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Il diritto di difesa ed i poteri del giudice nella riforma delle impugnazioni - Judicium

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1 DANTE GROSSI

Il diritto di difesa ed i poteri del giudice nella riforma delle impugnazioni*

SOMMARIO: 1. La riforma e l’equilibrio dei valori della Costituzione. Alcune riflessioni. - 2. I propositi del legislatore e i primi orientamenti della dottrina, dei giudici e degli avvocati. - 3. Il ruolo dell’avvocato. - 4. La forma degli atti di impugnazione. - 5. Suggerimenti minimi. - 6. Un auspicio.

1. La riforma e l’equilibrio dei valori della Costituzione. Alcune riflessioni. - Lo sconcerto che coglie chiunque è toccato dalle diverse riforme che in sei anni hanno modificato in più parti il processo civile è inevitabile. L’ultima, in ordine di tempo, è introdotta dal d.l. n. 83 del 2012 (convertito dalla legge n.134) e riguarda l’ammissibilità dell’appello ed il motivo di ricorso per cassazione indicato al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Le previsioni più incisive sono quelle fissate dall’art. 342 c.p.c., che modifica i requisiti di forma e contenuto dell’atto di appello e quelle del primo comma, secondo periodo, dell’art. 348 bis c.p.c., secondo cui

“l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”.

Dopo la legge n. 134 sono stati pubblicati molti, interessanti, contributi critici1. Penso, pertanto, di concentrare la riflessione su un solo aspetto: il concreto

* Relazione per l’incontro sul “diritto di difesa e la riforma delle impugnazioni” del 6 novembre 2012 presso l’Aula Magna della Corte di Cassazione.

1 Senza pretesa di completezza, rinvio a: M. BOVE, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in www.judicium.it; R. CAPONI, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, ibidem, in www.judicium.it;

R. CAPONI, La riforma dell’appello civile, in Foro it., 2012, V, 292; R. CAPONI, La riforma dei mezzi di impugnazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012; R. CAPONI, Rispetto all’obiettivo della crescita del paese gli interventi sul processo civile sono adeguati?, in Guida al diritto, 2012, 33- 34, 9; C. CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze, in www.judicum.it; C.

CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di svaporamento, in Corriere giur., 2012, 10; G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del “filtro” (in corso di pubblicazione in una versione ridotta, nel Libro dell’anno del diritto Treccani 2012), in www.treccani.it; M. DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), in www.judicium.it; D. DALFINO, Premessa a L’appello e il ricorso per cassazione nella riforma del 2012 (d.l. 83/12, convertito con modificazioni in l. 134/12), in Foro it., 2012, V, 281; M. DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”, in www.judicium.it; M. FABIANI, Oggetto e

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esercizio del diritto di difesa, dopo la novella in relazione all’ampliamento della discrezionalità del giudice di appello. Non tratterò, quindi, della disciplina introdotta se non per gli aspetti che riguardano l’argomento. Il discorso si muove sul piano: generale, per le linee di tendenza della riforma e su quello orizzontale, dell’operatore pratico che la deve applicare.

I dubbi sull’ispirazione e l’efficacia delle disposizioni introdotte si legano all’idea di uno squilibrio che la produzione normativa di questi tempi rivela. Un profondo mutamento nel rapporto tra le regole fondamentali dell’ordinamento. Siamo in un momento di passaggio, nel quale sono coinvolti i valori essenziali legati alla configurazione ed all’esercizio del “potere giudiziario”.

Quando, nel 1948, l’Assemblea Costituente fissò negli artt. 24 e 25 della Costituzione il diritto di difesa e stabilì, negli artt. 101-113, le regole dell’ordinamento giurisdizionale e le norme sulla giurisdizione, si muoveva nell’alveo di una tradizione che aveva colto l’essenza della giurisdizione nello ius dicere, nella reintegrazione del diritto, nel riequilibrio delle posizioni lese dai comportamenti illeciti. Il cuore del sistema era, appunto, quanto, icasticamente, stabilisce il secondo comma dell’art. 24 per cui “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” bilanciando il principio che la “giustizia” è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge.

L’armonia delle previsioni descriveva un equilibrio: tanto i giudici, terzi rispetto agli interessi in gioco, sono posti in condizione di sovraordinazione,

contenuto dell’appello civile, in Foro it., 2012, V, 282; T. GALLETTO, “Doppio filtro” in appello, “doppia conforme”e danni collaterali, in www.judicium.it; G. IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili: note a prima lettura del d.l. 83/2012, in www.judicium.it; G. IMPAGNATIELLO, Il “filtro” di ammissibilità dell’appello, in Foro it., 2012, V, 295; G. MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo dei tecnici, in www.judicium.it; I. PAGNI, Gli spazi per le impugnazioni dopo la riforma estiva, in Foro it., 2012, V, 299; A. PANZAROLA, Commento agli artt. 348 bis, 348 ter, 382 bis, 383, 436 bis, 447 bis, comma 1, c.p.c., in AA.VV., Semplificazione dei procedimenti civili, nuovi riti speciali e modifiche alla disciplina delle impugnazioni in materia civile dopo la riforma del mercato del lavoro e il decreto sviluppo, Torino, 2012; R. RUSSO, Dialoghi sulle impugnazioni civili al tempo della spending review, in www.judicium.it; B. SASSANI, Alla difficile ricerca di un “diritto” per il processo civile, in www.judicium.it; G. SCARSELLI, Sul nuovo filtro per proporre appello, in Foro it., 2012, V, 287; G. VERDE, Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in www.judicium.it.

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indipendenza, autonomia, perché possano, come terzi, esercitare la funzione giurisdizionale, in quanto essi stessi costituiscono un presidio del principio della difesa, che è criterio per l’esercizio della giurisdizione nel processo. Il nucleo

“sostanziale ed irriducibile” dell’art. 24 Cost., che deve essere protetto e garantito dal giudice “in ogni specie di giudizio, quale che sia la struttura dei relativi procedimenti”2, assicurando il contraddittorio tra le parti3, in condizioni di parità. Così che l’imperium di cui dispone il giudice (che ne distingue gli atti rispetto a quelli di autonomia privata) si “legittima” nel nostro ordinamento, proprio perché è consentito al cittadino4 di difendersi con la pienezza dei mezzi assicurati dalle norme processuali. Nel diritto è incluso - come corollario affatto secondario - quello alla difesa tecnica assicurata dagli avvocati. Nel bilanciamento di questi valori sorge l’idea del “giusto processo” regolato dalla legge a cui si riferisce l’art. 111 Cost.5 che implica l’“effettività” della tutela giurisdizionale.

Quale è (se vi è) il programma delle riforme del processo di questi ultimi anni?

Cosa lo ispira? Si condensa, mi pare, nello spostamento del rapporto di prevalenza: dall’esigenza di giustizia si concentra l’interesse sulla decisione della lite. Prima il dictum del giudice poggiava sul giudizio: la ricognizione dei fatti e la

2 Mi permetto di fare un unico, essenziale riferimento a N. TROCKER, Processo civile e Costituzione, problemi di diritto tedesco e italiano, a cura di M. CAPPELLETTI, Milano, 1974.

