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Chapter 9 Effetti della radiazione sui sistemi biologici

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Academic year: 2022

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Chapter 9

Effetti della radiazione sui sistemi biologici

9.0.1 Introduzione

Gli esseri umani sono organismi biologici complessi costantemente esposti alle radiazioni nucleari.

Quando siamo esposti alle radiazioni, le interazioni fisiche primarie sono quelle dell’interazione con la materia, ma inducono effetti secondari molto importanti quali: reazioni chimiche e capacita’

di attivare un meccanismo di rigenerazione in caso di danneggiamento. Questo ha assicurato la vita in un ambiente a basso livello di radiazioni su tempi geologici.

La sequenza di eventi che portano ad un danno da radiazione e’ complessa e passa attraverso una serie di passaggi durante i quali ci sono trasformazioni con proprie scale di tempi. L’interazione iniziale avviene molto velocemente (10−12− 10−8s) quando l’energia e’ trasferita al tessuto. Qual- cuna danneggera’ direttamente le molecole biologicamente sensibili altre radiazioni attiveranno delle sostanze chimiche che porteranno a danni biologici con tempi di 10−7s fino a diverse ore.

Altre conseguenze ne potrebbero derivare con tempi di giorni o settimane e se il danneggiamento e’ esteso anche a conseguenze letali.

Modificazioni biologiche che in certi casi possono generare tumori e trasmettere difetti genetici alle generazioni future possono anche richiedere diversi anni ed anche secoli.

Gli effetti biologici delle radiazioni sono studiati da lungo tempo con un’accelerazione dopo la II guerra mondiale e quando capitano incidenti nucleari. Questi studi sono continuamente aggiornati e si puo’ dire che la conoscenza degli effetti biologici come risultato di una massiccia esposizione e’ molto avanti mentre poco si conosce degli effetti sottili delle piccole dosi.

Le radiazioni sono impiegate in molti campi e quindi e’ importante conoscere i rischi degli effetti negativi al fine di fissare dei limiti.

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9.1 Interazioni iniziali

9.1.1 Danno fisico diretto e indiretto

Il risultato immediato dell’interazione di ogni radiazione con la materia e’ la cessione di energia che causa ionizzazione ed eccitazione di atomi e molecole.Tre tipi di radiazione sono rilevanti per i sistemi biologici:

. Particelle cariche pesanti (protoni, particelle α,ioni pesanti. Queste interagiscono diretta- mente con il tessuto cedendo energia secondo la formula di Bethe-Bloch collidendo princi- palmente con elettroni atomici. La densita’ di ionizzazione ed eccitazione e’ alta e varia con il quadrato della carica delle particelle per una data velocita’. Essa raggiunge il massimo al picco di Bragg alla fine del range. Nel tessuto umano una α di 1-MeV penetra per qualche decina di micrometri e quindi e’ facilmente fermata dalla pelle. Tuttavia possono causare danni gravi se un isotopo α-emettitore e’ ingerito.

. Elettroni Gli elettroni perdono energia per scattering con gli elettroni atomici, ma essendo leggeri sono scatterati anche a grande angoli per cui il loro cammino non e’ diritto nel tes- suto. Inoltre perdono molto meno energia negli scattering e quindi sono piu’ penetranti. Per fermare β di 1- MeV e’ necessario un foglio di metallo di qualche mm di spessore. Gli elettroni perdono energia anche con γ di bremsstrahlung e il risultato e’ che la zona irradiate e’ piu’ estesa di quella con particelle cariche pesanti e la densita’ di energia depositata e’

minore.

. Neutroni I neutroni non causano ionizzazione diretta ma interagiscono direttamente coi nu- clei. I neutroni di energia tra 0.025 e 100 eV hanno reazioni di cattura (n,γ) con nuclei H di cui e’ ricco il tessuto, n+p→d+γ di 2.2 MeV. Neutroni di energia piu’ alta (≥KeV) in- teragiscono elasticamente con nuclei H cui cedono molta energia, o anche con Carbonio e Ossigeno per cui si hanno zone intensamente ionizzate in un piccolo range, mentre neutroni di energia elevata, 2-MeV, percorrono 6 cm prima di essere termalizzati, creando cosi’ zone densamente ionizzate ad una grande profondita’ nel tessuto. Neutroni di energia intermedia (0.2-20 KeV) si ha sia la cattura che lo scattering, ma man mano che la energia diminuisce e quindi la velocita’ si ha la predominanza di cattura perche’ la xsect e’ inversa alla ve- locita’. Da 0.1 a 0.025eV ci possono essere fenomeni di eccitazione molecolare anche ma sono difficilmente valutabili.

. Fotoni I fotoni trasferiscono energia via Compton, effetto fotoelettrico e produzione di cop- pie. Il coefficiente di attenuazione dipende fortemente dall’energia e numero atomico Z del materiale. Nel tessuto sono presenti elementi a basso Z ( C,H e O) e quindi e’ l’effetto Comp- ton il piu’ importante per energie al di sopra dei 40 KeV fino a decine di MeV. L’energia depositata dei fotoni non e’ localizzata e decresce esponenzialmente con la profondita’. Essi sono molto penetranti e richiedono parecchi cm di piombo per schermarli efficacemente.

