1. INTRODUZIONE
Leslie Poles Hartley (1895-1972) non è riuscito a entrare nell’olimpo dei grandi scrittori inglesi del ’900, nonostante abbia ricevuto importanti riconoscimenti letterari e abbia potuto assistere alla realizzazione cinematografica del suo romanzo di maggior successo, The Go-Between, Palma d’Oro a Cannes nel 1971.
Contemporaneo di due grandi e celebri esponenti dalla letteratura inglese del XX secolo, Virginia Woolf e E. M. Forster, era da questi ammirato e stimato, e, a quanto emerge dalla biografia di Jane Brown
1, sembra che Forster ne fosse addirittura invidioso: di sicuro è stato molto più prolifico dei due illustri colleghi, con ben diciotto romanzi e quattro raccolte di racconti pubblicati, ma non ha mai raggiunto la loro fama.
Hartley iniziò la carriera di scrittore nel 1924 con una raccolta di racconti brevi, Night Fears, pubblicata da una casa editrice americana, la Putnam. Nel 1925 uscì il suo secondo lavoro, Simonetta Perkins, un romanzo breve che fu il primo passo verso la scrittura di opere più mature.
Se, con l’uscita di Simonetta Perkins, Hartley fu considerato uno scrittore abile e promettente, non si spiega però il divario temporale tra il primo e il secondo libro, The Shrimp and the Anemone, che apparve dopo ben
1 Jane Brown, Spirits of Place: Five Famous Lives in their English Landscape, London, Viking, 2001.
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diciannove anni di silenzio, nel 1944. Come suggerisce Webster nel suo articolo
2, spesso la quantità è considerata sinonimo di qualità, e se Hartley avesse scritto un libro all’anno forse non sarebbe finito nel dimenticatoio.
Nonostante Melchiori nel suo saggio
3dedicato all’autore lo definisca uno dei romanzieri più affermati del dopoguerra, Webster fa notare che molti manuali di storia della letteratura inglese non lo citano nemmeno, o gli dedicano poche righe. Inoltre, gli studi critici sulle sue opere sono decisamente scarsi, e si concentrano quasi esclusivamente su due romanzi, quelli più celebri appunto: The Go-Between e la trilogia Eustace and Hilda.
Scopo del presente lavoro è di analizzare un’opera di Leslie Hartley considerata dalla critica solo un buon esercizio di stile, ma che per lui è sempre stato il suo lavoro “most accomplished”. Perché l’autore continuò a considerare Simonetta Perkins il suo romanzo più riuscito? Quasi tutti gli studi critici a lui dedicati si sono preoccupati di approfondire gli influssi letterari e le rievocazioni di altri grandi autori nei suoi romanzi, trascurando un elemento che, come si vedrà per Simonetta Perkins, è disseminato in ogni singolo racconto e romanzo: la sua vita. Infatti, è solo del 1996 la prima vera biografia di Hartley, scritta da Adrian Wright
4, il quale aveva ottenuto il permesso di consultare lettere e scritti personali, fino a quel momento segretamente custoditi dalla sorella minore, Norah. Certo, si potrebbe pensare che un’interpretazione biografica sia molto scontata, ma per Hartley è invece impossibile non tenerne conto: lui non si limita a ispirarsi alle persone che lo circondano, alla quotidianità, ma parla di sé, del suo io più intimo. In ogni personaggio e in ogni storia ritroviamo Leslie Hartley e la sua vita, i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, che diventano
2 Harvey Curtis Webster, «The Novels of L. P. Hartley», Critique, 4 (1961), p. 39.
3 Giorgio Melchiori, «Tradizione Americana e Romanzo Inglese», Studi Americani (1955).
4 Adrian Wright, Foreign Country: The Life of L. P. Hartley, London, Tauris Parke Paperbacks, 2001.
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automaticamente anche riflessioni di portata sociale, sulla morale, la religione, ma sono prima di tutto le riflessioni di un uomo che ha passato tutta la vita a combattere contro se stesso e contro la sua omosessualità.
1.1 Venezia e gli scrittori inglesi
Non si contano ormai le opere letterarie che celebrano la famosa città lagunare, così come non si contano gli autori che vi hanno soggiornato per periodi più o meno lunghi della loro vita. Leslie Poles Hartley è uno di questi: trovava in Venezia il suo rifugio perfetto, ne amava le tranquille acque salmastre, i colori, la gente, il suono della loro lingua e i loro modi gentili, ma con un velo di ritrosia: voleva diventare parte della città, voleva mischiarsi tra la folla e camminare per le calli dall’odore un po’ stagnante e lasciarsi stupire da qualche scorcio pittoresco, come solo Venezia può offrire
5. Eppure Hartley è solo uno dei tanti che hanno subito il fascino di questa città: illustri predecessori hanno reso omaggio alla Serenissima usandola come sfondo nelle loro opere, vi hanno vissuto o sognato di viverci. Shakespeare, Jonson, Coryat, Addison, Defoe, Wordsworth, Shelley, Byron, Ruskin, James, Lawrence, Pound, per citare solo i più noti, hanno tutti celebrato a loro modo Venezia.
