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CAPITOLO IX LA CULTURA E LA SCIENZA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO IX LA CULTURA E LA SCIENZA

All'apice dell'evoluzione culturale, della quale rappresentano al tempo stesso il risultato e la guida, ci sono i prodotti della razionalità collettiva dell'uomo, cioè le discipline culturali e scientifiche. Mentre però la scienza ha trovato la formula per innescare il proprio progresso e ha raggiunto risultati straordinari facendo leva sulla cumulabilità degli sforzi e sul metodo sperimentale, le discipline umanistiche non possono fare altrettanto. Boncinelli esamina soprattutto la psicologia e la filosofia – alle quali più si sente legato, nel bene e nel male, nel suo percorso intellettuale - polemizzando con esse apertamente, in un intreccio fittissimo, come già ho detto, di odio e di amore.

LA POLEMICA CON LA PSICOLOGIA...

Dichiara Boncinelli di non aver seguìto durante la sua ventennale esperienza di analista una sola scuola specifica: faceva sedere il paziente alla maniera di Jung, ma osservava scrupolosamente i dettami della riservatezza alla maniera di Freud. La sua analisi, ci dice

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, oggi sarebbe definita probabilmente di tipo cognitivo; lavorava sul conscio, cercando di fare emergere l'altro lato della medaglia rispetto alle rappresentazioni che il paziente s'era formato, ottenendo buoni risultati soprattutto coi depressi.

Come si concilia questa sua attività con la scarsa stima che egli nutre nei confronti di molti psicologi e con la sua dichiarata avversione per la teoria psicoanalitica?

Ciò che più lo infastidisce - esclusa la psicologia sperimentale, che egli al contrario ammira ma che non ha séguito - è "la vulgata" della psicologia, cioè la sua versione popolare e

banalizzata , che è giustificazionista e meccanicistica

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, in quanto crede che tutto abbia una spiegazione e una giustificazione, mentre la scienza non lo crede più da tempo, perché, come sappiamo, le cause nel biologico sono molteplici, complesse, inessenziali e contingenti.

Se per esempio mi dimentico qualcosa, per la psicanalisi ciò ha sempre un preciso significato, vale a dire che c'è sempre una spiegazione agli atti mancati, alle dimenticanze, etc., e ciò secondo Boncinelli non è vero perché sono moltissime le cose che non possiamo assolutamente spiegare e non c'è niente di male ad ammetterlo.

Non dovremmo cercare le cause anche laddove non ci sono, dovremmo imparare a dire "non lo so"

e invece siamo bravi a ricostruire o forse a inventare cause che non esistono.

L'incapacità di fare previsioni dimostra l'illusorietà di tali procedimenti, che vorrebbero essere scientifici e non lo sono: "Gli psicologi hanno l'intollerabile presunzione di credere di avere un piede nella scienza"

3

.

Un' argomentazione analoga è quella sull'interpretazione dei sogni, perché, secondo Boncinelli, questi sono probabilmente il frutto di un'attività cerebrale casuale; egli non crede infatti al loro valore rivelativo e diagnostico. Per lui, essi corrispondono forse ad una serializzazione incompleta dei neurostati e ci parlano dunque più che altro di coscienza invece che d'inconscio. Ritiene che gli psicologi siano tendenzialmente dei mistificatori e degli animisti e addirittura li paragona ai

sostenitori dell'"Intelligent Design", perché come questi non credono alla casualità del processo

1 "Il mondo è una mia creazione", pag. 20.

2 “Che fine ha fatto l'io?”, pagg. 159-160.

3 Pag. 159 di "Che fine ha fatto l'io?"

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evolutivo, in quanto per loro è indispensabile presupporre qualcosa d'intelligente

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.

L'ostilità nei confronti della psicologia può derivargli in primo luogo dall'esclusione che questa fa del caso come componente di tutto rilievo nei meccanismi

comportamentali; ciò probabilmente gli fa temere una possibile svalutazione del ruolo del caso nell'evoluzione e nella vita in generale.

Ma il fatto che la psicologia cerchi sempre delle cause, magari inconsapevoli, alla base di qualsiasi comportamento umano non significa che cerchi la causa anche per meccanismi che comportamentali non sono, come quelli evolutivi.

Se è vero che un eccessivo spiegazionismo può alimentare forme di superstizione, andando a leggere segni e significati anche nell'inorganico – che siano le nuvole o i fondi del caffé -, rifiutare i contenuti di opere straordinarie come ad esempio

l'interpretazione freudiana dei sogni o quella dei lapsus e degli atti mancati significa rinnegare alcune tra le più belle e azzeccate spiegazioni novecentesche della nostra esistenza. Mi dispiace proprio che a Boncinelli sfugga il grande potere rivelativo dei sogni e dei gesti apparentemente insignificanti!

Forse, se invece di parlare di “caso”egli parlasse di cause di tipo contingente e non necessitante, il cui groviglio è impossibile da districare data la complessità dei fenomeni, questo permetterebbe una convivenza pacifica tra psicologi ed

evoluzionisti neodarwinisti -, ma non è questa una cosa a cui Boncinelli tenga, anzi.

Un altro difetto della psicanalisi, che pure ha il merito, dopo la psicologia sperimentale, di aver scoperto l'esistenza dell'inconscio, consiste nell'essersi interessata esclusivamente a questo,

tralasciando il conscio come se non esistesse

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, per poi fare dell'inconscio qualcosa che ha progetti e strategie, e che dunque somiglia moltissimo alla coscienza.

In "E ora?" a pagina 93 afferma in maniera tranchant di non aver mai creduto all'esistenza dell'inconscio: "Se mi chiedete quale base scientifica la psicoanalisi abbia, la risposta è:

"nessuna". Non ho mai creduto ad esempio all'esistenza dell'inconscio."

Ma nello stesso anno, nel 2000, in "Pensare l'invisibile" ha una posizione ben più articolata e conforme al suo pensiero in generale. Dopo aver detto, a pagina 24, che Freud e Jung non gli hanno fatto capire cosa sia l'inconscio e a che cosa serva, perché ciò che hanno scritto non è riassumibile, scrive:"Come faccio a negare che ci sia uno psichismo inconscio, che c'è una parte della mia vita che mi sfugge? Negherei l'evidenza, ma quello che rimprovero agli psicoanalisti è la loro incapacità di dirmi qualcosa, sulla natura di questi processi, che mi sia utile in termini pratici".

In "Come nascono le idee", alle pagine 84 e 85, analizza tale concetto: si possono definire inconsci tutti i processi fisiologici, ma anche alcuni processi, come quelli ormonali, che influiscono sulla vita mentale, così come inconsci sono tutti i neurostati, sia d'origine sensoriale che della memoria, quando non entrano nella clessidra. Ma "operativamente" e in senso proprio egli decide di limitare questo termine a quel fenomeno specifico dei neurostati che orbitando intorno alla coscienza senza entrarvi ne danno la "coloritura emotiva"

6

. (A questo proposito, dal momento che i

neurostati hanno sempre, come lui afferma, una dimensione emotiva, non capisco perché la “coloritura emotiva” dello psicostato derivi non dai neurostati che lo vanno a costituire, ma da quelli che restano fuori dalla coscienza.) Talvolta sono

4 Pag. 101 de "Il mondo è una mia creazione".

5 "Il mondo è una mia creazione", pag. 59.