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9.2 Danno chimico indiretto

I processi di interazione della radiazione con il tessuto danno luogo ad una scia di atomi e molecole ionizzati ed eccitati. Alcune delle interazioni cedono energia ditrettamente a materiale biologico sensibile con danni biologico irreversibili, nei casi piu’ frequenti invece si ha la ionizzazione di molecole piu’ semplici con la creazione di radicali liberi chimicamente attivi. Un radicale libero e’

un atomo o molecola elettricamente neutro che ha un elettrone spaiato.Questi sono chimicamente molto reattivi e possono essere o accettori ( agenti ossidanti ) o donori ( reagenti) . I radicali liberi sono importanti perche’ essi possono diffondere abbastanza da raggiungere Zone biologicamente critiche e quindi indurre reazioni. Sono questi effetti secondari, danni chimici, che sono i piu’

dannosi dal punto di vista biologico.

La ionizzazione diretta avviene principalmente in acqua poiche’ il tessuto e’ al 80% composto di H2O ed e’ con l’acqua che la radiazione forma i radicali liberi attivando una catena di reazioni con i medesimi che porta alla rottura di altre molecole e quindi se queste fanno parte di sistemi biologici complessi, quali cromosomi, alterarne la struttura e portare alla morte la cellula od alterare le informazioni genetiche. Per fortuna a bassi livelli di radiazione sia i danni da radiazione diretta che da quella secondaria sono riparabili e non portano a danni permanenti.

9.3 Dose, dose rate e distribuzione della dose

L’ammontare di una dose di radiazione dipende dalla sua intensita’, energia, tempo di esposizione, area esposta e profondita’ dove energia depositata. In passato sono sono state definite diverse quantita’ per specificare la dose assorbita, la dose effettiva e quella equivalente.

9.3.1 Dose assorbita

Uno degli effetti della radiazione e’ quella di ionizzare i gas, per cui un’unita’ introdotta per misurare questo effetto, il Roentgen (R) e’ definita come l’ammontare di esposizione che crea 2.58 10−4C di ioni singolarmente carichi in 1 Kg di aria a temperatura e pressione standard (STP). Poiche’ ci vogliono 34 eV per produrre uno ione in aria, (1.602 10−19C), 1 R corrisponde all’assorbimento di energia per unita’ di massa di 0.0088 JKg−1.

Piu modernamente si e’ definita la quantita’ dose assorbita (D) che specifica l’ammontare di ener- gia da radiazione assorbita per unita’ di massa del materiale. L’unita’ originaria era il rad (radiation absorbed dose) equivalente a 100 ergs per grammo ( 1 erg = 10−7J), la moderna unita’ SI e’ il Gray (Gy) e 1 Gy=1 J Kg−1=100rad.

Per un tessuto o organo si definisce la dose assorbita media come DT = T/mT, dove T e’

l’energia totale depositata in una massa mT di organo o tessuto, che puo’ variare da pochi grammi a 70 Kg per l’intero corpo.

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9.3.2 Dose rate

Gli effetti biologici dipendono dalla rate come pure dalla dose totale immessa nel tessuto. Questo perche’ esistono dei meccanismi per cui certe molecole, es. l’acido deossiribonucleico (DNA) si posso riparare se non sono troppo danneggiate. Cosi’ se una dose letale e’ somministrata ad una rate bassa l’effetto puo’ essere ridotto perche’ c’e’ la possibilta’ di riparazione.

Per questa ragione una dose si suddivide in tante piccole dosi, (frazionamento), intervallate nel tempo in modo da ridurre considerevolmente il danno.

9.3.3 Distribuzione della dose ed effettivita’ biologica relativa

Si usa il termine —inear energy transfer (LET) per specificare la densita’ di energia depositata lungo il cammino di una particella carica nel tessuto, ed e’ definita come energia media depositata per unita’ di cammino nel materiale assorbente in KeVµm−1. Include tutto sia l’energia di ecci- tazione che di ionizzazioe ed e’ direttamente legata allo stopping power.

Il LET, nel tessuto che ha una composizione paragonabile a quella dell’acqua, varia da meno di 1KeVµm−1 per mip ed elettroni a 100KeVµm−1 per protoni vicino al picco di Bragg. Particella cariche pesanti a basse e medie energie hanno un grande LET, es. neutroni, mentre gli elettroni ed anche raggi X e γ hanno un basso LET perche’ l’energia trasferita e’ relativamente bassa.

La dipendenza delle conseguenze su un organismo umano dalla natura della radiazione porta al concetto di relative biological effectiveness (RBE), che e’ una quantita’ non dimensionale che in- dica la risposta biologica ad una determinata dose di radiazione relativa a quella indotta da Raggi X e γ di 250-KeV. Cosi’ una dose assorbita di 1 Gy di radiazione con RBE di 2 causa lo stesso danno biologico di 2 Gy di raggi X che hanno RBE di 1. La dipendenza della RBE da LET e’

mostrata in Fig. ??.

