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DESTEC - Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni

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ANNO ACCADEMICO 2015-2016 RELATORI

Prof. Valerio CUTINI Prof. Fabio FANTOZZI Prof. Alessandro SANTUCCI

CANDIDATO Paolo BIAGIOTTI UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di Ingegneria

DESTEC - Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Edile Architettura

TESI DI LAUREA

PATRIMONIO INTELLIGENTE. UN MODELLO DIGITALE PER L’EFFICIENZA NELLA

GESTIONE DELL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA A PISTOIA

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R iassunto

Oggetto di questo lavoro di Tesi di Laurea è il patrimonio di edilizia residenziale pubblica pistoiese con lo scopo di ottimizzarne la gestione grazie alla costruzione di un Sistema Infor- mativo Territoriale.

A partire dai dati forniti dalla società Spes, unitamente alla conoscenza delle problematiche da affrontare, si è elaborato un database gestionale articolato che permetta di avere dati geore- ferenziati facilmente fruibili e continuativamente aggiornabili.

Il lavoro si è poi concentrato sul maggior quartiere di edilizia residenziale pubblica locale, Le Fornaci, visto nei suoi peculiari aspetti di gestione e manutenzione e come oggetto di studio urbanistico mirato.

Infatti si è ideato un cronoprogramma relativo a immobili ad esso appartenenti, ipotizzan- do, in un orizzonte venticinquennale, interventi di manutenzione e rinnovo legati alle necessità contingenti.

Si sono quindi approfondite le problematiche urbanistiche connesse all’isolamento del quartiere e alla difficoltosa mobilità pedonale interna, grazie ad un progetto di revisione di percorsi e volumetrie.

Infine una proposta migliorativa emersa dall’analisi delle criticità del quartiere si è concre-

tizzata nell’ipotesi progettuale di una rete di teleriscaldamento che possa incidere sulla qualità

ambientale e sulla semplificazione gestionale.

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s ommaRio

Riassunto ... 3

Introduzione ... 9

1 L’Edilizia Residenziale Pubblica ... 13

1.1 Storia del quadro normativo italiano ... 13

1.1.1 Dall’Unità alla Seconda Guerra Mondiale ... 14

1.1.2 La ricostruzione e l’epoca dei Piani ... 18

1.1.3 La Legge quadro sulla casa e l’avvento delle Regioni ... 22

1.1.4 Il XXI secolo ... 28

1.1.5 La normativa regionale toscana ... 29

1.2 Evoluzione delle definizioni ... 33

1.3 Evoluzione architettonica ... 35

1.4 Problemi ... 47

2 Il Caso di Pistoia ... 50

2.1 Storia dell’edilizia pubblica nella provincia e genesi del patrimonio ... 50

2.2 Profilo dell’attuale gestione ... 71

2.3 Il patrimonio attuale ... 75

2.3.1 Statistiche sullo stato attuale del patrimonio e della popolazione 79 2.4 Problemi e criticità ... 81

3 Il Sistema Informativo Territoriale ... 82

3.1 Sistemi informativi, basi di dati e loro progettazione ... 82

3.1.1 Fasi della progettazione ... 84

3.1.2 Operazioni sulle basi di dati relazionali ... 86

3.1.3 I dati e la georeferenziazione ... 87

3.2 Quadro normativo ... 89

3.3 Strumenti utilizzati ... 89

3.3.1 Il Software Open Source ... 90

3.3.2 QGis e rappresentazione cartografica digitale ... 90

3.3.3 PostgreSQL ... 91

3.3.4 Strumenti client: front-end Vfront ... 92

3.4 Metodo, obiettivi e risultati attesi ... 93

3.5 Procedimento di realizzazione ... 95

3.5.1 Definizione campi e raccolta dati ... 95

3.5.2 Definizione metadati ... 99

3.5.3 Implementazione e utilizzo con front-end ... 107

3.6 Utilizzo del servizio di front-end ... 111

3.6.1 Struttura, autenticazione, gruppi e tipi di utenti ... 111

3.6.2 Visualizzazione scheda e tabella ... 112

3.6.3 Ricerche, filtri e statistiche dinamiche ... 112

3.6.4 Relazioni fra tabelle ... 112

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4 Le Fornaci: Programma di Manutenzione e Progetto di Revisione Urbanistica ... 122

4.1 Il quartiere Le Fornaci ... 122

4.2 Esigenze manutentive nel quadro della corretta gestione del patrimonio ... 135

4.3 Cronoprogramma e quadro gestionale di previsione ... 136

4.4 Mobilità e percorsi: analisi delle criticità e dei problemi ... 145

4.5 Progetto di revisione dei percorsi ... 146

4.6 Parcheggi e volumetrie: redistribuzione e proposta progettuale di massima ... 155

5 Le Fornaci: ipotesi di rete di Teleriscaldamento ... 161

5.1 Quadro normativo e descrizione della problematica ... 161

5.1.1 Norme per l’efficienza e la sostenibilità ... 161

5.1.2 Il Teleriscaldamento ... 164

5.1.3 Funzionamento della rete ... 167

5.1.4 L’impiego di fonti rinnovabili: biomasse, solare, geotermia ... 172

5.2 Impianti esistenti in Italia ... 173

5.2.1 Città, i casi di Ferrara e Sesto San Giovanni ... 177

5.2.2 Ambiti circoscritti, esempi in Alto Adige e Toscana ... 178

5.3 Ipotesi progettuale ... 180

5.3.1 Localizzazione e dimensionamento di massima della centrale ... 180

5.3.2 Schema di sviluppo della rete ... 189

5.3.3 Possibili criticità ... 192

Conclusioni ... 194

Bibliografia ... 197

Ringraziamenti ... 201

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i ntRoduzione

La complessità della situazione abitativa nell’attuale contesto storico assume caratteri pro- blematici dati dalla prolungata insicurezza economica e dai mutamenti sempre più profondi nel quadro demografico e sociale. Il patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica è un ele- mento chiave del welfare che un Paese mette in opera per offrire in maniera capillare sul ter- ritorio un servizio che risulta sempre più essenziale per la cittadinanza. Tuttavia il degrado e l’obsolescenza di una gran parte del patrimonio edilizio esistente, la cui percentuale maggiore risale all’epoca tra gli anni Cinquanta e Ottanta, testimoniano in maniera evidente come si sia per lo più privilegiata la quantità a discapito dei livelli di qualità edilizia. Un patrimonio così importante rappresenta una sfida a livello urbanistico ed edilizio per i prossimi anni, quan- do si dovrà necessariamente mettere mano a interventi più o meno spinti di ripensamento e recupero, privilegiandoli rispetto alle nuove costruzioni. Stante la generale scarsità di grossi interventi sull’esistente effettuati in passato, una notevole quota di edifici residenziali ha supe- rato il limite di efficienza prestazionale, rendendo sempre più attuale il problema di un moni- toraggio delle condizioni di degrado e programmazione degli interventi con obiettivi chiari e risorse adeguate. Inoltre le normative sul risparmio energetico e le prestazioni degli edifici, a partire da quelli di proprietà pubblica, rendono necessaria e sempre più urgente una strategia in cui all’implementazione di strategie di manutenzione programmata si affianchi l’adegua- mento prestazionale del patrimonio. Per portare avanti una linea d’azione si rende necessaria una fase preliminare di definizione delle conoscenze e degli obiettivi in cui da una parte siano definiti i processi di obsolescenza e degrado del patrimonio e dall’altra gli standard qualitativi previsti. La ricognizione sistematica del patrimonio ha l’obiettivo di valutare le condizioni di funzionamento e di offrire un quadro analitico delle condizioni puntuali e complessive del parco immobiliare. Attività manutentive e di riqualificazione sono operazioni che presentano un alto grado di coerenza e che consentono, qualora associate, di realizzare economie nell’ese- cuzione degli interventi. Gli interventi di manutenzione straordinaria possono quindi costituire l’occasione in cui procedere ad un ripristino delle funzionalità originarie e ad un adeguamento a nuovi livelli di prestazione.