Ma a cosa si deve la nascita di questo mito letterario? È una città unica al mondo per la sua struttura e il suo carattere anfibio, certo, ma è solo questo? In realtà Venezia racchiude in sé molti archetipi letterari, e probabilmente questo è uno dei motivi principali per i quali è diventata
5 L. P. Hartley, The Novelist’s Responsibility, London, Hamilton, 1967, pp. 209-216.
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meta, soggetto e ambientazione di molti autori e artisti. Come osserva Battilana:
Dall’immemoriale e insieme modernissimo viaggio per mare – concetto o immagine pressoché primigenia in virtù della quale Odisseo, Enea e Beowulf tendono la mano attraverso i millenni al “vecchio” di Hemingway – al viaggio in terra lontana, verso un’ultima Thule, pure miraggio persistente di favole e leggende di ogni nazione e razza; dalla nozione di terra del buon sovrano dispensatore di giustizia a quella di luogo opulento, notturno o solare atto alla celebrazione del perfetto amore o per converso – grazie alla sua misteriosità e stranezze strutturali – del più nero tradimento con inevitabile contorno di sotterfugi e mascherature, Venezia può accogliere in sé – nella sua singolarità geologica, geografica e architettonica, nell’unicità di una lunga storia in parte così gloriosa e spesso così sorprendente da parere leggenda – buon numero di quelle immagini […].6
Le prime descrizioni di Venezia da parte di inglesi risalgono già al XIV secolo, in guide per pellegrini diretti in Terra Santa, e all’epoca Venezia era tappa obbligata per raggiungere l’Oriente. Una delle prime storie ambientate a Venezia fu The Unfortunate Traveller (1594) di Thomas Nashe, il quale non sembra esserci mai stato realmente, ma introduce il primo archetipo, Venezia “capitale dell’amore”, probabilmente rifacendosi a diari di viaggio come quelli di Roger Ascham, tutore e in seguito segretario della regina Elisabetta. Nel suo romanzo picaresco Nashe narra le avventure (e disavventure) di un padrone e del suo servo, i quali una volta
6 Marilla Battilana, Scrittori inglesi e Venezia 1350-1950, Venezia, Stamperia di Venezia Editrice, 1981, p. 11.
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giunti a Venezia decidono di scambiarsi l’identità per permettere al nobile
Lord Surrey di godere di maggiore libertà con il nome di Jack Wilton. Ecco
quindi il secondo archetipo: il doppio illusorio, la mascheratura – che, pur
in circostanze completamente diverse, è fondamentale anche nella novella
di Hartley. Nashe utilizza anche altri due archetipi, vale a dire Venezia città
del piacere, di truffe e inganni, e sovrano giusto: la Serenissima, infatti, era
nota per i suoi verdetti salomonici, per le decisioni giuste quanto più
spregiudicate. Questi archetipi vengono in seguito drammatizzati da
Shakespeare, con i suoi The Merchant of Venice e Othello. Altra grande
realizzazione di alcuni archetipi veneziani si ritrovano nel Volpone di Ben
Jonson: la doppiezza, l’avidità di denaro e di piacere, la mascheratura, sono
tutti elementi che impregnano questo dramma elisabettiano. È del 1682
invece la tragedia Venice Preserved di Thomas Otway, dove cospirazione e
critica al governo della Serenissima la fanno da padroni. Diversa è la
visione che ne dà Defoe nel suo Memoirs of a Cavalier (1720), dove
evidenzia la superiorità dell’autorità civile veneziana su quella ecclesiastica,
la soggezione della Chiesa nei confronti dello Stato che all’autore anglicano
antipapista piaceva molto. Il Settecento per Venezia significa la tragica
decadenza, ma è una decadenza “dorata”, all’esterno sembra che nulla sia
cambiato, e questi gloriosi avanzi verranno celebrati dalla penna dei grandi
romantici inglesi: Byron, Wordsworth e Shelley. In particolare, Lord Byron
descrive Venezia in molte sue sfaccettature, dalla contemplazione della
superstite gloria passata di Ode on Venice, attraverso l’atmosfera cupa e
misteriosa dei drammi storici Marino Faliero e The Two Foscari, fino alla
rappresentazione gioiosa e burlesca dei costumi e della vita della città di
Beppo, a Venetian Story. Per Dickens Venezia è un Italian Dream, così
infatti s’intitola il saggio sulla città, che verrà poi raccolto con altri sotto il
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