6 "La vita della nostra mente", pag. 156.

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sempre gli stessi ad affiorarvi ripetutamente, associandosi a qualsiasi altro neurostato per una loro sorta di viscosità, trovando sempre il modo di venire a galla, e allora sono chiamati "complessi" o

"pensieri dominanti" e sono proprio quelle associazioni che lo psicoterapeuta dovrebbe smontare, impedendo l'automatismo di tale richiamo, e utilizzando a tale scopo sia strumenti dichiarativi e linguistici, che fanno leva sul potere della razionalità, sia "strumenti di memoria procedurale", che equivalgono a ricondizionamenti, che funzionano – egli afferma - soprattutto sui più giovani.

Nel primo caso è sufficiente parlarne o scriverne, rendendosene coscienti e mettendo in ordine i propri pensieri; ma tale operazione è più efficace quando ad ascoltare c'è un esperto, che si prende cura del paziente, essendo pagato per farlo ed essendo legato al segreto. Rimprovera la psicologia di non aver dedicato la giusta attenzione alla coscienza, ed infatti in qualità di terapeuta egli ha cercato di lavorare proprio su questa e sulla sua espressione linguistica anziché sull'inconscio. Insomma, lo psicoterapeuta secondo lui deve intervenire attraverso due modalità: cercando di far funzionare meglio razionalità e consapevolezza del paziente, cioè inibendone o limitandone gli istinti, oppure ricondizionandone l'amigdala.

Ne "Lo scimmione intelligente"

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sostiene che in conclusione l'inconscio è il corpo, mentre per gli psicoanalisti si tratta di qualcosa che sta a metà strada tra corpo e coscienza: il regno misterioso dello psichismo. Coscienza e inconscio sono per lui qualcosa di materiale: "esiste soltanto il corpo"

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. Eppure in quello stesso libro, come sappiamo, egli pure ammette l'esistenza di qualcosa che non è materiale né fisico né reale, vale a dire la coscienza fenomenica.

Quanto al potere della parola, esso è senz'altro terapeutico e lascia una traccia fisica nelle nostre sinapsi. È possibile per esempio rendere, attraverso specifici esercizi, meno automatico il

funzionamento della psiche, e ciò secondo lui non può che essere di giovamento

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. Ciò avviene attraverso uno sforzo cosciente e corticale che sottragga automaticità ai

meccanismi decisionali, rendendo meno coatto il nostro comportamento.

Tuttavia, come risulta dall'intervista che mi ha rilasciato, negli ultimi anni si è un po' ricreduto circa il potere della psicoterapia, visto che i suoi antichi problemi psicologici, che riteneva di avere largamente superato, si sono riaffacciati più prepotenti di prima. Ciò dovrebbe comportare, forse, una diminuita fiducia nel potere della razionalità di dominare gli istinti...

La psicoterapia funziona dunque in base a vari procedimenti, oltreché di tipo dichiarativo, di tipo procedurale, e questi ultimi, che ci elenca, sono riconducibili tutti al condizionamento e

decondizionamento – anche se lui preferisce parlare di "ricondizionamento"- che consiste nell'associare ripetutamente un fenomeno a qualcosa di positivo o di negativo, come avveniva nel Comportamentismo e Behaviorismo. Ciò avviene attraverso l'amigdala, che è la nostra "memoria emotiva", che associando un episodio ad un'emozione ci suggerisce di fare o non fare qualcosa.

Infatti ciascun neurone di questo organo può sovrintendere ad un condizionamento positivo o, se rieducato, negativo e viceversa. Dunque il ricondizionamento comporta la sostituzione di un automatismo all'altro e non coinvolge la coscienza.

Con tutto ciò, la psicoterapia ha effetti variabili da individuo a individuo, per ragioni evidentemente biologiche, e non potrà mai scalzare per esempio il condizionamento dei primissimi anni (e tanto

7 A pag. 165.

8 “Lo scimmione intelligente”, pag. 168.

9 "Il mondo è una mia creazione", pag. 96.

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meno il dictat dei geni), che è irreversibile

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, in quanto modella il cervello.

Si dovrebbero chiudere tutte le facoltà di psicologia, perché ci raccontano miti. Le varie entità della psicanalisi sono come i soggetti di una Gigantomachia mitologica, di cui noi subiamo gli esiti:

L'Es, il Super-io, l'Io sono le divinità di cui Freud ha popolato i nostri ragionamenti (anche se sembrano vagamente corrispondere rispettivamente a ciò che è genetico, a ciò che è “quasi innato” e a ciò che è frutto di esperienza e apprendimento).

L'incoerenza di questa disciplina è tale da non permettere neanche di giudicare in generale se è vera o falsa; tuttavia alcune affermazioni certamente false ci sono, per esempio per quanto riguarda lo sviluppo della sessualità infantile e il complesso di Edipo.

Pulsioni e rimozione sono invece per lui privi di significato

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. Abbiamo già visto che per Boncinelli gli istinti umani sono uguali a quelli degli animali e ciò che li rende apparentemente diversi è la nostra capacità di usare la ragione, che ha un potere inibente e li argina.

Quanto alla rimozione, osserva che non è stata mai osservata scientificamente, così come non è stata mai osservata l'impossibilità che un contenuto inconscio arrivi alla coscienza

12

.

Ancor peggiore è il ricorso al concetto ottocentesco di carica energetica, perché non esiste energia senza finalità e punto di applicazione; di energia ce n'è fin troppa in tutti gli individui e non c'entra niente coi moti della psiche e coi comportamenti

13

.

Quanto invece ai concetti di spostamento, condensazione, razionalizzazione e sublimazione,

“sembrano conservare anche oggi una certa validità, almeno sul piano narrativo, se non su quello esplicativo.”

14

.

La psicoanalisi "non ha valore conoscitivo"

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, non è scienza e, dal momento che non c'è

sperimentazione e verifica, rischia di cadere nelle braccia dei ciarlatani, degli impostori e dei falsi guaritori

16

.

Che ben venga, secondo lui, una psicoanalisi che non abbia pretese di scientificità; ma la maggior parte degli psicanalisti, a partire dal suo maestro, non sarebbe d'accordo. Proprio per compiacere Carotenuto, come sappiamo egli provò a fare, a suo tempo, dopo aver letto Brenner, un riassunto di tale disciplina, ma non ci riuscì e ne dedusse che ciò non è possibile, perché si tratta di qualcosa di incoerente, quindi di non riassumibile.

La sua conclusione è che la psicanalisi non è scienza, perché non definisce i termini che usa o le sue definizioni sono ambigue, è incoerente e piena di contraddizioni. La psicologia, come la sociologia, è inoltre viziata dall'ideologia, che è proprio il contrario della scienza e "tira l'acqua al suo

mulino". Non riesce a fare previsioni e... talvolta neanche diagnosi! Si occupa di fenomeni irriproducibili, individuali e soggettivi, che non possono essere oggetto di scienza.

