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Requiem per il processo «giusto» - Judicium

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L

UIGI

P

AOLO

C

OMOGLIO

Requiem per il processo «giusto»

SOMMARIO. 1. Premesse di metodo e di stile. – 2. Contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio nel giudizio di cassazione. – 3. (Segue) Dalla riforma del 2006 a quella del 2009. Il difficile cammino verso un traguardo di «civiltà» processuale ancora assai lontano. – 4. (Segue) Processo «giusto» e rimedi di ultima istanza. – 5. I filtri di ammissibilità dei mezzi di impugnazione. - 6. (Segue) Gli ultimi (discutibili) interventi di riforma. – 7. Rilievi conclusivi.

1. Nel riprendere taluni profili di un tema affascinante, la cui trattazione mi vede da anni scientificamente «pregiudicato» e «pluri-recidivo»

1

(pur se, malgrado l’età non più verde, non ancora «pentito»)

2

, confesso un certo disagio psicologico, che solo in parte è mitigato dalla grande risonanza teorico-pratica dei temi in discussione.

Quel disagio non manca di insorgere e di riproporsi – continuando a farsi sentire – quando mi capita di dover formulare rilievi critici (anche severi, come in questa sede) sulle modalità di esercizio di una funzione pubblica fra le più delicate (qual è quella giurisdizionale)

3

cui, in veste di magistrato ordinario, dedicai, con entusiasmo giovanile, oltre 20 dei miei migliori anni di attività, in epoche (non è inutile ricordarlo) assai più cupe e drammatiche di quella odierna. Il fatto è che – avendo visto e continuando a constatare nei decenni successivi, con la toga (non meno nobile) dell’avvocato, disfunzioni ed anomalie nell’esercizio di quella (per me sempre sacra) funzione – reputo necessario vincere il disagio ed esprimere con franchezza il mio attuale pensiero.

Nutro la speranza (ultima a morire) che, alla luce delle più recenti (e, purtroppo, opinabili) tendenze di riforma del processo

4

, un nuovo dibattito (fra studiosi, avvocati e

1 Il presente studio è pubblicato anche in Nuova giur. civ., 2013, II, 47-66.

Il «giusto processo» ha rappresentato, sotto varie forme, un mio personale «cavallo di battaglia» da oltre 45 anni. Si rivedano, se può interessare, fra le mie opere meno risalenti : Le garanzie fondamentali del «giusto processo», in Jus, 2000, n. 3, 335-381, e in Nuova giur. civ., 2001, II, 1-33 ; Etica e tecnica del «giusto processo», Giappichelli, torino, 2004, X-429.

2 Mi permetto di ricitarmi ancora, con due ultimi scritti : Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in Il libro dell’anno del diritto 2012, Treccani, 2012, 621-629 ; La grande illusione (la ricerca «incompiuta» di un processo

«giusto»), in Jus, 2012, 3, 453-459.

3 Da me, peraltro, esercitata – è doveroso precisarlo – sempre nell’ambito delle giurisdizioni di merito (e quindi mai in quella di legittimità).

4 Cfr., infra, § 5.

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magistrati)

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si possa sviluppare, con intenti e propositi seriamente costruttivi (e non già, a seconda del variare delle categorie coinvolte, con postulazioni «di maniera», con difese aprioristiche di uno status quo ormai indifendibile o, peggio ancora, con assunti ideologicamente distorti).

Ad ogni buon conto, vorrei prevenire facili obiezioni, mettendo, come si suol dire, le mani avanti con l’enunciazione metodologica di due indispensabili premesse.

La prima. Di fronte ai disastri protratti di una giustizia quasi sempre lenta, macchinosa e tardiva, spesso superficiale e sommaria (e perciò, mi si perdoni il facile ossimoro, inesorabilmente «ingiusta»), il livello di guardia, per tutti gli operatori del settore, sembra ormai raggiunto e, forse, già largamente superato, nella vana attesa di un processo che possa, finalmente, dirsi «giusto» (nei fatti, certamente, e non soltanto a parole)

6

. Si ha, quindi, la netta impressione – corroborata, come vedremo, da significativi riscontri statistici e pratici

7

– che, da troppo tempo, le inefficienze strutturali e le croniche disfunzioni dell’ordinamento giudiziario, manifestatesi ormai a tutti i livelli, abbiano tenacemente resistito a qualsiasi intervento riformistico del legislatore, a tal punto da

«istituzionalizzarsi» (per così dire) come un male ineluttabile (e forse anche, a questo punto, irreversibile), dando vita ad una vera e propria «crisi delle garanzie», accettata (quasi con rassegnazione) dagli stessi protagonisti (giudici, pubblici ministeri, ausiliari ed avvocati) dell’attività giurisdizionale

8

.

Ed ecco la seconda premessa. Non sfugge ad alcuno (tantomeno a me) il dato storico inconfutabile – consolidato da decenni ed ancor oggi di cospicua consistenza, malgrado la tendenziale contrazione della litigiosità

9

– che attiene al «sovraccarico» di cause e di processi pendenti, da cui è tuttora gravata, al pari di molti uffici giurisdizionali sottordinati, la Corte Suprema di Cassazione, organo di vertice della piramide giudiziaria e massimo responsabile della nomofilachia.

Né mai potrebbe dubitarsi del fatto peculiare che l’overload degli organi di impugnazione (in particolare, quello delle Corti supreme), più volte denunziato e discusso anche a livello internazionale

10

, sia da tempo ritenuto quale concausa essenziale (e spesso preponderante) della «durata irragionevole» dei processi (o di specifici gradi di giudizio)

11

.

5 Sui temi qui trattati, naturalmente, sarei ben lieto di poter contribuire (è il mio preciso intento) ad una rinnovata dialettica – purché leale, pacata e non mai preconcetta – fra le diverse componenti di quell’annoso (e, talvolta, sin troppo aspro) confronto.

6 Francamente, dopo decenni di attività e di sforzi scientifici (in gran parte vani), indirizzati verso il culto dei valori di «giustizia procedurale», racchiusi nella formula del «giusto» (o dell’«equo») processo, il vedere che la piena realizzazione di quei valori sia ancora un lontano miraggio conduce me (e, con me, credo, tanti altri studiosi ed operatori pratici) a perdere progressivamente la pazienza, nonché, soprattutto, ogni residua speranza.

7 Cfr., infra, § 2.

8 Lo si vedrà infra (nei §§ 5-6), anche alla luce dei più recenti orientamenti di riforma.

9 Giustificata, in questi ultimi tempi, dalla crisi economica mondiale, che attanaglia e soffoca, in particolar modo, la nostra Italia e l’Europa.

10 Si consultino, ad es., nel contesto del tema generale Justice and Efficiency, trattato dall’ottava World Conference on Procedural Law (Utrecht, 24-28 agosto 1987), a proposito del sottotema Managing overload in appellate courts (including supreme jurisdiction), le relazioni di J.A. JOLOWICZ, Managing Overload in Appellate Courts : ‘Western’ Countries, e di J. NÉMETZ, Zur Bewältigung der Überlastung der Rechtsmittelgerichte in den

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Tutto sta – giova sottolinearlo – nel non voler trarre, ad ogni costo, da quel dato storico e statistico inconfutabile una sorta di permanente «stato di necessità», che sia sempre capace di scriminare (o di giustificare) in qualche modo, a fortiori nei giudizi di ultimo grado, l’inosservanza (sia pur meditata e «ragionata») di quelle regole fondamentali. L’overload, in altre parole, non può mai fungere, di per sé, da facile alibi per l’amministrazione della giustizia, dietro il fittizio paravento della taumaturgica esigenza di «celerità» dei giudizi.

Le possibili strategie di conseguimento della «durata ragionevole», condizione certamente fondamentale per un processo «giusto», presuppongono, al contrario, la ricerca, assai raffinata, e la combinazione di molteplici fattori (legislativi in primis, ma non solo)

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, sia per la drastica riduzione dei tempi di lite, sia per la deflazione dei carichi di lavoro e per la decongestione degli uffici giudiziari. Esse, dunque, rifiutano a priori qualsiasi forma di giustizia che, nel difetto di strumenti tecnici adeguatamente selettivi, si veda (o comunque si debba sentire) costretta, in una reazione di autodifesa spontanea, ad essere tanto approssimativa e «sommaria», da far uso di una rustica ed indiscriminata

«ramazza»

13

per l’eliminazione radicale e risolutiva (o, se vogliamo, «all’ingrosso») di quel temuto overload.

