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Indice

Introduzione ... 3

CAPITOLO 1: La situazione storica ... 5

1.1 Dai Medici ai Lorena... 5

1.2 La dominazione francese ... 6

1.3 La Restaurazione ... 6

1.4 La condizione della città ... 9

CAPITOLO 2: IL TERREMOTO DEL 14 AGOSTO 1846 ... 12

2.1 Il terremoto visto dai contemporanei... 12

2.2 L’organizzazione amministrativa ... 15

Dominazione francese ... 18

Restaurazione ... 20

Governatori e Auditori ... 20

Camere di soprintendenza comunitativa ... 22

Dipartimento per la conservazione del Catasto ... 27

Segreteria del regio diritto ... 28

Economato generale dei benefizi vacanti ... 29

2.3 L’inizio della vicenda ... 32

2.4 Prospetto delle chiese danneggiate ... 34

CAPITOLO 3: SAN MICHELE IN BORGO ... 35

1. Descrizione chiesa ... 35

2. Danni provocati dal terremoto ... 37

3. Restauri post terremoto ... 41

4. Danni bellici ... 43

CAPITOLO 4: SAN SISTO ... 48

1. Descrizione chiesa ... 48

2. Danni provocati dal terremoto ... 50

3. Restauri post terremoto ... 51

CAPITOLO 5: SAN MATTEO ... 55

1. Descrizione chiesa ... 55

2. Danni provocati dal terremoto ... 58

3. Restauri post terremoto ... 59

4. Danni bellici ... 62

CAPITOLO 6: SAN SEPOLCRO ... 65

1. Descrizione chiesa ... 65

2. Danni provocati dal terremoto ... 68

3. Restauri post terremoto ... 70

4. Danni bellici ... 73

CAPITOLO 7: SANTA MARIA MADDALENA ... 75

1. Descrizione chiesa ... 75

2. Danni provocati dal terremoto ... 76

3. Lavori post terremoto ... 77

4. Danni bellici ... 78

CAPITOLO 8: SANTA CECILIA ... 80

(2)

2

2. Danni provocati dal terremoto ... 82

3. Restauri post terremoto ... 83

4. Danni bellici ... 85

CAPITOLO 9: SAN PIETRO IN VINCULIS ... 86

1.Descrizione chiesa ... 86

2. Danni provocati dal terremoto ... 89

3. Restauri post terremoto ... 91

CAPITOLO 10: SANTI COSIMO E DAMIANO ... 96

1. Descrizione chiesa ... 96

2. Danni provocati dal terremoto ... 99

3. Restauri post terremoto ... 101

CAPITOLO 11: SAN PAOLO A RIPA D’ARNO ... 104

1. Descrizione chiesa ... 104

2. Danni provocati dal terremoto ... 107

3. Restauri post terremoto ... 107

4. Danni bellici ... 111

CAPITOLO 12: SANTA CRISTINA ... 117

1. Descrizione chiesa ... 117

2. Danni causati dal terremoto ... 120

3. Danni bellici ... 121

CAPITOLO 13: SAN MICHELE DEGLI SCALZI ... 122

1. Descrizione della chiesa ... 122

2. Danni provocati dal terremoto ... 125

3. Restauri post terremoto ... 126

4. Danni bellici ... 131

CAPITOLO 14: SANT’ERMETE ... 134

1. Descrizione chiesa ... 134

2. Danni provocati dal terremoto ... 135

3. Danni bellici ... 136

(3)

3

Introduzione

Il 14 agosto 1846 fu un giorno drammatico che lasciò un segno indelebile nell’animo di tutte quelle persone che furono testimoni del flagello del terremoto che colpì le colline pisane. Interi paesi furono rasi al suolo, altri subirono danni minori, ma lo sconcerto fu tale che sia esperti, sia semplici osservatori, decisero di scrivere intorno a questo fenomeno. La lettura delle cronache coeve è stata il punto di partenza di questa tesi che è poi proseguita con l’analisi di diversi fondi dell’Archivio di Stato di Pisa.

Uno degli aspetti che ha trovato ampia documentazione nelle carte degli uffici amministrativi è la ricognizione dei danni subiti dal patrimonio storico monumentale ed in particolare dalle chiese pisane che già versavano in precarie condizioni per l’assenza o carenza di manutenzione. I problemi relativi al loro restauro non vengono completamente risolti dopo la catastrofe, ma si trascinano per tutto il XIX secolo e, in alcuni casi, anche in quello successivo.