È pur vero che anche la medicina si occupa di individui ed è in buona parte clinica; anzi, in futuro quest'attenzione alla specificità individuale verrà straordinariamente accentuata attraverso una ricerca genetica e l'uso di biofarmaci mirati; ma tutto ciò è affiancato da uno studio teorico generale, che nella psicanalisi non c'è stato.

La psicoanalisi è dunque pura narrazione, che è una categoria dello spirito opposta alla descrizione.

La descrizione cerca di essere quanto più possibile impersonale, pronta alla collaborazione di molteplici soggetti, che cercano di essere quanto più possibile oggettivi o perlomeno intersoggettivi - che è quanto di più vicino all'oggettività possa esistere - e dà giuste spiegazioni, ricercando le

10 Pag. 111 di "Pensare l'invisibile".

11 Pag. 56 de "Il mondo è una mia creazione".

12 "Il mondo è una mia creazione", pag. 98.

13 "Come nascono le idee", pag. 120.

14 “Il mondo è una mia creazione”, pag. 99.

15 "Pensare l'invisibile", pag 122.

16 "Pensare l'invisibile", pag. 142-143.

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cause, che per ogni singolo fenomeno sono sempre molteplici e complesse (e ancora più complesse quando riguardano il sistema nervoso). Spiegazione e descrizione però non si adattano alla psiche, per la quale occorre la narrazione, in cui invece è sempre presente il soggetto, l'io narrante, che dà continuità al tutto e racconta le sue motivazioni, che non corrispondono quasi mai alle cause reali.

Si può forse pensare che il soggetto della psicoanalisi sia proprio la coscienza fenomenica, e si può forse dire che il suo metodo sia quello introspettivo, che egli definisce "dal di dentro" e a cui nega ogni valore

17

.

Però abbiamo visto che negli ultimi anni Boncinelli attribuisce proprio alla

coscienza fenomenica un'esistenza che sfugge a tutto il resto della realtà; in questo modo non dovrebbe anche riconoscere legittimità e dignità a tutte quelle discipline che di questa si occupano pur non essendo scientifiche (e magari proprio perché non lo sono)?

La narrazione manca totalmente agli animali, non solo perché non la possono esprimere non avendo linguaggio, ma perché non riescono a connettere eventi lontani nel tempo. Una delle grandi

caratteristiche distintive dell'uomo rispetto all'animale è proprio la dilatazione della memoria; un cane ha infatti strategie e certamente ha il senso del “qui e ora” – dunque anch'esso ha forse la sua coscienza fenomenica, come ammette Boncinelli - ma probabilmente non riesce a connettere episodi molto distanti nel tempo

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.

Con tutto ciò, la psicoterapia funziona (al contrario di quel che pensa la maggioranza degli scienziati tra cui Rita Levi Montalcini), anche se i suoi presupposti e linee teoriche non reggono.

Tante volte succede che ad una teoria sbagliata segua una pratica corretta (come fu per l'ipotesi, assolutamente falsa, della cadaverina, da cui si ritenevano affetti i cadaveri, che però portò alla sacrosanta abitudine di lavarsi le mani dopo ogni contatto, impedendo il contagio dei

microorganismi, che sono la vera causa del fenomeno).

Lavorare sulle cause esterne, sull'ambiente, sulla famiglia, spesso è inutile e faticoso, perché non vi riusciamo ad incidere, mentre lavorare sugli effetti organici è più semplice ed efficace. Poiché non si può distinguere la mente dal corpo, neanche si può parlare di malattie organiche chiaramente distinte da quelle psichiche. Ma mentre la causa di un problema può essere tanto esterna che psichica, la conseguenza non può che essere interna e organica

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, e quindi è comunque sensato lavorare sull'organico. La psicoterapia dunque, che di solito non cerca le cause ma lavora umilmente e artigianalmente per eliminare rapidamente i sintomi, è uno strumento tecnico che funziona. Conoscere le cause, ripete Boncinelli, non è necessario, mentre ciò che è necessario è decondizionare

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. I problemi d'ordine psicologico hanno certamente le loro cause, ma non è essenziale conoscerle per guarire.

La psicoterapia è molto utile, ma spesso deve essere affiancata dai farmaci, perché il paziente senza di questi talvolta non sarebbe neanche capace di ascoltare. Per esprimere la necessità di questo duplice approccio, psicologico e farmacologico, afferma che di fronte alla malattia mentale occorre infatti stare "coi piedi per terra e la testa in aria"

21

.

In ogni caso, è sempre dal basso, dal materiale e dal fisico, cioè dal corpo, che bisogna partire per

17 "Il mondo è una mia creazione", pag. 53.,

18 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 73.

19 Pagg. 74-75 di "Mi ritorno in mente".

20 Pagg. 136/7 de "Il mondo è una mia creazione".

21 Pag. 144 di Pensare l'invisibile".

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arrivare alla mente e magari anche allo spirito

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( secondo il percorso che egli stesso ha compiuto coi suoi libri, perché cominciò a scrivere di biologia e di embriologia pervenendo infine ad occuparsi di mente, di coscienza e di anima). Alcuni disturbi, come quelli maniaco-depressivi o bipolari, sono molto probabilmente su base genetica

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, mentre "si potrebbe scoprire in futuro che buona parte della componente ambientale della schizofrenia sia dovuta all'infezione di una particolare forma di virus, per esempio un virus cosiddetto lento che sta alla base di alcuni casi di ritardo mentale grave e del fenomeno della cosiddetta 'mucca pazza' ". Dunque l'organico è sempre alla base di tutto, anche se nei fenomeni psichici le influenze familiari e sociali giocano un ruolo importante ed hanno grande rilievo. Il mentale diventa perfino autonomo dal fisico, e ciò è più evidente nella persona sana che in quella disturbata. Infatti il disturbo psichico comporta una limitazione di libertà, un'uniformità che elimina le differenze, simile a "uno strato uniforme di muffa che copre un affresco policromo", che rende tutto omogeneo e indifferenziato, cosicché due persone psicologicamente malate sono tra loro più simili di quanto non lo siano due persone sane

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. Infatti, come sappiamo, morte e malattia

rappresentano l'indifferenziato, l'omogeneità, il caos, l'entropia, mentre la vita è ordine, individualità, differenza.

Qualcuno apparenta la psicanalisi alla psicologia sperimentale e alle neuroscienze, ma per quanto abbiano uno scopo comune, che è quello di conoscere l'animo umano, non c'è niente di più distante.

La psicologia sperimentale ha ottenuto finora buoni risultati ma è purtroppo estremamente lenta. Le neuroscienze sono davvero scientifiche, anche se sono "un po' troppo inclini alla filosofia"

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ed usano vocaboli introspettivi

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; spiegano il generale, avvalendosi dei risultati della psicologia sperimentale, della neurobiologia e delle neuroimmagini. Hanno purtroppo lo svantaggio, come altre discipline scientifiche, di essere poco intuitive e difficili da capire e da ricordare.

Il Comportamentismo ha escluso dai suoi obiettivi quello di aprire la "scatola nera" della mente, andando a studiarne solo cosa vi entra e cosa ne esce, e per quanto costituisca uno studio serio e sperimentale è però esasperatamente lento, come un po' tutta la psicologia sperimentale.