Sull’art. 24, comma primo, Cost., che tende “a garantire tutto ciò che è necessario a rendere effettiva e concreta la tutela giurisdizionale dei diritti o, in senso più ampio, delle situazioni soggettive di vantaggio”, v. R. MARTINO, La giurisdizione nell’esperienza giurisprudenziale contemporanea, Milano, 2008, pag. 61 e 62 e lì riferimenti specifici alla dottrina che si è occupata della garanzia costituzionale dell’azione e del processo civile.

3 Sono stimolanti le considerazioni di A. CARRATTA sul principio del contraddittorio come esplicazione del potere di delimitare l’ambito decisorio del giudice, nel Commentario del codice di rito curato con M. TARUFFO sui Poteri del giudice, Torino, 2011, pag. 40. Ivi in nota ampi riferimenti sulla dottrina.

4 Uso il termine al posto di quello, appropriato, di “individuo”, perché esprime meglio la collocazione nella dimensione sociale e politica.

5 Secondo L. P. COMOGLIO, il riferimento alla “ragionevole durata del processo introdotto all’art. 111 Cost. significa che questo principio: trovando oggi proprio quel riconoscimento costituzionale che gli era finora mancato e pur dovendosi comunque reputare sempre subordinato, in ordine di rango, all’esigenza primaria di assicurare un’attuazione piena ed effettiva alle garanzie individuali di tutela, sancite negli artt. 24 – 25 Cost. è in grado sin da ora di fornire adeguati spunti al sindacato incidentale di costituzionalità delle leggi”, in Etica e tecnica del

“giusto processo”, Torino, 2004, pag. 91 e 92. In particolare, condivido l’indicazione della priorità tra i principi costituzionali che compie l’Autore. Osservo che proprio su questo aspetto viene a realizzarsi, da parte del legislatore, un ribaltamento.

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sintesi con le norme positive. Invece, la tumultuosa modificazione delle priorità nel XX secolo, della tecnica e del mercato,6 di cui questi anni sono ancora appendice, produce un cambiamento che privilegia, su tutto, anche nel diritto, la necessità del decidere, di cui sono corollari la celerità e l’efficacia.

Natalino Irti, nella raccolta di saggi del 2011 in cui discorre del “diritto senza verità” ricorda7 che giudicare e decidere coincidono laddove il caso concreto rientri nella previsione normativa, ed esprime la consapevole riflessione che “se giudicare è ius dicere, dire il diritto positivo nel caso concreto, allora ogni giudicare implica anche un decidere. Se decidere è de caedere, trascendere il conflitto e tagliare il dubbio nel caso concreto, allora il decidere non implica necessariamente un giudicare”. Si pone radicalmente l’accento sulla “volontà”

che impone ed esprime i valori.

La scala dei rapporti è a tal punto modificata rispetto al momento in cui si è formata la nostra Costituzione che, come ricorda Giovanni Verde, quando il giudicare diventa un atto di forza8, per il quale non occorrono cultura e moderazione, “è alto il rischio che un corpo del tutto autonomo e indipendente si ponga come contropotere uscendo”, direbbe Calamandrei, “dall’orbita costituzionale”9. La preoccupazione è giustificata, perché l’incoerenza sistematica delle ultime riforme, prive della ragionevolezza che doveva ispirarle, produce conflitti e lacune che i giudici sono tenuti a colmare. Lo hanno già fatto negli ultimi anni, proponendo interpretazioni “creative” che, seppure orientate dalla Costituzione, trascendono la griglia delle norme10. Le aporie e le lacune sono state

6 Sul rapporto tra diritto e tecnica nel XX secolo, ricordo il denso dialogo di N. IRTI e E.

SEVERINO in Dialogo su diritto e tecnica, Roma – Bari, 2001, ed il saggio del primo Autore, L’essenza tecnica del diritto, in N. IRTI, Nichilismo giuridico, Roma – Bari, 2004; in diversa prospettiva, la raccolta di saggi di O. DE BERTOLIS, La moneta del diritto, Milano, 2012.

7 N. IRTI, Diritto senza verità, Roma – Bari, 2011, pag. 71.

8 Che è, esattamente, la forza dello Stato, che si esprime nel “comando” contenuto nel provvedimento del giudice. Il “giudizio”, però, è la premessa essenziale del comando per ristabilire l’equilibrio turbato dall’illecito. Sulle nozioni di “comando” e “giudizio” v. E.

FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, VII ed., Padova 1994, p. 378 ss.

9 G. VERDE, Discorrendo con B. Sassani di S.U. n. 2312/2012, in www.judicium.it.

10 Rammento due decisioni addittive di opposto segno: l’interpretazione delle Sezioni Unite nella sentenza del 9 ottobre 2008 n. 24883, relativa all’art. 37 c.p.c., su cui, fra tanti, V. COLESANTI,

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colmate facendo riferimento ai principi costituzionali in un modo che la stessa Corte Costituzionale (nella sentenza n. 77 del 12 marzo 2007) ha censurato.

Soprattutto la Corte di Cassazione ha, di recente, mostrato il proposito programmatico che, se sono possibili diverse interpretazioni delle singole norme processuali, si debba sempre scegliere quella adeguatrice che favorisce la ragionevole durata del processo, perché così impone l’art. 111, secondo comma, Cost. E’ questa una prospettiva che urta con due condivisibili considerazioni: che un processo celere non è anche e sempre un processo giusto e che vi è il rischio che si prospettino interpretazioni “orientate” alla celerità del processo anche quando il testo normativo è in altro senso chiaro11.

Cercherò di mostrare il percorso che induce queste riflessioni, con una premessa.

Il diritto di difesa richiama il principio costituzionale della sua inviolabilità e quello del giusto processo, ma nella scala dei valori di cui stiamo discutendo prevale l’esigenza per la immediatezza della decisione. D’altro canto, la comprensibile preoccupazione del legislatore italiano per la durata dei processi,

Giurisprudenza “creativa”, in tema di difetto di giurisdizione, in Riv. Dir. Proc., 2009, pag. 1125 e R. VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e traslatio iudicii, in Giust. It., pag.

412; C. CONSOLO, Travagli “costituzionalmente orientati” delle Sezioni Unite sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato di rito implicito, ricorso incidentale condizionato (su questioni di rito o, diversamente operante, su questioni di merito), in Riv. Dir. Proc., 2009, pag. 1141.