Le chiese prese in esame in questa tesi sono le prime dodici che figurano nel Prospetto

delle fabbriche parrocchiali danneggiate dal terremoto del 14 agosto 1846 nella criminale giurisdizione di Pisa1. Di ognuna di queste ho cercato di tracciare un profilo, che

confrontando il prima e il dopo, permettesse di avere un quadro completo del loro stato nel corso dell’Ottocento. Tra le dodici chiese in questione, due sono suburbane: San Michele degli Scalzi e Sant’Ermete. Le altre dieci, invece, si trovano all’interno delle mura della città di Pisa e sono, nell’ordine in cui verranno trattate: San Michele in Borgo, San Sisto, San Matteo in Soarta, San Sepolcro, Santa Maria Maddalena, Santa Cecilia, San Pietro in Vinculis (San Pierino), Santi Cosimo e Damiano, San Paolo a Ripa d’Arno e Santa Cristina.

Partendo dalle relazioni dell’ingegnere di Circondario Corrado Puccioni (Comune di Pisa, Div. F, n° 941), che registrano lo stato delle chiese pisane negli anni 1834-1835, ho successivamente analizzato i diversi fascicoli che compongono il fondo della Camera di Soprintendenza Comunitativa (inventario 22) e i documenti del Governatore di Pisa (inventario 73, n° 234) che hanno per argomento le chiese danneggiate dal terremoto con le relative proposte di restauro. Nel fondo del Genio Civile (inventario 134, classe XXXI),

1

ASP, Governatore di Pisa, n° 234: Affari relativi a diverse chiese state danneggiate dal terremoto 1846 e 1847. Le altre chiese del Prospetto, poste nelle immediate vicinanze di Pisa e nei paesi più colpiti dalla catastrofe sono trattate in CASOTTI, M., Dalle ferite alla rinascita: le chiese e il terremoto a Pisa: 14 agosto 1846, tesi di laurea, Università di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea in Conservazione dei Beni culturali, a. a. 2008-2009.

(4)

4 invece, ho avuto modo di analizzare altre proposte di intervento per “urgenti” restauri. Infine, per quanto riguarda l’ultima parte della ricerca, che affronta i lavori di fine Ottocento-inizio Novecento, fino ad arrivare, in alcuni casi, all’analisi dei restauri post bellici, le notizie sono state ricavate dalla documentazione relativa alle singole fabbriche parrocchiali conservata presso l’Archivio della Soprintendenza di Pisa.

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5

CAPITOLO 1: La situazione storica

1.1 Dai Medici ai Lorena

I Lorena presero il potere dopo l’estinzione della famiglia Medici nel 1737, quando, alla morte dell’ultimo suo esponente Gian Gastone, Francesco Stefano, figlio del duca di Lorena e marito di Maria Teresa d’Asburgo, figlia maggiore dell’imperatore Carlo VI, ottenne dal suocero l’investitura della Toscana. In sua vece il governo fu affidato al reggente principe di Craon. Questo passaggio da una dinastia all’altra segnò una netta ripresa di iniziative economiche ed amministrative che si manifestarono attraverso la promozione di una serie di riforme che toccarono vari settori.

Nel 1766 fu nominato granduca Pietro Leopoldo, il quale durante i suoi numerosi viaggi raccolse diverse notizie che confluirono nelle sue Relazioni1, che dovevano servire da guida al suo successore e, più in generale, da modello per gli altri governi2. Negli anni del suo governo, Pietro Leopoldo rinnovò completamente gli organismi burocratici a cui era affidata l’amministrazione della Toscana e si assicurò un apparato di tecnici particolarmente efficienti e preparati3. Abolì quasi completamente le immunità del clero e riformò la chiesa per renderla quella che avrebbe dovuto essere, cioè una scuola di morale; impose il divieto di seppellimento nelle chiese, tanto che nel 1782 si decise di costruire un cimitero suburbano e trasformò alcuni conventi in istituti di educazione per fanciulle, in cui si provvedeva non solo al loro alloggio, ma anche al loro mantenimento, dietro pagamento di una dote4; inoltre, liberò se stesso e il clero dalla dipendenza da Roma, cercando di non portare i propri affari ecclesiastici al di fuori dei confini del granducato5. Fu proprio Pietro Leopoldo il primo vero protagonista delle soppressioni di alcune compagnie religiose, operazioni legate indubbiamente alla volontà di risanare le finanze del granducato e di abolire dei privilegi ormai da tempo radicati nella sfera ecclesiastica6.

