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NutriDialogo - Aa.Vv. - Alessandra Di Lauro

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Academic year: 2022

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NutriDialogo è un invito allo scambio di opinioni, di voci, di sguardi, di com- petenze. Con questo volume NutriDialogo intende contribuire a promuovere una nuova pluridisciplinarietà per meglio partecipare alla costruzione dei volti che l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente vorremmo assumessero nell’avvenire.

con scritti di:

Monica Agnolucci, Mariagrazia Alabrese, Ferdinando Albisinni, Gianpaolo Andrich, Giancarlo Antonucci, Sabrina Arcuri, Elisabetta Bani, Fabio Bartolini, Luc Bodiguel,

Massimo Boschi, Gianluca Brunori, Giovanni Ceccarini, Eloisa Cristiani, Andrea De Censi, Thibaut de Saint Pol, Catherine Del Cont, Alessandra Di Lauro,

Nicoletta Ferrucci, Alessandra Forti, Marine Friant-Perrot, Francesca Galli, Alessandra Gennari, Claudio Gentili, Manuela Giovannetti, Ilaria Kutufà, Pamela Lattanzi, Giuliano Lo Pinto, Gioia Maccioni, Francesca Marceca, Rossano Massai, Marcello Mele, Erica Palmerini, Alfredo Pelle, Caterina Pelosini, Pietro Pietrini, Luisa Pistelli, Anna Francesca Ragone, Annamaria Ranieri, Ilaria Ricco,

Daniela Romano, Vito Rubino, Chiara Sanmartin, Ferruccio Santini, Eleonora Sirsi, Giuliana Strambi, Alberto Susini, Isabella Taglieri, Ilaria Trapè, Francesca Venturi,

Mariarosaria Vergara, Jacopo Vitti, Angela Zinnai.

a cura di Alessandra Di Lauro

ETS

a cura di A. Di Lauro

€ 38,00

Edizioni ETS

food design

carne clonata

paesaggi obesità

sprechi

eccessi

cibo

ambiente

alimentazione

creatività

regole

scienze

agricoltura

Alessandra Di Lauro è professore ordinario presso l’Università di Pisa, dove insegna Diritto alimen- tare, Legislazione biotecnologica e Diritto agrario nel Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali. È membro del Comitato di direzione dell’European Council for Agricultural Law (C.E.D.R.), del Consiglio scientifico del World Union of the Academic Agrarians (U.M.A.U.), del Consi- glio scientifico dell’Associazione italiana cultori di diritto agrario (A.I.C.D.A.) e dell’Associazione italia- na di Diritto alimentare (A.I.D.A.). È membro del Centro interdipartimentale di ricerca “Nutraceutica e alimentazione per la salute” (NutraFood) dell’Università di Pisa. È autrice di numerose pubblicazioni dedicate principalmente alla disciplina della comunicazione commerciale, dell’informazione, della pubblicità e della protezione del consumatore di alimenti, della proprietà industriale e intellettuale nonché al rapporto fra il Diritto e le altre Scienze (in particolare la Medicina, l’Etica, la Chimica, l’Ecologia, la Psicologia, la Linguistica e la Semiotica, le Neuroscienze, le Nanoscienze).

borsa merci olio

nutraceutica

controlli

neuroscienze

salute impronta idrica

etichetta

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Il Diritto incontra le altre Scienze su Agricoltura, Alimentazione, Ambientea le

Il Diritto incontr

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e Scienze su Agricolture Scienze su Agricoltur

t r ii i D D D

a, Alimentazione, Ambiente

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Ambiente

o go g

e

a cura di Alessandra Di Lauro

Edizioni ETS

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www.edizioniets.com

© Copyright 2015 Edizioni ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com

Distribuzione Messaggerie Libri SPA

Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione

PDE PROMOZIONE SRL via Zago 2/2 - 40128 Bologna

ISBN 978-884674504-0

Pubblicato con il contributo dell’Università di Pisa 00_pped_Layout 1 29/04/16 10:01 Pagina 4

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Indice

Prefazione [Alessandra Di Lauro] 9

Sprechi agro-alimentari Le cause e i rimedi

Assistenza alimentare e diritto al cibo: quali lezioni dalla crisi?

Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli 13 Impronta idrica in relazione allo spreco alimentare-idrico-ambientale

Mariarosaria Vergara 23

La terra contesa

Strumenti e regole per un uso più sostenibile dei suoli

Mariagrazia Alabrese 29

Limiti e regole nella distribuzione delle eccedenze alimentari

Giuliana Strambi 35

Food Design

Come «disegniamo» il nostro cibo Creatività a più voci

La mela di Biancaneve

L’evoluzione del design dell’ortofrutta

Rossano Massai 43

Come le regole disegnano il cibo

Ferdinando Albisinni 53

Evoluzione e trasformazione del cibo: magie al microscopio

Manuela Giovannetti, Monica Agnolucci 61

La tutela industriale della forma del prodotto alimentare

Ilaria Kutufà 67

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6 Indice

L’etichetta degli alimenti: un racconto antropologico fra creatività e limiti

Alessandra Di Lauro 77

Verso una ristorazione scolastica italiana più sostenibile

Gianluca Brunori, Francesca Galli 83

Il vino di domani sulla base delle evidenze sperimentali di oggi

Gianpaolo Andrich, Francesca Venturi, Angela Zinnai, Chiara Sanmartin 97 Ad ogni vino il suo calice: dalla percezione al dato sperimentale

Francesca Venturi, Chiara Sanmartin, Isabella Taglieri,

Gianpaolo Andrich, Angela Zinnai 103

La valorizzazione dei prodotti vitivinicoli dopo la riforma dell’OCM:

quali margini di intervento per gli Stati membri?

Vito Rubino 111

La presentazione degli oli vergini di oliva nei pubblici esercizi:

contro il «suicidio» l’antirabbocco?

Giuliana Strambi 121

Il pane toscano a lievitazione naturale: un esempio dell’incontro tra tradizione e conoscenza

Angela Zinnai, Francesca Venturi, Chiara Sanmartin, Isabella Taglieri,

Gianpaolo Andrich 127

Creatività e tradizione nei regimi di qualità

Ilaria Trapè 133

Non solo bellezza: possibilità di impiego delle piante ornamentali edibili

Daniela Romano 139

Il fiore come prodotto agricolo ad uso alimentare: quali le regole di produzione e di commercializzazione

Alessandra Forti 145

La cucina dell’amore, base di ogni tipo di gastronomia

Alfredo Pelle 151

La borsa merci telematica dei prodotti agro-alimentari Dalla Borsa Merci alla Borsa Merci Telematica

Alberto Susini 161

Borse merci, determinazione dei prezzi e disciplina antitrust

Elisabetta Bani 173

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Indice 7

Gli eccessi del cibo

Obesità e «dintorni» all’incrocio delle Scienze Modes de vie, inégalités sociales et perceptions du surpoids

Thibaut de Saint Pol 183

Obesità: cause, conseguenze e strategie per contrastarla

Caterina Pelosini, Ilaria Ricco, Giovanni Ceccarini, Ferruccio Santini 189 La dieta mediterranea: mito o realtà?

Jacopo Vitti 193

L’Organisation mondiale de la santé (OMS), l’Union européenne, les Etats membres de l’Union européenne et l’obésité

Marine Friant-Perrot 197

Il comportamento alimentare tra ragione ed emozione:

aspetti psicologici e psicopatologici

Claudio Gentili, Pietro Pietrini 209

La scelta consapevole del consumatore di alimenti: una chimera?