Partendo da questi presupposti il presente lavoro di tesi vuole proporre la costruzione di

un Sistema Informativo Territoriale (SIT) con un percorso che si vuole prima di tutto volto a

facilitare e ordinare il monitoraggio del patrimonio edilizio pubblico concentrato nel Comune

di Pistoia, a supporto sia del lavoro quotidiano di gestione delle problematiche (sia in campo

tecnico-manutentivo che di gestione dei rapporti con l’utenza), che delle strategie d’intervento

tese a risolvere via via le criticità per cui si individui una priorità di azione. Il progetto si è av-

valso della collaborazione della società Spes s.c.r.l., l’ente gestore dell’ERP per i comuni della

Provincia di Pistoia, che ha fornito la propria disponibilità per il reperimento di dati ed infor-

mazioni essenziali per la riuscita del lavoro. L’intenzione è anche quella di fornire un servizio

utile ad affrontare le complesse problematiche di gestione, le quali spesso devono convivere

con l’incertezza di risorse, che non permettono una programmazione di investimenti a largo

spettro.

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La realizzazione di tale strumento è stata poi di spunto per alcuni approfondimenti, dati dalla conoscenza delle problematiche e del contesto storico attuale e concentrati nel sito del maggiore quartiere ERP della città, Le Fornaci. La conoscenza della situazione ha avuto come pratica applicazione la compilazione più consapevole ed efficace di piani di manutenzione degli edifici che definiscono in maniera precisa e a lungo termine le necessità a cui si dovrà far fronte. Spunti progettuali sono stati da una parte una proposta di sistemazione urbanistica del quartiere volta a ricucirlo con la città, migliorando la percorribilità pedonale interna e di connessione alle aree circostanti; un altro aspetto affrontato è stato quello del miglioramento energetico e ambientale, oltre che dell’efficientamento nella gestione dei rapporti con l’utenza, esplicitato nell’ipotesi di rete di teleriscaldamento.

Come l’Edilizia Residenziale Pubblica si è storicamente posta all’avanguardia nell’ado- zione di metodologie e sperimentazioni in campo edile, lo strumento informatico elaborato con questo lavoro di tesi vuole dare un contributo ad un approccio diverso alla gestione di un patrimonio edilizio, partendo proprio da un contesto tra i più critici, ma che conserva un posto particolarmente strategico nelle politiche sia urbanistiche che sociali. Ulteriore peculiarità del patrimonio di edilizia sociale, che lo rende tanto più significativo come oggetto di sperimenta- zione è la sua consistenza, spesso esplicitata in quartieri omogenei con fabbricati di dimensioni importanti che caratterizzano intere parti di città e in cui la standardizzazione dei componenti e la globalmente scarsa qualità realizzativa consentono più facilmente di valutare e più ardi- tamente di ipotizzare una correzione progressiva ma inesorabile degli errori del passato che si configura per i prossimi anni anche come fronte di sviluppo tecnologico ed economico, oltre che occasione per più ampi ripensamenti del paesaggio urbano.

La ricerca si compone di cinque parti:

1. nella prima si presentano considerazioni generali che permettono di approfondire le conoscenze sull’Edilizia Residenziale Pubblica in Italia nella sua evoluzione sia nor- mativa che architettonica;

2. la seconda si concentra sull’approfondimento della storia e sul quadro attuale dell’edi- lizia sociale nel contesto pistoiese oggetto del lavoro;

3. la terza descrive i Sistemi Informativi Territoriali e gli strumenti informatici utilizzati, affronta il procedimento di costruzione del complesso di dati organizzati che costitui- scono il database per il monitoraggio del patrimonio;

4. la quarta parte affronta un primo elemento di spunto nella definizione di un program- ma di manutenzione concentrato sugli edifici del più importante comparto di edilizia sociale della città, Le Fornaci, integrando un’analisi delle problematiche di isolamento e scarsa percorribilità pedonale del quartiere, effettuando una proposta progettuale di miglioramento urbanistico;

5. nella quinta infine, per lo stesso quartiere, si è voluto definire un ulteriore approfon-

dimento ispirato dalla necessità di ripensamento del patrimonio edilizio in chiave di

risparmio energetico, ipotizzando un progetto di rete di teleriscaldamento alimentata

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da fonte rinnovabile (geotermia a bassa entalpia), capace di soddisfare esigenze che emergono dalle fonti normative e correggere alcune criticità di natura sia ambientale (emissioni degli impianti a gas o gasolio degli edifici) che gestionale.

Il carattere sperimentale e atipico di questo lavoro per il corso di studi che va a chiudere

ne vuole sottolineare la duttilità e la predisposizione ad affrontare la molteplicità di ambiti

che caratterizzano le discipline dell’ingegneria e dell’architettura. L’obiettivo fondamentale

del lavoro di tesi è di dare un contributo all’elaborazione di un nuovo approccio alle politiche

urbane ed edilizie, per le quali è sempre più attuale un cambiamento di obiettivi corroborato

dalla presa d’atto degli errori accumulati nei decenni del boom di realizzazioni e alla luce delle

evoluzioni tecnologiche e delle buone pratiche esistenti, in modo da confrontare ciò che è e ciò

che potrebbe essere.

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1 L’e diLizia R esidenziaLe P ubbLica

1.1 Storia del quadro normativo italiano

La legislazione specifica sull’edilizia residenziale pubblica ed i conseguenti piani di co- struzione di alloggi per fasce di popolazione a basso reddito o per particolari categorie sociali sono un tema presente da lungo tempo nel dibattito italiano, a partire dalla fine del XIX secolo.

I grossi mutamenti sociali dell’epoca fecero emergere la necessità di un intervento da parte dello Stato in un mercato che, se lasciato alle proprie regole, avrebbe escluso e trascurato le ne- cessità di una parte della popolazione. Questo intervento si è esplicato tradizionalmente nella costruzione di abitazioni possedute e amministrate da enti statali o amministrazioni locali o da società senza fini di lucro. Con il passare degli anni gli interventi sono mutati in base ai cam- biamenti del panorama italiano politico, socio-economico, demografico e architettonico-ur- banistico. Si è così affiancata all’edilizia residenziale pubblica l’edilizia residenziale sociale includendo più risorse e attori sia pubblici che privati e rispondendo ad una domanda sempre più frammentata e bisognosa di politiche mirate.

Tabella 1.1: I principali provvedimenti e piani a livello statale (leggi, decreti, testi unici, ecc.) suddivisi nelle quattro principali fasi evolutive del quadro normativo e indicazioni di elementi

notevoli da essi introdotti 1903 Legge 254 (Luzzatti)

1904 - Istituti per le Case Popolari

Dall’Unità alla Seconda Guerra

Mondiale 1908 Legge 89 - Testo unico di legge sulle case popolari ed eco-

nomiche

1919 Legge 2138 - Testo unico delle leggi per le case popolari e l'industria edilizia

1938 Legge 1165 - Testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica

1942 Legge 1150 (Urbanistica) 1949 Legge 43 (Fanfani)

1949-1955 - Primo Settennio INA Casa 1955-1963 - Secondo Settennio INA Casa

La Ricostruzio- ne e l’epoca dei

piani 1962 Legge 167 - Piani di Zona, PEEP

1963

Legge 60 - Liquidazione del patrimonio edilizio della Ge- stione INA-Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori

1963-1973 - Piano decennale Gescal

1972 Legge 865 - Riforma Edilizia Residenziale Pubblica

La Legge quadro sulla casa e l’avvento delle

Regioni 1975-1977 Leggi 166 e 513 - Piani straordinari

1978 Legge 457 - Norme per l’edilizia residenziale, Piani di Recu- pero

1992 Legge 179 (Botta-Ferrarini) - Piani Integrati di Intervento, Piani di Riqualificazione Urbana

2001 Legge 21 - Alloggi per anziani ed edilizia agevolata, Contrat- ti di Quartiere

Il XXI secolo 2008 Legge 133 - Definizione di Alloggio sociale

2009 DPCM 16 luglio - Piano Nazionale Edilizia Abitativa

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1.1.1 Dall’Unità alla Seconda Guerra Mondiale

L’emergere di situazioni socialmente e urbanisticamente delicate nell’Italia di fine Ottocen- to indussero innanzi tutto all’adozione di provvedimenti di natura sanitaria, con l’introduzione di requisiti igienici e la dichiarazione di inabitabilità per gli immobili insalubri (ad esempio con la legge di Napoli numero 2892 del 1885). Tali necessità sul piano urbanistico portarono a interventi di “risanamento” in varie città con il trasferimento di parte di popolazione dai centri storici in nuovi quartieri periferici appositamente creati.