2. Il mio personale cahier de doléance, che ha per oggetto specifico l’effettività del contraddittorio «preventivo» anche (e, direi, soprattutto) nei giudizi dinanzi alle Corti di ultima istanza, trae spunto dalle indagini di tipo statistico o dalle constatazioni dirette, che qualsiasi operatore del settore è in grado di effettuare agevolmente da sé, usufruendo degli strumenti informatici più avanzati, messi a disposizione dalla moderna tecnologia

14

. Mi paiono interessanti, in questa sede, alcuni dati – ricavati, per curiosità, da una mia diretta ricerca fra le migliaia di provvedimenti decisori della Corte Suprema di cassazione, disponibili anche on line nella loro versione integrale – i quali riguardano le innumerevoli pronunce, con cui il Supremo Collegio ha, in questi ultimi anni, dichiarato

Europäischen Sozialistischen Ländern, nel vol. Justice and Efficiency, General Reports and Discussions, Editor W.

Wedekind, Kluwer, 1988, 71-94, 95-134.

Nell’ottica suindicata, cfr. pure il volume (Giuffré, Milano, 2001, VIII-228) in cui sono raccolti gli atti del convegno su Le Corti supreme, tenutosi in Perugia (5-6 maggio 2000), nonché, ivi, 105 ss., il contributo di E.

SILVESTRI, Le Corti supreme europee: accesso, filtri e selezione.

11 Sulla durata «eccessiva» del giudizio di cassazione, alla luce dell’art. 111 Cost. (allora comma 2, oggi comma 7), ad es., si rivedano i rilievi, ancora attuali, di M. CAPPELLETTI, Parere iconoclastico sulla riforma del processo civile italiano, in Giustizia e società, Edizioni di Comunità, 1972, 111-122, sp. 118.

12 Come prescrive, appunto, apertis verbis la «riserva di legge», enunciata nell’art. 111, comma 2, ult. parte, Cost.

13 Mi si vorrà perdonare la terminologia da caserma.

14 Mi riferisco, per i dati a campione, sintetizzati infra, ad una qualsiasi legittima ricerca – condotta, con mezzi telematici ed informatici, anche per argomenti, per frasi o per parole ricorrenti – sia nei siti internet a ciò deputati (ad es., CED, «Leggi d’Italia», e così via), sia per mezzo dei DVD collegati ai più autorevoli (ed aggiornati) Repertori di giurisprudenza.

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l’inammissibilità dei ricorsi, anche dopo l’abrogazione, sancita nel 2009

15

, del controverso

«filtro», introdotto dalla riforma del 2006 con il tanto esecrato art. 366-bis c.p.c.

16

. I punti di maggior rilievo, per quanto dirò, sono i seguenti :

- spesso, per i ricorsi già pendenti da più anni, senza che sia mai stata esperita la specifica procedura camerale, già disciplinata e rivista, per le pronunzie

17

di inammissibilità (e di manifesta fondatezza o infondatezza), dalla riforma del 2006

18

, si giunge a decisione

19

e si dichiara l’eventuale inammissibilità

20

, dopo il deposito delle memorie di parte ed all’esito dell’udienza di discussione orale

21

;

- in tali ipotesi, non si applica il comma 3 dell’art. 384

22

, per le ragioni sistematiche di cui si tratterà infra

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, e, quindi, non si instaura alcun preventivo contraddittorio sulla relativa

15 Cfr. l’art. 47, comma 1, lett. d, della l. 18.6.2009, n. 69.

16 La norma fu inserita, come é noto, dall’art. 6 del d. lgs. 2.2.2006, n. 40, e viene qui riprodotta per mera comodità di consultazione : «Formulazione dei motivi. Nei casi previsti dall'art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall'art. 360, primo comma, n. 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione».

17 Nella prescritta forma dell’ordinanza (art. 375, comma 1, c.p.c.).

18 Si vedano gli artt. 375, comma 1, nn. 1 e 5, 380-bis e 380-ter, nel testo modificato o introdotto ex novo dagli artt. 9-10 del d. lgs. 2.2.2006, n. 40. Nel corso di tale procedura, il preventivo contraddittorio era (ed è, anche nella versione del 2009 : art. 380-bis, commi 2-3) pienamente rispettato, sia pur con le modalità previste dal comma 3 del cit. art. 380-bis (vale a dire : con la previa notifica alle parti del decreto di fissazione dell’udienza di trattazione camerale e della relazione svolta in tal senso dal relatore nominato ex art. 377, comma 1, nonché con la facoltà, data al pubblico ministero ed agli avvocati delle parti, di presentare, rispettivamente, conclusioni scritte e memorie).

Oggi, come è noto, dopo la predetta riforma del 2009, l’introduzione dell’apposita sezione-filtro rende (o, almeno, dovrebbe rendere) più agevole lo screening, tenpestivo e prodromico, dei ricorsi, a partire dalla fase che precede l’assegnazione dei ricorsi medesimi alle sezioni semplici della Suprema Corte (art. 376, comma 1). Sul tema, si riveda l’accurata analisi di E. SILVESTRI, Le novità in tema di giudizio di cassazione, nel vol. Il processo civile riformato, diretto da M. TARUFFO, cit., 409-448, sp. 423-428, 433-436.

19 Tanto più, dopo il deposito dell’istanza di trattazione (o di prelievo), discutibilmente introdotta dall’art. 26 della l. 12. 11.2011, n. 183, e poi (opportunamente) abrogata dopo pochi mesi.

20 Non di rado, dichiaratamente, si emette una pronunzia a «motivazione semplificata», anche per la pronunzia su ricorsi proposti in epoca ben antecedente al 2009.

Vale, però, la pena di rammentare come quel modello di motivazione – già presente dal 2000 nel processo amministrativo (cfr., ora, gli artt. 60, comma 1, e 88, comma 2, lett. d, del nuovo c.p.amm. del 2010) – sia stato recepito nel processo ordinario (cfr. l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e l’art. 118, comma 1, disp. att.) dalla predetta riforma del 2009 (ex art. 52, comma 5, l. 18.6.2009, n. 69) ed oggi venga ripreso in più settori dalle ultime riforme (cfr., ad es., il nuovo art. 348-ter, comma 1, c.p.c., come inserito dall’art. 54 del d.l. 22.6.2012, n.

83, conv. in l. 7.8.2012, n. 134). Le disposizioni del 2009 – secondo le norme di diritto transitorio (art. 58, commi 1-2, l. n. 69/2009) – si sono rese invocabili de futuro, in base alla regola generale, nei giudizi instaurati ab initio dopo il 4.7.2009 (data di entrata in vigore della stessa l. n. 69), mentre lo sono state, eccezionalmente, a tale medesima data, nei soli «giudizi pendenti in primo grado».

21 Ex artt. 378 e 379 c.p.c.

22 Ricordo il testo della norma (tuttora in vigore): «Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non onferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione».

23 Si veda, per maggiori ragguagli, il § seguente.

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questione, pur se, come è accaduto più volte, l’inammissibilità venga direttamente rilevata d’ufficio dalla stessa Corte nel momento della decisione camerale, senza che alcuna delle parti od anche il pubblico ministero l’abbia mai previamente eccepita o dedotta in alcun modo ;

- la disapplicazione di tale comma 3 è pure presente, e viene convintamente ribadita, laddove l’inammissibilità del ricorso (o del controricorso) sia eccepita da una delle parti nella memoria redatta in base all’art. 378 oppure nel corso della discussione orale, ex art.

379

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;

- in ogni caso, la motivazione, adottata dalla Corte in molte declaratorie di inammissibilità, risulta perlopiù «seriale»

25

, di solito fondata didascalicamente su alcuni scelti riferimenti giurisprudenziali di base

26

, indicati quale jus receptum sul cit. art. 366-

24 Per il caso dell’eccezione di inammissibilità, sollevata dal controricorrente nella memoria ex art. 378, cfr., ad es., la motivazione di Cass., sez. un., 26.3.2007, n. 7258, pubblicata (con Cass., sez. un., 5.1.2007, n. 36, Cass., Sez. III, ord., 19.12.2006, n. 27130, Cass., Sez. lav., 24.7.2006, n. 16876) in Foro it., 2007, I, 1385-1397, sp.