L’interpretazione dell’art. 360 bis c.p.c. sulla inammissibilità del ricorso per cassazione. In questo caso, le Sezioni Unite, nella sentenza del 6 settembre 2010 n. 19151 hanno ritenuto di poter pronunciare circa la manifesta infondatezza del ricorso per cassazione (non l’inammissibilità), valutando se la sentenza impugnata avesse deciso in diritto seguendo la giurisprudenza della Cassazione e non vi siano motivi di modificare l’orientamento. Sulla sentenza v. A. CARRATTA in Giusto processo civ., 2010, 1131; F.P. LUISO, in Foro it., 2010, I, 3333; G. SCARSELLI, in Giust. Civ., 2011, I, 403; in generale, sulla preoccupazione che la Corte di Cassazione stia riscrivendo le regole processuali v. da ultimo P. BIAVATI, Osservazioni sulla ragionevole durata del processo di cognizione, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2012, pag. 475 ss., che tuttavia afferma (a pag. 479): “si deve compiere il lavoro, certo imprescindibile, di rilettura delle norme del codice alla luce del precetto di cui all’art. 111, comma secondo, Cost. Ne segue allora, se non mi inganno, che il discrimine per una più o meno intensa applicazione del principio della ragionevole durata, in rapporto al diritto di difesa, va collocato in relazione al piano del maggiore o minore impiego di risorse giudiziarie che ne viene in gioco”; pertanto, (pag. 489 – 490) “al di là degli ostacoli che rendono arduo il cammino dell’interprete, non vi è dubbio che la ragionevole durata incide sull’impiego delle risorse, a scapito, ad esempio, della regola non costituzionalizzata del doppio grado di giurisdizione”.

11 L’osservazione è di G. VERDE, ne Il difficile rapporto tra giudice e legge, Napoli, 2012, pag.

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che porta al d.l. n. 83 del 201212, si collega direttamente alla crisi economica italiana, su cui grava anche l’inefficienza dell’organizzazione della giurisdizione13. Emblematici i problemi delle corti d’appello, presso le quali la durata dei processi supera ampiamente i parametri fissati dalla CEDU. Il dato obiettivo ha indotto l’idea che sia proprio il giudizio di secondo grado la causa principale della irragionevole durata del processo di cognizione.

Si ricava però dalla novella la semplicistica idea che sia possibile giungere ad una ragionevole durata del processo di appello modificando le regole e i modi attraverso cui esso si svolge, benchè sia chiaro che molto della crisi dipende dalla progressiva estensione, negli ultimi decenni, delle situazioni giuridiche tutelabili;

dall’incontrollato incremento delle competenze del giudice di appello che ha prodotto un arretrato enorme; dalle aporie delle norme sostanziali e processuali e dai problemi dell’organizzazione giudiziaria.

2. I propositi del legislatore e i primi orientamenti della dottrina, dei giudici e degli avvocati. - Parto dall’esame di ciò che legislatore, giudici e avvocati hanno detto della riforma delle impugnazioni.

A) L’indicazione del programma del legislatore si ricava, in primo luogo, dai lavori parlamentari: in particolare, dalla relazione che ha accompagnato l’approvazione del decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012. Il Governo ha osservato che, poiché l’inefficienza della giustizia civile ed in particolare del sistema delle impugnazioni costituisce uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo dell’attività economica del nostro Paese, questa esigenza imponeva l’introduzione di rilevanti innovazioni nella disciplina dei giudizi di appello e di cassazione nel

12 Si consideri che la legge n. 89 del 2011, ora modificata, al comma 2 bis, stabilisce che il processo di primo o grado dovrebbe durare non più di tre anni, quello di appello due e il ricorso per cassazione un anno. La violazione del termine consente di accedere all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo.

13 La perdita di affidamento del sistema italiano di tutela dei diritti si pone in relazione alla efficienza del sistema degli altri paesi, determinando una posizione di svantaggio, in senso generale, dell’Italia rispetto ad essi. Mi sembra, tuttavia, che questa valutazione del fenomeno porti a sottovalutare la prima delle conseguenze della irragionevole durata dei processi: il permanere della condizione lesiva del diritto dovuto alla condotta illecita.

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settore civile, per aggredire “snodi problematici operativi che hanno dimostrato di costituire un freno al dispiegarsi efficiente e funzionale dell’iniziativa economica tesa allo sviluppo del Paese”. L’efficienza delle giustizia è vista come un elemento essenziale per pervenire ad una durata ragionevole dei processi in funzione delle prevalenti esigenze dell’economia. Le istanze economiche, quindi, precedono quella della tutela del diritto. Il governo si è fatto forte di statistiche che hanno evidenziato che il 68% delle pronunce di primo grado vengono confermate in appello, traendo la conclusione che vi sia un numero troppo elevato di appelli privi di fondamento, che appesantiscono i ruoli e procrastinano la conclusione dei processi14.

B) Il pensiero della magistratura, per quanto ne è espressione il Consiglio Superiore della Magistratura15, è che le modifiche della legislazione proposte sono un efficace strumento di deflazione del carico giudiziario, partendo dai dati statistici relativi alla durata dei procedimenti civili in Italia nel periodo 1° luglio 2010 – 30 giugno 2011. Di questi dati il CSM valorizza soprattutto quelli riguardanti la durata del procedimento nelle Corti d’appello e il sostanziale aumento dei contenziosi presso questo giudice. Il motivo della lentezza starebbe nel fatto che il giudizio di secondo grado, per come congegnato, produce ritardi nella decisione, trattandosi di un “nuovo processo con effetto pienamente devolutivo, cosicchè realizza una sostanziale duplicazione del giudizio di primo grado, sia pure con limiti relativi alla proposizione di domande nuove e alla richiesta di nuova attività istruttoria”. Quanto al giudizio di cassazione, secondo il CSM, il problema riguarda la possibilità per le parti di “investire il giudice di

14 La lettura dei dati è, ovviamente, ambivalente. Si può, infatti, al contrario, pensare che se ben il 32% delle sentenze dei giudici di primo grado vengono riformate vuole dire che vi è un numero molto elevato di sentenze ingiuste in primo grado. Analoghe e più articolate considerazioni in C.

CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, III ed., Padova, 2012, pag. 2-9.

Inoltre, le statistiche danno conto solo degli appelli proposti, ma non si occupano delle sentenze dei giudici di primo grado che non sono impugnate in relazione alle quali gli interessati, a prescindere dalla loro giustizia compiono la scelta di non introdurre l’appello. D’altro canto, l’incremento dell’importo dei contributi unificati per i giudizi di impugnazione, oltre che favorire le finanze dello Stato, si muove proprio nella direzione, non esplicitamente dichiarata, di disincentivare la proposizione delle impugnazioni accettando l’esito del giudizio di primo grado.

15 Parere consegnato alla Sesta Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 5 luglio 2012.

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legittimità di un riesame degli elementi fattuali della controversia chiedendo una diversa ricostruzione delle circostanze già esaminate in sede di merito in base alla previsione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.”. Nel parere si sostiene con vigore sia la scelta di eliminare dalla previsione il vizio di motivazione, sia quella di precludere il ricorso per cassazione quando vi sia stata una doppia pronuncia da parte dei giudici di merito, basata sui motivi conformi, perché si eviterebbe l’“abuso dei ricorsi in cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, favorendo la naturale funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione per agevolare, nel contempo, il raggiungimento dell’obiettivo di ridurre la durata complessiva dei processi contenendola nei limiti ragionevoli dall’art. 111 Cost.”.