Il primo provvedimento sul tema delle case per la popolazione meno abbiente fu la legge Luzzatti n. 254 del 1903, che si inseriva nel quadro delle politiche liberali dell’età giolittiana, ispirate da filosofie di giustizia sociale e solidarietà, che riformarono lo stato sociale in molti ambiti.

La legge riconosceva alcune agevolazioni creditizie e tributarie ai soggetti costruttori di edifici popolari che potevano essere sia pubblici che privati: enti morali, comuni, società di mutuo soccorso, cooperative, imprenditori privati, società di beneficienza. Si prevedeva poi che le cooperative edilizie 1 dovessero provvedere alle abitazioni per i lavoratori dipendenti delle categorie più umili, ma anche le fasce più basse dei lavoratori autonomi e coloro che avessero un reddito inferiore a una soglia fissata, con la condizione che l’assegnazione non potesse essere revocata in caso le condizioni finanziarie dell’assegnatario si modificassero. In caso di cessione della proprietà gli acquirenti dell’abitazione popolare potevano pagare a rate e potevano alienare a titolo oneroso o gratuito lo stesso immobile solo dopo averle pagate tutte.

Fin dai primi anni tra le varie entità caritative o assistenziali si distinsero gli Istituti Auto- nomi per le Case Popolari (IACP), enti dotati di autonomia decisionale in materia di edilizia popolare con azione limitata all’ambito comunale, che vennero riconosciuti come enti para- statali. Secondo la legge anche i comuni avevano la competenza sull’edilizia popolare, ma nei fatti intervenivano solo in assenza di enti appositi o quando questi non riuscivano a coprire le necessità; le case popolari municipali potevano essere assegnate solo in locazione e non in proprietà. Inoltre i Comuni dovevano realizzare le opere di urbanizzazione per i nuovi quartieri di case popolari, qualunque fosse l’ente costruttore.

Come si è detto la legge Luzzatti prevedeva agevolazioni creditizie, quindi i soggetti fi- nanziatori degli interventi, che concedevano mutui agevolati per l’edificazione delle case po- polari, erano le casse di risparmio, gli istituti di credito finanziario, i monti di pietà e le opere pie, la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai e le imprese di assicurazione. Lo strumento del credito agevolato, insieme agli sgravi o agevolazioni fiscali, è di grande importanza in quanto non vi erano finanziamenti diretti erogati dallo Stato e enti pubblici, in più, le aree edificabili per essere acquisite dovevano essere acquistate o espropria- te pagando un indennizzo pari al prezzo di mercato, ai sensi della legge n. 2359/1865 2 sulle

1 Le cooperative sono società a costituzione limitata nel tempo, in quanto il loro scopo e quindi la loro esistenza

si esaurisce con la costruzione e con la conseguente assegnazione definitiva degli alloggi ai soci. A seguito

della concessione dei contributi statali, si sono sempre inserite nel settore degli enti operanti nel campo dell’e-

dilizia popolare ed economica.

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espropriazioni, senza però dare indicazioni sulla localizzazione degli edifici.

Solo cinque anni più tardi, nel 1908, fu emanato il Testo unico n. 89/1908 (Testo unico di legge sulle case popolari ed economiche) che coordinava la legge Luzzatti con le successive leggi n. 555/1907 e n. 5/1908. Vi venne introdotta un’innovazione nel definire la tipologia del- le case economiche alla tipologia già esistente delle case popolari. I soggetti costruttori erano gli stessi di quelli della legge Luzzatti mentre ai finanziatori furono aggiunte le banche ordina- rie. Una novità importante con cui lo Stato cercò di sopperire alle difficoltà dei costruttori fu l’estensione delle modalità espropriative speciali all’edilizia popolare: per l’espropriazione dei terreni edificabili veniva corrisposto un indennizzo non più equivalente al valore di mercato del terreno, ma uguale alla media tra il valore di mercato dell’immobile e la somma dei canoni di locazione riscossi nel decennio precedente dal proprietario, così come dettato dalla legge di Napoli. Inoltre i Comuni, così come gli Istituti autonomi per l’edilizia popolare, potevano finanziarsi attraverso mutui della Cassa depositi e prestiti, con gli interessi parzialmente a ca- rico dello Stato.

La Prima Guerra Mondiale incise profondamente anche sulle politiche sociali per la casa, con una forte riduzione della domanda di alloggi e diminuzione dei canoni già dal 1915. Con gli uomini, spesso unici lavoratori in famiglia, ormai al fronte, furono in molti ad abbandonare le città per tornare ai luoghi di origine. Ben presto tuttavia l’impegno militare portò nuove opportunità di lavoro nelle industrie e la necessità di case in città tornò a crescere. L’instabilità del mercato portò per il periodo bellico all’introduzione di una normativa vincolistica sui con- tratti di locazione delle abitazioni: con appositi decreti furono ad esempio bloccati gli aumenti dei canoni di locazione e gli sfratti fino a due mesi dopo la fine della guerra.

Dopo il conflitto, col governo Nitti, il D. luog. (decreto luogotenenziale) n. 455/1919 esen- tava le case economiche e popolari dall’imposta erariale e le relative sovraimposte provinciali e comunali per 15 anni, e riduceva a metà l’imposta per i successivi 5 anni. Un successivo D.

luog. n. 1857/1919 riportava le caratteristiche delle case popolari, come quella che tali alloggi dovessero essere costituiti al massimo di sei vani e che gli stessi dovessero rimanere di pro- prietà inalienabile ed indivisa, per impedire che i vantaggi della legge andassero a beneficio di chi aveva la possibilità di procurarsi alloggi in altro modo; le case popolari potevano inoltre essere realizzate solo da enti morali, società di mutuo soccorso, dalle banche popolari o dal nuovo Istituto Nazionale Assicurazione (Ina).

Nello stesso anno venne emanato un secondo Testo unico (Testo unico delle leggi per le case popolari e l’industria edilizia) con la legge n. 2318/1919: ai soggetti costruttori delle leggi precedenti si aggiunse l’Unione edilizia nazionale 3 , le Province e la generalità degli enti pub- blici, questi ultimi solo per la costruzione di case per i propri dipendenti (a questi soggetti, con

3 L’UEN venne creata a seguito del disastroso terremoto del 1908 che colpì Messina, Reggio Calabria e altri

comuni, ma con un ambito territoriale d’azione limitato a queste aree; soltanto con il testo unico del 1919

l’ente assunse il ruolo di coordinare e sostenere l’azione delle cooperative edilizie in tutta Italia per costruire

case popolari nei centri dove non esistevano gli Istituti autonomi e le amministrazioni comunali non si fossero

attivate a riguardo. Nel 1923 questo ente fu però posto in liquidazione. Furono formati comitati provinciali

e locali, comprendenti anche rappresentanti di organizzazioni operaie, con compito di stimolo e supervisione

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un decreto del 1923, fu aggiunto l’Istituto per le case economiche che realizzava solo edifici di tipologia economica da assegnare in locazione oppure a riscatto). Con il secondo Testo unico si allargarono le competenze dei comuni che ebbero la possibilità di realizzare case popolari a prescindere dalla presenza di altri enti costruttori, sovvenzionare enti e società costruttrici di edilizia economica e popolare, concorrere nelle spese di costruzione e di pagamento dei mu- tui degli immobili, concedere esenzioni da tasse locali, espropriare con le agevolazioni della legge di Napoli abitazioni private che versavano in cattive condizioni igieniche o che erano incomplete, a condizione che i proprietari non provvedessero al risanamento o completamento dell’immobile nei tempi fissati.

Durante il decennio successivo vari decreti affrontarono le problematiche abitative di varie categorie, in particolare di dipendenti pubblici e non necessariamente di condizioni umili: il regio decreto legge n. 1944/1924 introdusse un nuovo ente, l’INCIS (Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato), attivo nelle città capoluogo di provincia con la finalità di re- alizzare ed eccezionalmente acquistare case economiche e popolari da assegnare in locazione ai dipendenti civili e militari dello Stato (oltre ai dipendenti statali in servizio, anche a quelli in quiescenza), privilegiando nell’assegnazione quelli «con minore stipendio»; il regio decreto n.