1392-1393, con commento di R. CAPONI, Il nuovo giudizio di cassazione civile: quesito di diritto, principio di diritto, massima giurisprudenziale, 1387-1394. Per il caso dell’inammissibilità eccepita dal pubblico ministero (P.G.) all’udienza di discussione orale, cfr. Cass., sez. un., 21.6.2007, n. 14385, in Rep. Foro it., 2007, voce

“Cassazione civile”, n. 318, e, per esteso, con altre pronunzie, in Foro it., 2008, I, 522, sp. 537-538, con commento di CAPONI, Formulazione del quesito di diritto e indicazione del fatto controverso nel ricorso per cassazione (art. 366 «bis» c.p.c.): aggiornamenti giurisprudenziali, 522-524. In proposito, si fa rilevare come, nell’udienza di discussione orale, ai difensori delle parti sia comunque garantita un’adeguata chance di contraddittorio preventivo, con la possibilità di presentare alla Corte «brevi osservazioni per iscritto», soprattutto sulle conclusione del pubblico ministero (art. 379, comma 4).

25 Il che, tutto sommato, si spiega (e non sarebbe, da sé solo, motivo di particolare critica) con apparenti ragioni di organizzazione interna, fra le Sezioni, e di celerità pratica, nello smaltimento dell’enorme carico di lavoro.

26 Interi brani e capoversi delle motivazioni in esame si trovano ripetitivamente e tralatiziamente utilizzati – con il noto sistema informatico del «copia-incolla», come è facile appurare con i consueti strumenti telematici, a disposizione degli utenti dei servizi giudiziari – in oltre 600 pronunce di analogo contenuto, solo nell’ultimo biennio. Lo si può facilmente constatare, per tramite dei siti internet disponibili (ad es., CED,

«Leggi d’Italia», e così via).

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bis

27

, pur se coevi o addirittura ben successivi alla data di proposizione di determinati ricorsi ritenuti inammissibili

28

.

Si giunge, così, ad un evidente (e forse ineludibile) paradosso.

Posto che l’eventuale violazione del cit. art. 384, comma 3, non costituisce (allo stato) motivo deducibile con alcun tipo di gravame post rem judicatam

29

, in moltissimi casi occorre ben rimpiangere che il Supremo Collegio – negli anni di sterile (ed inutile) pendenza dei singoli giudizi di legittimità – non abbia avuto la concreta possibilità

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di attivare con tempestività, sulla stessa questione poi rilevata d’ufficio in sede decisoria, lo speciale procedimento camerale, già disciplinato dalla stessa riforma del 2006 (e modificato da quella del 2009)

31

. In quei casi certamente, sia pur nelle forme e nei limiti previsti ad hoc dalla legge

32

, il preventivo contraddittorio fra le parti si sarebbe potuto (bene o male) realizzare, salvando almeno (se non la sostanza) le forme apparenti di un’efficace dialettica difensiva.

3. Il quesito centrale, che trova riscontro nei dati suindicati, è dunque ben noto e chiaro da tempo.

Ci si continua a chiedere, infatti, se la Suprema Corte, che nel momento della decisione, a fortiori dopo la trattazione della causa in pubblica udienza, rilevi d’ufficio un motivo di inammissibilità del ricorso, mai sollevato e discusso nel corso del giudizio, o tantomeno in udienza, si possa legittimamente sottrarre al disposto dell’art. 384, comma 3, astenendosi

27 Su «fasti e nefasti» del tanto criticato art. 366-bis, cfr., ad es., ex multis, Cass., sez. un., 26.3.2007, n. 7258 ; Cass., sez. un., 5.1.2007, n. 36; Cass., Sez. III, ord., 19.12.2006, n. 27130; Cass., Sez. lav., 24.7.2006, n. 16876 ; tutte in Foro it., 2007, I, 1385-1397, con commento di CAPONI, Il nuovo giudizio di cassazione civile: quesito di diritto, principio di diritto, massima giurisprudenziale, cit., 1387-1394. Si consultino, altresì, le decisioni annotate, criticamente, da A. BRIGUGLIO, Precisazioni e disorientamenti (veri o presunti) sui «quesiti» ex art. 366 bis c.p.c., in Giur. it., 2008, 2537 ss., nonché da CAPONI, Formulazione del quesito di diritto e indicazione del fatto controverso nel ricorso in cassazione, ult. cit., in Foro it., 2008, I, 520-540. Sul tema, si aggiungano poi, ad es. : M.

ACONE, Considerazioni sull’ambito di applicazione del «quesito di diritto, nota a Cass., sez. un., ord., 22.10.2007, n. 22059, in Riv. dir. proc., 2008, 1700-1713 ; O. BOSIO, Dall’art. 366 bis all’art. 360 biss c.p.c., in Nuova giur. civ., 2009, II, 382-394 ; A. DIDONE, Note minime sul quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. e sul nuovo «filtro» in cassazione, in Corriere giur., 2009, 847 ss.; M. CANTILLO, I quesiti di diritto in cassazione : rassegna critica di un’esperienza al tramonto, in Rass. trib., 2009, 11 ss.; E. RICCI, Il quesito di diritto nel ricorso per cassazione:

istruzioni per l’uso, nota a Cass., sez. un., ord., 5.2.2008, n. 2658, in Riv. dir. proc., 2009, 551-555 ; E. SILVESTRI, Il «quesito di diritto» ex art. 366 bis c.p.c.: le prime pronunce della cassazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, 337 ss.

28 Il che suscita un certo disagio – non possiamo negarlo – ogni qual volta quel medesimo indirizzo giurisprudenziale, qualificato come jus receptum, venga invocato (sia pur ineccepibilmente, sul piano formale) per giustificare l’inammissibilità di ricorsi proposti negli anni meno recenti (ad es., nel 2007 o nel 2008), per effetto di pronunce emesse dalla Suprema Corte ben dopo l’intervenuta abrogazione del cit. art.

366-bis.

Viene, dunque, spontaneo domandarsi perché mai – ad es., nel 2011 o nel 2012 – quest’ultima norma dovrebbe (ultrattivamente, ancorché legittimamente) continuare ad operare ratione temporis a danno delle parti, mentre il cit. art. 384, comma 3, che è tuttora in vigore, non dovrebbe valere, a maggior ragione, per l’organo giudicante. Che si tratti di processo «giusto», a conti fatti, è lecito dubitare.

29 In particolare, con la revocazione disciplinata dai vigenti artt. 391-bis e 391-ter (cfr., però, infra, § 4).

30 Per le ovvie e arcinote ragionì di overload.

31 Cfr., nella versione del 2006, gli artt. 375, comma 1, n. 1, e 380-bis, commi 1 e 3, c.p.c.

32 Si riveda l’art. 380-bis, comma 3, nella versione del 2006, e comma 2, in quella del 2009.

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dal provocare, quantomeno nelle ridotte forme ivi previste, il preventivo contraddittorio sulla predetta questione.

L’interrogativo acquisisce un risalto anche maggiore, dopo che, come si accennava poc’anzi, la riforma del 2009 ha trasformato in norma generale (con raggio d’azione a 360 gradi), integrata (per di più) da una testuale sanzione di nullità

33

, quella lex specialis del giudizio di cassazione.

Ebbene, sappiamo che la Corte medesima, nel 2011 (e, prima ancora, nel 2009), si è posta ex professo il delicato problema, tentando di rispondere in termini cautamente affermativi al quesito, con una serie di articolate ed approfondite argomentazioni

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, secondo le quali la

«regola espressa» del cit. art. 384, comma 3, per come è formulata in rapporto al contesto, parrebbe

35

, alla luce di una «lettura in senso restrittivo», riferirsi unicamente all’ipotesi in cui la stessa Corte ritenga di dover «decidere nel merito», ai sensi del comma 2.