Si distingue, invece, l’atteggiamento più pragmatico di molti Presidenti delle Corti di appello, consapevoli delle difficoltà di applicare la riforma senza aggravio per l’attività delle Corti, già oberate. Si è suggerito, nei primi dibattiti: a) di concentrare nelle udienze per la trattazione ex art. 350 c.p.c. e 437 c.p.c. la fase di esame della inammissibilità degli appelli, per evitare la fissazione di una udienza ad hoc; b) un atteggiamento di prudenza nell’applicazione delle regole della inammissibilità dell’art. 348 bis c.p.c., impegnando le Corti ad usare i criteri di

“probabilità” e “ragionevolezza” con attenzione e prudenza. Questi accorti suggerimenti si preoccupano dell’organizzazione dell’attività delle corti di appello chiamate ad ulteriori, impegnativi compiti e di fissare un parametro per la valutazione dei nuovi atti di appello che si vuole rendere omogenea, ma non paiono sufficienti ad incidere sulle autonome valutazioni dei giudici, “soggetti solo alla legge”, che possono indicare soluzioni differenti a problemi identici o simili, producendo distinzioni e disparità.

C) L’opinione della dottrina, mai così uniforme, si è condensata in un parere dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile del 27 giugno 2012, reso pubblico nel luglio del 2012, in cui si prospetta il rischio di gravi ingiustizie per il “filtro in appello”, che consente di rigettare, con accertamento sommario e con succinta motivazione, l’impugnazione, e per l’amputazione del motivo di

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ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. In questo parere si censura: a) la soluzione del ricorso limitato per cassazione contro le sentenze di primo grado che il giudice di appello abbia ritenuto difficilmente riformabili; b) il meccanismo dell’introduzione di sempre nuovi e complessi “filtri”; c) l’aumento dei costi per l’accesso alla giustizia dopo il primo grado, con il pagamento due volte di contributi unificati spesso molto elevati; d) la diminuzione delle garanzie del cittadino sulla possibilità di ottenere una sentenza “giusta”, considerando che la decisione di primo grado è sempre pressoché monocratica e condotta sulle basi di procedimenti, come quello sommario, nei quali la struttura dell’attività istruttoria è incerta ed ampiamente rimessa alla discrezionalità del giudice; e) la prospettiva di un aggravio dei carichi pendenti dinanzi alla Corte Suprema, per la possibilità di proporre alla Cassazione le impugnazioni delle sentenze dei giudici di primo grado e quelle riguardanti gli appelli dichiarati inammissibili.

D) Il Consiglio Nazionale Forense ha espresso considerazioni che si pongono nella stessa prospettiva16.

L’avvocatura, nel suo insieme, ha manifestato in modo omogeneo, uniforme e deciso l’avversione verso la nuova disciplina delle impugnazioni. Ricordo alcune valutazioni critiche: a) la crisi della giustizia dipende principalmente dall’insufficienza delle risorse economiche e dei mezzi che vi sono destinati, cioè da fattori di ordine materiale che riguardano la disponibilità delle risorse e l’organizzazione degli uffici giudiziari. E’, pertanto, una distorsione pensare che il problema si risolva con la diminuzione del numero dei processi senza aumentare le risorse; b) la disciplina dell’appello già consentiva una sollecita trattazione del processo di appello, perché il giudizio poteva chiudersi nella sola udienza di trattazione di cui all’art. 350 c.p.c., senza alcuna dilazione. Inoltre, l’introduzione, con la legge 12 novembre 2011 n. 183, del modello decisorio a seguito di trattazione orale, anche in secondo grado (art. 281 sexies c.p.c.), forniva uno strumento di accelerazione razionale ed efficace, che molte Corti di appello

16 Nella nota del 4 luglio 2012, disponibile sul sito www.consiglionazionaleforense.it.

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cominciano ad utilizzare con sistematicità; c) la crisi delle Corti di appello non è generata dalle norme sulle impugnazioni, ma dalla istituzione del giudice unico;

dalla competenza per la liquidazione dell’indennità per la irragionevole durata del processo; dai reclami in materia familiare e fallimentare; d) per quel che riguarda la Corte di Cassazione, il peso dell’incremento del contenzioso dipende, invece, dalle controversie tributarie, che ne occupano il 40% dei ruoli, oltreché dai ricorsi in materia di sanzioni amministrative proposti prima del 2006; e) l’esclusione di qualsiasi attività istruttoria nel giudizio di appello ed in Cassazione, che cristallizza la valutazione del fatto alla ricognizione compiuta dal giudice di primo grado17. Poco, pertanto, a che vedere con la struttura dei processi di impugnazione, e molto legato all’efficienza dell’organizzazione degli uffici giudiziari, al peso del contenzioso accumulato negli anni, alle materie che hanno ampliato le aree di giudizio senza prevedere gli strumenti per farvi fronte.

3.Il ruolo dell’avvocato. - A questa sommaria rappresentazione delle ragioni che muovono il dibattito sulla riforma della disciplina delle impugnazioni, si può aggiungere che, nel nuovo regime, l’ampliamento dei poteri del giudice lo rende sempre più responsabile dell’efficienza del sistema processuale, chiamato ad essere accorto, economo e vigilante organizzatore dei processi e del proprio ruolo.

Nel nuovo contesto, il ruolo dell’avvocato regredisce. Con la diminuzione del valore attribuito alla garanzia di difesa, si modifica, complicando di molto l’attività forense che è rivolta al suo esercizio. L’attuale “aleatorietà” della professione legale è un simmetrico corrispondente della discrezione del giudice nella valutazione probabilistica di ammissibilità dell’appello.

Il compito dell’avvocato - a prescindere dal responso “oracolare” circa l’esito delle impugnazioni da instaurare - è più complesso e rischioso, richiedendo una obiettiva, maggiore, dimestichezza nella scelta degli strumenti processuali ordinari e speciali ed abilità nel loro impiego.

17 Sul punto v. G. COSTANTINO, La riforma dell’appello civile e l’introduzione del filtro, in www.judicium.it, e in Enciclopedia del diritto Treccani, 2012.

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Siamo assai lontani dalla funzione assegnata all’avvocato nella nostra tradizione storica. Ricordo che il diritto romano lo rappresenta come un soggetto che affianca la parte, un paràcleto che, nel labirinto del processo, lo aiuta a trovare la strada18. L’immagine ideale, che ancora nel 1974, Elio Fazzalari evocava19, per cui “è compito dell’avvocato ridurre la legge a misura d’uomo, semplificare con il consiglio e l’opera i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato;

rappresentare ed assistere il cittadino davanti al giudice; cooperare prima e durante il processo, all’elaborazione dei principi ed all’enucleazione delle singole norme”, è inattuale, come smarrita.