1295/1926 istituì l’Ente edilizio per i mutilati ed invalidi di guerra, con un compito di vigilan- za sulle cooperative edilizie e raccordo fra le stesse ed il soggetto mutuante (l’ente contraeva mutui agevolati con il Consorzio

di credito per le opere pubbliche, dopodiché lo stesso ente erogava a sua volta mutui agevolati a fa- vore di cooperative costituite da mutilati ed invalidi di guerra); il regio decreto n. 2243/1926 si ri- ferì invece ai dipendenti delle Po- ste e dei Telegrafi.

Dopo i regi decreti leggi che si susseguirono fino al 1931, la com- petenza sull’edilizia economica e popolare fu affidata al Ministero dei Lavori Pubblici, presso il qua- le fu istituito un ufficio perma- nente con il compito di vigilare sulla progettazione, costruzione e manutenzione di tutti gli immobi-

li costruiti con il contributo dello Stato e sul regolare funzionamento tecnico e amministrativo delle cooperative che beneficiavano di contributi pubblici.

Dopo aver specificato le normative riferite all’edilizia economica e popolare per specifiche categorie di beneficiari, alla fine degli anni ‘20 il governo fascista prese un provvedimento

Tabella 1.2: Schema degli enti mutuanti e mutuatari intro- dotti dalle varie leggi tra 1903 e 1938.

Enti mutuanti Enti mutuatari

1903

• Cassa nazionale di previ- denza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai

• Casse di risparmio

• Imprese di assicurazione

• Istituti di credito fina nziario

• Monti di pietà

• Comuni

• Opere pie

• Cooperative edilizie

• Enti morali

• IACP

• Imprenditori privati

• Società di beneficienza

• Società di Mutuo Soc- corso

1908 • Banche ordinarie

• Cassa Depositi e Prestiti

1919

• Istituto Nazionale delle Assicurazioni

• Sezione autonoma per l’esercizio del credito edilizio

• Cassa nazionale delle assicurazioni sociali

• Enti pubblici

• Gestioni speciali

•Unione edilizia nazionale

1920 • Province

1924 • INCIS

1938 • INPS

• INAIL

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di natura economica – poi imitato da tutti i governi successivi fino ad oggi – delle esenzioni fiscali per gli appartamenti costruiti entro un certo termine: venne ristabilita l’esenzione dalle imposte, dando ad essa per la prima volta una durata di 25 anni. Inoltre con lo sblocco degli affitti e quindi il ritorno della libera contrattazione le persone appartenenti alle classi popolari subirono forti aumenti degli affitti oppure il trasferimento in alloggi peggiori e più piccoli. Da ricordare sono anche le molte operazioni di sventramento che furono realizzate in quegli anni e che in molti casi la costruzione di alloggi economici e popolari era finalizzata a ricollocare i residenti che avevano perso le loro case.

Un nuovo importante intervento nel quadro giuridico delle politiche abitative pubbliche fu il Testo unico delle disposizioni sull’Edilizia Popolare ed Economica (R.D. 28 aprile 1938, n.1165). In esso si affrontavano i temi dell’organizzazione e funzione degli enti mutuanti e mutuatari, le disposizioni per l’esproprio delle aree destinate agli interventi previsti e le carat- teristiche degli alloggi popolari ed economici. Gli enti mutuanti erano quelli già previsti pre- cedentemente, in aggiunta ai quali si introdussero l’INPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale) e l’INAIL (Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro), i mu- tuatari d’altra parte erano sempre gli IACP, i Comuni, l’INCIS, le società di mutuo soccorso, le società di beneficienza, le gestioni speciali, gli enti pubblici che volessero costruire abitazioni per i loro dipendenti e le cooperative edilizie.

Pur con un Consorzio nazionale a coordinarne l’azione, gli istituti per le case popolari furono riorganizzati su base provinciale (innovazione già introdotta dalle precedenti leggi n.

1128/1935 e 1129/1935) con la possibilità di formare anche sezioni locali autonome operanti nei singoli comuni.

Tra i beneficiari dell’assegnazione di immobili si guardava sempre ai ceti meno abbienti, ma con la preferenza per le famiglie coniugate con figli.

Vennero poi specificati i caratteri distintivi delle abitazioni popolari ed economiche. Le case popolari potevano essere o di proprietà degli enti costruttori ed assegnate solo in locazio- ne oppure appartenere a cooperative a proprietà indivisa ed inalienabile. Le case economiche invece potevano essere assegnate sia in locazione che in proprietà. La quantità ammissibile di vani in un singolo alloggio di casa economica era più grande di quella ammissibile in un alloggio di casa popolare.

Operativamente il testo unico fu scarsamente applicato per il sopraggiungere della guerra che bloccò l’intera attività edilizia.

Un ultimo provvedimento di importanza epocale da ricordare fu la legge urbanistica n.

1150 del 17 agosto 1942 che, sebbene non si occupasse in particolare del settore dell’edilizia

residenziale pubblica, segnò in maniera profonda l’approccio che da allora in avanti si è avuto

per le politiche urbanistiche e territoriali. Esso finì comunque in epoca successiva per riguar-

dare anche le politiche abitative, quando si iniziò a relazionare questo tipo di interventi alla

forma della città nel suo complesso, con le relazioni e le previsioni che i piani urbanistici qui

istituiti cercavano di delineare.

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1.1.2 La ricostruzione e l’epoca dei Piani

Con il finire del conflitto mondiale si presentò il grosso problema della ricostruzione e in particolare quello legato agli alloggi per le classi sociali a basso reddito: la carenza di edifici dovuta alle distruzioni belliche, la generale crisi economica e la carenza di materie prime de- terminarono una forte crescita dei canoni di affitto per le case di nuova costruzione (prive di blocchi del canone di locazione), specialmente quelle di tipo economico e popolare. Tutto ciò determinò uno sviluppo particolarmente intenso dell’attività legislativa in materia di edilizia abitativa. Alla fine degli anni Quaranta tre leggi affrontarono il tema: la legge n. 43 del 28 feb- braio 1949 (Legge Fanfani - Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolan- do la costruzione di case per lavoratori), la legge n. 408/1949 (Legge Tupini - Disposizioni per l’incremento delle costruzioni edilizie) e la legge n. 715/1950 (Legge Aldisio - Costituzione di un fondo per l’incremento edilizio destinato a sollecitare l’attività edilizia privata per la concessione di mutui per la costruzione di case di abitazione) intesero fornire nuovi stimoli al settore edilizio. La legge Fanfani era specificatamente rivolta all’edilizia pubblica, ma anche le altre due pur riguardando il settore privato fornivano incentivi ai fabbricati non di lusso.

La Legge Fanfani introdusse quello che fu il primo vero piano organico per la costruzione di edifici residenziali pubblici: il 1949 fu il l’anno del primo piano settennale dell’INA-Casa, poi rinnovato nel 1955 4 . Si trattò innanzitutto di un sistema di assistenza e contrasto alla disoc- cupazione che prevedeva che il rilancio del settore edilizio potesse trainare anche altri settori produttivi e innescare un circolo virtuoso. Nella pratica il piano promosse la formazione presso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni fondato nel 1919 di una sezione immobiliare (INA-Ca- sa) col compito di realizzare alloggi da dare in locazione o da destinare al riscatto per i lavo- ratori dipendenti 5 . L’accesso alla proprietà delle case fu largamente favorito dal piano Fanfani (Fanfani sosteneva che sul piano politico la casa in proprietà accresceva le garanzie di libertà degli individui) che concesse a riscatto quasi il 70% delle abitazioni costruite. L’INA-Casa aveva dunque l’incarico di costruire gli alloggi, mentre ai Comuni spettava l’obbligo di dotare le aree delle infrastrutture necessarie.

Le Stazioni Appaltanti (INA, INPS, Amministrazioni statali, INCIS, IACP e altri enti pub- blici o di diritto pubblico, consorzi e cooperative di produzione e di lavoro) ebbero funzioni importanti circa la realizzazione e la gestione delle costruzioni.

Era previsto un “Comitato di Attuazione”, concepito come organo statale che aveva il com- pito di emanare norme, distribuire fondi ed incarichi e svolgere una funzione di controllo e vigilanza, mentre “Gestione INA-Casa” era un soggetto autonomo col compito di svolgere mansioni esecutive ed ebbe un’estesa libertà di azione: acquistò una personalità giuridica, si dotò di un consiglio direttivo e assunse un peso e un’autonomia inizialmente non prevista dal disegno di legge.