Il Cognitivismo invece, partendo dallo studio delle rappresentazioni, esclude ciò che è emotivo e contingente per concentrarsi sulla logica; sostiene l'importanza delle aspettative e degli schemi mentali, che avrebbero un potere prevaricante sulla scelta dei comportamenti rispetto all'esperienza.

Il problema è che oltre che della mente computazionale siamo dotati anche di una mente

fenomenologica e le due cose insieme formano ciò che ne "Il cervello, la mente e l'anima" egli ha chiamato anima o psiche; resta dunque fuori da questi studi l'emotività, che è la parte più rilevante, senza la quale non si può capire l'uomo.

Una parte del Cognitivismo, capeggiata da Jerry Fodor, guarda alle operazioni formali della mente, studiandola come entità autonoma, astraendola dai contenuti. Le loro “rappresentazioni” non sarebbero troppo diverse dagli psicostati di Boncinelli, che sono la misteriosa trasformazione, ad opera della corteccia, dei neurostati; ma se si escludono i contenuti, che provengono dalla realtà, s'ignora uno dei due corni imprescindibili della conoscenza, anche se tale realtà, secondo la lezione kantiana, non è mai oggettiva, perché è "trattata" dai nostri sensi e dalla corteccia, e non ha una corrispondenza perfetta con gli oggetti esterni, che di per sé non potremo mai conoscere.

È prevedibile che proprio il disagio psichico diventi però il maggior problema del futuro, perché è indotto dall'effetto spersonalizzante dell'attuale società. L'uomo ha bisogno di distinguersi dagli altri, cioè ha bisogno di percepire la propria individualità, vale a dire l'unicità della propria coscienza fenomenica, e quando non ci riesce entra in depressione; del resto anche i

22 Pag. 28 di "Pensare l'invisibile".

23 "Genoma: il grande libro dell'uomo", pag 83..

24 Ancora a pag. 169 de "I nostri geni".

25 Pag. 32-33 de "Il mondo è una mia creazione".

26 "Il mondo è una mia creazione", pag. 55, in cui dice anche che l' "eliminativismo"cerca di ripulirle da tali vocaboli.

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cuccioli di una nidiata vogliono esser distinti dalla propria madre e ciò ha un'evidente ragione di sopravvivenza. Questo sembra in qualche modo prospettare, suo malgrado, lunga vita alla psicologia!

… E CON LA FILOSOFIA

Per quanto la filosofia abbia fatto da battistrada alla scienza, tanto che questa non si è potuta sviluppare laddove la prima non si era precedentemente affermata

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, questi due tipi di conoscenza sono tendenzialmente in contrasto. Il fine della scienza è identico a quello della filosofia, della psicologia, della sociologia, perché è quello di conoscere e di capire; comune è anche lo sforzo di rigore, di razionalità e di comunicazione (qui Boncinelli dovrebbe aggiungere: “quando c'è”, perché nei filosofi egli lo riconosce solo raramente).

La differenza sta prima di tutto nella materia, perché la scienza si occupa dei soli fenomeni riproducibili e ciò permette a chiunque di rieffettuare gli esperimenti eseguiti, vale a dire che permette al contempo cumulabilità del sapere e verifica sperimentale. Perciò gli scienziati sono costruttivi mentre i filosofi sono “distruttivi”

28

. La filosofia dovrebbe cercare di partire da sfide se non scientifiche quanto meno osservative

29

. Tutte queste osservazioni testimoniano il suo concepire il pensiero in funzione dell'azione, non accettandolo quando è puramente contemplativo, nonostante che proprio il ritardo e la

sospensione della reazione ne siano il fondamento.

Mentre dunque la scienza attraverso cumulatività e intersoggettività ha raggiunto un progresso straordinario, altrettanto non è successo alla filosofia e alle discipline umanistiche, a causa del loro oggetto d'indagine. Alla filosofia, quand'anche essa usi la razionalità e il linguaggio in modo coerente, chiaro, non ambiguo, manca pur sempre il metodo sperimentale, e noi sappiamo che la ragione da sola ha limiti evidenti.

"La filosofia", dice Severino in colloquio con lui

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, "si rivolge al senso unitario del Tutto, per contemplarlo. La scienza moderna si rivolge invece alle singole parti, per dominarle, e quindi per cambiare il mondo mediante la capacità di predire il futuro". Rispetto a quest'affermazione mi pare che ci siano due elementi che portano Boncinelli a prenderne le distanze.

Da una parte, c'è di nuovo il riferimento al pensiero contemplativo, che egli giudica innaturale. Si potrebbe replicare che forse anche questo è un prodotto

dell'interrelazione tra uomo e natura, proprio come i piselli o la tecnologia, che non c'è ragione di disdegnare. Del resto, neanche la corteccia cerebrale è nata in

funzione della sopravvivenza, eppure per Boncinelli rappresenta l'apice dell'evoluzione biologica.

Dall'altra, c'è il concetto olistico del "Tutto". La scienza, se vuol esser tale, non può parlare del Tutto, ma deve circoscrivere precisamente il proprio metodo e il proprio oggetto. Tale

caratteristica, che può apparire come una limitazione, si risolve al contrario in forza, come già sappiamo.

Un discorso analogo è quello relativo al linguaggio, che risulta tanto più comprensibile quanto più esclude alternative possibili, perché così facendo elimina le ambiguità. Il linguaggio scientifico, più di ogni altro, deve essere chiaro, intellegibile per tutti, non deve essere evocativo e poetico, e la prova del nove per misurare la sua chiarezza e scientificità è vedere se è facilmente riassumibile e

27 "Dialogo su etica e scienza", pag. 33.

28 Pag 12 di "Che fine ha fatto l'io?".

29 Pag. 80 de "Lo scimmione intelligente".

30 "Il posto della scienza", pag.87.

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chiaramente comprensibile da chiunque. Invece il linguaggio del filosofo è spesso un modo con cui egli "avvolge la realtà in una rete di parole che non hanno né capo né coda

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".

"Mentre lo scienziato sa di non sapere e pazientemente aspetta in quella che abbiamo chiamato posizione di attesa appassionata, il filosofo vuole disperatamente sapere tutto e subito oppure non è contento finché non è riuscito almeno a fissare i termini e a circoscrivere i contorni dell'impresa conoscitiva che verrà.

32

"

E prosegue poco dopo:"La scienza non è prevedibile neppure nei suoi contorni più grossolani e nessuno può seriamente pretendere di sapere in anticipo dove ci condurrà." Boncinelli

contrappone infatti il discorso aperto della scienza, i cui sviluppi, come quelli della vita, non sono prevedibili, al discorso chiuso dei miti, e sottolinea che, contrariamente a quanto ci potremmo aspettare, tra i due tipi di “racconti” i più stupefacenti e affascinanti sono proprio quelli della scienza, che è riuscita ad indagare ben oltre ciò che la nostra natura genetica ci consente; dunque la realtà supera di gran lunga la fantasia!

Concettualizzare è molto utile, ma poiché molti concetti corrispondono a cose materiali, noi

ingenuamente crediamo che questo valga sempre; finiamo così col reificare concetti come "Europa"

o "verità" e ciò dà origine ad interminabili dispute filosofiche

33

. Le parole astratte, che servono a dare un senso alla vita, qualche volta in tal modo ce la rovinano.