Alessandra Di Lauro 215

Obesità, dieta e oncologia

Alessandra Gennari, Francesca Marceca, Andrea De Censi,

Giuliano Lo Pinto, Giancarlo Antonucci 221

La salute nel piatto: alimenti funzionali di origine vegetale

Annamaria Ranieri 227

La salute nel piatto: alimenti funzionali di origine animale

Marcello Mele 233

Alimenti, «integratori» e farmaci: la salute nel diritto alimentare

Alessandra Forti 241

Il corpo evanescente

Diritto e corporeità tra appartenenza e alienità, normalità, disabilità, transumanesimo

Erica Palmerini 247

I paesaggi Il paesaggio agrario come bene culturale

Nicoletta Ferrucci 259

Le paysage qui traverse et le paysage traversé:

le cas des trames vertes en France

Luc Bodiguel 269

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8 Indice

Carne clonata I tabù e le regole

Qualità e salubrità degli alimenti derivanti da animali clonati

Marcello Mele 279

Produits alimentaires issus de clones :

quelle place pour les considérations éthiques et sociales du consommateur européen dans le droit du commerce ?

Catherine Del Cont 289

«Quasi la stessa cosa»

Problemi giuridici del commercio di carne di animali clonati e risposte normative

Eleonora Sirsi 297

L’olio della discordia

L’impatto socio-ambientale e alimentare dell’olio di palma La sostenibilità della produzione dell’olio di palma tra tutela

della biodiversità e conflitti ambientali

Eloisa Cristiani 307

Tecnologie produttive dei principali oli vegetali con particolare riferimento all’olio di palma

Angela Zinnai, Francesca Venturi, Chiara Sanmartin, Isabella Taglieri,

Gianpaolo Andrich 313

Olio di palma e olii vegetali: composizione e caratteristiche salutistiche a confronto

Luisa Pistelli 321

Le regole dell’informazione sull’olio di palma

Pamela Lattanzi 327

I controlli nel settore agro-alimentare Punti critici del sistema

Il sistema di allarme rapido: attuazione, inadempienze, interrogativi

Gioia Maccioni 335

Il controllo ufficiale nel settore agroalimentare

Anna Francesca Ragone 349

Il sistema dei controlli nel settore agro-alimentare Le competenze del Servizio Sanitario Nazionale e della Azienda Sanitaria Locale (ASL)

Massimo Boschi 353

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Prefazione

NutriDialogo nasce nel 2014 e prevede lo svolgimento di Incontri e di Colloqui su argomenti che si pongono al crocevia di diverse scienze nel cam- po dell’Agricoltura, dell’Alimentazione e dell’Ambiente.

NutriDialogo propone di esplorare le trasformazioni del nostro tempo at- traverso il necessario approfondimento delle interrelazioni esistenti fra di- versi settori scientifici per poter meglio conoscere questo «nuovo mondo» e migliorare i nostri saperi. L’idea scaturisce anche dall’insoddisfazione verso la proposizione di saperi parcellizzati che non rispondono ai nostri bisogni di conoscenza e che, chiusi nelle proprie frontiere disciplinari, corrono il ri- schio di proporre visioni che «fanno tornare il mondo a principi» già predi- sposti. La cultura giuridica, al pari delle altre culture, si nutre delle cono- scenze della altre Scienze e in quanto «tecnica di regolazione dei conflitti (…), come sistema normativo capace di orientare e rendere possibile il cam- biamento» (Rodotà), dovrebbe partecipare a quel processo che chiamo di

«coevoluzione e coeadattamento» della realtà e alla realtà. In questo periodo di «scienze difficili» mi è sembrato che la permeabilità dei saperi, la ricerca delle corrispondenze e delle dissonanze, delle incompletezze e delle imperfe- zioni fra categorie diverse potessero essere perlustrate anche attraverso In- contri e Colloqui fra relatori provenienti da diversi contesti di conoscenza che si sono misurati con interventi brevi, densi e animati dal desiderio di condivisione delle conoscenze.

Questa struttura agevole è stata mantenuta nella predisposizione del volu- me destinato ad accogliere gli Atti di NutriDialogo al quale i relatori che hanno scelto di contribuire hanno partecipato riprendendo l’intervento orale svolto in occasione degli Incontri e dei Colloqui o anche inviando contributi più recenti attinenti alle nuove aree di ricerca intraprese.

A tutti coloro che hanno reso possibile NutriDialogo 2014 e a coloro che hanno contribuito a questa pubblicazione va il mio più sentito ringraziamento.

Pisa, 26 novembre 2015

Alessandra Di Lauro

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Sprechi agro-alimentari Le cause e i rimedi

Sprechi. Sprechi di cibo, di acqua, di terra, di risorse. Sprechi. Un vasto scandalo investe da tempo il settore agro-alimentare e motiva i più recenti interventi di varie organizzazioni fra le quali la FAO e il Parlamento Euro- peo che proclamano la lotta contro lo spreco alimentare. L’accesso, l’abbon- danza, lo spreco e il dono tra opportunità e limiti.

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1 Vedi per esempio in Belgio [link]; in Germania [link]; in Gran Bretagna [link]; in Spagna [link]; in Francia [link].

2 La stima dell’incidenza di povertà relativa e assoluta viene calcolata sulla base di soglie con- venzionali. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti nel 2013 è risultata pari a 972,52 euro mensili. La soglia di povertà assoluta rappresenta la spesa minima necessaria per ac- quisire i beni e servizi inseriti nel paniere di povertà assoluta; questa soglia varia, per costruzione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. La stima della povertà assoluta non si riferisce e non include la povertà estrema (ISTAT, 2014c).

Assistenza alimentare e diritto al cibo:

quali lezioni dalla crisi?

Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali - Università di Pisa

Negli ultimi anni, sia in Italia che nel resto d’Europa, i media hanno docu- mentato a più riprese un forte aumento della domanda di assistenza alimen- tare1. Le immagini di lunghe file di persone in attesa di un pasto davanti alle chiese o alle sedi delle associazioni caritative sono divenute un emblema de- gli effetti della crisi e delle politiche di austerità.

Sebbene le mense dei poveri siano sempre esistite, con la funzione di ri- spondere a particolari circostanze di necessità – quelle di senzatetto, rifugiati e di quanti vivono in condizioni di povertà cronica (Lambie-Mumford, Dow- ler, 2015; Gentilini, 2013) – tuttavia, l’aumento delle richieste, le nuove cate- gorie di assistiti e il proliferare delle iniziative da parte di enti caritatevoli e privati inducono a interrogarsi sull’effettiva realizzazione della sicurezza ali- mentare nel cosiddetto «Nord» del mondo (Caraher, Cavicchi, 2014).

Il quadro dell’Italia

Non lascia ben sperare il quadro dell’Italia descritto da Istat, con livelli elevati di povertà, disoccupazione e disuguaglianza nella distribuzione del reddito (ISTAT, 2014a; ISTAT, 2014b; ISTAT, 2014c; ISTAT, 2015).

Nel 2013, la povertà assoluta2è in aumento e interessa il 7,9% delle fami- glie, ovvero 6 milioni e 20 mila individui (il 9,9% dell’intera popolazione);

rimane stabile l’incidenza della povertà relativa, che riguarda il 12,6% delle famiglie, per un totale di oltre 10 milioni di individui (il 16,6% dell’intera

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14 Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli

3 Nonostante la lieve diminuzione (-0,2%) dell'ultimo trimestre del 2015, il tasso di disoccupa- zione rimane comunque ben al di sopra dei livelli pre-crisi (5,8% nell'aprile 2007; fonte ISTAT, 2015).