4 Legge 1148/1955 - Proroga e ampliamento dei provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevo- lando la costruzione di case per i lavoratori

5 L’art. 13 della legge prevedeva che metà degli alloggi costruiti dalla Gestione Ina-casa fosse assegnata in

proprietà e metà in locazione. Con la legge di proroga dell’Ina-casa del 1955 la quota degli alloggi destinati a

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Per il finanziamento venne scelto il versamento dei contributi diversificati da parte dei lavoratori dipendenti (con esclusione di quelli agricoli) attraverso una trattenuta sul salario mensile, la possibilità di fare versamenti volontari, un contributo a fondo perduto dei datori di lavoro e il finanziamento dello Stato. L’obiettivo era, infatti, anche quello di accrescere la solidarietà tra le varie classi sociali e tra chi aveva un lavoro e chi era disoccupato. L’espropria- zione delle aree su cui realizzare gli

interventi avveniva, come nel testo unico del 1938, secondo le norme della legge di Napoli del 1885. In realtà la scarsa incidenza di questa legge nella riduzione del costo dei terreni spinse la Gestione INA-Ca- sa ad acquistare aree sulla base del- la libera contrattazione. Per di più l’INA-Casa doveva rispettare i co- sti massimi per vano imposti dalla legge che erano molto bassi e ciò portò lo stesso ente ad acquistare suoli in aree periferiche; ne risul- tò l’emarginazione dei nuovi inse- diamenti che si vennero a trovare eccessivamente distanti dal centro

della città e dalla periferia compatta e attrezzata.

La politica di acquisizione di aree periferiche per la realizzazione di quartieri autonomi da parte di INA-Casa portò a spese notevoli per i Comuni nell’opera di urbanizzazione e rappre- sentò il punto di riferimento per la speculazione fondiaria favorita dall’innalzamento dei prezzi delle aree limitrofe alle zone prescelte per l’edilizia pubblica. Oltre alla carenza localizzativa si aggiunse la mancata realizzazione delle attrezzature collettive, le quali rappresentavano la condizione indispensabile perché ci potesse essere una reale autosufficienza dei quartieri. La Legge 43/1949 prescriveva infatti che tutto il capitale raccolto fosse destinato solo alla costru- zione di case e solo con la proroga divenne evidente la necessità di includere anche esercizi commerciali e servizi per la collettività, arrivando però a una reale considerazione di questi aspetti solo più tardi.

Il bilancio dei due piani settennali fu tuttavia quantitativamente brillante, con circa 350.000 alloggi costruiti, ed ebbe il merito di riferirsi a categorie più deboli, con le famiglie degli as- segnatari che furono per la maggior parte composte da immigrati (63%) e con capofamiglia operaio (62,2%).

A partire dal 1954 il Ministero dei Lavori Pubblici sperimentò un collegamento funzio- nale fra gli enti preposti alla realizzazione di edilizia pubblica (INA-Casa, INCIS, UNRRA, CASAS, Comuni, ecc.) che tradizionalmente avevano operato al di fuori di qualsiasi forma

Figura 1.1: Sezioni trasversali della distribuzione nello spazio e nel tempo

dell’attività edilizia in una città tipo; Fonte: S. Bourne L. (1989), Il proble-

ma della casa.

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di coordinamento fra loro e, in generale, col Ministero stesso, supremo organo regolatore nel settore edilizio. Si cercò quindi di riunire tutti gli enti che disponevano di finanziamenti da investire in edilizia pubblica per ottenere risultati migliori di quelli conseguiti fino ad allora.

Alla politica del quartiere autosufficiente, tipica dei due piani settennali del 1949 e 1955, si tentò di sostituire quella del quartiere coordinato da intendersi non più come quartiere-satel- lite ma come organismo residenziale ben inserito nel tessuto urbano e capace di soddisfare i bisogni quotidiani degli abitanti attraverso la realizzazione dei servizi collettivi necessari. Pur- troppo, anche in questa occasione, i risultati non corrisposero alle aspirazioni, in quanto solo pochi progetti giunsero a compimento, mentre la maggior parte rimase sulla carta. Il D.P.R.

25 gennaio 1954 istituì i Comitati di Coordinamento per l’Edilizia Popolare (CEP) che aveva- no funzioni direttive, di incentivazione, controllo e sperimentazione di complessi residenziali coordinati in particolar modo per quanto riguardava le attrezzature collettive e il rapporto dei nuovi quartieri con il resto della città.

Sempre lo stesso anno venne emanata la legge n. 640/1954 (Legge Romita - Provvedimenti per l’eliminazione delle abitazioni malsane) tesa a fornire alloggio ai meno abbienti, privi di abitazione o alloggiati in abitazioni improprie o malsane. Fu un provvedimento assistenziale di emergenza, con validità territoriale e temporale limitata e in cui la costruzione di alloggi era totalmente a carico dello Stato. Diversi provvedimenti a cavallo degli anni Cinquanta af- frontarono il problema abitativo di una serie di categorie come i profughi delle ex colonie, ai militari, invalidi, mutilati, ecc..

Col tempo si era resa evidente in diversi contesti la tendenza per l’edilizia pubblica di andare a favorire i ceti medi più degli strati popolari con il trasferimento in mani private del patrimonio pubblico: il D.P.R. n. 2/1959 (Norme concernenti la disciplina della cessione in proprietà degli alloggi di tipo popolare ed economico) portò a un’alienazione del patrimonio di edilizia popolare a favore degli assegnatari e penalizzando le famiglie a basso reddito che non erano riuscite a ottenere un alloggio.

La legge 1676/1960 (Norme per la costruzione di abitazioni per i lavoratori agricoli) istituì un piano per la realizzazione di case per i lavoratori agricoli dipendenti ed i braccianti agricoli che, non essendo obbligati al versamento dei contributi all’INA-Casa, non potevano concor- rere alle relative assegnazioni.

Il 1962 vide finalmente la legislazione sull’edilizia economica e popolare coordinarsi con

la legislazione urbanistica. La legislazione sull’edilizia economica e popolare era infatti basata

essenzialmente da una parte su un sistema di mutui e agevolazioni, dall’altra su un insieme

di espropriazioni disancorate dalle previsioni degli strumenti urbanistici. La legge 167/1962

(Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popo-

lare) fu emanata quando Fanfani era Presidente del Consiglio dei Ministri e Sullo Ministro dei

Lavori Pubblici. Permettendo l’acquisto a basso prezzo di aree situate in aree già urbanizzate,

si proponeva di risolvere il problema esistente della relegazione in estrema periferia, o addirit-

tura in aperta campagna, degli insediamenti da realizzare attraverso l’intervento pubblico, che

data l’assenza di ogni servizio fondamentale erano ridotti a quartieri dormitorio. La principale

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innovazione della legge 167 fu l’introduzione del Piano di Zona per l’Edilizia Economica e Popolare (PEEP) che rese possibile l’uso di piani decennali di valenza urbanistica adottati a livello comunale: il piano di zona è uno strumento urbanistico di attuazione, equiparato dalla legge stessa al piano particolareggiato. Venne sancito così che gli interventi futuri si sareb- bero dovuti localizzare su aree scelte all’interno dei piani di zona, consentendo un maggiore coordinamento fra i programmi di edilizia pubblica e quelli della pianificazione urbanistica generale. Le aree da comprendere nei piani di zona dovevano essere scelte nelle zone destinate ad edilizia residenziale dagli strumenti urbanistici vigenti preferendo le aree di espansione a quelle di completamento. Già nell’art. 1 della legge si specificava poi la necessità di prevedere in questo tipo di interventi «opere e servizi complementari urbani e sociali ivi comprese le aree a verde pubblico». La legge prescriveva l’obbligo di redigere piani di zona solamente ai Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti. Per i Comuni ancora sprovvisti dei piani di zona si utilizzava un meccanismo di localizzazione abbreviato: in questo caso i programmi costruttivi erano localizzati con una semplice delibera del Consiglio comunale (equiparata ai piani di zona) nell’ambito delle zone residenziali dei piani regolatori o programmi di fabbri- cazione che però dovevano essere approvati o almeno adottati e trasmessi per le approvazioni di legge. Veniva inoltre modificata la determinazione dell’indennità di esproprio, calcolata in base al valore venale delle aree riferito ai due anni precedenti all’adozione del piano, elimi- nando possibili nuove rendite (l’innovazione venne tuttavia archiviata già nel 1965 per tornare al criterio della legge di Napoli). Fu così possibile l’acquisizione di aree centrali nelle città a prezzi inferiori a quelli di mercato con la possibilità di progettare un intervento urbanistico completo nell’arco di un decennio.