Nello stesso tempo, si delinea, favorita dalla riforma, più forte che in passato, l’ingiusta contrapposizione tra i giudici e gli avvocati. Il parametro di giudizio adottato nell’art. 348 bis c.p.c. - al quale rinviano anche gli artt. 436 bis c.p.c. e 447 bis, comma primo, c.p.c. - consente infatti un elevato margine di apprezzamento discrezionale al giudice dell’impugnazione che dispone, per valutare l’inammissibilità, dei criteri elastici ed indeterminati di “probabilità” e

“ragionevolezza”20. Svolgerò più oltre (al par. 5) alcune osservazioni. Per ora

18 Sull’evoluzione storica dell’avvocatura si può proficuamente consultare Un progetto di ricerca sulla storia dell’avvocatura, a cura di G. ALPA e R. DANOVI, 2003, Bologna, e sul volto della professione forense nell’età della globalizzazione, G. ALPA, L’Avvocato, 2011 (ed. ampliata), Bologna. Particolarmente utili anche i saggi di F. CIPRIANI raccolti, in Avvocatura e diritto alla difesa, Napoli, 1999.

19 E. FAZZALARI, Il cittadino, l’avvocato e il giudice, in Giurisprudenza Italiana, 1974, col. 65 ss.

20 L’impiego di concetti “valvola”, o indeterminati, da parte del giudice manifesta un aspetto del potere discrezionale. In questi casi, la discrezionalità definisce un ambito nel quale la valutazione e la decisione del giudice non è condizionata da norme o precetti che ne influenzano in modo specifico le determinazioni e gli consentono, restando in quell’ambito, di decidere liberamente.

Nei sistemi democratici, la discrezionalità concessa al giudice dalla norma è sempre limitata, perché si rinvengono una serie di controlli sull’operato del giudice che si rivolgono, in primo luogo, a valutare se egli abbia rispettato i canoni dell’imparzialità (in specie nel suo riflesso processuale costituito dal contraddittorio) e, sul piano sostanziale, quello di ragionevolezza.

Sull’utilizzazione dei concetti indeterminati v. N. PICARDI, La funzione del giudice nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto, in Giust. Civ., 2003, pagg. 366 – 367.

In senso generale, sulla discrezionalità del giudice in riferimento all’utilizzazione dei canoni interpretativi ed in relazione all’applicazione di concetti indeterminati, si può consultare R.

MARENGO, La discrezionalità del giudice, Torino, 1996, pag. 335 ss.; A. BARACK, La discrezionalità del giudice, Milano, 1995, pagg. 116 ss. Alcuni spunti di riflessione sono esposti anche in D. GROSSI, Il termine ragionevole per la comparizione delle parti nel procedimento ex art. 814 c.p.c., in Riv. Arb., 2003, pag. 454 ss.

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vorrei sottolineare che: a) il combinato disposto dell’art. 348 bis e 348 ter, terzo comma, c.p.c. che esclude il ricorso per cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità rivela il tentativo di eludere il sindacato di legittimità (sotto il profilo della falsa applicazione di legge). E’ noto che il controllo sulla applicazione dei concetti elastici processuali da parte del giudice di merito deve essere sempre consentito al giudice di legittimità perché proprio in questo caso la funzione nomofilattica si rivela essenziale. Essa serve per fornire direttive ed indicazioni da parte della Corte di Cassazione al giudice di merito per ottenere un’applicazione il più possibile uniforme delle norme processuali che implicano l’applicazione di concetti elastici.

b) L’estensione della discrezionalità del giudice viene ad intaccare il diritto di azione, che è tuttora articolato su due gradi di giudizio. La nuova disciplina, per essere efficacemente applicata, presuppone infatti il preliminare esame dei fascicoli di primo grado per esprimere il giudizio sulla ammissibilità dell’appello.

Attività che appare un ulteriore gravoso impegno per le corti di appello21. Soprattutto, è criticabile che sia stato consegnato al giudice di decidere se l’appello è ammissibile, con una valutazione sommaria che lo stesso art. 342 c.p.c.

– quando stabilisce la forma dell’appello – rivela, di carattere formale. Il contenuto dell’atto d’appello è stato, infatti, individuato nella riforma in modo tale da consentire al giudice di secondo grado di operare, se lo vuole, una valutazione della inammissibilità sulla base della semplice (unica) lettura dell’atto di appello, senza consultazione dei fascicoli.

Il conflitto tra l’avvocato ed il giudice appare anche per questi aspetti inevitabile22.

21 Sul punto v. G. COSTANTINO, Gli effetti sul giudizio di correzione della riforma dell’appello, cit., pag. 18.

22 L’ampliamento del potere discrezionale del giudice in rapporto al ruolo dell’avvocato si realizza, d’altra parte, toccando l’aspetto più sensibile della professione forense: la determinazione del compenso da attribuire al professionista che l’art. 1 del d. l. n. 98 del 2011 (convertito con la legge n. 111 del 2011) rimette alla valutazione del giudice secondo la disciplina del decreto ministeriale n. 140 del 2012, all’art. 41.

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4.La forma degli atti di impugnazione. - Esce fuori da questa riflessione l’analisi di dettaglio della disciplina introdotta. Può essere, però, utile indicare alcune questioni che, per la loro rilevanza, si impongono all’attenzione. Vorrei concentrarmi su quelle nelle quali si pone in luce una relazione tra la riduzione delle garanzie di difesa e l’incremento dei poteri discrezionali del giudice.

Le regole introdotte stabiliscono la nuova “forma” dell’appello. Le norme sulla inammissibilità di questa impugnazione e per la sua pronuncia e si ispirano chiaramente al processo inglese e al processo civile tedesco riformato nel 200123. La riforma è infatti stata criticata anche per avere importato criteri e modelli lontani dalla nostra tradizione giuridica. Penso che il riferimento comparatistico assuma un significato più denso se si riflette sul fatto che la riforma costituisce un

“inserto”, nell’ordinamento italiano, disarmonico ed asistematico.

A. E’ del tutto legittimo pensare che i nuovi requisiti fissati dall’art. 342 c.p.c. per l’appello rappresentino una barriera che si somma a quella dell’art. 348 bis c.p.c.

Non si tratta però di un “filtro”, perché l’indicazione di nuovi requisiti formali non ha l’effetto di precludere l’appello, e l’eventuale inammissibilità dovrà essere pronunciata con la sentenza che conclude il processo di secondo grado.

Quanto alla forma dell’appello nell’art. 342 c.p.c. si compie un riferimento non all’atto, bensì al mezzo, cioè all’impugnazione, al gravame in sé. La norma si esprime in un modo singolare: l’atto d’appello deve sommare le indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c. per l’atto di citazione a quelle fissate, a pena di inammissibilità, nei punti 1 e 2 della norma. E’ proprio il richiamo all’art. 163 c.p.c, che ci consente di comprendere che, prima di tutto, la riforma si è occupata della struttura dell’atto di impugnazione dal punto di vista formale e, in secondo grado, del suo contenuto.