4 Secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia  Europa 2020, l’indicatore del ri- schio di povertà o di esclusione sociale considera la percentuale di persone che si trovano in almeno una delle seguenti tre condizioni: 1. vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro; 2. vivono in fami- glie a rischio di povertà; 3. vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale. La de- privazione materiale grave è un indicatore ufficiale dell’indagine EU-SILC, l’unico a contemplare la povertà dal punto di vista dell’insicurezza alimentare, definita in questo caso come il non potersi per- mettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano.

5 L’indice di concentrazione di Gini è una misura sintetica del grado di diseguaglianza della di- stribuzione del reddito; il suo valore è compreso tra zero, che indica una perfetta equità della distri- buzione dei redditi, e uno, che indica totale diseguaglianza, ovvero il caso in cui il reddito totale è percepito da una sola unità.

popolazione). A essere colpite sono le famiglie più numerose, gli anziani, le coppie con figli, soprattutto se minori, e le famiglie con problemi di accesso o permanenza nel mercato del lavoro (ISTAT, 2014c); il tasso di disoccupa- zione, infatti, è pari all'11,5%3.

Nel 2013, più di un quarto degli italiani (il 28,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale e ancora più preoccupante è la situazione nel Mezzogior- no, dove è a rischio quasi metà della popolazione (46,2%)4: questi valori portano l’Italia tra le ultime dieci posizioni nel confronto con gli altri Paesi europei (Fig. 1).

Fig. 1 - Persone a rischio di povertà o esclusione sociale, % popolazione totale Paesi UE-28 (fonte: Eurostat Database).

Lo stesso vale per la disparità nella distribuzione del reddito, misurata at- traverso l’indice di Gini5: per l’Italia l’indice ha un valore pari a 0.32, che in-

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Assistenza alimentare e diritto al cibo: quali lezioni dalla crisi? 15

6 L’indicazione di «persone con domicilio» indica esclusivamente che si tratta di persone che non abitano per strada, ma hanno un’abitazione in cui dimorano, senza però entrare nel merito della qualità delle case in cui vivono (Caritas, 2014).

dica livelli di disuguaglianza piuttosto elevati e al di sopra della media euro- pea (pari a 0.30) (Eurostat Database, 2014). Secondo Istat, mentre al 20%

più ricco della popolazione spetta il 37,7% del reddito totale, il 20% più po- vero ne percepisce appena il 7,9% (ISTAT, 2014b).

Sul fronte dei consumi, le famiglie italiane continuano a tagliare e, benché l’ammontare della spesa per il cibo rimanga tutto sommato stabile, si rileva sia una diminuzione del consumo di carne sia la messa in atto di strategie per ridurre la spesa: ad esempio, sempre più numerose sono le famiglie che si ri- volgono all’hard discount e quelle che hanno ridotto la qualità o la quantità dei generi alimentari acquistati (ISTAT, 2014a).

Se da un lato, infatti, il cibo è un bisogno primario del’individuo, dall’al- tro le famiglie possono essere spinte, in condizioni di necessità, a risparmiare proprio sull’alimentazione per far fronte a voci di spesa «meno flessibili», come l’elettricità, il gas e l’affitto (Dowler, 2003; Tait, 2015). Ciononostante, in Italia l’8,5% delle famiglie ha dichiarato nel 2013 di non avere abbastanza soldi per mangiare in alcuni periodi dell’anno (ISTAT, 2014).

L’insicurezza alimentare è, dunque, prima di tutto una questione di reddi- to inadeguato e povertà (Riches, Silvasti, 2014), e questo è tanto più vero in quei Paesi, come l’Italia, che non hanno problemi di scarsità alimentare, co- me conferma il rapporto di Caritas sulla povertà e l’esclusione sociale (Cari- tas, 2014). Secondo quest’ultimo, infatti, l’aumento di quanti richiedono aiu- to alimentare non è legato tanto a un’emergenza alimentare in senso stretto ma piuttosto a un’emergenza economica, tale per cui «si rinuncia a fare la spesa e ci si accontenta del pacco viveri» (Caritas, 2014:18).

Il rapporto di Caritas tenta di tracciare un identikit degli assistiti, consta- tando la progressiva «normalizzazione sociale» dell’utenza, che coincide sempre meno con i profili classici della marginalità sociale. Crescono, infatti, le richieste di aiuto degli italiani, pur rimanendo prevalente, a livello com- plessivo, l’utenza straniera (61,8%); in molti casi le persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto sono donne (54,4%), persone con domicilio6(81,6%) e con figli (72,1%). La dimensione occupazionale è quella più problematica: è disoccupato il 63,6% dell’utenza tra 15 e 64 anni e il 64,3% ha conseguito al massimo la licenza media (Caritas, 2014). Sono sempre meno, inoltre, gli utenti presi in carico dai servizi sociali o da altri servizi socio-assistenziali (Caritas, 2014:15).

Ma quali sono le risposte alla povertà alimentare in Italia e da dove pro- vengono?

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16 Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli

7 Programme Européen d’aide Alimentaire aux plus Démunies, noto anche come Programma Most Deprived Persons (MDP), da qui in avanti indicato come PEAD.

8 Per maggiori approfondimenti sul lungo iter che ha preceduto la definitiva approvazione del FEAD si veda Cavalli, 2015.

9 Da questo ampliamento del raggio di azione del Fondo deriva un’altra grande differenza ri- spetto al PEAD, ossia la tripartizione delle forme di assistenza non finanziaria alle persone indigenti in assistenza alimentare, assistenza materiale di base e sostegno ad attività a favore dell’inclusione so- ciale (Regolamento UE 2014/223, art.3).

L’assistenza alimentare in Italia

In Italia, una miriade di soggetti e strutture ramificate sul territorio, di ca- rattere laico e religioso, svolge attività di assistenza alimentare che vanno dalla distribuzione di pacchi viveri alle tradizionali mense per i poveri, dagli empori ai ristoranti sociali. Ciascuno di questi servizi è rivolto ad un preciso profilo dell’utenza e le fonti di approvvigionamento di generi alimentari so- no spesso personalizzate ma diversificate e comprendono aiuti provenienti da soggetti pubblici.

Tra questi, troviamo in primo piano il Programma di aiuti europei agli in- digenti7, che è stato il principale strumento di contrasto alla povertà dell’U- nione Europea. Nato nel 1987 dalla proposta dell’allora presidente della Commissione Europea Jacques Delors, il PEAD prevedeva la distribuzione delle eccedenze agricole agli Stati membri, che aderivano su base volontaria, per impiegarli sotto forma di aiuti agli indigenti. Erano tempi in cui la pro- duzione superava la domanda e grandi quantità di prodotti sarebbero stati altrimenti destinati alla distruzione. A partire dagli anni Novanta, la progres- siva diminuzione delle eccedenze per effetto delle riforme della PAC ha por- tato a modificare il PEAD nella direzione di integrare le scorte alimentari con acquisti sul mercato. Infine, la previsione per il periodo 2011-2020 del definitivo esaurimento delle eccedenze – o quanto meno della futura impre- vedibilità del loro ammontare – ha fatto venire meno il fondamento stesso del programma, che è stato quindi prorogato in attesa di trovare una soluzio- ne condivisa8da tutti gli Stati membri (Cavalli, 2015).