Inizialmente la relazione e’ costante ma poi cresce fino al picco per poi decrescere di nuovo quando la LET, la densita’ di energia e’ maggiore di quanto necessario per danneggiare il tessuto in modo tale che non si possa piu’ essere riparazione. Si introduce un fattore peso, wR, che si ottiene mediando la RBE per una data radiazione e per un determinato range di energia, vedi tabella in Fig. ??.

9.3.4 Dose equivalente

La quantita’ dose equivalente (H) indica le implicazioni biologiche dell’esposizione alla radiazione in termini di dose assorbita nell’ambito della protezione da radiazione. La dose equivalente HT in un tessuto o organo e’ data da:

HT = wR× DT ,R (9.1)

dove DT ,Rindica la dose media assorbita nel tessuto T da un certo tipo di radiazione R. Cosi’ una

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Figure 9.1: Tipica relazione tra RBE e LET

Figure 9.2: Fattore peso per diverse radiazioni

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dose di 1-Gy data da neutroni di 1MeV ,w=20, e’ biologicamente equivalente ad una dose di 20 Gy di radiazione γ wR=1. In caso di piu’ radiazioni presenti la dose equivalente sara’ data dalla media pesata dei diversi contributi.

HT =X

R

wR× DT ,R (9.2)

La unita’ SI per dose equivalente e’ chiamata sievert (Sv). La vecchia unita’ era il rem, 1 Si = 100 rem. I fattori peso wRsono adimensionali per cui 1Sv = 1 JKg−1.

9.3.5 Dose effettiva

Le conseguenze biologiche oltre che dalla natura della radiazione ma anche dal tipo di esposizione, se uniforme, tutto il corpo o parziale. Certi organi e parti del corpo sono piu’ sensibili alla radi- azione e per questo si assegna un fattore peso wT, per tener conto della diversa sensitivita’ alla radiazione dei diversi tessuti o organi. Usando questo fattore si introduce la quantita’ dose effettiva (E), che e’ la somma delle dosi equivalenti per i diversi tessuti ognuno con peso wT

E =X

T

wT × HT (9.3)

evidentemente

E =X

T

wT X

R

wR× DT ,R (9.4)

La tabella di Fig. ?? elenca i valori raccomandati per i fattori peso di diversi tessuti e organi. I valori sono stati scelti in modo che la dose effettiva calcolata sia numericamente uguale alla dose equivalente uniforme data all’intero corpo.

9.4 Imaging in campo medico

9.4.1 Introduzione

Le scoperte della fisica atomica e nucleare fin dall’inizio hanno portato ad applicazioni in campo medico. Gia’ alla fine del XIX secolo il Ra, appena scoperto, era stato utilizzato in trattamenti terapeutici. Da allora sviluppi in tecniche sperimentali e strumentazione nucleare hanno stimolato parallelamente sviluppi in procedure mediche, particolarmente nelle aree della produzione di im- magini imaging non invasiva e trattamento di tumori.

Radioisotopi, creati usando acceleratori e reattori, possono essere inseriti in composti e medicine

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Figure 9.3: Fattore peso per diverse radiazioni

e usati come tracciatori per studiare il flusso del sangue o attivita’ di organi. La disponibilita’

di potenza di calcolo e lo sviluppo della computed tomography (CT) hanno permesso di ottenere immagini 2-D o 3-D molto precise con scansioni di raggi X, mentre la combinazione di CT e nu- clidi emettitori di positroni positron emitting nuclides ha portato allo sviluppo di una tecnica molto sofisticata di imaging, la positron emission tomography ( PET). Un’altra tecnica impiegata per ottenere immagini molto dettagliate e’ la magnetic resonance imaging (MRI) che sfrutta la vari- azione in magnetizzazione dovuta ai momenti magnetici nucleari indotti da un campo magnetico esterno.Entrambe le tecniche MRI e PET hanno migliorato talmente in efficienza che e’ possibile creare immagini cosi’ rapidamente che il comportamento funzionale ed i processi dinamici pos- sono essere registrati in tempo reale.

Il campo della medicina nucleare e’ un campo molto vasto, che comprende sia diagnostica che terapia. Di seguito sara’ accennato solo agli aspetti diagnostici che concernono soltanto la fisica e le tecniche nucleari impiegate.

9.4.2 Imaging proiettiva: radiografia-X e gamma camera

Immagini medicali proiettive sono prodotte usando sorgenti di radiazione (raggi-X o γ) situate all’sterno del soggetto o sorgenti, costituite da sostanze radioattive, situate internamente al corpo.

Nella radiografia convenzionale, i raggi che hanno attraversato un oggetto sono rivelati con una lastra fotografica od una matrice di sensori. La radiazione interna invece e’ rivelata usando uno strumento particolare chiamato gamma camera.

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Figure 9.4: Principio dell’imaging proiettivo

Imaging con sorgente esterna Uno schema per registrazione di immagine da sorgente esterna e’ quello della Fig. ?? in cui la radiazione di una sorgente puntiforme esterna e’ diretta verso una zona da esaminare e rivelata in due dimensioni su un piano immagine posizionato il piu’ vicino al soggetto dalla parte opposta. L’immagine registra variazioni nell’attenuazione dei raggi lungo i differenti cammini.