Il punto 2 dell’art. 342 c.p.c. stabilisce che l’appello deve contenere

“l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della

23 Segnalo i due interventi di R. CAPONI, entrambi pubblicati su www.judicium.it, dal titolo: La riforma dell’appello civile dopo la sosta nelle commissioni parlamentari, pag. 4 e Contro un nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, pag. 4 ss. e quello di G.

VERDE, Il diritto di difesa e la nuova disciplina delle impugnazioni, cit., pag. 1- 3.

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loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. Nell’atto di appello deve, quindi, sempre essere denunziata la violazione di legge.

Si è detto, in merito, che la previsione è in linea con l’evoluzione dell’istituto dell’appello24 che, con il succedersi degli interventi modificativi della disciplina positiva e dell’interpretazione giurisprudenziale, si va trasformando da gravame a critica libera ad impugnazione a critica vincolata. E’ stato osservato25 che la necessaria individuazione delle norme che si assumono violate nell’atto di appello non conduce inevitabilmente a questo risultato, perché il riferimento alla

“violazione di legge” può essere interpretato in senso molto ampio se l’espressione si collega all’“indicazione delle circostanze” alle quali la norma fa riferimento. Questo requisito sembra riferirsi ai fatti di causa o alla fattispecie giuridica di cui il giudice di primo grado si è occupato. Sarebbe, quindi, ragionevole pensare che nella sostanza nulla sia cambiato. Infatti, in passato, nell’atto di appello, le insufficienti indicazioni circa il petitum e la causa petendi ne determinavano la nullità piena e quindi la sua insanabilità.

B. Secondo l’art. 342 c.p.c., l’appello deve essere “motivato”. L’indicazione è pleonastica se si intende che l’appello deve avere una “ragione”, un motivo che lo induce. Il rilievo è altrettanto scontato se si immagina che l’appello debba avere un contenuto – forma. Era così anche in passato. Dunque, fare riferimento alla motivazione serve, nel testo introdotto, per legare l’assenza di motivazione alla sanzione della inammissibilità, da cui discende la nullità assoluta dell’atto di appello.

24 Sull’evoluzione dell’istituto si può utilmente consultare N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996; sull’oggetto dell’appello, R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002. In relazione al dibattito sulle impugnazioni, v. A. PROTO PISANI, Note sull’appello civile, in Foro. It, 2008, V, pag. 260; G. MONTELEONE, La crisi dell’appello civile ed il dissesto delle Corti di appello: cause e rimedi, in Giusto processo civ., 2011, pag. 863; G.

SANTACROCE, Durata ragionevole del processo e giudizio di appello, in Dir. uomo, 2010, pag.

59.

25 Da G. VERDE, Il diritto di difesa e la nuova disciplina delle impugnazioni, testo della Relazione presentata al Convegno del 6 novembre 2012 sul “Diritto di difesa e la riforma delle impugnazioni” promosso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ora in www.judicium.it.

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C. Non è chiaro poi se la norma, riferendosi al requisito della motivazione, voglia stabilire che l’atto di appello deve contenere le indicazioni fissate dai punti n. 1 e 2, sostituendo quelle dell’art. 163 n. 3 e 4 del c.p.c., oppure se a tale previsione le prime si sommino. Penso che i nuovi requisiti dell’atto di appello indicati al n. 1 e 2 dell’art. 342 c.p.c. si debbano interpretare come “formali in senso stretto” e ritenere che le “modifiche” e le “circostanze rilevanti” da indicare nella citazione (o nel ricorso) non escludano che l’atto deve possedere i requisiti, più ampi, di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 163 c.p.c. (cioè la determinazione della cosa oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto relativi ad essa).

D. Quanto alla pronuncia di inammissibilità dell’appello, il mancato rispetto dei requisiti fissati dall’art. 342 c.p.c. non appare censurabile ex art. 348 bis c.p.c. con un provvedimento (l’ordinanza) che è ivi prevista per altre ragioni. Ritengo sia corretto l’avviso che l’inammissibilità dell’appello per i motivi di forma di cui all’art. 342 c.p.c. debba essere pronunciata con sentenza a conclusione del processo26.

E. Il giudizio prognostico sull’appello, di cui all’art. 348 bis c.p.c., cui è tenuto il giudice, è ampiamente discrezionale. In primo luogo, perché la “probabilità”

richiede una valutazione di possibilità circa l’accoglimento dell’appello, senza un margine preciso. La “ragionevolezza” mi sembra, poi, un attributo che mitiga il giudizio probabilistico ancorandolo ad un parametro che chiama genericamente in gioco categorie legate alla ricerca della soluzione giuridica più adatta al caso concreto27. Il controllo cui è sottoponibile il provvedimento che si pronunci per

26 Dello stesso avviso G. IMPAGNATIELLO, Il “filtro” di ammissibilità dell’appello, in Foro It., 2012, V, pag. 297.

27 Sul criterio di ragionevolezza che coinvolge il diritto processuale e quello civile come, in senso generale, la logica del ragionamento e i criteri ermeneutici rinvio a S. PATTI, La ragionevolezza nel diritto civile, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2012, pag. 1 ss. , che richiama il pensiero di ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, trad. it. di S. PATTI e ZACCARIA, Napoli, 1983. Sul rapporto tra discrezionalità e ragionevolezza si possono consultare gli studio monografici di G. SCIACCA, Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000; D’ANDREA, Contributo ad uno studio sul principio di ragionevolezza nell’ordinamento costituzionale, Milano, 2000; A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001.

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l’inammissibilità dell’appello per assenza di questi presupposti è minimo. Il giudice è tenuto ad una sommaria motivazione, che è assai complessa, dovendo esprimere, in sintesi, le valutazioni compiute di elementi intrinsecamente incerti (essendo solo “probabili” sia l’accertamento effettuato che la prognosi). Si può temere che la motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., risulterà, in molti casi, tautologicamente ancorata al richiamo di termini quali, “verosimile”,

“prospettabile”, “presumibile”, “fumus” e, appunto, “probabile” e

“ragionevole”.

Se si pone attenzione alla redazione dell’atto di appello si comprende la necessità di un’attenzione particolare da prestare al momento della sua scrittura.

Soprattutto, poi, nel caso in cui si debbano affrontare questioni che si presentino come nuove, per le quali non sia possibile riferirsi ad orientamenti giurisprudenziali da segnalare, per esporre i motivi dell’appello e renderne

“ragionevolmente probabile” l’accoglimento. Mi sembra, invece, senza rete il caso in cui l’appello si basi su interpretazioni normative che non hanno il conforto della giurisprudenza (perché assente o contraria). In questo caso non resta che confidare nella capacità argomentativa dell’estensore dell’atto difensivo o nella

“buona sorte” (intesa come attenzione che il giudice presterà alla risoluzione del caso, ed al suo anticonformismo).