1

Le relazioni sul governo della Toscana di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena furono pubblicate a cura di A. Salvestrini nel 1969. 2 PESENDORFER, 1987, pp. 99-100. 3 ZANGHERI, 1989, p. 172. 4 DI MEGLIO, a. a. 2003-2004, pp. 23-24. 5 SCADUTO, 1975, pp. 176-179. 6 CALIÒ, a. a. 2012-2013, p. 85.

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6 Nel 1790 il granduca lasciò la Toscana per il trono imperiale di Vienna e gli succedette il figlio Ferdinando III, chiamato a raccogliere l’eredità del padre, ma senza sfiorare nemmeno lontanamente i livelli raggiunti dal suo predecessore7.

1.2 La dominazione francese

Il granducato dei Lorena, tuttavia, attraversò dei momenti critici quando la Toscana, considerata una delle tante pietre su cui andava edificandosi l’impero francese8, fu invasa per un breve periodo, dal 23 marzo al 4 luglio 17999, e il granduca Ferdinando III fu costretto all’esilio a Vienna. Pochi mesi dopo i francesi abbandonarono il territorio italiano per poi farvi ritorno il 15 ottobre 1800. Con il Trattato di Lunéville, la Toscana venne assegnata a Lodovico di Borbone, figlio del duca di Parma, che ebbe il titolo di re d’Etruria dal 1801 al 1803. A lui successe il figlio Carlo Lodovico, sotto la reggenza di sua madre Maria Luisa10, fino al 1807, anno in cui la Toscana, con il Trattato di Fontainebleau fu annessa all’impero francese.

Dal 1809 al 1814, passò sotto il governo di Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone, già principessa di Piombino e duchessa di Lucca, che assunse il titolo di granduchessa di Toscana. Durante questi anni il territorio fu suddiviso amministrativamente nei tre Dipartimenti del Mediterraneo (corrispondente alle attuali province di Pisa e di Livorno circa), dell’Arno (attuali province di Firenze, Arezzo, Prato e Pistoia circa) e dell’Ombrone (attuali province di Siena e Grosseto circa). L’intero territorio dello Stato veniva così articolato in tre distretti del tutto indipendenti da Firenze, che dovevano essere amministrati secondo leggi e ordinanze emanate da Parigi11. Gli anni napoleonici furono importanti per le innovazioni apportate nell’organizzazione del potere centrale e nei vari rami dell’amministrazione12

, che prevedeva impiegati più numerosi e più preparati13.

1.3 La Restaurazione

Il 1814 fu l’anno che vide il ritorno del granduca Ferdinando III di Lorena. Dopo la parentesi napoleonica, Pisa si trovava ancora in uno stato di torpore che la caratterizzava 7 PESENDORFER, 1986, p. 5. 8 Ibidem. 9 G. CACIAGLI, 1970, p. 511. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 402. 12 BARSANTI, 1999, p. 202. 13 PESENDORFER, 1986, p. 405.

(7)