Al suo posto, nel 2014 è nato il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), inquadrato negli obiettivi di coesione sociale e riduzione della po- vertà della Strategia Europa 2020 (Cavalli, 2015). Principali elementi innova- tivi del FEAD rispetto al suo predecessore sono l’obbligatorietà e la colloca- zione nelle politiche sociali dell’Unione anziché nella PAC, modifica che si è tradotta in uno spostamento anche a livello di singoli Stati membri: in Italia, ad esempio, dove fino al 2013 il Ministero delle Politiche Agricole, Alimen- tari e Forestali (MIPAAF) gestiva gli aiuti attraverso AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura), l’attuazione del Programma Operativo del FEAD9è passata al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che conti- nuerà comunque a servirsi di AGEA come Autorità di gestione (Ministero

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Assistenza alimentare e diritto al cibo: quali lezioni dalla crisi? 17

10 Gli Enti caritativi riconosciuti da AGEA, in quanto rappresentativi nel settore delle opere ca- ritative e diffusi su tutto il territorio nazionale, sono Croce Rossa Italiana, Caritas Italiana, Fondazio- ne Banco Alimentare, Banco delle opere di Carità, Associazione «Sempre insieme per la pace», Co- munità di Sant’Egidio, Associazione Banco Alimentare Roma.

11 Il dato è riferito al mese di gennaio 2013.

del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2014). Il Programma Operativo italiano ha previsto  quattro forme di deprivazione materiale su cui intervenire:  po- vertà alimentare, deprivazione materiale di bambini e ragazzi in ambito sco- lastico, deprivazione alimentare ed educativa di bambini e ragazzi in zone dell’Italia deprivate e deprivazione materiale dei senza dimora e altre perso- ne fragili (Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, 2014).

A livello operativo, il cibo viene per lo più acquistato sul mercato ma è prevista la possibilità di integrazione per mezzo di altre fonti, come donazio- ni e scorte di intervento, qualora siano disponibili. Le autorità di ciascuno Stato membro possono acquistare il cibo direttamente e fornirlo alle organiz- zazioni partner, oppure finanziare queste ultime affinché provvedano agli ac- quisti. A loro volta, le organizzazioni partner possono distribuire diretta- mente il cibo o affidarsi ad altre organizzazioni (Regolamento UE 2014/223).

Nel caso dell’Italia, AGEA distribuisce i prodotti alimentari a sette enti ri- conosciuti10, i quali a loro volta sono articolati in 242 enti caritativi capofila (a livello regionale e provinciale) e in 15.067 strutture periferiche diffuse sul- l’intero territorio nazionale. Queste ultime, per lo più mense e centri di di- stribuzione, sono aumentate del 7,5% tra il 2010 e il 2013 (AGEA, 2013). La diffusione capillare di questa rete sul territorio ha consentito di raggiungere 4.068.250 persone nel 201311, quasi il doppio (+47,2%, pari a 1.304.871 per- sone) rispetto al 2010: il maggiore incremento si è registrato tra i bambini in- feriori a 5 anni e gli anziani maggiori di 65 anni (AGEA, 2013).

Considerato che le associazioni caritative fanno ricorso a varie modalità di approvvigionamento di alimenti, si comprenderà innanzitutto che le fornitu- re di AGEA costituiscono una sorta di base certa su cui fare affidamento e, al contempo, che i numeri sull’assistenza forniti da AGEA rappresentano, in realtà, una sottostima del fenomeno.

Agli aiuti europei, infatti, le associazioni affiancano i prodotti alimentari reperiti attraverso donazioni di privati, tramite il recupero del surplus pro- duttivo e durante la Giornata nazionale della Colletta Alimentare che, su ini- ziativa della Fondazione Banco Alimentare Onlus, si tiene ogni anno a no- vembre dal 1997. Nel 2015, in occasione dell’ultima Colletta, più di cinque milioni di persone hanno donato al Banco Alimentare 8.990 tonnellate di ali- menti presso 11.000 punti vendita (www.collettaalimentare.it).

La raccolta di donazioni e il recupero del surplus generato nella filiera alimentare sono le attività principali del Banco Alimentare che, potendo contare su un apparato logistico ben articolato e diffuso su tutto il territorio

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18 Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli

12 La Rete Banco Alimentare, dislocata in 21 associazioni regionali, nel 2014 ha impiegato ogni giorno 116 persone e 1869 volontari; dispone di 37.430 metri quadrati di magazzini, circa 11 mila metri cubi di celle frigorifere e 91 veicoli per il trasporto di alimenti. I volontari diventano 130 mila durante la Giornata della Colletta Alimentare (Fondazione Banco Alimentare, 2014).

nazionale12, ha un ruolo di intermediario e distribuisce generi alimentari a circa 8.100 strutture caritative che forniscono assistenza diretta (Fondazio- ne Banco Alimentare, 2015).

La fitta rete di relazioni e contatti con la GDO e le imprese, sempre più attente al ritorno d’immagine delle donazioni agli enti caritativi (Cavicchi, Santini, 2014; Riches, Silvasti, 2014), nel 2014 ha garantito al Banco Alimen- tare più di due terzi degli alimenti recuperati, provenienti dal settore agrico- lo, dall’industria agroalimentare, dalla distribuzione e dalla ristorazione (Tab. 1). Insieme al miglioramento in termini di Responsabilità Sociale d’Im- presa, donare il surplus di produzione comporta per le imprese l’ulteriore vantaggio della riduzione dei costi di magazzino e di smaltimento (Cavicchi, Santini, 2014). Tuttavia, le donazioni dipendono spesso dalla volontà e dai contatti personali dei singoli individui, piuttosto che da un processo struttu- rato e costituiscono ancora una piccola parte del surplus generato nella filie- ra agroalimentare (Garrone et al., 2014).

Tab. 1 - Fonte e quantità di alimenti recuperati e raccolti dalla Fondazione Banco Alimentare nel 2014 (fonte: elaborazione da Fondazione Banco Ali- mentare, 2014).

Alimenti recuperati

UE-AGEA 11.475 (28,1%)

Ortofrutta 9.735 (23,9%)

Industrie Agroalimentari 11.801 (28,9%)

Grande Distribuzione Organizzata 4.308 (10,6%)

Centri distribuzione – Distr. all’ingrosso 3.132 (7,68%) Ristorazione organizzata (pane e frutta) 319 (0,78%) Ristorazione organizzata (#piatti pronti) 1.043.351 Totale alimenti recuperati (tons) 40.767 (tons)

1.043.351 (#piatti pronti) Alimenti raccolti

Iniziative di raccolta una tantum 5.764

Giornata Nazionale Colletta Alimentare 9.201

Totale alimenti raccolti (tons) 14.965 (tons)

Ha fatto molto discutere, dunque, la notizia dell’approvazione all’unani- mità, da parte dell’Assemblea Nazionale  francese, delle misure contro gli

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Assistenza alimentare e diritto al cibo: quali lezioni dalla crisi? 19

13 Il Fatto Alimentare, 10 febbraio 2016, «Spreco alimentare: la Francia stabilisce norme precise per i supermercati e ristoranti. In Italia nessuna norma al riguardo».