Si consideri un particolare raggio passante attraverso una regione assorbente fino ad un punto P immagine sullo schermo. Si consideri inoltre che tutti i raggi siano paralleli, come prodotti da un punto sorgente posto all’infinito. La variazione di attenuazione dell’intensita’ I dovuta all’elemento infinitesimo dl del cammino e’ data da

dI

dl = −µI (9.5)

essendo µ il coefficiente di attenuazione, funzione della posizione. Il coefficiente dipende dall’energia dei raggi-γ e cresce con la densita’ del materiale e come una potenza del numero atomico Z. Inte- grando si ottiene

ln(I1

I2) = Z 2

1

µdl (9.6)

dove I1e I2 sono le intensita’ immediatamente prima e dopo la regione attraversata. Cosi’ ciascun punto sull’immagine proiettata contiene informazioni in forma di integrale di linea del coefficiente di attenuazione attraverso un oggetto. L’immagine completa rivela la variazione trasversale di questo integrale solamente in due dimensioni, non contiene informazioni sulla profondita’ lungo la linea seguita dalla radiazione.

La radiografia a raggi X e’ utilizzata principalmente per rivelare dettagli del sistema osseo, che contiene elementi ad alto Z, come il calcio (Z=20), mentre non e’ adatta a risolvere particolari in organi costituiti da tessuti a basso Z, es. acqua, che non siano sistema osseo. In questo caso e’ piu’

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Figure 9.5: Principio dell’imaging proiettivo interno utile il metodo della sorgente interna.

Imaging da radiazione interna Quando un isotopo radioattivo e’ introdotto nel corpo, la sua distribuzione dipende da come e’ introdotto, la forma con cui e’ immesso e da come reagisce nel corpo. Con questa tecnica si possono ricavare informazioni non solo circa la struttura anatomica, ma anche le funzioni fisiologiche del corpo.

La registrazione, quindi l’immagine, con una sorgente distribuita interna, richiede un approccio diverso rispetto a quello adottato per una sorgente esterna, in quanto la radiazione e’ emessa in tutte le direzioni da tanti punti e quindi la sola registrazione del segnale non fornisce indicazioni utili. Il modo piu’ semplice per localizzare una sorgente all’interno di un oggetto e’ di mettere un collimatore di fronte ad un rivelatore e muovere il tutto sopra la parte da monitorare, come in Fig. ??(a). La radiazione e’ registrata quando la sorgente emettente si trova esattamente di fronte al collimatore. Nel caso che si voglia studiare una zona piu’ estesa si assembla una matrice di rivelatori e collimatori, o gamma camera, che permette di ottenere immagini 2D. Uno schema di gamma camera e’ mostrato in Fig. ??(b), consistente in un grande cristallo scintillatore a ioduro di sodio ( circa 50 cm di diametro per 1 cm di spessore) accoppiato otticamente con una matrice di fotomoltiplicatori (PMT) che rivelano la luce emessa quando i raggi γ sono convertiti nello scin- tillatore. La luce emessa dai raggi γ in un punto dello scintillatore e’ registrata da una matrice di PMT i cui segnali sono registrati e poi analizzati per localizzare la sorgente della radiazione. Si ottengono risoluzioni di 8-12 mm, dipendendo dalla geometria del sistema collimante.

Ci sono molti farmaci, preparati appositamente, che hanno la capacita’ di accumularsi in zone specifiche del corpo umano e che sono usati per trasportare i radionuclidi. Al giorno d’oggi ci

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sono radiofarmaci che possono essere usati per esaminare lo stato e le funzioni fisiologiche di quasi tutti gli organi del corpo.

I radionuclidi piu’ effettivi per uso diagnostico con la gamma camera sono quelli che emetton un solo raggio γ, nessuna particella β ed hanno una vita media che e’ lunga abbastanza per produrre l’immagine ma non troppo lunga che il paziente riceva una dose non necessaria. Usualmente si usa un’attivita’ di 2 MBq ( circa 500µCi) per una tipica seduta di 15-20 minuti.

Quali caratteristiche deve avere la sorgente? L’energia dei γ non deve essere bassa perche’ altri- mento l’assorbimento e scattering nel tessuto sarebbe troppo alto, ma allo stesso momento non dovrebbe essere troppo alta perche’ sarebbero troppo penetranti nel cristallo scintillatore e non tutta la loro energia sarebbe rivelata e si avrebbe un’immagine sfuocata. La condizione ottimale e’ un’energia per cui i γ sono tutti convertiti nello scintillatore, permettendo cosi’ di eliminare i gamma di bassa energia scatterati Compton, riducendo cosi’ il fondo. Le energie tra 100 e 200 KeV sono le ottimali per questa tecnica, inoltre la vita media non deve essere di piu’ di qualche ora o anche molto meno in certi casi. Il radioisotopo piu’ ampliamente usato in medicina nucleare e’ il tecnezio-99m, perche’ perche’ esso ha molte caratteristiche ideali ed anche perche’ esso e’ facile da usare e poco costoso. Il tecnezio-99m e’ un prodotto figlio del Mo-99 che a sua volta e’ ottenuto come frammento da fissione o via cattura neutronica da Mo-98. Il tecnezio-99m e’ prodotto nel suo primo stato eccitato, metastabile, che decade con una vita media di dimezzamento di 6 h, emet- tendo un raggio γ di 140-KeV per il 90% delle volte. Emissione beta e’ molto debole e contribuisce poco alla dose di radiazione. L’isotopo e’ fornito da un generatore consistente di Mo-99 adsorbito su allumina e tenuto in un contenitore, che permette al liquido introdotto dalla cima del contenitore di raccoglersi in fondo. Dopo alcune ore, il Tc-99m figlio prodotto per decadimento raggiunge una quantita’ ragionevole ed e’ facilmente estratto facendo passare una soluzione salina attraverso la colonna. Un generatore puo’ durare una settimana prima che debba essere rimpiazzato.