A prescindere da argomenti sistematici ormai superati

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, la Corte si impegna a giustificare la proposta «lettura restrittiva» sulla scorta di «elementi esegetici interni» allo stesso art. 384. Essa, dunque, rileva come, nel predetto comma 3, l’uso del verbo

«decidere» sarebbe l’inequivoco indice di una voluntas legis intesa a circoscrivere la portata di quel comma ad una sola delle due ipotesi contemplate nel comma 2 (e cioè a quella del

«decidere» la causa nel merito)

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, per la quale, trattandosi di una funzione propriamente estranea alle attribuzioni nomofilattiche tipiche del giudice di legittimità

38

, sarebbe del tutto razionale – in piena coerenza con il principio costituzionale della «ragionevole

33 Art. 101, 2° comma, c.p.c., così come integrato dall’art. 45, comma 13, della l. 18.6.2009, n. 69.

34 Ci si riferisce, in particolare, a Cass., Sez. III, ord., 20.7.2011, n. 15964, Pres. Finocchiaro, Rel. Frasca, massimata in Rep. Foro it., 2011, voce “Cassazione civile”, n. 152. Ma si veda pure, nel medesimo senso, la precedente Cass., Sez. III, 7.7.2009, n. 15901, massimata ivi, 2010, voce cit, n. 202, e pubblicata, per esteso, in Corriere giur., 2010, 354 ss. (unitamente ad altre due pronunce), con nota di C. CONSOLO, Le sezioni unite sulla causalità del vizio nelle sentenze della terza via: a proposito della nullità, indubbia ma peculiare poiché sanabile allorché emerga l’assenza in concreto di scopo del contraddittorio eliso.

35 Nell’ampia ed approfondita motivazione di Cass., n. 15964/2011, cit. supra, si afferma infatti, testualmente, che la «regola espressa» dell’art. 384, comma 3, «… sembra riferibile soltanto all’ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito e non ad altre ipotesi ed in particolare alle ipotesi di difetti di ammissibilità del ricorso previsti dalla legge …», ed inoltre si sottolinea, sul piano esegetico, la «… forte impressione …» che il peculiare procedimento, previsto nel comma 3 dell’art. 384, sia stato consapevolmente

«voluto» dal legislatore per quella sola ipotesi (e non per altre).

36 Si tratta di quei dati ermeneutici che (come riconosce la stessa Corte) scaturirebbero dall’art. 380-bis, comma 5, nella versione previgente (del 2006), ove si faceva riferimento all’art. 375 tout court (mentre oggi, dopo la riforma del 2009, nel nuovo art. 380-bis, comma 4, si richiama, con maggior precisione, il cit. art. 375, comma 1, nei soli nn. 2-3).

37 Vale a dire, non all’ipotesi dell’«accoglimento» del ricorso e della correlata «cassazione» dell’impugnata sentenza, con il conseguente «rinvio» prosecutorio, previa formulazione del «principio di diritto», bensì all’ipotesi della «decisione» della causa nel merito, «qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto».

38 Non potrebbero invero – così argomenta la Corte – mai reputarsi come possibile «motivo di mortificazione del contraddittorio delle parti» quelle altre ipotesi in cui (ad es., con la cassazione «senza rinvio», ex art. 382, comma 3, o con la mera «correzione» in diritto della motivazione della sentenza impugnata, ex art. 384, comma 4) la «genuina» funzione di nomofilachia comporti, fra le sue essenziali componenti, anche «la rilevazione di questioni di diritto rilevabili d’ufficio», secondo il fondamentale brocardo jura novit curia.

Circa la non applicabilità dell’art. 384, comma 3, al caso della mera «correzione», in base al comma 4, cfr. già Cass., Sez. III, 21.10.2009, n. 22283, in Rep. Foro it., 2009, voce “Cassazione civile”, n. 231.

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durata» dei processi

39

– l’applicazione della «procedimentalizzazione»

40

disciplinata dallo stesso comma 3.

Al di là di taluni (presunti) dubbi di costituzionalità, cui si esporrebbe una «lettura lata»

del cit. comma 3

41

, la Corte non riesce ad esimersi dal considerare il jus superveniens dell’art. 101, comma 2, c.p.c., alla cui stregua la «questione esegetica» del cit. art. 384, comma 3, dovrebbe essere in ogni caso «sottoposta a verifica». Il Supremo Collegio cerca, tuttavia, di liberarsi dall’impasse invocando, per un verso, l’irretroattività ratione temporis della nuova norma introdotta nel 2009

42

e, per altro verso, la ribadita «specificità» del giudizio di cassazione.

Per quanto stilisticamente apprezzabili ed accurate, le argomentazioni suesposte non mi paiono convincenti.

Non è possibile, infatti, assumere con plausibile coerenza che il legislatore del 2006 si sarebbe astenuto ex professo dal formulare una «norma di carattere generale», giungendo a concepire il comma 3 dell’art. 384

43

come una limitata lex specialis, da interpretarsi dunque stricto jure

44

.

39 Sul punto, osserva il Supremo Collegio : «… è di tutta evidenza che se ogni questione che la Corte rilevasse d’ufficio dovesse comportare la procedimentalizzazione supposta dall’art. 384 c.p.c., comma 3, i tempi del giudizio di cassazione, già notoriamente lunghi, si allungherebbero ancora …» (!).

40 Con la temporanea «riserva» della decisione e con l’assegnazione alle parti di termini congrui per il

«deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione» rilevata d’ufficio.

41 Se si dovesse accogliere la predetta intepretazione «lata» – nell’opinione del Supremo Collegio – non si assicurerebbe una «eguale possibilità di replica» alla parte interessata, laddove l’eccezione di inammissibilità del ricorso fosse stata proposta dalla controparte nella memoria ex art. 378 c.p.c. ovvero fosse stata sollevata dal pubblico ministero (P.G.) nel corso della discussione orale, ex art. 379 (!!). Francamente, il rilievo non mi pare perspicuo.

Nel senso che si sottrarrebbero alla sfera di invocabilità del cit. art. 384, comma 3, l’ipotesi in cui l’eccezione di inammissibilità sia proposta nella predetta memoria e l’ipotesi in cui sia il P.G. a sollevarla nel corso della discussione orale, si rivedano (cfr., retro,, nota 24) : per la prima, Cass., sez. un., 26.3.2007, n. 7258, cit., in Foro it., 2007, I, 1385, 1392-1393, con commento di CAPONI, Il nuovo giudizio di cassazione civile, cit., 1387 ss.; per la seconda, Cass., sez. un., 21.6.2007, n. 14385, cit., ivi, 2008, I, 522 ss., con nota di CAPONI, Formulazione del quesito di diritto, cit., nonché. in Rep. Foro it., 2007, voce “Cassazione civile”, n. 318.

42 Cfr. l’art. 58, comma 1, della l. n. 69/2009. Ma, come si sa, non mancano numerose pronunce dei giudici di merito, intese a qualificare il nuovo art. 101, comma 2, non già come innovazione normativa in senso proprio, con efficacia ex nunc, bensì come disposizione puramente «ricognitiva» ex tunc di un precetto (non soltanto costituzionale) da tempo preesistente nel processo, quale fonte di una nullità «non formale», perciò sottratta al principio di tassatività (ex art. 156, comma 1, c.p.c.), che é proprio delle nullità «formali».

43 Il quale ha, sicuramente, agito da «apripista» in preparazione della novità generalizzata, poi, dalla riforma del 2009 (con il cit. art. 101, comma 2). Ne ha dato atto, già in epoca antecedente a quest’ultima riforma, lo stesso Supremo Collegio (cfr., ad es., Cass., Sez. II, 9.6.2008, n. 15194, in Rep. Foro it., 2008, voce

“Procedimento civile”, n. 125), invocando il sopravvenuto comma 3 dell’art. 384 ad ulteriore «conforto» del principio, costituzionalmente sancito, secondo cui «… ove lo stesso giudice decida in base a questione rilevata d’ufficio e non segnalata alle parti, si avrebbe violazione del diritto di difesa per mancato esercizio del contraddittorio, con conseguente nullità della emessa pronuncia …» (sul punto, cfr. l’analisi di A.

GIORDANO, La sentenza della «terza via» e le «vie» di uscita – Delle sanzioni e dei rimedi avverso una «terza soluzione» del giudice civile, in Giur. it., 2009, 911 ss.).

44 In base all’art. 14 disp. prelim. c.c.

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Al contrario – per quel che la voluntas dei conditores può valere, a livello ermeneutico

45

– quel legislatore si è consapevolmente espresso in termini generali, nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 40/2006

46

, invocando, quale unica ratio giustificativa, la fondamentale esigenza di «tutela del principio costituzionale del contraddittorio nello svolgimento del processo» (ben s’intende : del giudizio di legittimità), con un evidente, seppur implicito, richiamo del precetto sancito, dopo la riforma del 1999, nell’art. 111, comma 2, Cost.