Nel 1963, con la scadenza del secondo piano settennale, la legge 14 febbraio 1963, n.60 (“Liquidazione del patrimonio edilizio della Gestione INA-Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori”), abolì l’INA-Casa istituendo la Gestione Case per i Lavoratori (Gescal) che per dieci anni ne portò avanti il patrimonio e le funzioni.

Il nuovo istituto non ebbe modo di godere degli stessi finanziamenti del predecessore, data la diminuzione dei contributi fissata dalla legge, ma poté contare sugli introiti derivati dalla liqui- dazione del patrimonio immobiliare ereditato. La struttura della Gescal prevedeva un Comitato Centrale e una Gestione posti sotto il controllo del Ministero dei Lavori Pubblici: il primo si occupava della programmazione generale del piano, mentre il secondo dell’attuazione, della progettazione dei servizi pubblici e attrezzature in coordinamento con le Amministrazioni co- munali. La realizzazione dei progetti era portata avanti soprattutto dagli IACP seguendo obiet- tivi di miglioramento qualitativo dell’edilizia, con organizzazione, metodi di progettazione e tecnologie più attuali. A seguito della legge 167 gli interventi seguivano le prescrizioni urbani- stiche dei piani di zona, determinando per la Gescal una riduzione dell’autonomia decisionale che aveva caratterizzato l’INA-Casa. Tuttavia il decennio Gescal vide una progressiva dimi- nuzione dell’attività edilizia pubblica a favore di quella privata, generando crescenti tensioni sociali e lo sciopero generale per la casa del 1969.

Gli interventi statali nel campo dell’edilizia economica e popolare a questo punto possono

essere sintetizzati in tre tipologie:

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• Costruzione di alloggi popolari a totale carico dello Stato: Legge 640/1954 (Romita);

• Agevolazioni fiscali, concessione di mutui e contributi statali sul pagamento degli inte- ressi a enti pubblici per l’intervento edilizio (IACP, INCIS ecc.) o a cooperative edilizie tendenti a facilitare la costruzione e l’acquisto di alloggi popolari destinati a determina- te categorie di cittadini: Legge 408/1949 (Tupini) e 715/1950 (Aldisio);

• Contributi diretti dello Stato per la costruzione di alloggi popolari per lavoratori dipen- denti realizzati da enti pubblici esistenti o all’occorrenza costituiti in attuazione di piani pluriennali di intervento: Legge 43/1949 (INA-Casa) e 60/1963 (Gescal).

1.1.3 La Legge quadro sulla casa e l’avvento delle Regioni

A partire dal 1971 fino alla metà degli anni Novanta del Novecento si è avuta una fase caratterizzata dalla legge 22 ottobre 1971, n.865 (“Legge quadro sulla casa - Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’e- dilizia residenziale, agevolata e convenzionata”), approvata durante il Governo Colombo. A quest’epoca corrisponde l’istituzione delle Regioni, che da quel momento cominciarono ad assumere un ruolo sempre più importante nell’amministrazione del paese con il progressivo trasferimento di funzioni e competenze da parte dello Stato centrale (in questo senso il primo intervento legislativo fu il D.P.R. 8/1972 - Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pub- blici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici).

Con questa legge venne introdotta la dizione di Edilizia Residenziale Pubblica, che com- prendeva sia l’edilizia sovvenzionata (realizzata tramite gli IACP a totale carico dello Stato) che l’edilizia convenzionata-agevolata (lo Stato copre una parte degli interessi del mutuo stipu- lato). Infatti accanto ai programmi di edilizia residenziale pubblica – disciplinati nel titolo IV della legge – vennero definiti quelli relativi all’edilizia agevolata e convenzionata che avreb- bero dovuto affiancare l’intervento pubblico diretto, incapace da solo di soddisfare i bisogni delle fasce sociali a basso reddito. Si voleva inoltre puntualizzare una nuova visione politica, passando dal precedente sistema assistenziale a un concetto di diritto alla casa per i cittadini meno abbienti, in cui non si considerassero gli alloggi pubblici come un sottoprodotto edilizio, ma dove lo Stato forniva un servizio con tipologie e standard pari a quelli dell’edilizia privata.

Venne prevista l’unificazione e la gestione unitaria dei fondi per l’edilizia residenziale pubblica (un tempo dispersa tra vari enti), mentre la programmazione nazionale delle risorse fu affidata al CIPE 6 (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) e al CER 7

6 Organo avente natura politica amministrativa a cui la legge 865 attribuì le funzioni di indirizzo programmatico determinando le linee di intervento nel campo dell’edilizia residenziale con particolare attenzione al soddisfa- cimento dei bisogni abitativi prioritari, alla riduzione dei costi di costruzione e di gestione e alla necessità di industrializzare il settore. Le funzioni di questo Comitato furono precisate dall’art. 2 della legge n. 457/1978 (Norme per l’edilizia residenziale).

7 Organo del Ministero dei Lavori Pubblici istituito dalla legge 865, che si occupava della distribuzione dei

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(Comitato per l’Edilizia Residenziale). La soppressione degli enti edilizi e il potenziamento degli IACP, rese tali organismi gli unici referenti dello Stato in materia di edilizia residenzia- le pubblica: la legge stabilì infatti che per l’edilizia sovvenzionata o residenziale pubblica si doveva favorire la cessione in affitto dei nuovi alloggi realizzati; gli interventi di edilizia age- volata erano invece consentiti a enti pubblici, come IACP e Comuni, cooperative ed imprese ed erano ammessi a finanziamento con contributo dello Stato. La fonte di finanziamento erano i contributi Gescal che venivano versati dal datore di lavoro all’INPS trattenendoli sulle retri- buzioni dei lavoratori dipendenti.

Le tipologie di intervento ammesse dalla legge furono la realizzazione di nuova edilizia e il risanamento degli immobili nei centri urbani. Per quanto riguarda l’indennità di esproprio, veniva commisurata al valore agricolo delle aree, con alcune correzioni per le zone comprese nei centri urbani in modo da ridurre la rendita fondiaria, che condizionava negativamente gli interventi pubblici sia nell’edilizia abitativa che nell’assetto urbanistico.

Gli anni successivi videro l’approvazione di altri provvedimenti nel campo dell’edilizia pubblica correlati alla legge 865, che però rimaneva il riferimento giuridico del settore. Si ri- cordano le leggi n. 166 del 27 maggio 1975 (interventi straordinari di emergenza per l’attività edilizia), n.10 del 28 gennaio 1977 (regime dei suoli) e n.513 dell’8 agosto 1977 (vendita degli alloggi). Rispetto ad essa vennero chiarite e ripartite le competenze, trasferendo alle Regioni la gran parte del potere in materia (sia per l’edilizia pubblica che per quella agevolata e con- venzionata), con lo Stato che conservò solo funzioni di coordinamento, ripartizione del Fondo nazionale, previsione programmi di emergenza, determinazione dei criteri per l’assegnazione degli alloggi e determinazione dei canoni. Tale trasferimento si completò con il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 attraverso cui l’edilizia residenziale pubblica fu inclusa tra le competenze proprie delle regioni: in particolare, con l’articolo 93, comma 2, si parla del trasferimento delle funzioni statali relative agli IACP, che divennero enti regionali. Ai Comuni poi furono attribu- ite le funzioni inerenti all’assegnazione degli alloggi.