9.4.3 Tomografia computerizzata

Le immagini ottenute per proiezione con raggi X e γ hanno una buona risoluzione spaziale in due dimensioni, ma pochissima risoluzione in profondita’. Una conseguenza di questo e’ che il coef- ficiente di attenuazione µ, per una regione in esame di circa 1 cm di diametro, deve differire di almeno il 10% nelle regioni circostanti altrimenti non c’e’ sufficiente contrasto per la loro individ- uazione. Un approccio rivoluzionario in questa tecnica fu adottato nel 971 quando fu sviluppata una tecnica di scansione che permetteva di generare una serie di immagini 2-D di un cranio con una risoluzione di contrasto in µ di circa l’1% per una regione di circa 1 mm di diametro. La nuova tecnica permetteva di superare i due maggiori ostacoli dell’imaging proiettivo: la povera discriminazione in µ e la confusione derivante da immagini sovrapponentesi di oggetti a diverse profondita’ proiettate su un piano bidimensionale. Le versioni moderne di questo scanner hanno una risoluzione di spot di circa 1 mm ed una risoluzione di contrasto di meno del 0.5%. Con i sis- temi piu’ avanzati e’ addirittura possibile acquisire immagini in tempo reale e catturare moti rapidi come il battito cardiaco. La tecnica e’ chiamata Tomografia Computerizzata (CT). ed e’ capace d produrre immagini usando radiazioni e da sorgenti esterne e da radioisotopi inalati o ingeriti.

Il principio alla base della TC e’ basato sul fatto che tutta l’informazione necessaria per costruire un’immagine di un determinato strato 2-D di tessuto e’ contenuto in un set completo di immagini

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Figure 9.6: Schema di slice in 2-D

proiettate unidimensionalmente che coprono tutte le possibili direzioni con il piano dello strato (slice). Si assuma di avere uno slice di tessuto nel piano xy e si voglia ottenere una immagine 2-D della variazione del coefficiente di attenuazione lineare µ(x, y) dello slice. Una immagine proi- ettata dello slice contiene informazioni sulla funzione µ(x, y) in forma di un insieme di integrali di linea di µ calcolati attraverso la regione in una particolare direzione. Una proiezione, presa ad un angolo diverso nel piano dello slice , da’ una rappresentazione differente di µ(x, y) sotto forma di un insieme differente di integrali di linea. Una volta che un insieme completo di integrali di linea attraverso µ(x, y) e’ stato ottenuto, si costruisce col calcolatore una funzione 2-D µB(x, y) chiamata back-projected function.

Il valore della funzione in ciascun punto P e’ generato integrando sopra l’angolo nel piano xy tutti gli integrali di linea che passano attraverso P. La procedura e’ descritta graficamente dalla Fig. ??.

La figura mostra uno slice 2-D giacente sul piano xy. Si consideri l’integrale di linea Z B

A

µ(x, y)dl (9.7)

sulla linea AB, facente un angolo φ con l’asse x e passante per il punto P, di coordinate (ξ, η).

La somma su tutte le direzioni di linee passanti attraverso P e giacenti nel piano xy definisce la funzione back-projected

µB(ξ, η) = Z π

0

dφ Z B

A

µ(x, y)dl (9.8)

Questa espressione puo’ essere riscritta in una forma tale che che permetta di ottenere il coefficiente di attenuazione µ(x, y) dalla conoscenza di µB(ξ, η). Questa tecnica va sotto il nome di problema inverso, molto usata nella soluzione di problemi in cui si vuole risalire all’origine di segnali data

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alla composizione del tessuto che ha provocato quell’attenuazione. E’ una tecnica che fa uso della trasformata di Fourier. Un procedimento simile si e’ adottato per risalire alla distribuzione di carica all’interno di un nucleo e quindi del raggio nucleare dalla misura della sezione d’urto.

La eq. ?? si puo’ riscrivere in termini di un sistema di coordinate (r, φ) centrato in P.