Di fronte alla chiarezza del predetto disegno riformistico, mi sembra che la proposta lettura «restrittiva» si sforzi di postulare conferme plausibili in taluni dati letterali non idonei (anzi, di segno contrario). E’, infatti, agevole constatare come, nel medesimo contesto normativo, il verbo «decidere» si riferisca in egual misura, e senza indebite distinzioni, a tutte le ipotesi in cui la Corte sia chiamata a «pronunciarsi», in camera di consiglio o in seguito a pubblica udienza, su qualsiasi tipo di «questione»

47

, ogni qual volta essa debba definitivamente statuire sui «ricorsi» e sulle altre «istanze»

48

proponibili,

«dichiarandone» l’eventuale inammissibilità

49

o disponendone l’«accoglimento» (e, quindi,

«cassando», con rinvio o senza rinvio, la sentenza impugnata) oppure sancendone il

«rigetto»

50

.

Le conclusioni mi paiono, a questo punto, pressoché scontate.

In forza delle tradizioni consolidate

51

e dei consueti criteri interpretativi

52

, non c’è alcuna valida ragione per dubitare del fatto che, a seguito della riforma del 2006, il comma 3 dell’art. 384, al di là della sua collocazione topografica, sia certamente l’espressione di un principio generale del processo, rafforzato e «coperto» dalle norme costituzionali.

Esso si sottrae a priori a qualsiasi «distinguo» limitativo, che non sia presente e direttamente esplicitato nel testo della norma

53

, integrando tutt’al più, se proprio si vuole, una lex specialis applicabile, però, all’intero giudizio di legittimità

54

(e non dunque alla sola,

45 Cfr. l’art. 12, comma 1, disp. prelim. c.c.

46 Il passo della Relazione di cui sopra è, testualmente, il seguente : «a tutela del principio costituzionale del contraddittorio nello svolgimento del processo, si è, infine, previsto che, ogni qual volta la Corte ritenga di porre a fondamento della propria decisione una questione rilevabile d’ufficio, essa debba assegnare alle parti un termine per il deposito di osservazioni in ordine alla questione medesima» (art. 384, comma 3).

47 Si pensi, ad es., alla rubrica dell’art. 382 («Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza»).

48 Il riferimento tipico è ai ricorsi per regolamento di giurisdizione o di competenza, definiti «istanze» dalla rubrica dell’art. 380-ter.

49 Anche qui, ovviamente, ci troviamo di fronte ad una decisione a tutti gli effetti. Si pensi, in tal senso, alla rubrica dell’art. 380-bis (ove si parla del «procedimento per la decisione sull’inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio»).

50 Ad es., si vedano, ancora, in rapporto all’art. 375, comma 1, nn. 1/5, gli artt. 380-bis e 380-ter, nonché gli artt. 382-383-384.

51 Si pensi al ditterio ormai classico : ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus.

52 Ex art. 12, commi 1-2, disp. prelim. c.c. Del resto, quando la legge processuale ha inteso aggettivare il sostantivo «questione» con una specifica qualificazione tecnica (parlando, ad es., di questione

«pregiudiziale» attinente al processo o di questione «preliminare» «di merito»), lo ha fatto a ragion veduta e in termini espliciti (cfr., ad es., gli artt. 34, 187, commi 2-3, e 279, comma 2, n. 2, c.p.c.).

53 Come accade, appunto, nel cit. comma 3, ove si parla tout court di «questione rilevata d’ufficio», al pari di quanto si legge («questione rilevabile d’ufficio») nell’art. 183, comma 4, c.p.c.

54 Se ne ha una coerente riconferma (ed è strano che la Corte non se ne sia resa conto, nella pur attenta pronunzia di cui trattasi : cfr., supra, nota 28) proprio nel comb. disp. degli artt. 376, comma 1, e 380-bis c.p.c.,

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anomala, fase in cui, eccezionalmente, la Corte si veda riconosciuto anche il potere, estraneo ex se alla sua istituzionale funzione in jure, di «decidere» direttamente la causa nel merito «qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto»).

Vi è infine, in chiusura, una constatazione del tutto univoca, sul piano sistematico.

Non vi è mai stata incertezza in dottrina, sin dagli anni ’70 dello scorso secolo, sul fatto che l’esigenza costituzionale di prevenire ogni sentenza c.d. «a sorpresa» (o della «terza via») implicasse il dovere inderogabile del giudice di instaurare il contraddittorio, prima della pronuncia che definisce il giudizio, su qualsiasi «questione» (si badi : di fatto o di diritto, di rito o di merito, pregiudiziale o preliminare, purché a priori astrattamente dotata di incidenza decisoria ex se)

55

, rilevata d’ufficio e non mai sottoposta in precedenza al confronto dialettico tra le parti in lite.

Nella stessa prospettiva si sono dapprima, coerentemente, orientate la giurisprudenza interna (pur tra notevoli oscillazioni)

56

e, nell’ambito del processo «equo», talune isolate pronunce degli stessi organi europei di giustizia

57

. Sono poi intervenute, nel c.p.c., la riforma del 2006 e quella del 2009, la quale ultima – già lo si diceva – si è spinta a sanzionare testualmente, nel precetto generale di cui al nuovo comma 2 dell’art. 101, l’inosservanza di quel dovere del giudice

58

con la «nullità» della relativa decisione, senza

ove, dopo l’assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni, la preliminare «verifica» delle condizioni previste dall’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, implicando, fra l’altro, l’eventuale rilievo d’ufficio di un motivo di inammissibilità (accanto alle anomale ipotesi di accoglimento o di rigetto per «manifesta fondatezza o infondatezza»), presuppone in ogni caso la preventiva instaurazione del contraddittorio, con le modalità indicate dal comma 2 del cit. art. 380-bis.

Ed allora perché mai – ci si domanda – lo stesso presupposto non dovrebbe dirsi cogente e inderogabile, a maggior ragione, quando il rilievo d’ufficio della questione di inammissibilità avvenga al termine del giudizio, nel momento decisorio, in base al cit. comma 3 dell’art. 384 ? Sarebbe mai sufficiente, a giustificazione di tale deroga, recante una seria violazione dei diritti di difesa delle parti, il mero (salvifico) appello al precetto sulla «ragionevole durata» del giudizio ?

55 Sul punto, a proposito degli artt. 101 e 183, comma 2, c.p.c. (versione d’origine), nel quadro del «giusto processo», si riveda, volendo, il mio volume La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Cedam, 1970, 144-148, sp. 146 (ed ivi, pure, il riferimento alla dottrina tedesca sulla c.d. Überraschungsentscheidung, da reputarsi inammissibile in base alla garanzia costituzionale del rechtliche Gehör).

56 Si vedano, ad es., Cass., 27.7.2005, n. 15705, e Cass., 5.8.2005, n. 16577, in Riv. dir. proc., 2006, 747-749, con commenti di E. RICCI, La sentenza «della terza via» e il contraddittorio, 750-754, e di COMOGLIO, «Terza via» e processo «giusto», 755-762. La tesi della nullità della decisione adottata su questioni non sottoposte al previo contraddittorio delle parti si è, comunque, consolidata anche prima della riforma del 2009 (cfr., ad es., ancora Cass., 9.6.2008, n. 15194, cit., in Giur. it., 2009, 910 ss., con commento di GIORDANO, La sentenza della «terza via», cit., supra in nota 37).

57 E’ emblematica, ad es., nell’ambito della giustizia penale, l’ipotesi della modificazione della qualificazione giuridica del fatto contestato, intervenuta nel giudizio di cassazione senza il previo contraddittorio dell’accusato, e quindi in aperta violazione delle garanzie sul processo «equo» (con riferimento all’art. 6, § 3, della Convenzione del 1950, cfr. Corte europea dir. uomo, 11.12.2007, Drassich, in Foro it., 2008, IV, 241-244, con nota di F. GANDINI).

58 Si è argomentato, in proposito, che il potere di «rilevare» d’ufficio una «questione» è indissolubilmente connesso con il contemporaneo potere-dovere di «indicare» previamente la medesima alle parti per il loro confronto dialettico (art. 183, comma 4, c.p.c.; ed ora, dopo la riforma del 2010, art. 73, comma 3, c.p.amm.;

sul punto, già COMOGLIO, Le garanzie costituzionali, in COMOGLIO, FERRI, TARUFFO, Lezioni sul processo civile5, vol. I, Il Mulino, 2011,72-78, sp. 76-77, ove si richiama, fra l’altro, l’importante Cons. Stato, Ad. Plen., 24.1.2000, n. 1, in Foro it., 2000, III, 305-308, sp. 307, con nota di A. TRAVI).