Un nuovo decisivo intervento fu la legge n. 457/1978 che istituì un nuovo piano decennale per l’edilizia residenziale pubblica e convenzionata. Esso riguardò gli interventi finalizzati alla costruzione di nuove abitazioni, al recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici, al recu- pero delle preesistenze edilizie e all’acquisizione e l’urbanizzazione di aree destinate agli in- sediamenti residenziali. Il piano, che veniva approvato dal CIPE su proposta del CER, doveva indicare e quantificare le risorse finanziarie e creditizie da destinare agli interventi ponendo un diretto riferimento fra i fondi e gli interventi da realizzare, mentre alle Regioni spettava il com- pito di formulare, sulla base del piano nazionale, i propri programmi quadriennali e i progetti biennali di intervento, dopo aver individuato il fabbisogno abitativo regionale. L’aspetto più interessante del piano decennale fu l’attenzione per il recupero del patrimonio edilizio ed urba- nistico esistente: l’attuazione dei piani di recupero era di iniziativa privata e pubblica, mentre

la scelta dei soggetti esecutori pubblici (IACP) e privati (cooperative edilizie). Si occupava poi della raccolta

e dell’elaborazione dei dati per la determinazione del fabbisogno abitativo. Sotto il profilo tecnico doveva

formulare i criteri generali per gli indirizzi tecnico-costruttivi; sotto il profilo finanziario doveva controllare la

spesa massima per intervento sulla base di un costo massimo ammissibile da esso predeterminato e controllare

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le tipologie di intervento potevano essere di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia ed urbanistica. Con i programmi pre- visti dal Piano decennale del 1978 si passò ad una fase in cui rilevanti parti del finanziamento, affiancandosi ai normali programmi di nuove costruzioni, potevano essere indirizzate verso la rivalutazione dell’edificato; ciò valeva anche per l’edilizia privata degradata alla quale il Piano decennale dava la possibilità di inserirsi in programmi comprensivi di edilizia pubblica e pri- vata attraverso opportune convenzioni oppure dava modo di elaborare proposte autonome di piani di recupero da sottoporre ad autorizzazione comunale. Per la prima volta si realizzò una formulazione organica e precisa del problema del riuso e recupero edilizio.

Gli anni Ottanta del Novecento si caratterizzarono per un provvedimento, la legge n.

25/1980 (Legge Andreatta - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629, concernente dilazione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso abitazione e provvedimenti urgenti per l’edilizia), che volle affron- tare il tema degli sfratti concedendo ai comuni con popolazione superiore ai 350.000 abitanti finanziamenti per programmi straordinari di edilizia abitativa, con la possibilità di intervenire anche recuperando immobili degradati.

Le leggi 865/71 e n.457/78 concretizzarono il decentramento di alcune funzioni dallo Sta- to alla Regioni, ma non apportarono sostanziali modifiche all’assetto degli enti pubblici che operavano nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica. Negli anni Novanta, maturata ormai la consapevolezza dell’importanza anche per l’ente pubblico di operare con i criteri di econo- micità ed efficienza tipici dell’impresa privata e con lo Stato non più in grado di garantire i finanziamenti derivanti dai piani pluriennali, emerse l’esigenza di trasformare gli enti preposti allo sviluppo delle politiche di edilizia residenziale pubblica (IACP) in vere e proprie Aziende.

La legge 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edi- lizia residenziale pubblica), venne introdotta per fare fronte ad esigenze di finanza pubblica consentendo agli enti proprietari di alloggi di ERP di porre in vendita parte del patrimonio immobiliare amministrato, sul modello della legge 513/1977 che era stata il primo provvedi- mento in questo senso. Definiva come alloggi di edilizia residenziale pubblica quelli acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla legge n. 52 del 1976, a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato, della regione o di enti pubblici territoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge n. 60 del 1963, dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, nonché dagli IACP e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale. La stessa legge, modificata dalla legge n. 136 del 1999, definì i requisiti richiesti per gli acquirenti, i criteri per la determinazione del prezzo di vendita, la destinazione delle risorse acquisite, fissando anche una percentuale massima, pari al 75 per cento, del patrimonio alienabile nel territorio di ciascuna provincia.

Altra fondamentale tendenza della legislazione degli Anni Novanta fu quella di prevedere

i cosiddetti programmi complessi. Si tratta di nuovi strumenti urbanistici con la finalità di

riqualificare il tessuto urbano e territoriale, che erano stati introdotti nel corso del decennio

precedente nell’ambito della programmazione del CER. Il loro scopo era quello di correggere

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la distanza tra l’urgenza di intervenire sul degrado delle città e l’effettiva messa in opera di interventi di contrasto, che potevano essere delineati solo con i lunghi tempi della pianifica- zione tradizionale. In questo senso la loro visione, oltre che urbanistica era di programma- zione economica e integrazione sociale. Peculiarità di questo insieme di strumenti erano la differenziazione e l’integrazione, ossia il poter agire, in antitesi alla normale pianificazione, in maniera versatile e mirata, prevedendo diverse destinazioni d’uso e modalità d’intervento e unendo all’intervento pubblico anche il privato là dove la sua presenza avrebbe potuto offrire una maggiore efficacia.

Due provvedimenti significativi in questo periodo furono la legge 12 luglio 1991, n.203 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon an- damento dell’attività amministrativa), che prevedeva un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica destinato a dipendenti statali in aree anche al di fuori dei piani di zona e in variante agli strumenti urbanistici vigenti, e la legge 17 febbraio 1992, n.179 (Legge Botta-Ferrarini - Norme per l’edilizia residenziale pubblica), che istituì i Programmi Integrati d’Intervento e i Programmi di Riqualificazione Urbana.

In generale le tipologie dei programmi complessi si possono distinguere tra il gruppo dei Programmi di livello regionale a cui appartengono i Programmi integrati di intervento e i Programmi di Recupero Urbano e il gruppo dei Programmi di livello nazionale o europeo a cui appartengono i Programmi di riqualificazione urbana, i Programmi Urban, i Contratti di Quartiere e i PRUSST:

• I Programmi Integrati d’Intervento (PII) sono caratterizzati da pluralità funzionale, dif- ferenziazione delle tipologie d’intervento, concorso tra più operatori pubblici e privati e finanziamento misto (la parte pubblica per l’edilizia residenziale ha potuto attingere ai contributi previsti dalla legge 60/1963);

• I Programmi di Recupero Urbano (PRU) vennero introdotti dalla legge 4 dicembre 1993, n.493 (Conversione in legge del decreto legge 5 ottobre 1993, n.398 concernente disposizioni per l’accelerazione degli investimenti ed il sostegno dell’occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia) e a differenza dei PII, sono orientati a prevalente servizio del patrimonio di edilizia residenziale pubblica o ambiti immediatamente contermini (in alcune sperimentazioni regionali questa differenza ha portato ad utilizzare i PRU nei quartieri di edilizia residenziale pubblica e i PII al di fuori degli stessi) cercando di intervenire sulle loro specifiche problematiche. Sono promossi dai Comuni sulla base di una proposta unitaria con il concorso di risorse pub- bliche (sempre in parte finanziate secondo la legge 60/1963) e private;

• I Programmi di Riqualificazione Urbana (PRIU) hanno come obiettivo prioritario il

recupero edilizio e funzionale di ambiti urbani, da realizzarsi attraverso interventi di

urbanizzazione primaria e secondaria, nonché di edilizia residenziale. Promossi dai

Comuni, sono compartecipati dai privati nella parte relativa alla realizzazione o al re-

cupero dell’edilizia residenziale. Tra i soggetti pubblici specificati dalla legge figurano

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il CER, i Comuni e le Regioni. Tra i soggetti privati vi sono proprietari di immobili singoli o associati, soggetti non proprietari di immobili cui i proprietari degli immobili stessi abbiano conferito mandato all’esecuzione delle opere, soggetti privati che abbia- no titolo ad acquistare in proprietà o in concessione parti del patrimonio pubblico. Tra gli interventi ammissibili c’è anche l’acquisizione di immobili da destinare a opere di urbanizzazione primarie o secondarie o edilizia residenziale pubblica, mentre tra gli ambiti di effettiva applicazione dei PRIU ci sono anche ambiti e quartieri di edilizia residenziale pubblica;

• I Contratti di Quartiere (CdQ), bandi di gara per la realizzazione degli interventi di edilizia sovvenzionata sperimentale nell’ambito dei programmi di recupero urbano, vennero introdotti con il D.M. 22 ottobre 1997 (Approvazione del bando di gara re- lativo al finanziamento di interventi sperimentali nel settore dell’edilizia residenziale sovvenzionata da realizzare nell’ambito di programmi di recupero urbano denominati