µB(ξ, η) = Z π

0

dφ Z B

A

rdlµ(x, y)

r (9.9)

Si suddivide ora il range di integrazione in due segmenti AP e PB. Prendendo il punto P come origine dei due segmenti si ha che dl = dr per il punto (x, y) sul segmento PB e dl = −dr per punti sul segmento AP. Quindi

µB(ξ, η) = Z π

0

dφ{

Z B P

rdlµ(x, y)

r +

Z P A

rdlµ(x, y)

r } (9.10)

che si riscrive

= Z π

0

dφ Z B

P

rdrµ(x, y)

r +

Z π

dφ Z P

A

rdrµ(x, y)

r (9.11)

e poiche’ rdrdφ e’ l’elemento di area dA espressa in coordinate polari si ha µB(ξ, η) =

Z

dAµ(x, y)

r (9.12)

dove dA e’ un elemento di area dello slice e l’integrazione e’ su tutta l’area dello slice e r = p(x − ξ)2− (y − η)2 e’ la distanza del punto (x, y) da P. Il valore di µB in ciascun punto P, gen- erato con questa procedura, contiene contributi da tutte le funzioni attenuazione µ(x, y), ma pesati dal fattore 1/r, cioe’ l’inverso della distanza del punto (x, y) da P. L’integrale µB(ξ, η) nella eq. ??

e chiamato la convoluzione di µ(x, y) con 1/r. Esiste una ben definita tecnica matematica, detta deconvoluzione, che permette di ricavare la µ(x, y) dalla funzione back-scattering µB(ξ, η); e’ una tecnica che richiede tempi di elaborazione elevati perche’ usa un metodo iterativo.

Un tipico moderno scanner CT una sorgente di raggi X, collimata, si muove attorno al soggetto che e’ circondato completamente da ricelatori, Fig. ??. La sorgente di raggi X, in una qualsiasi posizione, e’ allineata ad un rivelatore in modo da definire una linea retta, ed la rate di conteggi reg- istrata per quella posizione dal contatore permette di calcolare l’integrale di linea ??. Muovendo la sorgente attorno al paziente si ottiene un set completo di integrali di linea, per una sezione completa 2-D attraverso il soggetto. Questo insieme contiene tutte le informazioni necessarie per costruire un’immagine di µ(x, y) per quella sezione o slice.

La strumentazione, sia come rivelatori, sorgente e computer, e’ migliorata di molto ed ora uno scan completo puo’ essere ottenuto in pochi secondi e con buona definizione e contrasto dell’immagine, anche se bisogna sempre tener conto della risoluzione di acquisizione.

Uno degli svantaggi della CT e’ che il soggetto riceve una dose di radiazione maggiore rispetto alla normale radiografia a raggi X.

La CT e’ usata anche per ricostruire da immagini proiettate la distribuzione di radionuclidi interni, emettenti un singolo γ. Il metodo e’ chiamato Single Photon Emission Computed Tomography

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Figure 9.7: Schema di slice in 2-D

(SPECT). La strumentazione consiste principalmente di una o piu’ gamma camere, che possono essere ruotate attorno al soggetto ecosi’ generare il set di immagini proiettate necessario per la ricostruzione CT. Tuttavia l’efficienza di rivelazione dei fotoni emessi dal radionuclide dipende da molti fattori tra cui la distanza della sorgente dal rivelatore, dall’attenuazione indotta dal tessuto frapposto. Quest’ultimo effetto e’ tenuto in conto assumendo un coefficiente di attenuazione lin- eare medio per l’integrale di linea. In ogni caso ci sono inaccuratezze nella misura dell’integrale di linea della distribuzione del radionuclide, che puo’ dar luogo a immagini di false strutture nel tessuto. Questo significa che la tecnica SPECT e ’ utile per diagnosi cliniche di routine, ma non per misure quantitative accurate.

9.4.4 Positron EmissionTomography

La tecnica SPECT richiede di collimare il rivelatore in modo da definire le linee attraverso un oggetto definite dai raggi γ emessi da un radionuclide interno al soggetto. Questo introduce strut- ture dipendenti dalla posizione ed inoltre riduce l’efficienza con cui la radiazione puo’ essere riv- elata e cio’ aumenta il tempo per produrre un’immagine o l’ammontare di materiale radioattivo interno necessario per produrre quel’immagine in quel determinato tempo. Nella positron Emis- sion Tompgraphy (PET), un composto con un radioisotopo emettitore di positroni e’ introdotto nel soggetto in maniera simile alla SPECT, ma la differenza sta nel fatto che il rivelatore non necessita di essere collimato, per cui si ha maggiore efficienza e ridotta esposizione alla radiazione.

La tecnica PET e’ basata sul fatto che l’annichilazione dei positroni usualmente avviene quando

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Figure 9.8: Schema di sistemazione per PET

back-to-back a 180o gradi. Questo significa che , vedi Fig. ??, se due raggi γ di 511-KeV sono rivelati in coincidenza dai due rivelatori D1 e D2 i raggi γ devono essere stati emessi da un punto, es. P, che giace sulla linea D1-D2. Notare che non si chiede che i rivelatori siano collimati, richiede che ci sia coincidenza. Inoltre il nuclide emettitore non e’ necessario che sia sulla linea, ma che sia vicino, il positrone ha generalmente una energia minore di 0.5MeV e percorre pochi mm prima di fermarsi, per cui la rate di conteggio in coincidenza e’ una misura dell’integrale dell’attivita’ della sorgente di positroni, nel soggetto, lungo il segmento di linea AB, dopo che tiene conto in questo modo automaticamente dell’attenuazione.