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peraltro mai introdurre alcuna distinzione preconcetta fra le possibili «questioni» rilevate d’ufficio

59

.

Ne deriva che il cit. art. 384, comma 3, in quanto diretta espressione di un principio costituzionale incomprimibile, non avrebbe potuto non essere interpretato – anche ben prima della riforma del 2009

60

– in senso razionalmente estensivo, potendo (e dovendo) essere inderogabilmente applicato per ogni «questione» rilevata d’ufficio dalla Suprema Corte nel momento della decisione (ed, a fortiori, nei casi di «inammissibilità» del ricorso o del controricorso, tardivamente rilevata e, quindi, sfuggita alla speciale procedura camerale, regolata dall’art. 380-bis c.p.c.)

61

.

4. Fermi restando i presupposti dogmatici delle mie precedenti «lamentazioni», non intendo certo accontentarmene, senza perlomeno tentare di trarne de jure condendo un congruo apporto propositivo. Si tratta, ne sono convinto, di reali esigenze di logica sistematica (e non già di velleità puramente astratte e teoriche, da lotta disperata e patetica contro i mulini a vento!).

Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di ribadire ulteriormente, con coerenza e con rigore, i suesposti principi, soprattutto laddove si tratti del rilievo d’ufficio, nel momento decisorio, di questioni attinenti all’irricevibilità o all’inammissibilità dei ricorsi [cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 8.3.2011, n.

1462, in Rep. Foro it.,2011, voce “Giustizia amministrativa”, n. 1629, la cui massima si esprime così :

«(omissis)… va annullata con rinvio al giudice di primo grado la sentenza che sia stata emessa senza che la questione d’irricevibilità/inammissibilità del ricorso, rilevata d’ufficio dal collegio, sia stata sottoposta alla trattazione delle parti, comportando tale omissione violazione del generale principio processuale di garanzia del contraddittorio immanente alla garanzia costituzionale del giusto processo di cui all’art. 111 cost., che opera non solo nella fase d’instaurazione del processo ma ne permea l’intero svolgimento, ponendosi detto principio come garanzia di partecipazione effettiva delle parti al processo, ossia come riconoscimento del loro diritto d’influire concretamente sullo svolgimento del processo e d’interloquire sull’oggetto del giudizio, sicché le stesse devono essere poste in grado di prendere posizione in ordine a qualsiasi questione, di fatto o di diritto, preliminare o pregiudiziale di rito o di merito, la cui risoluzione sia influente ai fini della decisione»].

59 E’ quanto si desume, oggi, definitivamente con l’art. 101, comma 2, c.p.c., postosi – sia pur tardivamente – sulla scia dell’art. 16, commi 2-3, del c.p.c. francese del 1975. A commento, da ultimo, si vedano, ad es. : C.

CONSOLO, F. GODIO, sub art. 101, in Commentario del c.p.c., diretto da L.P. COMOGLIO, C. CONSOLO, B.

SASSANI, R. VACCARELLA, vol. II, Art. 99-162, Utet Giuridica, 2012, 22-46 ; CONSOLO, Poteri di rilievo officioso, diritto di difesa e (proporzionate) garanzie costituzionali, §§ 1-7, in corso di pubblicazione in Jus, 2012 ; nonché il mio Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, cit. supra (nota 2), 621-629.

Si ricordi che nel cit. art. 16 del c.p.c. francese si correla il previo contraddittorio sia a «… les moyens, les explications et les documents invoqués ou produits par les parties …», sia a «…les moyens de droit…» che il giudice abbia «relevés d’office …». Nella ZPO tedesca invece, inizialmente, si parlò del previo contraddittorio su «einen rechtlichen Gesichtspunkt» (§ 278, comma 3, dopo la riforma del 1976), mentre oggi, dopo le riforme del 2001-2002, se ne riparla con riguardo, sic et simpliciter, «auf einen Gesichtspunkt» (§

139, comma 2). Ma si veda pure, in termini analoghi, anche il nuovo § 182a della ZPO austriaca, dopo le riforme del 2003.

60 Rimane comunque del tutto discutibile – nei giudizi di legittimità promossi in epoca anteriore alla predetta riforma – l’espediente di appigliarsi all’irretroattività del novum, introdotto nel sistema dal comma 2 dell’art.

101, onde insistere ad ogni costo sull’interpretazione «restrittiva» dell’art. 384, comma 3.

61 Si veda ancora l’ipotesi-tipo esposta ed analizzata retro, nel § 2.

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Il grave problema del rilievo d’ufficio di «questioni» mai prima discusse, nei giudizi dinanzi al Supremo Collegio, se pur riceve un preciso riscontro dalle nuove norme, che impongono all’organo giudicante di instaurare il previo contraddittorio fra le parti (private e pubbliche), lascia aperto il problema ulteriore, sotteso all’inoppugnabilità tradizionale delle pronunce di ultima istanza, che potrebbero dirsi eventualmente nulle

62

per violazione delle garanzie sul «giusto processo» (od anche, in particolare, per inosservanza diretta di quelle stesse nuove norme)

63

.

Sono consapevole di rischiare l’infastidita (e, forse, scandalizzata) reazione di chi, nel nome della tanto invocata (ma assai poco razionalizzata) esigenza della «ragionevole durata», opterebbe senza esitazioni per la conservazione dello status quo. Ma il quesito – di fronte alla nefasta crisi in cui versa, ab immemorabili, la nostra giustizia – non mi sembra così azzardato (né, tantomeno, così campato per aria).

Già sappiamo come – soprattutto dopo la costituzionalizzazione del processo «giusto», sancita nel 1999 – il legislatore ordinario abbia ritenuto di dover ridimensionare, sia pure in limiti ristrettissimi ed eccezionali (come è del tutto logico), il dogma della inoppugnabilità delle sentenze di ultimo grado, ampliando nel processo civile le ipotesi ammissibili di impugnazione straordinaria (per revocazione e per opposizione di terzo) delle pronunzie cassatorie

64

, sulla scia della riforma del 1990

65

. Nella stessa prospettiva, d’altronde, già si sono avute diverse pronunce «additive» della Corte costituzionale, volte a potenziare ulteriormente il «controllo sulla legalità del giudizio» e il godimento effettivo del «diritto al processo in cassazione», ai sensi delle garanzie sul processo «giusto»

66

. Ed il medesimo fenomeno si è pure verificato nel processo penale, ove proprio l’intervento legislativo del 2001, ispirato dichiaratamente alle garanzie costituzionali del processo «giusto», integrate dalla riforma del 1999, si è curato di introdurre ex novo, nei confronti dei provvedimenti pronunciati in ultima istanza dalla Corte suprema di cassazione, il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, che prima non esisteva

67

. D’altro canto, ben si sa, pure, come un altro dogma ritenuto sino a poco tempo fa del tutto inattaccabile (e, cioè, quello dell’intangibilità del giudicato) abbia subito, in questi ultimi anni, talune notevoli brecce, che in più punti ne hanno scalfito la tradizionale struttura monolitica. Mi riferisco a quei casi, sempre più numerosi, in cui – per effetto dei

62 Parlo, qui, di nullità c.d. «non formali», non necessariamente soggette al principio di tassatività, che è invece tipico di quelle «formali» (art. 156, comma 1, c.p.c.).

63 Mi riferisco soprattutto, come è ovvio, al cit. art. 384, comma 3, c.p.c.

64 Cfr., dopo la riforma del 2006, l’art. 391-ter c.p.c.

65 L’art. 391-bis c.p.c. fu introdotto, come è noto, dall’art. 67 della l. 26.11.1990, n. 353, e poi in più parti integrato dal d. lgs. 2.2.2006, n. 40.