F. L’art. 348 ter c.p.c. fissa le modalità per pervenire alla pronuncia sulla inammissibilità dell’appello. All’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., prima della trattazione, il giudice, “sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello”. Qui è da chiedersi se vi sia ragione di confidare nel contraddittorio orale. Se, cioè, la discussione in udienza consenta una ragionevole prospettiva di ribaltamento del pre-giudizio derivante dalla valutazione negativa del giudice che ha determinato la fissazione dell’udienza per la pronuncia di inammissibilità. Non vi è che da augurarsi che il prudente orientamento delle Corti di appello circa le pronunce di inammissibilità abbia l’effetto di non caricare il ruolo dei collegi giudicanti e, conseguentemente, che le udienze ex art. 350 c.p.c. consentano una adeguata trattazione.

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G. Ci si è chiesti quale sia la natura della pronuncia di inammissibilità che viene emessa quando “ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’art. 348 bis”.

Contro tale ordinanza, succintamente motivata, è escluso il ricorso per cassazione.

L’impugnazione per cassazione è invece ammessa contro il provvedimento di primo grado, ma se l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni inerenti la questione di fatto poste alla base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione non può essere proposto per i motivi di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Il principio della “doppia conforme” adottato dalla novella preclude, quindi, l’impugnazione per cassazione quando vi sia da censurare la corretta ricostruzione del fatto. Si è evidenziato che con la riforma non sia più possibile denunciare l’errore “revocatorio”. Le critiche pongono in luce le gravi conseguenze della preclusione dell’indagine sul fatto da parte della Suprema Corte28.

Nella ricerca di un rimedio si è prospettato che l’ordinanza di inammissibilità possa essere considerata, in questo caso, un atto decisorio, impugnabile, come tale, ex art. 111 settimo comma, della Costituzione. Condivido, però, le perplessità sull’uso dello strumento.29

5. Suggerimenti minimi. - I limiti e le incertezze del nuovo regime delle impugnazioni impongono delle soluzioni. Ne sono state prospettate subito due, che muovono sui piani diversi dell’applicazione della normativa o della sua abrogazione: a) una interpretazione restrittiva della disciplina dell’ inammissibilità da parte dei giudici di appello, che porti a preferire la soluzione della ammissibilità in tutti i casi in cui vi sia un “ragionevole” dubbio circa l’erroneità del provvedimento di primo grado, ribaltando quindi la prospettiva del legislatore che richiama la “ragionevole” probabilità dell’accoglimento dell’appello; b)

28 V. T. GALLETTO, “Doppio filtro” in appello, “doppia conforme” e danni collaterali, cit., pag.

13.

29 Su cui G. COSTANTINO, Gli effetti sul giudizio di cassazione della riforma dell’appello, in Intervento al Convegno sul nuovo giudizio di cassazione dopo la legge 134 del 2012 che si è tenuto a Roma l’8 novembre 2012 nell’Aula Magna della Corte di Cassazione. L’Autore dubita della possibilità di impiegare proficuamente contro le ordinanze di inammissibilità della Corte d’appello il ricorso ex art. 111, settimo comma, Cost. nel citato intervento sul “Diritto di difesa e la nuova disciplina delle impugnazioni”.

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l’auspicio di un’abrogazione legislativa della normativa; in caso contrario, di una decisione della Corte Costituzionale che dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 348 bis c.p.c., in considerazione della sua generica formulazione e/o valorizzando l’elemento che la riforma è frutto di una decretazione d’urgenza che è stata convertita in legge senza l’esame parlamentare, avendo il governo posto sul testo la questione di fiducia30.

Penso, oltre questo, che sia, necessario immedesimarsi nella posizione degli operatori giuridici (avvocati e magistrati), chiamati a comprendere quale sia la via per applicare, oggi, la disciplina, prendendo atto della finalità deflattiva che la ispira, limitando il danno dovuto alla riduzione degli strumenti difensivi31. Occorre anche cercare – finchè la disciplina della l. n. 134 del 2012 è in vigore – di assicurare il funzionamento del procedimento di appello contenendo la dilatazione dei tempi complessivi del processo, facilmente ipotizzabile come conseguenza delle norme introdotte32.

Emergono, per gli avvocati che intendono impugnare i provvedimenti dei giudici di primo grado, semplici indicazioni di prudenza ed attenzione33, come: a) coltivare la regola della chiarezza con il cliente, cui occorre rappresentare le difficoltà delle impugnazioni e le prospettive di successo; b) esaminare approfonditamente i contenuti della difesa prima di procedere alla predisposizione

30 Ancora, sul punto, G. VERDE, ult. op. cit.

31 Per M. FABIANI, Oggetto e contenuto dell’appello civile, in Foro It., 2012, V, pag. 283, “al cospetto di una crisi di devastanti proporzioni, credo che un atteggiamento più efficace sia quello di rendere le disposizioni indigeste più tollerabili, anziché quello di erigere barricate”.

32 E’ altrettanto agevole prevedere l’incremento dei giudizi in cassazione come conseguenza della possibilità di impugnazione delle sentenze di primo grado per la impugnazione dei provvedimenti di inammissibilità degli appelli ex art. 348 bis c.p.c.

33 Mi colloco, senza pentimento, con questi consigli, sul piano “basso” della pratica forense. Sono d’altronde consapevole che ogni atto difensivo “ha vita effimera ed è destinato a riversare i suoi significati nella decisione giudiziaria dalla quale è assorbito e nella quale si disperde anche quando è da questa interamente condiviso” così A. MARIANI MARINI, Agli antipodi dell’azzeccagarbugli, cultura ed etica dell’avvocato, Napoli, 2009, pagg. 27-28. Il punto oggi è che occorre consentire all’atto di appello di non esaurire la sua breve vita con l’ordinanza di inammissibilità del giudice, ma di protrarla almeno fino alla sentenza che decide l’appello nel merito. Solo per questo paiono utili i suggerimenti pratici che propongo.

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dell’appello, considerando la maggiore complessità del relativo processo; c) modificare la tecnica di redazione dell’atto di appello34.

Quanto a quest’ultima sarà necessario considerare che, l’appello dovrà, indicare (meglio se riprodurre) le parti del provvedimento che si vogliono appellare e rispetto alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, individuare “le modifiche che vengono richieste”: vale a dire, la diversa ricostruzione dei fatti, da cui si trarranno le conseguenze ai fini della modificazione delle decisioni assunte dal giudice di primo grado.

Benché la riforma abbia eliminato, nella nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c., il riferimento alla necessità della esposizione sommaria dei fatti e degli specifici motivi dell’appello, ritengo sia utile mantenere questa indicazione per evitare che il giudice debba impegnarsi a ricostruire il procedimento di primo grado per la parte in cui (e nella misura che) tale ricostruzione gli appaia essenziale per valutare le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto o della circostanze inerenti alla violazione di legge prospettata nell’appello. Meglio, nel contesto determinato dalla riforma, la previdente diligenza dell’avvocato che il ricorso a quella del giudice!