Un anello di rivelatori, come mostrato in Fig. ??, definisce un piano o slice attraverso il soggetto e registra le coincidenze delle coppie di raggi γ lungo tutte le possibili direzioni con il piano. Un set completo di dati da tutte le possibili combinazioni di coppie di rivelatori nell’anello contiene tutte le informazioni necessarie a generare un set completo di integrali di linea della distribuzione della sorgente S(x, y) all’interno della slice. Un’immagine di S(x, y) puo’ essere allora ricostruita da questo insieme usando la CT , con lo stesso procedimento descritto precedentemente. Il sistema PET, nel migliore dei casi, fornisce immagini con una risoluzione spaziale di 5-10 mm, limitata principalmente dalle dimensioni fisiche dei rivelatori e dalla distanza finita percorsa dal positroni prima dell’annichilazione.

I radionuclidi piu’ usati per la PET sono 11C, 13N, 15O e il 18F. I primi tre sono isotopi di ele- menti trovati in composti bio-organici e, quindi, sono tracciatori ideali per studi clinici. Tutti sono prodotti in piccoli, dedicati ciclotroni, usando fasci di protoni o deuteroni. Le reazioni usate per ottenere i radionuclidi sono elencate nella tabella ?? insieme al loro tempo di dimezzamento e impiego diagnostico.

La tecnica PET attualmente e’ molto applicata nello studio delle attivita’ cerebrali, perche’ con i traccianti e’ possibile studiare come i vasi sanguigni irrorano il tessuto cerebrale e confrontando con immagini di attivita’ normali si puo’ arrivare ad individuare situazioni anomali.

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Figure 9.9: Radionuclidi comunemente usati nella PET

9.5 Risonanza magnetica

La Resonace Magnetic Imaging (RMI), che sfrutta la NMR, e’ una tecnica tomografica che dif- ferisce dalla PET e da CT in quanto usa proprieta’ di nuclei stabili, piuttosto di radiazioni poten- zialmente dannose, per ottenere informazioni circa l’interno di un oggetto. Dove la CT misura la densita’ elettronica ( ionizzazione) e la PET la distribuzione di materiali radioattivi, la MRI misura la magnetizzazione dovuta ai momenti magnetici nucleari nell’oggetto in esame. Poiche’

l’idrogeno e’ presente in grande quantita’ nei tessuti organici si studia il momento magnetico nu- cleare dell’idrogeno in un campo magnetico. Va ricordato che il momento magnetico del nucleo e’

legato allo spin nucleare e che i nuclei e-e hanno spin zero. Le moderne tecniche RMI sono usate per rivelare strutture anatomiche, principalmente per distinguere tra tessuti molli, ma ultimamente anche per rivelare attivita’ cerebrali localizzate e di altre parti del corpo.

Nella MRI il modo con cui i protoni interagiscono con i campi magnetici applicati esterni produce un segnale in un rivelatore esterno, da cui si possono ricavare informazioni circa la distribuzione degli atomi di idrogeno nel campione e dalle variazioni del segnale si possono ricavare infor- mazioni circa la modificazione dell’ambiente chimico in cui il protone esiste.

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Figure 9.10: Precessione della magnetizzazione M nel piano xy

9.5.1 Principi della MRI

Il protone e’ una particella con spin 1/2 che ha un momento magnetico µp. In un campo mag- netico B, vi e’ un’energia di interazione (−µp· B) ed il protone ha due stati di energia, ±µpB corrispondenti ai due substati magnetici mp = ±1/2, che sotto l’influsso di un campo magnetico statico si splittano per effetto Zeeman. La differenza di energia ∆E = 2µpB = hf , dove f e’

la frequenza di un fotone che causera’ la transizione trai i due stati. Questa e’ la frequenza di Larmor ed e’ uguale alla classica frequenza di precessione di un momento magnetico attorno ad un asse parallelo alla direzione del campo magnetico. Per un protone in un campo magnetico di 1 T, ∆E = 1.76 × 10−7eV e la frequenza di Larmor e’ uguale a 42.6 MHz; il fatto che la f dipenda dal campo magnetico e’ importante per la MRI.

Se si ha un insieme di protoni ad una temperatura T in un campo magnetico, la separazione ∆E dara’ luogo ad una popolazione ineguale nei due stati energetici, in accordo col fattore di Boltz- mann exp(−∆E/kT ), e dopo un certo periodo di tempo si raggiungera’ un valore di equilib- rio di magnetizzazione M, (momento magnetico totale per unita’ di volume), puntante nella di- rezione di B. Questo tempo e’ chiamato tempo di rilassamento spin-lattice T1. Immediatamente dopo l’applicazione del campo magnetico M=0, perche’ i due stati sono ugualmente popolati, ma l’energia a quel punto puo’ essere scambiata dai protoni con i propri vicini e cosi’ il rapporto delle due popolazioni si sposta verso il valore compatibile con la condizione di equilibrio termico. Il processo di rilassamento e’ abbastanza debole ed il tempo per lo scambio di energia e’ dell’ordine di 10−3s.