Talvolta anche la scienza rischia di cadere in queste stesse trappole. Quando per esempio si parla di selezione naturale dobbiamo stare ben attenti a non farne un soggetto! Inoltre, perfino nella scienza si usano vocaboli introspettivi, che bisognerebbe invece eliminare, come "coscienza", "io",

"mente" (che d'altra parte egli stesso usa e spesso con significati diversi e non sempre precisati). In compenso però la scienza ha comunque una via d'uscita, per non rimanere prigioniera delle parole, perché fortunatamente ha il piano da una parte delle formulazioni

matematiche e dall'altra degli esperimenti, che alla filosofia purtroppo mancano.

I filosofi del '900 - egli ci dice - non sapendo come definire l'uomo hanno finito per sostenere che esso è qualcosa di variabile, è ciò che di volta in volta diviene, ignorando che invece c'è del permanente nell'umanità così come in tutti gli organismi viventi

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. Infatti c'è sempre una costanza, una continuità di fondo, senza la quale neppure l'evoluzione sarebbe possibile. Ignorarlo equivale a non capire la vita. Si tratta evidentemente del genoma- come già abbiamo osservato - che è la struttura di base, la costante su cui poi vanno ad innestarsi i meccanismi fantasmagorici del mutamento.

"La differenza tra la filosofia e la scienza è che la scienza si pone domande per cui esistono risposte, mentre la filosofia si pone domande a cui è sicuro che non c'è risposta."

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Però Kant è riuscito a distinguere le domande sensate che è bene porsi da quelle che non lo sono.

LE DOMANDE DI SENSO

Qualsiasi uomo, afferma Boncinelli in "E ora?"

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, indipendentemente dalla propria cultura si pone domande di senso, e la religione, che è universale, risponde proprio a tali domande

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(perciò la

31 Vedi nella mia intervista a pagina 207.

32 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 284.

33 "Io sono, tu sei", pag. 128.

34 "Lo scimmione intelligente", pag. 13.

35 "Dialogo su etica e scienza", pag. 80.

36 Vedi a pag. 46.

37 A fine pag. 53 di "E ora?" , proprio per sostenere l'affermazione che le domande di senso non c'è uomo che non se le ponga, scrive: "Però le religioni esistono dappertutto (e temo che ci saranno sempre). Se Galimberti concede

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religione non scomparirà mai). Ciò ha origini biologiche, perché porcele ci ha garantito la sopravvivenza, attraverso la costruzione di nessi di causa- effetto che ci hanno permesso di destreggiarci meglio nel mondo e che sono a fondamento dell'evoluzione culturale. Addirittura, senza tali domande il nostro cervello forse non esisterebbe neanche, perché esse, così come le generalizzazioni e le astrazioni, hanno una funzione euristica, vale a dire sono una scorciatoia e uno stratagemma: ci fanno risparmiare neuroni e ottenere un risultato migliore

38

. "Se devo ricordare ogni particolare delle quattro lattine di coca cola che abbiamo sul tavolo non ce la farò mai. Ma se dico: «Sono quattro lattine rosse», me lo ricordo e lo posso raccontare"

39

. Se l'istanza di base di tale ricerca è dunque genetica e permanente, a determinarne i contenuti concorre anche in larga misura la nostra esperienza personale e quella collettiva, cioè culturale, che invece è in evoluzione

40

. Il fatto che le nostre domande genetiche siano organizzate secondo criteri innanzi tutto di rilevanza e di pertinenza diventa una sorta di modello e di consuetudine che ci rende "cercatori di senso" sempre e dappertutto

41

.

Porci sempre e comunque tali domande, indipendentemente dal fenomeno considerato, ci fa cadere in braccio alla filosofia, alla metafisica e alla religione, la quale ultima assume molte forme, che rappresentano però tutte variazioni dell'animismo

42

. Infatti tali domande presuppongono che dietro ogni fenomeno ci sia sempre un'intenzione, una volontà che invece esiste solo nell'organico e nell'umano.

La ricerca di senso è in primo luogo ricerca di cause ed effetti, che ci permettono di capire mondo organico e inorganico. I concetti di causa ed effetto non sono sempre esistiti e sono insorti

probabilmente con le prime pratiche ripetute di caccia, di pesca, di raccolta e conservazione del cibo, ma poi soprattutto con l'apprendimento dei mestieri. In "E ora?", a fine pagina 47 scrive:"Il nostro cervello è strutturato in modo da cercare sempre spiegazioni causali agli eventi. È un computer, ma a differenza di quello elettronico non può fare il proprio lavoro se non trova un senso per ogni passo della propria elaborazione. Il nostro cervello – o almeno il mio e quello delle persone che ho frequentato fino a questa età – ha una necessità biologica di trovare le cause e il senso, e questo per una ragione legata alla teoria darwiniana. Intendo dire che il cervello si è strutturato in quella lunga fase della nostra storia naturale in cui dovevamo sfuggire al leone, trovare il riparo per la notte, cioè compiere azioni significative per la

sopravvivenza. Quindi la filosofia, la metafisica, il pensiero astratto in generale non sono altro che un prolungamento, al di là del lecito, di domande non solo lecite ma necessarie. È chiaro che a forza di cercare le cause e le cause delle cause, alla fine sorge spontaneo il desiderio di arrivare alla causa ultima; a forza di perseguire il fine ed il fine del fine, si giunge al fine ultimo. Di questo sono convinto. Sarei disposto a cambiare idea se qualcuno dimostrasse che esistono esseri umani che non si sono mai posti il problema della causa e del senso. Dubito però che una dimostrazione del genere possa essere data."

Quando interpretiamo tutto nei termini di causa-effetto, riproponiamo uno schema che ci è stato molto utile, ma che ha una valenza deterministica, che non vale per esempio nel mondo dei quanti e che ha molti limiti anche nel biologico. Nella vita infatti il calcolo delle probabilità deve sostituire il criterio di causa-effetto e quindi il determinismo, perché qui regna il caso – ma sarebbe meglio

che la religione risponda a una domanda di senso, gli chiedo allora perché le religioni sono così universali, cioè riguardano l'umanità intera, anche quella che egli ritiene impermeabile ai grandi interrogativi di senso."

Più oltre, a pag. 60, precisa:"La religione deve rispondere alla domanda 'cosa faccio, io, qui? E deve anche medicare una ferita."

38 "E ora?", pag. 56.

39 "E ora?", pag. 56.

40 "Io sono, tu sei", pag. 101.

41 "Io sono, tu sei", pag.100.

42 "E ora?", pag. 50.

(10)

dire che le cause sono soltanto contingenti e non necessarie - così che per indagare l'organico la logica deve essere sostituita dalla storia. Nella vita infatti il caso entrando nei meccanismi della permanenza e della ripetizione fa saltare ogni determinismo, rendendo il futuro non prevedibile e "aperto".