14 Il Fatto Alimentare, 6 febbraio 2014, «Prodotti in scadenza: la lotta allo spreco alimentare si combatte nei supermercati. Coop, Auchan e Carrefour li vendono a metà prezzo».

sprechi alimentari inserite come emendamenti alla legge sulla transizione energetica: i supermercati con una superficie maggiore di 400 mq sono ob- bligati a donare l’invenduto alle associazioni di beneficienza, pena una multa di 400 euro13. Da questa parte delle Alpi, invece, il recente interesse per la lotta allo spreco alimentare ha sortito un effetto inatteso per gli enti impe- gnati nel recupero delle eccedenze: la vendita dei prodotti in scadenza14 a prezzi ribassati ha drasticamente ridotto la componente di alimenti recupe- rati presso la GDO (conversazione personale con Caritas Pisa, 2015).

Considerazioni generali

Quello relativo alla mancanza di controllo sulle donazioni è uno dei prin- cipali problemi in cui gli enti attivi nell’assistenza alimentare si imbattono da sempre e che rende la loro attività strettamente dipendente dall’offerta e po- co orientata al bisogno dell’utenza. Questo implica la difficoltà oggettiva di garantire il soddisfacimento dei bisogni nutrizionali e, ancor di più, le esi- genze alimentari di soggetti in particolari condizioni di salute (Tarasuk, Eakin, 2005; Riches, Silvasti, 2014).

Secondo Barrett (2002), la questione può essere estesa anche ai program- mi pubblici di assistenza alimentare, la cui efficacia sarebbe limitata dal fatto che, storicamente, questi sono tarati sulle eccedenze risultanti dalle politiche di sostegno all’agricoltura anziché sulle necessità dei destinatari. In effetti, in molti Paesi, l’assistenza alimentare è frutto della combinazione di programmi di sostegno all’agricoltura e welfare state (Barrett, 2002: 33-34).

Secondo alcuni autori, banchi alimentari e associazioni caritative, contri- buendo a migliorare l’accesso al cibo per le fasce più svantaggiate della po- polazione, svolgerebbero funzioni che li inseriscono nel sistema di welfare (Cavicchi, Santini, 2014); secondo altri, rappresenterebbero piuttosto un sin- tomo del declino di quest’ultimo (Riches, Silvasti; 2014; Poppendieck, 1998). È significativo, a questo proposito, che il portavoce della FAO per il diritto al cibo Olivier De Schutter abbia ammonito gli stati europei in merito al rischio di includere a pieno titolo l’assistenza alimentare nel sistema di welfare, come accaduto in Canada e USA, sostenendo che questa debba en- trare in campo soltanto dopo il fallimento del governo, come «safety net of the safety net» (Booth, 2014).

In tutta Europa, invece, la situazione di crescente bisogno generata dalla

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crisi economica sembra aver sollecitato uno sforzo maggiore e più organizza- to da parte delle associazioni caritatevoli, in assenza di risposte da parte dei governi nazionali e locali (Lambie-Mumford, Dowler, 2015). Le organizza- zioni più efficaci a livello operativo hanno, infatti, dimostrato di essere quel- le non burocratiche e in grado di gestire relazioni personalizzate, mentre si riscontra una generale inadeguatezza delle politiche di contrasto alla povertà nell’intercettare le persone più bisognose (Campiglio, Rovati, 2009). Occorre però tenere in considerazione che soltanto una parte di quanti hanno biso- gno si rivolgono alla Caritas, e più in generale alle associazioni caritative (Ca- ritas, 2014), e che la carità è vista da molte famiglie come «ultima spiaggia», perché ritenuta inadatta alle proprie condizioni e associata a un sentimento di umiliazione e vergogna (Tarasuk, Eakin, 2014; Van der Horst et al., 2014).

È innegabile il contributo degli enti caritativi nell’affrontare l’emergenza povertà in anni di crisi e, ancor di più, per la capacità di coniugare obiettivi di lotta alla fame e lotta allo spreco, espressioni emblematiche delle contrad- dizioni del sistema da cui provengono.

Nondimeno, la continuità stessa dell’aiuto pone almeno due questioni fondamentali. In primo luogo, è lecito interrogarsi sull’efficacia di questo modello nel contrasto alla povertà alimentare, considerato il continuo au- mento della domanda, da un lato, e la sostanziale carenza di dati e di un mo- nitoraggio sistematico dell’insicurezza alimentare in Europa, dall’altro (Lam- bie-Mumford, Dowler, 2015). Secondo Riches e Tarasuk (2014), gli enti cari- tatevoli non hanno, per costituzione, l’obiettivo di risolvere il problema della fame e riconoscono il valore di sollievo temporaneo della propria attività.

In secondo luogo, la crescente diffusione degli aiuti alimentari e della ca- rità non fa che sottolineare la non conformità della maggior parte dei Paesi ricchi rispetto al proprio dovere di «rispettare, proteggere e realizzare» il di- ritto al cibo per le persone vulnerabili (Riches, Silvasti, 2014), così come espresso nel General Comment 12 del Comitato ONU sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR, 1999).

Un acceso dibattito è già aperto in Italia e in Europa in merito al ruolo che gli enti caritatevoli dovranno ricoprire nel prossimo futuro e a quello che spetterà a governi ed enti pubblici nel guidare e coordinare le azioni di con- trasto alla povertà nei modi che più aderiscono, di volta in volta, alle partico- lari necessità degli individui.

Bibliografia

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Consuntivo delle attività realizzate al 30.04.2013. Ufficio Ocm Vino e Altri Aiuti.

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42-56.

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22 Sabrina Arcuri, Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, Francesca Galli

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Sitografia

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http://www.bancoalimentare.it/

http://www.istat.it/it/archivio/161416 01Arcuri_etal 11(13)_Layout 1 29/04/16 10:17 Pagina 22

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Impronta idrica in relazione allo spreco alimentare-idrico-ambientale

Mariarosaria Vergara

Scuola Normale Superiore di Pisa; Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali - Università di Pisa

m.vergara@sns.it

Lo spreco alimentare

Si tratta di un fenomeno analizzato solo di recente, perché non ha suscita- to abbastanza interesse fino a pochissimi anni fa. Per spreco si intende lo scarto, nel corso della catena agro-alimentare, di prodotti che hanno perso valore commerciale ma possono ancora essere destinati al consumo umano.

L’impatto dello spreco alimentare sulle risorse naturali è stato riportato per la prima volta nel 2013 dalla FAO, ponendo speciale attenzione alle rica- dute sul clima, sulle risorse idriche, sul consumo di suolo e sulla biodiversità (Documento: Food wastage footprint impact on natural resources).

L’ammontare dello spreco annuale nel mondo è di 1.3 miliardi di tonnella- te di cibo, dato ancora più sconvolgente se si considera che corrisponde a ben 4 volte la quantità di cibo che sarebbe sufficiente a nutrire tutti gli affa- mati del pianeta. Inoltre questo enorme dispendio si riflette in una pressione insostenibile sull’ambiente, come mostrano chiaramente i dati della FAO (Si- tografia n. 1). Ad esempio, ogni anno il cibo prodotto e non consumato sper- pera 250km3di acqua (pari al flusso annuo del Volga), utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno (quasi il 30% della superficie agricola mondiale) ed è re- sponsabile del rilascio nell’atmosfera di 3,3 miliardi di tonnellate di gas a ef- fetto serra. Per di più le colture intensive rappresentano una seria minaccia alla biodiversità vegetale, a causa della tendenza a selezionare pochissime va- rietà per una produzione sempre più estesa a livello globale.