“Contratti di quartiere”) con lo scopo di privilegiare operazioni di recupero e rinnovo nelle periferie urbane e, più in generale, negli ambiti meno coinvolti nei processi di riorganizzazione urbana, che risultano caratterizzati anche da evidenti condizioni di disagio abitativo ed economico-sociale. Operativi in conformità a piani di recupero già adottati dai comuni, tra le loro fonti di finanziamento conservavano inizialmente i contributi ex-Gescal da utilizzare per interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e per opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Dal 1999, con la scomparsa di questa possibilità, si ebbe la necessità di trovare nuove risorse che si reperirono nel co- finanziamento dai programmi con fondi pubblici (europei, statali, regionali) e privati;

• Il PIC Urban, avviato dall’Unione Europea nel 1994 (Decisione 94/C 180/02, 15 giu- gno 1994, avviso a Stati membri “linee guida per programmi operativi che gli Stati membri sono invitati a stabilire nell’ambito di un’Iniziativa Comunitaria riguardante le aree urbane”), è un programma di iniziativa comunitaria che interviene in questi am- biti, quartieri in cui si registrano la compresenza e la sovrapposizione di diverse forme di disagio sociale tra loro strettamente correlate: alti tassi di disoccupazione, degrado edilizio e ambientale, carenza di attrezzature e servizi pubblici, criminalità, disagio mi- norile, ecc. I Programmi Urban pongono infatti una particolare attenzione agli elementi di ricomposizione locale delle politiche, sia sul versante economico e sociale che su quello fisico ed ambientale. Nella loro prima applicazione in Italia tra 1994 e 1999, i piani Urban interessarono 16 città in ambiti periferici spesso interessati da insediamenti residenziali pubblici. Successivamente, nella programmazione 2000-2006, venne allar- gato il campo d’azione anche a città di dimensioni più ridotte;

• I PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del territo-

rio) furono introdotti nel 1998 (Decreto Promozione di programmi innovativi in ambito

urbano denominati «Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del

territorio») con l’obiettivi di riqualificare le infrastrutture, il tessuto economico-produt-

tivo-occupazionale, recuperare e riqualificare l’ambiente, i tessuti urbani e sociali delle

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aree interessate. Sono cofinanziati con risorse pubbliche e private (almeno il 30%).

Un ulteriore strumento in aggiunta ai programmi complessi è stato istituito con la legge 127/1997 (Bassanini-Bis - Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo) e si tratta delle Società di trasformazione urbana (STU), società per azioni miste pubblico/privato con la funzione di progettare e realizzare in- terventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti. Si tratta di uno strumento agile che il legislatore ha fornito agli enti locali per operare nelle aree urbane consolidate con il coinvolgimento di risorse economiche e professionalità private. La società opera con il suo patrimonio, costituito da risorse sia pubbliche che private su aree caratteriz- zate da degrado urbanistico o da caratteristiche funzionali inadeguate, per le quali si rende necessaria una radicale trasformazione, tra cui i quartieri di edilizia residenziale pubblica.

Con il D.M. 21 aprile 1998 un nuovo concetto dalle direttive europee viene declinato nella legislazione italiana: l’alloggio sociale (da social housing) viene definito con la caratteristica di avere interesse generale nella salvaguardia della coesione sociale e di essere finalizzato a ridurre il disagio abitativo delle persone che si trovano in condizioni svantaggiate e che non riescono ad accedere alla locazione degli alloggi a libero mercato. Viene specificato che gli attori che agiscono nell’edilizia residenziale sociale sono sia operatori pubblici che privati che dovrebbero privilegiare l’offerta di alloggi in locazione. Inoltre si dice che l “alloggio sociale”, poiché servizio di interesse economico generale, è uno standard urbanistico aggiuntivo da as- sicurare attraverso la cessione gratuita di aree o di alloggi, con le modalità stabilite dalle leggi regionali. Ciò vale in quanto si è voluto vedere questo strumento come un modo di rispondere al bisogno della casa ad un canone calmierato, ma anche a soluzioni abitative che possano favorire la coesione sociale e lo sviluppo economico anche per coloro che hanno bisogno di alloggi a carattere temporaneo o che comunque pur non potendosi permettere di accedere al libero mercato, hanno requisiti di reddito che li pongono sopra la soglia massima per poter accedere all’edilizia residenziale pubblica.

Si è visto come parte del panorama dei programmi complessi abbia avuto un impulso dato da finanziamenti europei. La normativa comunitaria non prevede competenze dirette dell’U- nione Europea in materia di edilizia abitativa, ma come si è visto il finanziamento di program- mi urbanistici ha influito e sostenuto politiche strategiche in questo settore operate dalle Regio- ni e lasciando allo Stato la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti.

Con il D.M. 21 aprile 1998 un nuovo concetto dalle direttive europee viene declinato nella legislazione italiana: l’alloggio sociale (da social housing)..

Il decreto 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello

Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)

soppresse il CER e trasferì alle regioni tutta la materia, attribuendo loro i fondi per il finanzia-

mento degli interventi, le competenze per fissare la programmazione, la localizzazione, i criteri

l’assegnazione degli alloggi e per la definizione dei canoni. Allo Stato rimasero soltanto i com-

piti di determinare azione di principi e finalità di carattere generale, di raccolta di informazioni,

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di impulso, di garanzia e di sostegno delle fasce economicamente più deboli. La ripartizione di competenze operata dal citato decreto legislativo fu un’innovazione assoluta rispetto alla disciplina precedente che aveva mantenuto allo Stato le funzioni di programmazione nazionale dei finanziamenti dell’edilizia residenziale pubblica. In merito poi al citato concetto di alloggio sociale questo provvedimento lo definì come parte essenziale e integrante della più comples- siva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie.

La Legge n. 136 del 30 aprile 1999 (Norme per il sostegno ed il rilancio dell’edilizia re- sidenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere ambientale) intervenne in aggiornamento della legislazione precedente e in particolare della legge 179/1992, tra l’altro invitando le Regioni aggiornare le proprie normative e determinando che queste potessero decidere autonomamente il volume di risorse da destinare ai differenti tipi di programmi e non essere più vincolate in questo dalla legge nazionale.

1.1.4 Il XXI secolo

La la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 sottolineò una volta di più il proces- so di trasferimento di alcune competenze statali alle Regioni, che già dai decenni precedenti avevano iniziato a legiferare in materia di edilizia residenziale pubblica secondo approcci di- versificati e rendendo il quadro nazionale piuttosto frammentato: la materia dell’edilizia resi- denziale pubblica non è più inclusa né tra le materie su cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (articolo 117, secondo comma), né tra quelle in cui la competenza è concorrente (ar- ticolo 117, terzo comma), risultando competenza esclusiva di carattere residuale delle Regioni.

Allo Stato è rimasto quindi un ruolo di guida con la possibilità di definire norme generali e di coordinamento, che disciplinano le modalità di esercizio delle competenze regionali, anche precisando e finanziando i programmi.

Il Primo decennio del nuovo secolo ha comunque visto nel suo altri provvedimenti di ca- rattere nazionale che hanno riguardato il settore.

La legge 8 febbraio 2001 n. 21 (Misure per ridurre il disagio abitativo ed interventi per aumentare l’offerta di alloggi in locazione) confermò alle regioni la facoltà di programmare le risorse da destinare all’edilizia pubblica e stabilì che eventuali economie, stante il permanere di situazioni di disagio abitativo, dovessero essere utilizzate per il finanziamento di programmi di edilizia residenziale finalizzati ad incrementare l’offerta di alloggi da destinare permanen- temente alla locazione.

La legge 244/2007 (Finanziaria 2008) introdusse lo standard di servizio, ossia la possibilità

per gli strumenti urbanistici comunali di definire meccanismi di trasformazione urbana che

prevedessero la cessione gratuita da parte dei proprietari di aree o immobili da destinare a edi-

lizia sociale, così come per gli altri standard urbanistici di cui al D.M. 1444/1968, senza però

fissare una misura minima, con la quantità lasciata alla libera contrattazione e con la possibilità

per i Comuni di offrire premi di volumetria negli ambiti interessati. La legge 133/2008 (Finan-

ziaria 2009) poi fece da prologo a due nuovi interventi nell’ambito edilizio introducendo la

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