7 ormai da secoli14. Si potrebbe pensare che la politica riformatrice, iniziata con Pietro Leopoldo, abbia subito, con il granduca Ferdinando, una battuta d’arresto, ma questo fu dovuto principalmente alla delicata situazione politica del momento. La Restaurazione non segnò un brusco ritorno al passato: ciò che di valido era stato fatto durante il periodo francese, infatti, venne lasciato in vigore. Si cercò di fondere le riforme leopoldine con quelle napoleoniche, ma c’era un argomento su cui il granduca Ferdinando III e Napoleone avevano idee completamente diverse: la materia ecclesiastica. Mentre Ferdinando III, contrariamente alle disposizioni delle leggi leopoldine, aveva restituito alla chiesa una parte dei suoi beni, con decreto imperiale del 29 aprile 180815 vennero di nuovo abolite le corporazioni ecclesiastiche e i loro beni furono devoluti a scopi di pubblica utilità o posti in vendita16. Le soppressioni erano legate principalmente al problema delle finanze toscane e al bisogno di cancellare una serie di privilegi, facendo una distinzione tra clero utile e quindi necessario e quello ozioso e in soprannumero17. Dunque, gli edifici non molto ampi, con una popolazione poco numerosa e vicini ad altre parrocchie maggiori, furono considerati come un vero e proprio spreco di denaro e si preferì demolirli completamente, parzialmente o cambiarne la destinazione d’uso18. Il cambio d’uso di alcuni edifici non era comunque una garanzia per un loro migliore mantenimento. Gli edifici erano stati destinati di volta in volta a funzioni temporanee diverse, ma tali da non comportare particolari spese di manutenzione: magazzini, alloggi per militari, ricoveri di senza tetto, carceri, lazzaretti19. Nel caso in cui gli edifici religiosi venivano demoliti, si presentava la possibilità di migliorare le strade e le piazze cittadine20. La grande soppressione napoleonica dei conventi produsse un vero e proprio terremoto nel campo dei beni culturali21. Ferdinando III annullò il decreto imperiale di soppressione delle corporazioni religiose e, oltre a ripristinarle, ritirò dal commercio una certa quantità di beni confiscati per poterli restituire ai legittimi proprietari. Le riforme in campo ecclesiastico, già cominciate sotto Pietro Leopoldo, portarono in Toscana alla chiusura di centocinquanta conventi. L’operazione continuò in epoca napoleonica con la chiusura di altri

14

NUTI, 1998, p. 207.

15

Nel 1808, oltre ai conventi, furono soppressi anche l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano e l’Ufficio dei Fiumi e Fossi, sostituito dalla Camera di soprintendenza comunitativa.

16 BELLUCCI, 1984, p. 114. 17 FANTAPPIÈ, 1989, p. 236. 18 CALIÒ, a. a. 2012-2013, p. 88. 19 NUTI, 1998, p. 211. 20 CIUTI-LEONI, 2010, p. 10. 21 ZANGHERI, 1989, p. 175.

(8)

8 quattrocentocinquanta conventi e la confisca dei loro beni22 per risanare il debito pubblico maturato nel periodo granducale23.

Il granduca Ferdinando III regnò fino alla sua morte, avvenuta il 18 giugno 1824, a causa di una malattia contratta in Val di Chiana, durante una delle sue tante visite sui luoghi di bonifica.

Nel momento in cui Leopoldo II, undicesimo e ultimo granduca di Toscana, prese il potere, vi ritrovò un ordinamento politico e amministrativo simile a quello che era stato stabilito da suo nonno Pietro Leopoldo, che fu autore di tante riforme, ma che portò a compimento soltanto pochissime opere pubbliche.

I punti principali su cui si basava l’opera riformatrice del nuovo granduca furono i lavori di bonifica, che trasformarono grandi estensioni di terreno, prima paludose e malsane, in superfici coltivabili e l’ampliamento e il miglioramento della rete viaria, attraverso la costruzione di una fitta rete stradale in grado di collegare i diversi centri del granducato tra loro, oltre che le città con le campagne. Il padre gli aveva raccomandato, in punto di morte, di condurre una politica conservatrice, e fu questo il motivo per cui Leopoldo confermò tutti i funzionari pubblici e i consiglieri di Stato del padre, con Vittorio Fossombroni alla loro guida24. La sua fu piuttosto una politica di azione, dato che si trovò nella condizione di mettere in atto tutte le riforme che avevano ideato i suoi predecessori e che erano finalizzate alla creazione di uno stato moderno, che potesse essere al passo con le maggiori potenze europee e che potesse offrire alla popolazione un migliore stile di vita. Le principali sono rappresentate dall’abolizione degli antichi privilegi feudali, aristocratici ed ecclesiastici, con leggi in favore delle attività rurali, da una politica economica liberista, dal riordino dell’amministrazione finanziaria e dall’equità fiscale, dal bilancio pubblico dello Stato, dal riordinamento della magistratura e del sistema carcerario, dall’istruzione scolastica e universitaria, dall’impulso alle autonomie locali, dalla neutralità in politica estera25.