La pressione esercitata sull’ambiente non dipende solo dall’entità dello spreco alimentare ma anche dalla sua qualità: non tutti gli alimenti infatti hanno la stessa valenza in termini di consumo delle risorse, come vedremo in seguito.

Le cause dello spreco alimentare sono molteplici e sono ascrivibili a tutte le fasi della filiera agro-alimentare. A parte una sovrapproduzione strutturale (programmata per ragioni di marketing e di politiche economiche a monte della filiera), dalle varie analisi del fenomeno emerge una inefficienza nella gestione delle varie fasi di raccolta, stoccaggio, trasformazione, trasporto, ri- vendita e consumo dei prodotti alimentari.

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24 Mariarosaria Vergara

Le motivazioni delle perdite risultano poi molto diverse in base alle regio- ni del mondo: nei Paesi in via di Sviluppo si riscontrano sopratutto in fase post-raccolta (stoccaggio, lavorazione e trasporto) per carenza di infrastrut- ture o per condizioni ambientali avverse; al contrario nei Paesi Industrializ- zati vengono rilevate principalmente a livello di vendita e consumi, ma anche in parte nella fase iniziale di coltivazione in campo.

Impatto ambientale dello spreco alimentare

Per valutare le conseguenze dello spreco alimentare sull’ambiente, è ne- cessario definire tutte le risorse utilizzate per ogni alimento, considerandone l’intero ciclo di vita.

Perciò si devono calcolare anche tutte le risorse che con il cibo si buttano via, cioè acqua, terra ed energia, usate per produrre, trasformare, distribuire e infine smaltire prodotti non consumati. A questo scopo vengono utilizzati tre indicatori rappresentativi del consumo di suolo e di acqua e dell’inquina- mento dell’aria: l’impronta ecologica, l'impronta idrica e quella del Carbo- nio.

L’impronta ecologica rappresenta la quantità di terra biologicamente pro- duttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire le emissioni associate a un sistema produttivo, cioè il «peso» esercitato sulla Terra per produrre i beni di consumo e per gestire i rifiuti da essi generati. La coltivazione di cibo che va al macero causa inutilmente erosione e occupazione di suoli.

L’impronta del Carbonio è una misura del rilascio di gas serra generato nel ciclo di vita di un prodotto. In particolare vengono determinati l’anidri- de carbonica emessa dai combustibili fossili, il metano rilasciato dal metabo- lismo digestivo dei bovini e l’Azoto reattivo liberato dai fertilizzanti usati in agricoltura. L’agricoltura globale è responsabile di circa il 35% delle emis- sioni di anidride carbonica, mentre l’Azoto reattivo liberato dai fertilizzanti rappresenta il 36% dell’Azoto immesso nell’ambiente. Nei dati relativi agli impatti ambientali di carne e latticini, il settore del bestiame risulta respon- sabile del 18% delle emissioni globali di gas serra.

L’impronta idrica infine esprime il consumo della risorsa associato alla produzione alimentare, come volume totale di acqua dolce sfruttata in tutta la catena agro-alimentare. Questo indicatore è descritto meglio nel paragrafo successivo.

La scarsità idrica è un problema pressante e l’irrigazione in agricoltura consuma il 70-80% dell’acqua dolce accessibile. Inoltre la risorsa viene note- volmente sfruttata anche lungo tutta la filiera, nelle fasi di raccolta, lavora- zione, confezionamento, refrigerazione, trasporto, stoccaggio, distribuzione locale e consumo finale.

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Impronta idrica in relazione allo spreco alimentare-idrico-ambientale 25

Impronta idrica

Il concetto di impronta idrica è stato introdotto nel 2002 dal prof. A.Y.

Hoekstra, docente di Water Management all’Università di Twente in Olanda (Sitografia n. 2). Essa rappresenta un indicatore di utilizzo di acqua dolce che ne considera sia l’uso diretto che indiretto da parte di consumatori e produttori.

L’impronta idrica include tre componenti che misurano usi differenti del- la risorsa:

1. impronta idrica «blu»: consumo di acqua dolce prelevata direttamente da fiumi, laghi e falde acquifere per l’irrigazione;

2. impronta idrica «verde»: consumo di acqua piovana o irrigata dovuto alla traspirazione delle piante;

3. impronta idrica «grigia»: inquinamento di acqua dolce, quantificato come volume di acqua necessaria per diluire gli inquinanti affinché la qualità ri- torni a standard accettabili.

In questo modo in un processo produttivo si devono calcolare sia l’uso di- retto di acqua (impronta blu), ma anche tutti gli usi indiretti meno evidenti tuttavia altrettanto importanti: cioè l’interferenza con il ciclo dell’acqua (as- sorbimento e traspirazione da parte delle piante, impronta verde) o ancora l’alterazione della sua qualità (in tutte le fasi in cui viene restituita all’am- biente inquinata, impronta grigia).

La misura dell’impronta idrica si può applicare a individui, comunità, na- zioni, processi ecc. Sul sito waterfootprint (Sitografia n. 2) si possono trovare le impronte idriche dei singoli alimenti, che ne evidenziano il diverso impat- to ambientale. Ad esempio il consumo di carne e latticini esercita una pres- sione sulla risorsa idrica di gran lunga più alta degli alimenti vegetali, a causa della elevata impronta grigia dovuta alla coltivazione di mangime e poi all’al- levamento del bestiame.

Nel 2008 l’impronta idrica è stata utilizzata per la prima volta come indi- catore ambientale nel Rapporto annuale sul Pianeta Vivente del WWF Inter- nazionale (Documento: WWF - The 2008 Living Planet Report), formaliz- zando così l’importanza di studiare in maniera integrata le impronte antro- pogeniche sull’ambiente, per poter pianificare e implementare pratiche mag- giormente sostenibili per il futuro.

Perciò bisogna cominciare a considerare il cibo anche in termini di Acqua necessaria a produrlo. Per mettere in atto un uso sostenibile della risorsa idrica è necessario tenere conto dell’intero ciclo dell’acqua e valutare l’im- pronta idrica degli alimenti nelle varie fasi della filiera agro-alimentare.

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Rimedi allo spreco alimentare

Una soluzione efficace del problema dello spreco alimentare ovviamente ri- siede nella prevenzione a monte con un drastico contenimento del fenomeno.

Bisognerebbe ridurre radicalmente lo spreco, a partire dalla programmazione fino alle fasi finali della filiera produttiva, cioè nel consumo degli alimenti.

Questo richiede nuove strategie economiche, politiche e sociali, associate a una sensibilizzazione capillare che ci renda tutti più consapevoli e di conse- guenza più responsabili riguardo allo spreco.

Programmi che vanno in questa direzione sono attualmente sviluppati sia a livello internazionale che nazionale. I principali esempi dei due casi sono rappresentati da vari progetti proposti rispettivamente dalla FAO e dall’ita- liana Last Minute Market.

Allo scopo di limitare e prevenire lo spreco alimentare la FAO, a partire dal 2013, ha lanciato varie iniziative: un sito permanente per informazione e documentazione sul fenomeno (Sitografia n. 1), un manuale di buone prati- che (Documento: Toolkit - Reducing the Food Wastage Footprint), una cam- pagna internazionale per un cambiamento culturale rispetto allo spreco (Si- tografia n. 3).

