendo in definitiva la possibilità di deformazione delle notizie.

6

A. Vannucci, op. cit., p. 9

7 Il “contratto” esiste, ed è rappresentato dalle varie carte e codici di autoregolamentazione deontologica e nella legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti, che verranno ampliamente discussi nella seconda parte di questo lavoro.

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1.4

Il corruttore e la violazione della deontologia

professionale

In definitiva, il giornalista per non violare il contratto che lo impegna alla ricerca ed alla rielaborazione di alcuni fatti per renderli interpretabili dal grande pubblico deve seguire scrupolosamente i propri codici deontologici professionali. Alcune norme comuni a tutti i codici di autoregolamentazione sono sintetizzate da Barbara Grossi: «le regole fondamentali di ciascun codice dei giornalisti sono: l’importanza del rispetto della verità, della buona fede, dell’imparzialità; il dovere della rettifica, il diritto al segreto professionale, il dovere del controllo delle fonti e della presunzione d’innocenza, l’importanza di tenere il fatto separato dall’opinione (…) infine il rispetto della dignità umana»[Grossi, 2002, p.31]. Queste regole fanno capo alla dimensione deontologica del giornalista: egli infatti ha il compito di raccontare il reale, ovvero seleziona i fatti «che è convinto possano soddisfare esigenze informative del lettore per accrescere il suo patrimonio informativo»[ Lepri, 1999,p.33].

Nel caso in cui intervenga in questo rapporto una terza parte, ovvero il corruttore, il giornalista viola i suddetti articoli fondamentali, in altre parole pratica la de–formazione [Bettetini,1998,p.21]. La deformazione della realtà non solo viene praticata attraverso uno scambio illecito tra l’agente ed una terza parte, ma anche quando il giornalista agente individua in un altro soggetto, diverso dal cittadino lettore, il suo principale.

Ma chi trae interesse dalla manipolazione delle notizie? E’ chiaro che ci sono svariati soggetti che intervengono e fanno pressioni sui

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giornalisti. Generalmente i corruttori acquisiscono una rendita economica, politica o informativa, e si rivolgono al giornalista per :

i) ottenere in cambio notizie riservate;

ii) fare pressioni sul fare o non fare un inchiesta, o scrivere o non scrivere un articolo;

iii) modificare e presentare un fatto in modo che il corruttore ne tragga vantaggio;

Gruppi di pressione, pubblicitari, imprenditori, politici, faccendieri, portavoce, funzionari, tutti coloro che hanno rapporti di qualsiasi genere che dipendono dalle reazioni della pubblica opinione possono essere potenziali corruttori.

Le motivazioni che possono spingere un giornalista ad acconsentire ad uno scambio corrotto possono essere molteplici. In generale l’agente decide di accettare la transazione illegale solo «se ha un vantaggio atteso che superi i costi della transazione. “Il concetto di

costo di transazione è strettamente collegato alla nozione di diritto di

proprietà.” Tale costo, infatti, «nasce dalle attività che accompagnano il trasferimento, la cattura e la protezione di diritti di controllo su risorse rispetto alle quali gli agenti dispongono di informazioni parziali e imperfette» [Vannucci e Cubeddu 2006]. Naturalmente i costi di questa transazione sono decisamente alti, proprio a causa della natura illegale dello scambio, dove l’incertezza sull’adempimento della controparte in merito alle obbligazioni contrattuali è molto elevata. Da ciò consegue che i diritti di proprietà sulle risorse scambiate, nel caso in studio l’informazione, sono mal definiti ed assai incerti. Il giornalista deciderà di partecipare allo scambio illecito solo

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se otterrà un vantaggio atteso (rendita di potere, economica) che supererà gli alti costi di transazione. Nella sua valutazione complessiva l’agente cercherà di minimizzare i costi, e quindi raccogliere informazioni sull’esito dello scambio illecito che si presenta assai incerto, proprio a causa del fatto che si svolge al di fuori dei termini contrattuali stipulati o impliciti nel rapporto tra principale ed agente.8

Come per altre professioni che adottano codici di autoregolamentazione particolarmente rigidi, i giornalisti vanno incontro ad una serie di sanzioni molto pesanti, sia dal punto di vista penale, che dal punto di vista professionale. E’utile sottolineare che, ad esempio, la carta istitutiva dell’ordine dei giornalisti italiani è stata creata con una legge dello stato, e l’apertura del procedimento disciplinare è demandata sia all’ordine professionale, che, in mancanza di un iniziativa, al diritto pubblico.

1.4.1 Deontologia ed Etica

La cessione o la modifica di informazioni pubbliche in favore di qualcuno è chiaramente, oltre che una violazione dei termini contrattuali tra il cittadino lettore e il giornalista, in contrasto con la deontologia professionale dei giornalisti.