Una vera e propria novità del XIX secolo fu la nascita della strada ferrata. Le prime, che sorsero in Toscana durante il granducato di Leopoldo II, non furono opera diretta del governo, il quale si limitava semplicemente ad autorizzare le concessioni a società private, senza intervenire direttamente nella progettazione o nei lavori. L’idea di costruire ferrovie

22

L’ingente patrimonio di opere d’arte che si venne ad accumulare in seguito a queste azioni fece emergere ben presto il problema della sua conservazione e tutela. Alcune opere furono raccolte all’interno del Camposanto monumentale per opera di Carlo Lasinio nominato conservatore da Maria Luisa di Borbone.

23

BARSANTI, 1999, pp. 235-236.

24

PESENDORFER, 1987, pp. 141-142.

(9)

9 non fu accolta con particolare entusiasmo perché il granduca era prevalentemente “agricolo”26

. Nonostante questi tentativi di stare al passo con gli altri paesi, la Toscana, infatti, incontrò delle difficoltà dovute alla mentalità ancora agricola e non industriale della classe dirigente. L’industria, infatti, non venne molto incoraggiata, ma, con un po’ di ritardo rispetto ad altre aree del continente, iniziò comunque un lento processo di sviluppo, nel segno della Rivoluzione industriale. Tuttavia, ancora tanti anni dopo la nascita della prima ferrovia, le materie prime continuavano ed essere importate, specialmente dall’Inghilterra27

.

1.4 La condizione della città

Bisogna precisare che questi interventi toccarono anche centri che prima erano ritenuti di secondo piano. Pisa, ad esempio, divenne una specie di seconda capitale, dove la famiglia granducale soggiornava per diversi mesi all’anno, soprattutto in quelli invernali, godendo del clima più mite rispetto a quello fiorentino. Proprio qui, però, all’arrivo delle truppe austriache, che entrarono da Porta Nuova il 22 giugno 1737, la situazione si presentava deplorevole, tanto che la Reggenza decise di avviare un’ispezione generale sul territorio pisano da effettuarsi sotto il controllo dell’auditore Pompeo Neri. Questa operazione durò per ben quarantacinque giorni e costituì il primo passo per l’attuazione di un piano di risanamento e di bonifica28. Già i viaggiatori del secolo precedente Pisa appariva come una città spopolata in cui la gente e le attività che vi si svolgevano erano concentrate tutte intorno al fiume e nelle strade più vicine al ponte. Questa divenne un’etichetta sempre più sbrigativa per descrivere la città anche in tempi successivi.

Tuttavia con la presa del potere da parte della nuova dinastia, si assistette ad una lenta ripresa dei lavori pubblici, dopo secoli di stasi. Si trattava comunque di piccoli interventi, in particolar modo di ristrutturazioni di edilizia pubblica e privata, di modesto impegno finanziario, ma fatti con regolarità e apprezzabili risultati. La politica urbana perseguita fin dall’inizio dai Lorena fu finalizzata alla costruzione di fabbricati di cui tutti i cittadini potessero godere e quindi adatte ai loro bisogni, secondo una politica di comodi pubblici29. Nel 1745 fu abbattuta la torre del Corpo di guardia, posta allo sbocco del ponte di mezzo nel lungarno di tramontana, e al suo posto fu costruito il Casino dei Nobili. Il palazzo fu impostato in forme tardo barocche su tre alti archi per un duplice motivo: da una parte 26 BELLUCCI, 1984, pp. 354-356. 27 Ivi, p. 394. 28 TOLAINI, 1992, p. 129. 29 TOLAINI, 2007, pp. 185-186.

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10 riprendeva le arcate di Borgo Stretto e dall’altra si rifaceva al motivo delle Logge dei Banchi che sorgevano dalla parte opposta del lungarno30. Sempre per l’utilità pubblica, ossia per proteggersi dalla furia delle acque del fiume, furono risanate le sponde dei lungarni Mediceo e Pacinotti, ma anche abbellite, ad opera dell’architetto Ignazio Pellegrini, soprintendente della fabbriche imperiali31. Per quanto riguarda le chiese, alcune scomparvero, altre invece, subirono un rinnovamento degli arredi e, addirittura, la chiesa di Santa Maria Maddalena fu rifatta, ai primi del Settecento, da Andrea Vaccà32.