In Italia è stata costituita una società spin-off dell’Università di Bologna, fondata nel 1998 dal prof. Andrea Segrè, del Dip. di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari, come attività di ricerca e trasformata poi dal 2003 in realtà imprenditoriale (Last Minute Market). Essa opera su tutto il territorio nazio- nale, sviluppando progetti volti al recupero di beni invenduti o non commer- cializzabili a favore di enti caritativi (Sitografia n. 4). In particolare Last Minu- te Market si è occupata di cibo, lanciando in Europa il 2013 come anno euro- peo contro lo spreco alimentare e in Italia il 2014 come anno di strategie con- tro lo spreco alimentare e organizzando sistemi di recupero del cibo ancora commestibile proveniente da varie fonti (ad esempio supermercati, servizi pubblici e privati di ristorazione come mense, catering, grandi catene di risto- ranti) per mense dei poveri e associazioni di carità. Inoltre nel 2012 è stato isti- tuito da Last Minute Market un Osservatorio permanente sullo spreco dome- stico in Italia, Waste Watcher, con la diffusione di rapporti annuali, a partire

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Impronta idrica in relazione allo spreco alimentare-idrico-ambientale 27 dal 2013 (Documento: Osservatorio Waste Watcher 2013), per mantenere alta l’attenzione sul problema. Waste Watcher inoltre svolge un ruolo sociale di Campagna continua di sensibilizzazione contro lo spreco alimentare in Italia.

Va detto che il diffondersi delle campagne contro il «circolo velenoso tra frigorifero e pattumiera», come Last Minute Market definisce lo spreco do- mestico, ha incentivato sempre più iniziative locali mirate a riciclare alimenti adatti al consumo umano, salvandoli dalla discarica e aiutando le fasce più deboli della popolazione locale.

In conclusione, prevenire o almeno ridurre significativamente lo spreco non è solo un’occasione per re-distribuire risorse a chi ne ha più bisogno (questo è piuttosto un rimedio allo spreco già attuato), ma anche e sopratut- to un modo per evitare lo sperpero di risorse naturali preziose impiegate ne- gli anelli della filiera agro-alimentare dal campo alla tavola.

Riferimenti bibliografici

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Sitografia

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www.thinkeatsave.org 4. Last Minute Market

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Documenti pdf reperibili su web

FAO 2013 Food wastage footprint impact on natural resources http://www.fao.org/docrep/018/i3347e/i3347e.pdf

WWF - The 2008 Living Planet Report

www.footprintnetwork.org/download.php?id=505 FAO 2013 Toolkit - Reducing the Food Wastage Footprint http://www.fao.org/3/a-i3342e.pdf

Osservatorio Waste Watcher 2013

http://www.lastminutemarket.it/media_news/wp-content/uploads/2014/05/

WW-Executive-Summary-2013.pdf 02Vergara 23_Layout 1 29/04/16 09:17 Pagina 27

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1 La relazione è stata infatti presentata durante l’Incontro del ciclo NutriDialogo su «Sprechi agro-alimentari. Le cause e i rimedi» del 3 marzo 2014. Essa ha inoltre costituito, seppure con ag- giunte e modifiche, una parte della presentazione fatta al XIII Congresso Umau 2014 del Brasile.

2 HLPE, 2011, Land tenure and international investments in agriculture. A report by the High Le- vel Panel of Experts on Food Security and Nutrition of the Committee on World Food Security, Rome.

3 V., fra gli altri, HLPE, 2011, cit.

La terra contesa

Strumenti e regole per un uso più sostenibile dei suoli

Mariagrazia Alabrese

Istituto Dirpolis, Scuola Sant’Anna

Una riflessione sull’uso dei suoli connessa al tema degli sprechi alimentari1 porta, prima di tutto, a domandarsi cosa si possa intendere per spreco quan- do ci si riferisce alla terra.

Si può parlare di «spreco di terra»? Perché e quando se ne può parlare?

Questa espressione può riferirsi di volta in volta a fenomeni diversi a se- conda della sensibilità, degli orientamenti, ma anche delle condizioni ogget- tive di chi la adopera. Normalmente, ad esempio, la terra incolta, cioè la ter- ra destinata ad uso agricolo che non viene coltivata, è considerata uno spre- co. Una tale considerazione, tuttavia, potrebbe nascondere alcune criticità.

Sul tema della disponibilità globale di terra arabile2, ad esempio, alcune ana- lisi evidenziano come suoli che possono essere considerati «non in uso» o

«sotto-utilizzati» sono in realtà generalmente integrati in forme tradizionali di uso della terra, come ad esempio il pascolo itinerante, oppure potrebbero essere destinati a tutela della biodiversità, degli stock di carbonio, delle riser- ve acquifere o al ripristino degli ecosistemi. La nozione di «terra disponibi- le» fondata sulla idoneità biofisica della terra ad essere coltivata potrebbe in- durre, d’altra parte, all’idea che tutti i suoli non attualmente in uso a quel fi- ne siano in qualche modo sprecati. Questa visione, peraltro, come emerge da rapporti internazionali3, offre un sostegno a certe operazioni finalizzate al- l’acquisizione di terra su larga scala in alcuni Paesi, quali quelli dell’Africa sub sahariana. Qui accade che i governi locali, titolari dei diritti sulla terra in un sistema giuridico nel quale spesso non esiste la proprietà privata, qualifi- cando grandi estensioni di suoli come terra non-utilizzata o sotto-utilizzata, siano inclini a concederla a soggetti stranieri che promettono investimenti per l’impiego produttivo, o più produttivo, di quegli appezzamenti.

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30 Mariagrazia Alabrese

4 Su questo tema, anche per i riferimenti bibliografici, si rinvia a M. Alabrese, Il percorso del- l’Ue sull’uso dei suoli per le produzioni agroenergetiche, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, n. 3, 2013, p. 51.

5 Cfr. COM 595 del 17 ottobre 2012.

6 Su questo fenomeno si rinvia a M. Alabrese, Biofuel Regulation in the EU: a Failure in the Path Towards Environmental Sustainability and Food Security?, in M. Monteduro, P. Buongiorno, S. Di Be- nedetto, A. Isoni (a cura di), Law and Agroecology: A Transdisciplinary Dialogue, Springer, 2015.

Recentemente tali acquisizioni sono state in larga parte condotte con lo scopo di coltivare materie prime idonee alla produzione di biocarburanti.

Questa circostanza pone in rilievo un’altra ipotesi nella quale, per alcuni, si può parlare di spreco di terra. Nella competizione cibo/energia, infatti, si tende sempre più a deplorare l’impiego di risorse per la produzione di coltu- re agro-energetiche a scapito delle produzioni alimentari4. Su questa scia, non solo le questioni di sicurezza alimentare, ma anche il tema delle esterna- lità ambientali connesse alla produzione dei biocarburanti sono diventati og- getto di discussione. Si pensi alla proposta di modifica della direttiva euro- pea 2009/285, sulla promozione delle energie da fonti rinnovabili, tesa a pro- muovere i biocarburanti di seconda generazione (prodotti a partire da rifiuti, residui o alghe) e che conteneva, almeno inizialmente, il tentativo di intro- durre, tra i criteri di sostenibilità dei biocarburanti, quello del cambiamento indiretto dell’uso dei terreni (ILUC)6. Se però l’impiego di risorse per la pro- duzione energetica è stato generalmente considerato in termini negativi per l’impatto ambientale e l’effetto sulla sicurezza alimentare e sugli assetti socia- li di alcune aree del mondo, si segnalano nondimeno casi in cui l’introduzio- ne del criterio dell’ILUC nella disciplina in materia di bioenergie è stata giu- dicata come un vulnus nei confronti di molti Paesi in via di sviluppo. Nel lu- glio 2013, ad esempio, la ONG World Growth ha lanciato una campagna volta a denunciare i danni economici e gli effetti sulla sicurezza alimentare delle popolazioni più povere del Sud Est Asiatico che la proposta di modifi- ca della direttiva europea avrebbe provocato.