66 Sugli artt. 360, comma 1, n. 4, e 395, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 3, 24, e 111 Cost., cfr., ad es., già Corte cost., 30.1.1986, n. 17, in Foro it., 1986, I, 313-320, con nota di PROTO PISANI, La Corte costituzionale estende la revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c. alle sentenze della Cassazione, 313-318, e in Corriere giur., 1986, 417, con nota di V. TAVORMINA, La Consulta decide: l’errore di fatto della cassazione potrà essere revocato ; Corte cost., 31.1.1991, n. 36, in Foro it., 1991, I, 1033-1035, e in Giur. cost., 1991, 223, con nota di F. RIGANO, Brevi riflessioni sul ruolo «costituzionale» della corte di cassazione, 226. Sull’estensione dell’art. 391-bis alle ordinanze dichiarative dell’inammissibilità dei ricorsi in cassazione, cfr., infine, Corte cost., 9.7.2009, n. 207, in Riv. dir.

proc., 2010, 951-953, con commento di A. ROMANO, L’ordinanza che dichiara l’inammissibilità del ricorso per cassazione è soggetta a revocazione per errore di fatto, 954-957.

67 Si veda l’art. 625-bis c.p.p., inserito dall’art. 6, comma 6, della l. 26.3.2001, n. 128.

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«vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»

68

– l’autorità giudiziaria italiana si vede costretta, con

69

o senza

70

il previo intervento della Corte costituzionale, a escogitare e ad ammettere, anche in via interpretativa, rimedi straordinari ultra rem judicatam (ad es., la restitutio in integrum e/o la rimessione in termini per un nuovo giudizio di gravame, o le revisione e la revocazione)

71

, laddove la forza vincolante di un pregresso giudicato inter partes debba essere superata e rimossa, quale necessario tramite per dare piena attuazione a norme (di per sé cogenti e self-executing) del diritto comunitario

72

oppure a pronunce imperative e vincolanti dei supremi organi europei di giustizia (specialmente, nel delicato ambito del processo «equo»)

73

.

68 Così sancisce l’art. 117, comma 1, Cost., come modificato dalla riforma costituzionale del 2001. Ad esso si ricollega, ad es., l’art. 5, comma 3, lett. a-bis), della l. 23.8.1988, n. 400, con l’integrazione inserita dalla l.

9.1.2006, n. 12, per quanto concerne l’esecuzione diretta in Italia delle pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo (tanto più in materia di processo «equo», ex artt. 6, §§ 1-3, e 46 della Convenzione europea del 1950).

69 E’, in tal senso, emblematica Corte cost., 7.4.2011, n. 113, Dorigo, in Giust. pen., 2011, I, 138 ss., con nota di A. DIDDI, La «revisione del giudizio»: nuovo mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze emesse in violazione della Cedu, in Dir. pen. e proc., 2011, 833 ss., con commento di L. PARLATO, Revisione del processo iniquo : la corte costituzionale «getta il cuore oltre l’ostacolo», e in Guida al dir., n. 17, 23.4.2011, 44-51, con commenti di B.

DALIA, P. GAETA e M. CASTELLANETA, ivi, 43, 52-59. L’esigenza di rimuovere un giudicato ritenuto «non equo» dalla Corte europea di Strasburgo viene, qui, affrontata con una sentenza additiva «di principio» – precedentemente esclusa (Corte cost., 30.4.2008, n. 129, Dorigo, in Foro it., 2009, I, 103-110, ed ivi, 621-m, con nota di G. CAMPANELLI, La sentenza 129/08 della Corte costituzionale e il valore delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo : dalla ragionevole durata alla ragionevole revisione del processo, 621-624) – con cui la Corte giunge a dichiarare incostituzionale (per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in rapporto all’art. 46 della Convenzione del 1950) l’art. 630 c.p.p., nella parte in cui la norma non prevede un «diverso» caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna, divenuti irrevocabili, per la necessaria

«riapertura» di un processo reputato «non equo» dalla Corte europea.

70 In genere, si ritiene che – anche con il ricorso alle fonti «integratrici» del parametro di costituzionalità, somministrate dal cit. art. 117, comma 1, Cost. (sul punto, ad es., cfr. Corte cost., 24.10.2007, n. 349, e n. 348, in Foro it., 2008, I, 39-72, con nota di R. ROMBOLI, 39-47, e commenti di L. CAPPUCCIO e F. GHERA, 47-54) – non sia, di regola, consentito richiedere pronunzie «additive» alla stessa Corte costituzionale, ogni qual volta la disciplina di determinati istituti si reputi rimessa alla insindacabile discrezionalità del legislatore ordinario (si vedano, ad es., su talune ipotesi di prospettato ampliamento dei motivi di revocazione, ex art.

395 c.p.c., Cass., 3.7.1989, n. 3187, in Giur. it., 1990, I, 1, 810 ; Cass., 14.6.2002, n. 8573, in Rep. Foro it., 2002, voce “Revocazione (giudizio di)”, n. 8 ; Cass., 10.5.2006, n. 10807, ivi, 2006, voce cit., n. 8).

71 Nel caso Drassich, di cui si è detto supra (in nota 51), CASS., sez. VI pen., 12.12.2008, in Foro it., 2009, II, 65- 72, sp. 70-71, ha ritenuto di dover applicare in via analogica, senza trovare ostacoli nell’art. 14 disp. prelim.

c.c., il ricorso straordinario «per errore materiale o di fatto», disciplinato dal cit. art. 625-bis c.p.p. (idem dicasi per Cass., Sez. V pen., 11.2.2010, n. 16507, Scoppola, in Guida al dir., n. 24, 12.6.2010, 79-82, con commento di GAETA, La Corte ritiene superfluo un nuovo giudizio e ridetermina direttamente la pena, 83-87). Per analoghi interventi esecutivi del dictum europeo, ex artt. 175 e 670 c.p.p., al di là del giudicato interno, cfr. ancora : Cass., Sez. I pen., 1.12.2006, n. 6023, Dorigo, in Foro it., 2007, II, 278-285, e in Riv. dir. proc., 2007, 1071-1073, con commento di A. BALSAMO, La Cassazione e il caso Dorigo : nuovi orizzonti della giurisdizione penale nella tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea, 1073-1082 ; Cass., Sez. I pen., 12.7.2006, n.

32678, Somogyi Tamas, in Guida al dir., Dir. comunit. e internaz., n. 6, novembre-dicembre 2006, 18-28, con commento di G. FRIGO, 29-35, nonché (insieme a Cass., Sez. V pen., 15.11.2006, e Cass., Sez. I pen., 22.9.2005) in Foro it., 2007, II, 286-303, con nota di F. GANDINI, 286-288.

72 Circa la supremazia del diritto comunitario su quello interno, da attuarsi anche al di là della consolidata autorità di un giudicato interno, cfr., ad es., Corte giust. CE, 3.9.2009, n.. 2/08, Fall. Soc. Olimpiclub, Corte giust. CE, 6.10.2009, n. 40/08, Asturcom Telecomunicaciones SL, in Riv. dir. proc., 2010, 670-677, con nota di

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Ebbene – premesso (e ribadito) che in ogni tipo e grado di giurisdizione (penale, civile, amministrativa o tributaria, ed extra-penale in genere) le garanzie «minime»

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del processo

«giusto» devono essere sempre attuate, sia pur in forme diverse, con la stessa elementare

«effettività»

75

– non mi sembra più eludibile l’esigenza di accertare se a tutt’oggi sia, o non sia, configurabile e disponibile nel nostro sistema processuale, anche in via ermeneutica o per dictum della giustizia costituzionale, un rimedio impugnatorio estremo (di restitutio in integrum, di revisione o di revocazione) per le violazioni di quelle elementari garanzie, che siano state eventualmente poste in essere nei giudizi di ultima istanza.

Se – come, allo stato, mi pare evidente – un siffatto rimedio, in una forma o nell’altra, per ora non è disponibile, ci troviamo di fronte ad un sistema di garanzie deminutus ed incompleto

76

, cui non sarebbe tecnicamente corretto (né tantomeno serio) opporre il consueto (ed assai comodo) paravento della «ragionevole durata» del processo.

Tanto più che – come ben sappiamo da oltre mezzo secolo – non esiste da noi, a differenza di quanto invece è previsto in altri sistemi europei

77

, un ricorso individuale diretto al supremo organo di giustizia costituzionale, che, per la tutela «effettiva» dei

G. RAITI, Le pronunce Olimpiclub e Asturcom Telecomunicaciones : verso un ridimensionamento della paventata

«crisi del giudicato civile nazionale» nella giurisprudenza della Corte di giustizia, 677-689 ; Corte giust. CE, 18.7.2007, n. 119/05, Soc. Lucchini, ivi, 2008, 224-225, con commento di CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia : quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro ?, 225-238 ; Corte giust. CE, 16.3.2006, n. 234/04, Kapferer c. Schlank & Schick GmbH, in Rep. Foro it., 2006, voce ”Unione europea e Consiglio d’Europa“, n. 1022. Sulla scia di questi importanti arrêts, adde Cass., 15.12.2010, n. 25320, in Rep. Foro it., 2010, voce “Unione europea e Consiglio d’Europa”, n. 1134.