La deontologia professionale non va tuttavia confusa con l’etica della professione. Quando si parla di deontologia nella professione giornalistica si fa spesso riferimento alla sua dimensione etica, quasi

8 Gli scambi illeciti presentano un alto tasso d’incertezza dovuto alla mancanza di controlli legali sulla adempimento del contratto dalle parti a causa della sua natura illecita. Cfr. VANNUCCI 1997,2004.

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eroica, in quanto si pensa che non sia possibile distinguere le due definizioni, ovvero distinguere la deontologia dall’etica. “Deontologia” deriva dalla parola greca “to deòn”, “il dovere”. L’etimologia della parola ci aiuta a capire che essa va usata riguardo «alla trattazione dei doveri inerenti ad una particolare categoria di persone » [Grossi, 2002, p.21]. La deontologia professionale richiama un “dovere”, nel nostro caso di un giornalista, nei confronti del suo pubblico, per indicare una serie di regole di condotta imprescindibili per il buon funzionamento della professione. L’etica invece indica una condotta umana, un valore a cui ispirarsi, un insieme generale di regole patrimonio di tutti e valevoli per tutta l’umanità [Grossi, 2002]. In altre parole, mentre la deontologia professionale si riferisce ad una categoria precisa di persone, il medico, l’avvocato, il professore, il giornalista; l’etica si riferisce ad un gruppo indeterminato di persone, ed è patrimonio comune di tutti.

La questione assume una rilevanza cruciale, dato che se in alcune professioni la deontologia non è poi così centrale, in quella giornalistica essa acquista un ruolo fondamentale. Se un panettiere non sforna il pane necessario a soddisfare la domanda dei clienti, andrà incontro ad un giudizio critico sulla qualità del suo lavoro, ma non ha certo mancato al suo dovere di fare il pane ogni mattina. Se un giornalista scrive e pubblica una notizia palesemente falsa o manipolata perde completamente di vista l’obbiettivo del suo lavoro, non compie il suo dovere.

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1.4.2 Le varie tecniche di deformazione delle notizie

Come già precedentemente affermato è probabilmente impossibile che un operatore dell’informazione possa rappresentare in modo esatto la realtà circostante. Di conseguenza, il lavoro del giornalista costringe a una scelta dei fatti da interpretare e riutilizzare. Per questo è importante premettere che i casi di corruzione giornalistica prescindono dalla libertà di ciascun giornalista di interpretare soggettivamente un fatto oggettivo.9 Tuttavia la deformazione della realtà e il riportare false notizie non corrisponde ad una interpretazione soggettiva. Il sistema dell’informazione presenta alcune problematiche che possiamo raggruppare in 5 macroaree [N.Chomsky, 1998]

1) Il giornalista costruisce una realtà deformata attraverso la presentazione di notizie false per acquisire rendite politico – economiche.

2) Il giornalista media volutamente in modo non corretto le notizie in suo possesso per creare consenso a favore del suo “benefattore”. Un esempio di questa pratica è la manipolazione della notizia, ovvero l’utilizzazione di tecniche grafiche come la collocazione della news nella pagina, scegliendo un’ampiezza ed un risalto non adeguati alla portata della notizia, al fine di rappresentare un fatto in modo che favorisca un principale diverso dal cittadino

lettore. Giorgio Bocca definisce questo tipo di manipolazione il “fattoide”, ovvero la notizia verosimile «praticata universalmente

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nella politica estera delle nazioni, nei conflitti fra le grandi lobby, nella propaganda elettorale e nel movimentismo»[Bocca, 1989,p.111]. In altre parole il giornalista sceglie volutamente di riconoscere come suo principale colui che gli garantisce la maggior rendita, in definitiva si vende al miglior offerente, sia esso un partito, un editore o una lobby.

3) La disinformazione dovuta alla mancanza di pluralismo informativo, ovvero la mancanza di una pluralità di interpretazioni soggettive dei fatti.

4) Il gigantismo informativo10, ovvero «la sproporzione tra la crescita dall’offerta e dalla domanda d’informazione e la relativa immobilità della nostra capacità di elaborare l’informazione» [Da Empoli, 2002, p.10]. Veniamo inondati di informazioni, spesso inutili, che non consentono di analizzare contesti reali. Anche in questo caso il giornalista sceglie di non riconoscere il cittadino lettore come suo principale.

5) La commistione con la pubblicità: il giornalista inquina le notizie subordinando le priorità dell’informazione all’interesse economico delle aziende commerciali. In questo caso esiste un vero e proprio scambio rendita/denaro tra il giornalista e l’azienda.

10 Il gigantismo informativo fa capo alle teorie del news management, cioè alla produzione di notizie come strumento di controllo del consenso, di cui Lesile Lanka, responsabile comunicazioni nell’era Reagan, fu un illustre esponente e teorico. Egli sosteneva che era necessario nutrire i media di un overdose di notizie verosimili, per garantirsene la fiducia, divenendo i media a quel punto facilmente manipolabili.

Riferimenti

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