Questo a conferma di quanto evidenziato circa la relatività che può avvol- gere il concetto di spreco di terra. Se, infatti, di fronte alla preoccupante questione dell’insicurezza alimentare che affligge una larga fetta della popo- lazione mondiale, si ritenesse di poter ragionevolmente definire «sprecati»

tutti i terreni che non sono destinati alla produzione alimentare, bisognereb- be pure evidenziare che vi è chi restringerebbe ancora il concetto. Proprio in ragione dei suddetti problemi di carenza di cibo, infatti, qualcuno farebbe ri- ferimento solo alle produzioni vegetali, perché la produzione di carne consu- ma («spreca») molto suolo e molta acqua. In questo contesto merita citare la c.d. «coalizione contro lo spreco», cioè la petizione congiunta che organizza- zioni europee della società civile (Slow Food, Friends of the Earth/Amici della Terra, ActionAid, BirdLife International, Biofuelwatch, Compassion in World Farming) e l’Ufficio europeo dell’ambiente (EEB) nel marzo 2013 hanno in-

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La terra contesa 31

7 PdL 948 Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo; PdL 1050 Norme per il blocco del consumo di suolo e la tutela del paesaggio; PdL AC/70 Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana; PdL Norme per il conte- nimento e la riduzione del consumo di suolo.

8 Questa strategia si concretizzava in una Comunicazione della Commissione COM 2006 (231), nella proposta di direttiva COM 2006 (232) e nell’Impact Assessment SEC (2006) 1165 e SEC (2006) 620.

9 COM (2011) 571.

10 Overview of best practices for limiting soil sealing or mitigating its effects in EU-27, disponile su http://ec.europa.eu/environment/soil/sealing.htm.

11 Documento di lavoro dei servizi della commissione SWD (2012) 101.

dirizzato ai governi europei e all’Ue per invitare l’Europa a ridurre il proprio land footprint. In questo contesto viene evidenziato che, per far fronte al proprio fabbisogno di cibo, tessuti, biocarburanti ecc., l’Ue di fatto importa 1.212.050 chilometri quadrati di terreno agricolo, ed estensioni ancora più importanti sono sfruttate per fabbricare carta e altri prodotti ricavati dagli alberi, per estrarre minerali e combustibili fossili.

Per quanto si è tentato di delineare fino qui possiamo dire che in molti ca- si, quindi, probabilmente risulta più condivisibile parlare di terra contesa tra diversi modelli di agricoltura o, forse meglio, tra diverse colture.

La terra, d’altra parte, è contesa anche tra uso agricolo e usi non agricoli della stessa: si pensi alle esigenze edificatorie. In queste ipotesi si è general- mente parlato di «consumo» di suolo, espressione con la quale ci si riferisce ai casi in cui l’attività dell’uomo sottrae in maniera definitiva e irreversibile la terra alla produzione agricola, alla conservazione della biodiversità, a finalità paesaggistiche attraverso, ad esempio, interventi di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione.

Negli ultimi anni sono approdate in Parlamento numerose proposte di legge7 volte a limitare il consumo dei suoli agricoli e che si inseriscono nel quadro delle politiche europee sul controllo del consumo e dell’impermeabi- lizzazione dei suoli espresse già nel 2006 con la Strategia tematica sulla prote- zione del suolo8. Nella relazione della Commissione europea COM (2012) 46 sull’attuazione di quella Strategia, emerge che la degradazione dei terreni co- stituisce un problema persistente. Contestualmente nell’ambito della «Stra- tegia Europa 2020», la Tabella di marcia9verso un’Europa efficiente nell’im- piego delle risorse, quanto alla terra e ai suoli, proponeva l’obiettivo di por- tare l’Ue, entro il 2050, a non edificare più su nuove aree. Questo obiettivo è stato ribadito nel 7° Programma di azione ambientale (2013-2020) e, per for- nire gli strumenti utili al suo raggiungimento, sulla base delle politiche e mi- sure tecniche intraprese dagli Stati membri e considerate più efficienti10, so- no state pubblicate le «Linee guida in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo»11 che evidenziano una mancanza generalizzata di apprezzamento nei confronti del valore del suolo (e del paesaggio), non riconosciuti come una risorsa limitata e non rin-

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32 Mariagrazia Alabrese

12 S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2007.

novabile. Tra le buone prassi dunque si fa riferimento alla sensibilizzazione dei responsabili delle decisioni, dei pianificatori e dei residenti sul valore del suolo come fonte di servizi per l’ecosistema.

L’attenzione verso i terreni agricoli «abbandonati» che rischiano, per tale ragione, il degrado irreversibile, è stata molto alta negli ultimi mesi, anche a livello regionale in Italia. Si pensi all’iniziativa della Regione Toscana intro- dotta con la L.R. n. 80 del 2012 volta alla valorizzazione del patrimonio agri- colo-forestale, attuato anche tramite una gestione mirata al maggior utilizzo sostenibile dei beni. Tramite l’istituzione della «banca della terra» si tende a valorizzare le terre agricole incolte, coerentemente con la tutela degli interes- si sociali, economici e ambientali delle comunità locali, proprio al fine di fa- vorire il recupero delle aree abbandonate, contenere il degrado ambientale, salvaguardare il suolo e gli equilibri idrogeologici, limitare gli incendi bo- schivi, promuovere l’ottimale assetto del territorio attraverso lo svolgimento delle attività agro-forestali. L’impianto legislativo richiama alla mente gli in- terventi normativi sulle terre incolte e, in effetti, la legge regionale cita espressamente la legge 440/78 contenente «norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate» e, proprio come la legge del ’78, sembra ispirata dai valori costituzionali dell’esigenza del razio- nale sfruttamento del suolo e della necessità di recuperare a pieno la funzio- ne sociale della proprietà dei beni produttivi.

Merita, infine, segnalare un fenomeno, che recentemente ha preso piede anche in Italia, consistente nel ricorso a forme di aggregazione per investire nella terra, o soltanto a scopo di investimento, oppure, al fine di renderla produttiva coltivandola, in una sorta di desiderio di autosufficienza alimen- tare o forse di sovranità alimentare, nel senso di affermazione della volontà di cibarsi di alimenti sani e prodotti con metodi sostenibili.

Tra questi strumenti, uno dei primi in Italia è quello dei Gat, i Gruppi di acquisto terreni, che nascono dopo i Gas, i Gruppi di acquisto solidale, e ne riecheggiano non solo il nome ma anche l’impalcatura organizzativa e assio- logica. Si tratta di gruppi di soggetti, persone fisiche, che procedono all’ac- quisto condiviso di terreni agricoli per dare luogo ad aziende agricole a sco- po di investimento.

Il fenomeno ha sullo sfondo le teorie di Serge Latouche12relative alla de- crescita come unico modello possibile per costruire una società sostenibile, stante l’incompatibilità di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse li- mitate. Pilastri del programma, finalizzato alla costruzione di una serena so- cietà della decrescita sono, secondo Latouche, l’uscita dall’economia basata sulla finanza e la «rilocalizzazione». Rilocalizzare significa produrre nei luo- ghi di consumo la maggior parte dei prodotti necessari alla soddisfazione dei

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