Sappiamo che il mondo organico è caratterizzato rispetto a quello inorganico dall'avere sempre una funzione, perché ogni struttura biologica è un insieme dinamico con una funzione specifica. Ed in più noi umani abbiamo dei fini, degli scopi consapevoli."La chiave di volta del passaggio dall'espletamento di una funzione al perseguimento di un fine è la volontarietà dell'azione e questa può comparire ovviamente solo là dove è presente un certo grado di libertà. Il

mitocondrio ha la funzione ma non lo scopo di fornire energia alla cellula: lo fa e basta. Le ali hanno la funzione ma non lo scopo di sostenere un uccello in volo. La loro funzione comincia a trasformarsi in un fine particolare quando l'uccello in questione decide di planare oppure di librarsi in volo, di continuare il volo oppure di atterrare, e questo a destra piuttosto che a sinistra e ora piuttosto che tra un po'.

È dubbio che si possa dire che un uccello ha consapevolezza delle proprie scelte e della conseguente messa in atto di particolari comportamenti. Forse di un cane e certamente di uno scimpanzé si può dire che possegga un determinato scopo, soprattutto quando mette in atto un comportamento che ha l'aria di non essere interamente compulsivo, istintivo e irriflesso. Tale comportamento apparterrà sempre a una gamma preordinata più o meno ampia, ma non sempre sarà obbligatoriamente implicato da quella particolare situazione.

Due sono in sostanza i parametri che possiamo utilizzare per caratterizzare questo

progressivo passaggio dall'espletamento di una funzione al perseguimento di una finalità con il procedere dell'evoluzione biologica: la gamma sempre più ampia di possibilità fra le quali scegliere la propria condotta e una crescente consapevolezza degli scopi e quindi dei mezzi da utilizzare."

43

.

Noi umani compiamo gesti oltreché istintivi anche deliberati e questa nostra capacità di

progettazione deriva da una dilazione nell'esecuzione dell'azione e da un'estensione della memoria che ci permette "una persistenza nel tempo di motivazioni e di intenzioni".

44

Ma non dobbiamo cercare gli scopi anche dove non ci può essere funzione, intenzionalità o consapevolezza, vale a dire nella natura o al di fuori del regno dell'uomo.

Applicare ogni volta lo stesso schema interpretativo rischia di farci sembrare come le scimmie di Köhler che quando trovano un escamotage, che in una circostanza ha funzionato, lo applicano poi con regolarità a tutte le altre possibili situazioni, ben diverse da quella data, dove esso non serve affatto e fa perdere solo del tempo!

Invece di immaginare dappertutto cause ed effetti, dovremmo osservare che raramente per qualsiasi fenomeno esiste una sola causa, ma vi è un complesso di concause. Se tra queste c'è un soggetto vivente, esso sarà indicato per abbreviazione come causa principale perché ha agito forse con un preciso scopo. Ma dove soggetti viventi non ce ne sono non si può parlare di scopi.

Generalmente, un evento ha una molteplicità di cause, e spesso nessuna di esse è voluta e

finalizzata, ed è inoltre difficile e inutile capirne la composizione; diciamo allora che tale evento è casuale. È in questo senso che il caso, come abbiamo visto, domina l'evoluzione biologica.

Accanto a questa nostra inclinazione animistica c'è poi anche la superstizione, che finisce per fare tutt'uno con essa, che consiste nella nostra tendenza, alimentata da certa psicologia, a non

riconoscere le coincidenze casuali in quanto tali, cercandovi invece significati che non ci sono e costruendo connessioni immaginarie. Invece che parlare di caso preferiamo parlare di fatalità, richiamando in tal modo improbabili volontà divine. Tutto ciò ci porta ad individuare capri espiatori ed untori, che ci fanno precipitare nell'irrazionale più retrivo.

43 Devo dire che la distinzione tra mezzi e cause, fini e scopi non è qui molto chiara, almeno per me.

44 "Io sono, tu sei", pag. 104.

(11)

Scrive anche a pagina 84 di "Verso l'immortalità":"Come non ci meravigliamo del fatto che la rappresentazione che abbiamo del mondo esterno sia fortemente condizionata dalle caratteristiche funzionali del nostro organo visivo (per esempio parliamo di colori perché i bastoncelli retinici dell'occhio umano riconoscono la frequenza della luce incidente), è

altrettanto comprensibile che la nostra prima idea sul funzionamento del mondo non potesse prescindere dal modus operandi del nostro cervello. Ecco quindi l'origine della ricerca di finalismo e progettualità, cioè di una volontà, non solo negli atti degli esseri umani e degli altri animali, ma persino nei comportamenti delle piante e degli oggetti inanimati". Noi ci chiediamo il senso di tutte le cose, compreso quello della vita, perché siamo abituati a ragionare in rapporto all'agire umano, che è spesso intenzionale; ma, come abbiamo più volte osservato, ciò che è legittimo ed utile in un certo settore non deve essere estrapolato in un altro, perché ha un campo di validità ben delimitato e - come la scienza c'insegna - dovremmo rifuggire dalle spiegazioni

totalizzanti. Si può forse dire, con termine psicologico, che noi proiettiamo nell'inorganico ciò che caratterizza solo il nostro mondo e vediamo volontà e intenzioni anche dove non possono esserci.

Poco più avanti prosegue: "Occorre rendersi conto che dei fenomeni naturali non c'è nessuna spiegazione ontologica o teologica. Le leggi naturali ci permettono di conoscere come si sviluppano e continueranno a svilupparsi i fenomeni naturali, non perché; esse descrivono e predicono, non spiegano. Tutto avviene in conseguenza di, non allo scopo di."

La scienza infatti non ricerca mai i "perché", ma solo i "come". Però, proprio perché non ci

fornisce spiegazioni sul “senso”, ci lascia psicologicamente insoddisfatti ed è questa la ragione per cui tanto spesso ci rivolgiamo altrove.

Quali sono le altre domande di senso, oltre alla ricerca sempre e comunque di rapporti di causa-effetto, di funzione e di finalità?

Le nostre domande di senso, oltreché genetiche, sono anche relative alle nostre valutazioni o

"valori", che sono spiccatamente sociali e che dipendono dall'attività della nostra mente, cioè dalla concettualizzazione – oltreché dall'emotività - che è difficilmente distinguibile dal linguaggio

45

. Ci sono domande utili e domande inutili. È utile per esempio che io mi chieda come faccio a raggiungere quella porta, ma non è sensato che mi chieda la funzione universale di quella porta

46

. Intanto, quelle che sono domande sensate in rapporto ad una situazione specifica diventano senza senso se le si sposta su una dimensione generale. Parlando dei meccanismi di funzionamento di un organismo, scrive a pagina 123 di "Che fine ha fatto l'io?": "Il batterio non si pone il problema perché, in questo senso, è migliore di noi. Il fatto che ci poniamo problemi è una debolezza, non una forza. Sono consapevole del fatto che, industriandoci a rispondere ai problemi che ci poniamo, abbiamo prodotto buona parte dell'evoluzione culturale che osserviamo, ma non l'ho mai considerato un fatto positivo in sé. La persona felice è quella che non si pone problemi; i problemi se li pone la persona infelice".