Se il sistema e’ in equilibrio con M parallelo a B non si hanno segnali, ma se M ha una componente Mt perpendicolare a B, allora vi sara’ un momento angolare associato alla magnetizzazione e quindi M sara’ sottoposto ad una coppia bf M × B con un moto di precessione attorno a a B,

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Figure 9.11: Vista da un frame ruotante con frequenza di Larmor

Fig. ??. La frequenza di precessione e’ uguale alla frequenza di Larmor e come M ruota attorno a B, il campo esterno dovuto al moto di M, variera’ col tempo a questa frequenza ed indurra’ una e.f.m. in un avvolgimento pickup che circonda l’oggetto. Questo e’ il segnale della MRI. Il segnale e’ massimo quando M giace nel piano ortogonale a B e zero quando M e’ parallelo o antiparallelo a B. La grandezza del segnale e’ una misura del numero di protoni nel campione.

La direzione di M relativa a B puo’ essere cambiata applicando un campo magnetico alternato con la stessa frequenza di Larmor e se fatto in un certo modo si puo’ ruotare M di un angolo prefissato.

Si consideri una situazione di equilibrio con M che punta inizialmente nella direzione z di un campo magnetico statico B.Si applichi ora un campo r.f. di ampiezza Bex ad un angolo retto rispetto a B. Questo campo alternato e’ equivalente alla sovrapposizione di due campi ruotanti, ciascuno di ampiezza costante Bex/2, uno ruotante in senso orario e l’altro in senso antiorario nel piano xy alla frequenza di Larmor, vedi Fig ??. Cosi’ mentre M precessiona attorno a B, una componente del campo r.f. ruota in fase con esso. Questa componente applica una coppia costante su M e fa si’ che M abbia una precessione attorno un altro asse perpendicolare a B, cioe’ accanto alla precessione attorno a B, M esegue una precessione attorno ad un asse che e’ ruotante alla frequenza di Larmor f nel piano orizzontale. L’angolo di rotazione θ dipende dalla forza di Bex

ed il tempo per cui il campo alternato e’ applicato; esso puo’ essere controllato e usualmente e’

messo a 90o o 180o. Questo e’ la fase di eccitazione della misura MRI. E’ importante notare che la frequenza della r.f. esterna deve accordarsi alla frequenza di Larmor del protone da eccitare.

Questa e’ la condizione di risonanza che e’ udata per eccitare selettivamente i momenti magnetici dei protoni in un particolare slice dell’oggetto.

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Figure 9.12: Eccitazione di uno slice di tessuto

9.5.2 Eccitazione di una particolare regione

L’oggetto e’ messo nel campo fisso B puntante lungo l’asse z; un secondo campo statico Bzz e’

attivato parallelamente a B ma con possibilita’ di muoversi lungo z, quindi dipendente da z. In questo modo la frequenza di Larmor, proporzionale al campo magnetico, variera’ lungo l’asse z. Quando si applica il campo r.f. Bex con una piccola banda di frequenze attorno a fex, gli unici protoni eccitati per risonaza saranno quelli compresi in un piccolo strato di spessore dz al particolare valore di z corrispondente alla stretta banda di frequenze, vedi Fig. ??.

Il campo eccitante Bex e’ applicato fintanto che la magnetizzazione nello strato e’ stata ruotata di 90o o 180o dipendendo dalle isure che si voglione prendere. Poi entrambi i campi Bex e Bzz sono spenti.

9.5.3 Lettura segnali e formazione immagine

Per costruire l’immagine spaziale della magnetizzazione M(x, y) nella regione eccitata, i segnali MRI debbono essere codificati in modo da relazionarli al punto di origine. Ci sono diverse tecniche, tra cui una basata sulla tecnica di ricostruzione CT. In questo metodo, la codifica dell’informazione spaziale e’ ottenuta attivando un campo magnetico Bdurante il tempo in cui il segnal dalla zona eccitata e’ registrato. Questo campo e’ anche parallelo a B, ma ha un aforza che varia linearmente lungo una direzione φ rispetto all’asse z, vedi Fig. ??. In questo modo la frequenza di precessione del protone nello strato variera’ lungo quella direzione ed il segnale registrato sara’ costituito da uno spettro di diverse frequenze di precessione. Il risultato e’ che la forza di ogni componente della

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Figure 9.13: Diagramma illustrante la lettura del segnale generato da uno strato

frequenza del segnale totale registrato e’ una misura dell’integrale della magnetizzazione M(x, y) lungo la linea corrispondente a quella frequenza. Quindi analizzando il segnale totale in funzione della frequenza si ottiene un set di quantita’ che sono una misura dell’integrale di linea attraverso lo starto nella direzione perpendicolare a φ. Variando φ in misure ripetute si ottiene un set completo di integrali di linea attraverso lo slice da cui si puo’ ricostruire un’immagine di —bf M(x, y) col metodo della CT. La tecnica MRI e’ molto flessibile, oltre che la magnetizzazione M dalla forza del segnale si puo’ misurare anche i tempi di rilassamento; queste tre quantita’ variano spazialmente nello strato e tutte tre danno informazioni utili. Ad esempio il tempo di rilassamento varia in funzione del tipo di tessuto e questo puo’ essere usato per individuare modificazioni anomale dello stesso.

9.5.4 MRI funzionale

Sviluppi recenti delle tecniche MRI hanno portato alla fMRI, functional MRI, che oermette di mis- urare la variazione di suscettivita’ del tessuto; questa tecnica e’ particolarmente usata per studiare attivita’ funzionali cerebrali, ad esempio.

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