Pietro Leopoldo arrivò a Pisa nel maggio 1766 e trovò la città in uno stato di miseria, con aria malsana. Egli cercò dunque di realizzare nella città qualcosa di veramente utile. Innanzitutto, sotto di lui, ci si occupò dei restauri delle sponde del fiume Arno, della sostituzione dei grandi scali con scali più piccoli o addirittura della rimozione di alcuni di essi come avvenne per quello di fronte alla chiesa di San Sepolcro. Le sponde andavano quindi via via assumendo un aspetto più uniforme e regolare, anche se il pericolo delle inondazioni non fu scongiurato33. I lungarni, dunque, si trasformarono, dando spazio a due ampie vie lungo il fiume e perdendo definitivamente i segni del loro passato mercantile. Per quanto riguarda la rete viaria, all’inizio del granducato lorenese, a Pisa, le strade d’impianto antico, versavano quasi tutte in stato di abbandono. Il passaggio delle carrozze era in alcuni punti impossibile per le dimensioni troppo strette, rese tali anche dalla presenza abusiva di alcuni ingombri edilizi34. Il fondo stradale era poi così sconnesso in alcuni punti da costituire un pericolo. Poiché gli stretti vicoli non erano molto comodi per il transito, in alcuni di essi cominciarono ben presto ad accumularsi immondizia e acque stagnanti, anche perché i rifiuti di qualsiasi genere venivano buttati giù dalle finestre35. La loro pulizia spettava a squadre di forzati. Spesso privi di illuminazione, erano dei luoghi ideali per rapine o aggressioni. Il comune allora decise, se non si trattava di tratti essenziali per il collegamento, di cedere questi vicoletti a privati, ricavandovi il prezzo del suolo e risparmiando così anche il denaro per la manutenzione36.

Sotto il governo di Pietro Leopoldo, la manutenzione dei fossi venne intensificata e si provvide anche a riparare le perdite dell’acquedotto che si presentava in pessimo stato. Anche le condizioni igienico-sanitarie non erano delle migliori, specialmente nel terziere di 30 TOLAINI, 2007, p. 189. 31 CAVAZZA-MARCHETTI, 2000, pp. 28-29. 32 TOLAINI, 2007, p. 191. 33 Ivi, pp. 192-193. 34 NUTI, 1998, p. 208. 35 TOLAINI, 2007, p. 194. 36 NUTI, 1986, p. 32.

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11 Santa Maria, in cui, nel 1767, scoppiò una febbre epidemica malarica, la cui causa venne attribuita ad un cimitero realizzato nel 1747 per l’ospedale e situato tra il Camposanto e le mura. Questo, allora, fu subito soppresso e se ne realizzò un altro, posto fuori Porta Nuova sulla via Pietrasantina. Fu proprio da quel momento in poi che le condizioni di vita migliorarono e Pisa iniziò a divenire meta di soggiorno di molti forestieri37.

Come già accennato, il primo autore delle soppressioni delle compagnie laicali e di alcuni conventi fu proprio Pietro Leopoldo. Molte di queste compagnie avevano sede in edifici poco rilevanti, altre volte in vere e proprie parrocchie e, di conseguenza, si arrivò alla distruzione totale o parziale di queste chiese che portò con sé anche la modifica delle zone circostanti. La scomparsa di una ventina di chiese nell’arco del solo governo di Pietro Leopoldo significò la scomparsa del volto medievale della città di Pisa, caratterizzato proprio dalla presenza di numerosi edifici religiosi in spazi ristretti38.

Durante il periodo della dominazione napoleonica a Pisa non si registrarono interventi edilizi rilevanti, ma si proseguì solo, in maniera modesta, quello che era stato iniziato già sotto Pietro Leopoldo, ossia un graduale aumento dei settori abitativi ottenuti attraverso sopraelevazione o l’occupazione di suoli da parte di alcune case già esistenti nelle zone centrali urbane. Intanto gli insediamenti periferici lungo via del Borghetto, in Sant’Ermete e Barbaricina, conobbero un notevole sviluppo.