In "A caccia di geni" a pagina 81, dopo aver affermato che Kant c'insegna a distinguere le domande che ha senso porsi dalle altre, scrive: "Personalmente ritengo che non ci siano domande che l'Uomo non possa porsi; tutto sta nel formularle nella maniera giusta. Direi, a questo proposito, che il ruolo dei filosofi e degli scienziati è proprio quello di dare un'appropriata formulazione alle domande fondamentali, anche le più audaci. Per rispondere a queste domande disponiamo poi della nostra ragione e del metodo sperimentale. La ragione ha i suoi limiti, ma il suo uso sistematico è di gran lunga il migliore strumento conoscitivo che possediamo e il metodo sperimentale, quale ci è stato consegnato da quattro secoli di storia, avrà delle limitazioni, ma ci ha condotto ai confini di territori mai solcati prima."Dunque, le

45 "Io sono, tu sei", pagg. 107-108.

46 "Che fine ha fatto l'io?", pag.125

(12)

domande sensate sono quelle a cui è possibile dare una risposta razionale e sperimentale.

Ma qual è la domanda di senso "proibita" per Boncinelli? È innanzitutto chiedersi il senso della vita; per esempio in "E ora?" a pagina 59 scrive: "Vorrei a mia volta chiarire cosa intendo per "senso". Enucleare o astrarre certe caratteristiche da un complesso di cose è una esigenza del cervello umano. La scelta delle caratteristiche ha sempre una colorazione emotiva. Non credo che esista alcuna astrazione che non abbia a che fare coi sentimenti e che quindi non sia permeata di senso. Non solo. L'uomo è incline a portare agli estremi qualunque cosa possieda in nuce, per cui a un certo momento arriva a porsi il problema del senso della vita. Voglio dire che s'interroga sul senso di ogni cosa: di un fatto accaduto, di un fenomeno naturale, di un cacciavite, e a un certo punto esagera, esce dal seminato e si chiede quale senso abbia la vita."

47

Anche ne "L'universo e il senso della vita" (già il titolo è emblematico) , dopo aver intitolato l'ultimo paragrafo (pag. 56): "La domanda di senso", va ad analizzare il "senso della vita" e ci dice che la nostra mente si sforza di capire i perché e di

connettere cause ed effetti. Nella pagina successiva scrive:"...un senso, vale a dire uno scopo e un obiettivo"

48

.

Dunque si tratta dei perché, delle cause, degli scopi e degli obiettivi della vita, ma anche, come risulta dal brano riportato più sopra e che ho sottolineato, di tutto ciò che ha a che fare coi sentimenti, perché in quanto tale è necessariamente

“permeato di senso”. Infatti, come abbiamo visto precedentemente, è proprio l'amigdala che costruisce il “senso”, attraverso emozioni che rappresentano in forma riassuntiva il nostro commento sul passato e il confronto e l'aspettativa rispetto ad esperienze nuove. Ma quando il “senso” fornito in automatico da istinti ed emozioni non passa al vaglio della ragione e del metodo sperimentale, deve essere arginato. Pare che Boncinelli tenti di liberarsi più che può dall'emotività nelle proprie analisi, così che si concentra esclusivamente sulla mente

computazionale, sulla razionalità, sull'oggettività o intersoggettività scientifica per poi scoprire suo malgrado ogni volta che le emozioni vi sono mischiate in modo essenziale.

Io osservo tra parentesi che finché, in epoche passate, avevamo problemi di sopravvivenza, vivevamo in funzione di essa senza forse neanche esserne

consapevoli; adesso ci si domanda il senso della vita perché di solito non si hanno più problemi stringenti e quotidiani per sopravvivere e s'è dunque perso il timone della nostra avventura: siamo in piena nevrosi.

Osservo che egli alcune affermazioni sullo scopo della vita, anche se per negarlo, comunque le fa. Scrive infatti a pagina 53 di “Dialogo su etica e scienza”: “Dal punto di vista dell'esistenza del singolo [...]ho sempre pensato che il segreto della vita consista [… nel]cercare di vivere per la finalità di vivere, se uno ci riesce, senza cercare scopi superiori, quantomeno opinabili e remoti. Anche quello di inventare fini ultimi o

superiori è un costrutto umano, troppo umano.” E poche pagine dopo, a pag. 59: “Mi pare che il mondo, anche se sempre più globalizzato, non sappia proprio dove sta andando. Altro che progetto!” Negare l'esistenza di scopi e fini è comunque un modo di porsi e di rispondere a questa domanda “proibita”.

47 Le sottolineature sono mie e non sono presenti nel testo.

48 "L'universo e il senso della vita", pag. 57.

(13)

Ma la domanda di senso per antonomasia è poi anche quella esistenziale sul contingente, vale a dire: "perché qui ed ora?" o, citando Pascal: "perché qui piuttosto che là, o perché ora piuttosto che allora?"o ancor di più al quesito sul perché io esisto. Visto che la vita è contingenza, porsi domande sulla vita significa porsi domande sulla contingenza, sulla vita specifica e individuale. Ma queste domande bruciano quando sono relative soprattutto alla mia vita, alla mia coscienza fenomenica, cioè a

quell'eccezione che per lui sfugge al reale e al monismo, su cui occorre fare una resezione per escluderlo come se non ci fosse. Analogamente, forse anche a queste domande basterebbe non pensare...

LA SCIENZA

Sappiamo che per Boncinelli le varie discipline scientifiche si differenziano in quanto studiano la stessa identica realtà ma a temperature diverse.

Ciò deriva dal fatto che tutto l'esistente ha una comune origine ed è comparso mediante progressive cadute di simmetria. Da quando l'universo alla sua origine cominciò a raffreddarsi, man mano si formarono entità materiali di dimensioni sempre maggiori e sempre più complesse: gli atomi, poi le molecole, poi le cellule, poi i vegetali, poi gli animali fino all'uomo. Ciascuno di queste diversi livelli di realtà possiede proprietà che le sue componenti non posseggono e dunque deriva da quelle ma non vi è più riducibile, perché si tratta di un processo irreversibile. Boncinelli paragona la realtà a una torta millefoglie

49

, composta di tanti strati, in cui però ogni strato successivo presenta insieme alle proprietà degli strati precedenti alcune proprietà nuove (possiamo immaginare,

nell'esempio della torta, che in ogni nuovo strato venga aggiunto qualche

ingrediente che finora non avevamo usato), cosicché lo strato più antico partecipa un po' di tutti i successivi (vale a dire che i suoi ingredienti li ritroviamo anche nei successivi) ma non viceversa. Nessuno strato è legato al precedente da un criterio di logica necessità e ne rappresenta solo una delle molteplici possibilità di sviluppo, tra le quali non si sarebbe potuto prevedere quale si sarebbe realizzata. Vale a dire che il collegamento è di tipo storico e contingente e non logico.

Di conseguenza anche la scienza, applicandosi sotto forma di diverse discipline a realtà materiali differenti, è strutturata in maniera analoga. Così la fisica sembra rappresentare lo strato più basso, per cui le sue leggi non possono non valere anche in tutte le altre scienze; segue lo strato delle chimica, poi quello della biologia e infine della psicologia. Tale struttura assomiglia a quella degli insiemi concentrici e viene anche definita "a cipolla", in cui il dominio viene sempre più ristretto.