73 Si rivedano, in proposito, le pronunce di cui supra, in nota 64. Si tenga, poi, presente che l’esigenza di estrema tutela del diritto comunitario, anche nei confronti di pronunce emesse dagli organi giurisdizionali nazionali «di ultimo grado», cui sia imputabile una violazione del diritto dell’Unione, ha addirittura spinto la giustizia europea a contestare all’Italia una trasgressione degli obblighi nascenti dall’art. 258 del Trattato istitutivo, per aver sottratto alla responsabilità civile dei magistrati ed al risarcimento dei danni conseguenti

«l’attività di interpretazione di norme di diritto» e quella di «valutazione del fatto e delle prove», ex art. 2, comma 2, della l. 13.4.1988, n. 117 (Corte giust. UE, 24.11.2011, causa C-379-10, in Foro it., 2012, IV, 13-25, con nota di A. PALMIERI, 20-21, e commento di E. SCODITTI, Violazione del diritto dell’Unione europea imputabile all’organo giurisdizionale di ultimo grado: una proposta al legislatore, 22-25).

74 E tale è, appunto, il «contraddittorio tra le parti», assicurato ad esse, « in condizioni di parità», dinanzi al

«giudice terzo e imparziale», prima che quest’ultimo sia chiamato a pronunziarsi definitivamente sulla lite (art. 111, comma 2, Cost.).

75 Mi permetto, al riguardo, di richiamare ancora il mio Le garanzie costituzionali, in COMOGLIO, FERRI, TARUFFO, Lezioni sul processo civile, cit., vol. I, Il Mulino, Bologna, 2011, 68-78.

76 Non si comprenderebbe, infatti, la logica e la coerenza di un sistema, nel quale la «violazione dei principi regolatori del giusto processo», che la riforma del 2009 ha assunto quale possibile causa di «inammissibilità»

del ricorso in cassazione (art. 360-bis, n. 2, c.p.c.), non mantenga la sua intatta rilevanza, a fortiori, anche nei riguardi di un’identica violazione, eventualmente denunziabile ex post nei confronti dello stesso giudizio di legittimità.

77 Si pensi, fra gli esempi più noti : in Germania, alla Verfassungsbeschwerde dinanzi al Bundesverfassungsgericht, ex art. 93, comma 1, n. 4.- a, in relazione agli artt. 20, comma 4, 33, 38, 101, 103 e 104, della Costituzione federale del 1949 ; in Spagna, al recurso de amparo dinanzi al Tribunal Constitucional, ex art.

53, comma 2, in rapporto agli artt. 14, 15-29, della Costituzione del 1978. Ma si rammenti altresì che il sistema spagnolo denota una peculiare sensibilità per i rimedi giurisdizionali, anche straordinari, esperibili nei riguardi di violazioni afferenti alle garanzie del debido proceso e della tutela judicial efectiva (cfr., in particolare, il recurso extraordinario por infracción procesal e il recurso de queja, disciplinati dagli artt. 468-476 e 494-495 della LEC del 2000).

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diritti fondamentali attinenti al «giusto» processo (e non solo), possa rappresentare una valida alternativa nazionale al ricorso individuale dinanzi alla Corte europea di Strasburgo, disciplinato dalla Convenzione del 1950 per le violazioni dei diritti da essa riconosciuti (e, soprattutto, di quelli afferenti al processo «equo»)

78

.

5. Anche la peculiare prospettiva di indagine sui c.d. filtri di ammissibilità dei mezzi di impugnazione postula, in termini sistematici e comparatistici

79

, una essenziale premessa.

Negli ordinamenti di common law – del che era ben consapevole Cappelletti, allorquando, oltre quarant’anni addietro, ebbe ad invocare l’«iconoclastica» soppressione dell’appello

80

– è del tutto normale l’esistenza di massicci filtri e di forti condizionamenti discrezionali (di tipo «autorizzativo»)

81

che, ope judicis, seppur su precise indicazioni di legge

82

, limitano sensibilmente l’accesso ai gradi di giudizio successivi al primo, ivi inclusi quelli dinanzi ai giudici supremi of last resort, rendendolo quasi sempre eventuale (e non mai necessario, nell’ottica costituzionale del due process of law)

83

. Ciò, d’altronde, ben si spiega e giustifica, tradizionalmente, con la convinta «valorizzazione» del trial di prima istanza – preceduto, come è noto, da un’ampia fase di pre-trial – in cui si colloca la sedes istituzionale della jurisdictio (con o senza la partecipazione della giuria), per effetto di alcuni essenziali principi di struttura (quali : l’oralità, la pubblicità e la finality rule)

84

che rendono del tutto

78 Si vedano gli artt. 34-35 della Convenzione medesima, ratificata in Italia con l. 4.8.1955, n. 848.

79 Si consultino, al riguardo, i dati, assai interessanti, dell’indagine promossa dall’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, ed in parte riprodotta nello studio Le Corti supreme in Europa: le regole per l’accesso, in Foro it., 2008, V, 239.256. Più in generale, circa i ruoli ed i nuovi compiti assegnati alle Corti supreme, nell’epoca attuale, si rinvia ad AA.VV., Il nuovo ruolo delle corti supreme nell’ordine politico e istituzionale: una prospettiva comparatistica, in Annuario dir. comp., 2011, 7 ss.

80 Cfr., ancora, CAPPELLETTI, Parere iconoclastico, op. e loc. cit. supra in nota 9 (cui si richiama, in polemica con gli ultimi interventi riformistici del legislatore, anche C. FERRI, Filtro in appello: passa lo svuotamento di fatto e si perpetua la tradizionale ipocrisia italiana, in Guida al dir., n. 32, 4.8.2012, 10-12, sp. 12).

81 In Inghilterra, tradizionalmente, si parla di appeals (ivi inclusi i gravami avanti alla House of Lords), esperibili unicamente «with the leave of the court» (giudice a quo e/o giudice ad quem : così, ad es., J.I. H.

JACOB, The Fabric of English Civil Justice, Stevens & Sons, 1987, 216-245, sp. 217 ; Id., La giustizia civile in Inghilterra, trad. it., con Introduzione di M. TARUFFO ed E. SILVESTRI, Il Mulino, 1995, 205-231). Di

«permission to appeal» parla, oggi, la vigente Rule 52.3, 1-5, 6, a-b, delle Civil Procedure Rules inglesi del 1999, da concedersi unicamente laddove – al di là di una diversa «compelling reason» – «the court considers that the appeal would have a real prospect of success» (corsivo aggiunto).

Ma i principi invocabili non sono diversi negli Stati Uniti, ove soprattutto l’accesso alla Corte Suprema Federale, con la petition for a writ of certiorari, diviene «not a matter of right, but of judicial discretion», essendo essa accoglibile unicamente «for compelling reasons» (ossia «only upon a showing that the case is of such imperative public importance as to justify deviation from normal appellate practice and to require immediate determination in this Court» (Rules 10-11 delle vigenti U.S. Supreme Court Rules). Sul tema, ad es., si veda l’acuta analisi di V. BARSOTTI, L’arte di tacere, Strumenti e tecniche di non decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, Giappichelli, Torino,1999, X-345, sp. 61-131,

82 Si riveda, ad es., la Rule 52.3, 6, a-b, delle Civil Procedure Rules inglesi (supra in nota 80).

83 Che la jurisdiction of appeal non sia affatto «a matter of Constitutional right under the Due Process Clause», è un punto fermo nel sistema statunitense (cfr., ad es., sul tema, F. JAMES Jr., G. C. HAZARD, Civil Procedure3, Little, Brown and Co., 1985, 657-669 ss., sp. 661).

84 E’ significativo e peculiare, soprattutto, il principio di finality, secondo cui l’effetto primario della res judicata (o claim preclusion) si ricollega di per sé al final judgment di prima istanza, il quale «… is treated as

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