La richiesta - che si trova nell’art. 342 c.p.c. - di indicare le circostanze da cui deriva la violazione della legge che si imputa alla parte vincitrice in primo grado, mi pare si muova, anch’essa, sul piano della descrizione della fattispecie concreta35. Occorrerà, quindi, individuare specificamente i fatti e le norme applicabili da cui ricavare la condotta illecita che si intende censurare anche con

34 Per M. FABIANI, Oggetto e contenuto dell’appello civile, op. cit., pag. 284, l’atto di appello dovrebbe avere “un contenuto vincolato di questo tenore: i) l’appellante deve indicare espressamente le parti del provvedimento che vuole impugnare (profilo volitivo); per parti, in questo caso, vanno intesi non solo i capi delle decisione ma anche tutti i singoli segmenti (o se si vuole, ‘sottocapi’) che la compongono quando assumano un rilievo autonomo (o di causalità) rispetto alla decisione; ii) l’appellante deve suggerire le modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto (profilo argomentativo); iii) l’appellante deve spiegare perché assume che sia stata violata la legge, e quale legge, - sostanziale o processuale – (profilo censorio); iv) l’appellante deve giustificare il rapporto di causa ed effetto fra la violazione che deduce e l’esito della lite (profilo di causalità)”.

35 Invece per T. GALLETTO, “Doppio filtro” in appello “doppia conforme” e danni collaterali, in www.judicium.it, pag. 5, nella norma si “prevede l’inammissibilità dell’appello se manca l’indicazione della rilevanza dell’errore di diritto”.

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l’appello. Infine, si deve esporre perché tali circostanze siano rilevanti ai fini della decisione impugnata ed in che modo esse hanno favorito il convincimento del giudice di primo grado.

In ogni caso non credo che l’imprecisa o erronea l’indicazione della rilevanza dei fatti e delle norme violate possa determinare una pronuncia di inammissibilità. Ai fini dell’art. 342 c.p.c., mi pare conti esclusivamente la presenza (o l’assenza) dell’indicazione, non la sua erroneità.36

In riferimento al ricorso per cassazione, l’art. 360 n. 5 c.p.c. richiede l’indicazione dell’omissione, nella sentenza impugnata pronunciata in grado di appello o in unico grado, di un fatto decisivo per il giudizio su cui le parti hanno contraddetto (in modo grossolano, il legislatore parla di “oggetto di discussione tra le parti”).

La formulazione richiama quanto prevedeva l’art. 360 c.p.c. al momento della introduzione del codice nel 1940, il quale dava la possibilità di impugnare per cassazione la sentenza di appello ove fosse stato omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio. La previsione esclude solo in apparenza la possibilità di contestare la motivazione del provvedimento impugnato. Il sindacato del vizio di motivazione sulle questioni di fatto, infatti, resta aperto se si considera il difetto di motivazione come requisito di forma-contenuto della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c.37. Oppure – ma le maglie sono più strette – prospettando la violazione delle norme di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c.

Vi è un’ulteriore scelta che la novella chiede di compiere prima di introdurre un nuovo contenzioso in primo grado. La disciplina del 2012, infatti, fa riferimento al procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. Il legislatore ha pensato di escludere il filtro in appello quando l’impugnazione è proposta a norma dell’art. 702 quater c.p.c. Si pone allora la scelta se adottare, o meno, in primo grado, il rito sommario. Vi è motivo di dubitare - contrariamente alle aspettative

36 Sempre T. GALLETTO, op. cit., pag. 4 ipotizza che il legislatore abbia confusamente inteso introdurre il concetto della violazione della legge “innocua”, in quanto irrilevante ai fini della decisione.

37 Come accadeva già sotto il codice di rito del 1865, nella disciplina dell’art. 361 c.p.c.

interpretando in questo senso l’art. 517 n. 2 del codice allora vigente.

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del legislatore - che la riforma realizzerà l’intento di incentivare l’impiego del procedimento sommario di cognizione. La ritrosia degli operatori ad utilizzare il rito sommario, quando non è obbligatorio, è finora dipesa dalla struttura del procedimento, che attribuisce, in ordine all’accertamento dei fatti, al giudice designato di scegliere, con ordinanza non impugnabile, tra l’istruzione sommaria e quella completa. L’ampia discrezionalità del giudice circa le forme processuali condizionerà ancora, ritengo, anche dopo l’introduzione della nuova disciplina dell’appello, l’utilizzazione, in primo grado, di questo modello processuale quando la scelta non è obbligata.

6. Un auspicio. - La novella del 2012, in conclusione, impone di confidare nella ragionevolezza e prudenza dei giudici nell’interpretazione delle norme introdotte, superando la rigida prospettiva del legislatore ispirata dall’interesse alla riduzione dei tempi del processo, senza che sia risolto il problema dell’arretrato dei ruoli.

Occorre contrastare il pensiero che possa essere irrilevante per i litiganti la corretta soluzione della lite, quasi che, in fondo, ciò che conta è di “deciderla”

sollecitamente. Si deve resistere alla suggestione che la lite si risolve con il lancio di una moneta, che Francesco Guicciardini attribuiva ai giudici “turchi”, o gettando i dadi, come immagina Rabelais nel memorabile episodio del giudice Bridoye nei capitoli XXXIX – XLIII del terzo libro di “Garagantua e Pantagruele”38, perché sia l’interesse generale che quello particolare degli operatori giuridici chiede una soluzione “giusta” della lite.

Lo scopo di ogni processo civile è, penso, ancora quello della composizione corretta della controversia in un termine ragionevole; il che richiede l’efficienza della giustizia. Se lo snellimento dei gradi di giudizio è utile a questo fine, sarà necessario, come suggerito da tempo, il coraggio di riformare l’art. 111 Cost., nella parte in cui ammette sempre, contro le sentenze, il ricorso in cassazione per violazione di legge.

38 Rinvio al dotto saggio di B. CAVALLONE, “Comme vous aultres messieurs” (Rabelais teorico del processo e del giudizio) in Riv. Dir. Proc., 2008, pag. 433 ss.

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Il punto essenziale mi pare sia però quello di assicurare il buon funzionamento del processo di primo grado39. Se, infatti, nella prima fase del giudizio venissero assicurate le condizioni per un accertamento completo ed approfondito dei fatti e l’individuazione puntuale della fattispecie giuridica, con un giudice capace, equilibrato e competente, libero da insostenibili carichi di arretrato, verrà meno il bisogno di un controllo approfondito della sua decisione. Diverrà, quindi, concepibile una limitazione degli strumenti di impugnazione delle sentenze. Sono questi “ragionevoli” obiettivi di una riforma auspicabile.

39 Come suggerisce, tra gli altri, R. CAPONI, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in Cassazione nel processo civile, in www.judicium.it, pag. 16.

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