È per questa ragione che le regole dell'inorganico, cioè fisica e chimica, valgono anche per il biologico, ma non viceversa e che le regole del biologico valgono anche per lo psichico ma non viceversa, e così via. Ignorare questa regola provoca errori enormi, come abbiamo visto che succede se attribuiamo al livello fisico ciò che compete esclusivamente alla psichico, generando animismo!

Per studiare la logica e la matematica occorre una maggior serialità che per studiare altre discipline scientifiche e queste a loro volta necessitano di una serialità maggiore delle discipline umanistiche, tanto che si parla di "due culture", anche se la distinzione è solamente quantitativa, perché un po' di serialità occorre comunque. Ciò non significa che l'una sia migliore dell'altra, ma solo che esse differiscono non solo per contenuti ma anche per strumenti mentali

50

.

In Inghilterra si distinguono le scienze hard da quelle soft; matematica, fisica e biologia

rappresentano le prime, mentre tutte le altre, comprese economia e sociologia, rientrerebbero nel secondo gruppo. Boncinelli dubita però che queste due ultime e la psicologia, come sappiamo, siano

49 Pag. 12 di "Io sono, tu sei"

50 Pag. 218-219 di "Mi ritorno in mente".

(14)

realmente scienze

51

.

Capire, oltre che faticoso, è frustrante, perché significa abbandonare le illusioni ed è perciò che molti preferiscono non capire.

Occorre ricordare che il passaggio dal mondo prescientifico alla scienza è tutta questione di evoluzione culturale e non certo biologica, infatti non ha comportato cambiamenti organici, ma esclusivamente sociali, anche se universali, per cui qualora il trasferimento delle informazioni tra le persone cessasse, per qualunque motivo, la scienza scomparirebbe senza lasciare traccia.

La scienza "nella sua versione migliore è un osservare per fare e un fare osservando"

52

: è un insieme di teoria e di pratica.

Storicamente, essa è nata con Galilei, che infatti ha saputo coniugare le "sensate esperienze" alle

"certe dimostrazioni" introducendo il metodo sperimentale, misurando e quantificando e cercando relazioni matematiche. Infatti, né l'empirismo da solo né il solo razionalismo possono ottenere un simile risultato.

È nata nel '6-'700, preceduta dalla tecnica, e ci ha abituati a ragionare in termini di quantità (che non significa, come vedremo, necessariamente matematizzare) e di meccanismi. Per quanto il primato sia indiscutibilmente della teoria, che è anche più creativa della tecnica, la sperimentazione talvolta ci fa capire cose a cui speculativamente non saremmo mai arrivati, come è successo ad esempio con le nanotecnologie, che ci hanno permesso di manipolare e scoprire comportamenti della materia nuovi e sorprendenti

53

.

Abbiamo già detto che la scienza abbandona la pretesa olistica di spiegare tutto e che questa modestia è alla base della sua grandezza, mentre le ipotesi ardite la danneggiano. Per esempio, occorre evitare di pensare che l'evoluzionismo spieghi la morale, la politica o l'estetica, perché tali speculazioni sono spesso affascinanti ma senza verifica sperimentale

54

.

Si accusa la scienza di riduzionismo. E il riduzionismo può essere di tipo metodologico, che è quello che usiamo tutti - a cui non possiamo certo rinunciare - che consiste nello spiegare l'ignoto con il noto. C'è poi un riduzionismo ontologico, che consiste nello spiegare il tutto studiandone le parti, che è ciò che fa ad esempio con ottimi risultati la biologia molecolare. È vero che, come insegnano le proprietà emergenti, il tutto ha caratteristiche che le parti non contengono - perché vi sono diversi piani di realtà per uno stesso oggetto - e che quindi osservando un dettaglio mi sfuggono tali qualità. Ad esempio posso osservare un essere vivente da molti punti di vista:

atomico, molecolare, cellulare; a livello di organo, a livello di individuo, a livello di gruppo, etc.

Ma certo è che se non lo osserverò nei suoi costituenti di base, specie per la vita organica, non lo capirò mai!

Al contrario, l'olismo pretende di rifarsi alla teoria della complessità. Questa è un concetto scientifico che si applica correttamente a fenomeni non lineari, in cui cioè il rapporto tra causa ed effetto è sproporzionato (come nel famoso detto che il battito delle ali di una farfalla nella Terra del Fuoco può causare un tornado in Giappone) o in cui ci sono tantissimi parametri appartenenti a scale diverse (come nel caso di una foresta, in cui dobbiamo tenere presenti gli innumerevoli sottosistemi – dal livello degli atomi a quello dell'ecosfera - e le loro interrelazioni) e in cui non è per nulla facile prevedere l'esito di un certo evento. Ma l'olismo sostiene la complessità di tutto quanto l'esistente perché vuole affermare l'impossibilità di conoscere in generale, istigando al disfattismo. Certamente la realtà è complessa ed è proprio perciò che la scienza per poterla studiare semplifica, avendo rinunciato da tempo alla pretesa di spiegare tutto. Col passaggio "dal mondo

51 "Il posto della scienza", pag. 11.

52 "Il posto della scienza", pag. 47.

53 "L'anima della tecnica", pagg. 102/104.

54 "Perché non possiamo non dirci darwinisti", pag. 221

(15)

del pressappoco all'universo della precisione" abbiamo infatti imparato che la nostra ragione ci permette di capire solo alcuni dettagli per volta, mettendoli a fuoco separatamente; questo tipo di conoscenza, per quanto molto limitata, è di gran lunga la migliore che abbiamo. Le pseudoscienze invece sono il fast food della conoscenza, perché pretenderebbero di darci tutto e subito, con risultati che sono assolutamente inconsistenti o deleteri.

Le leggi scientifiche stabiliscono il comportamento possibile di un oggetto in determinate condizioni e tempi, ed escludono ciò che non è possibile, ma escludono allo stesso modo anche i casi singoli. Non affermano e non possono affermare l'esistenza di uno specifico oggetto o di uno specifico comportamento tra i tanti possibili. I dati specifici e contingenti di un determinato evento sono definiti "condizioni iniziali" e possono e devono essere studiati per quel caso in particolare, perché sono importantissimi per quell'evento, anche più delle leggi, ma non fanno parte delle leggi.

La scienza studia le costanti, cerca le leggi generali, si occupa cioè dell'invarianza e non può certamente rispondere alla domanda esistenziale sul contingente, che poi è la domanda

fondamentale di senso fenomenologico: "perché qui ed ora?" o "perché qui piuttosto che là, o perché ora piuttosto che allora?"o ancor meno al quesito sul perché io esisto. La scienza non si pone le domande fondamentali

55

e non può rispondere alle domande filosofiche di sempre

56

. A maggior ragione essa non può rispondere alle domande sulla coscienza fenomenica, che è evidentemente la questione su cui occorre fare la "resezione". Però, che

esista o no questo fenomeno, la proibizione di parlarne dovrebbe riguardare solamente la scienza e non quelle discipline che scientifiche non sono; anzi se questo fenomeno esiste potrebbero riguadagnare spazio e dignità metodi e discipline che sembravano superate e svuotate di funzione.

55 “Il posto della scienza”, pag. 167.

56 Pag. 25 di "Io sono, tu sei".

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