La cultura e le arti ebbero un ruolo principale negli anni napoleonici. La regina Maria Luisa, nel 1807, istituì un posto di conservatore per il Camposanto, affidando questo compito a Carlo Lasinio, già insegnante all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il monumento divenne allora una specie di museo in cui si iniziarono a raccogliere oggetti d’arte di diversa provenienza, onde evitare una loro dispersione. Tuttavia vi fu anche un riscontro negativo poiché il Lasinio cominciò ben presto ad asportare in maniera impropria anche frammenti architettonici da monumenti per farne bella mostra in Camposanto. A Carlo Lasinio si deve inoltre la fondazione dell’Accademia delle Belle Arti di Pisa, istituita con un decreto datato 21 gennaio 1816, e che ebbe come sua prima sede i locali del vecchio Seminario Arcivescovile. Dopo svariati spostamenti di sede, l’Accademia trovò come sistemazione definitiva il palazzo Schippis, in via San Frediano, acquistato appositamente dalla Magistratura comunitativa nel 184639. Nel 1860 il compito di sorvegliare il patrimonio venne affidato a speciali commissioni a capo delle quali vi era un

37 TOLAINI, 2007, pp. 194-196. 38

Sul tema delle chiese scomparse nel terziere di Chinzica e il quello di San Francesco si vedano, rispettivamente, le tesi di laurea di C. ZUCCHELLINI, a. a. 2011-2012 e di A. CALIÒ, a. a. 2012-2013.

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12 ispettore locale ed infine all’Accademia vennero sottratte anche le collezioni che andarono a formare il primo nucleo del museo civico ospitato nella chiesa e nel chiostro di San Francesco. Un’altra istituzione che rendeva grande la fama di Pisa era senza dubbio l’Università che attirava in città un gran numero di giovani provenienti da famiglie che godevano di un certo benessere economico.

Intanto continuavano le soppressioni degli enti religiosi. Il caso più significativo è costituito dalla soppressione del convento delle Clarisse di San Lorenzo alla Rivolta nel 1808. Lo stabilimento venne dapprima adibito a carcere, dal 1811 al 1813, dopo di che se ne decise la demolizione per costruirne una gran piazza per gli spettacoli pubblici. Nel novembre 1815 la demolizione era ormai portata a termine.

Con la Restaurazione, le iniziative edilizie continuarono ad essere scarse. Solo negli anni Venti dell’Ottocento si registrò una lenta ripresa nel settore dell’edilizia pubblica attraverso il rifacimento dello scalone in marmo del palazzo della Carovana e il restauro della chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri. Si pose poi mano al restauro del palazzo Pretorio, cui si pensava ormai da tempo, per ragioni sia pratiche che estetiche40.

L’arrivo in città di due strade ferrate, la fiorentina e la lucchese, modificò la popolazione dei visitatori. Da un turismo di élite, si passò a un turismo più diffuso, anche tra vari strati della popolazione, che potevano in questo modo spostarsi facilmente da un posto all’altro, senza dover fare per forza lunghe soste in città. La prima a nascere, presso Porta Fiorentina, fu la Leopolda, così chiamata in omaggio al granduca Leopoldo II, realizzata tra il 1841 e il 1848 da una commissione di professionisti toscani guidata da Stephenson-figlio e che metteva in collegamento Pisa con Firenze. L’inaugurazione del primo tratto che univa Pisa a Livorno avvenne il 13 marzo 1844. Il tratto Pisa-Pontedera venne inaugurato l’anno successivo, il 18 ottobre ed infine, il collegamento con Firenze, il 12 giugno 184841. Il 15 novembre 1846, fu aperta la ferrovia Pisa-Lucca all’esterno del tratto settentrionale delle mura urbane, utilizzando, anche in questo caso, capitale privato. Questa innovazione dei mezzi di trasporto provocò il malcontento tra coloro che svolgevano attività legate ai trasporti tradizionali e che si ribellarono fin da subito dando luogo ad atti quali distruzioni, sequestri dei convogli, incendi e blocco dei binari. Pisa venne quindi ben presto a trovarsi al centro della prima rete ferroviaria nazionale.

40

TOLAINI, 2007, pp. 203-205.

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13 Ci si limitò a questi interventi perché la società pisana attraversò dei periodi di crisi economica che furono causa di momenti di stasi dell’attività edilizia. L’iniziativa privata, nei primi anni dell’Ottocento, iniziò ad assumere un ruolo di primo piano. Ma sia l’attività pubblica, che quella privata, in questi anni, erano volte allo stesso obiettivo: rendere più decoroso e moderno il volto della città42. L’architettura lorenese, infatti non puntava a grandi opere, ma agli interventi minimi ed indispensabili per dare una certa uniformità ed eleganza al volto della città.

42 MELIS-MELIS, 1996, p. 94.

(14)

12

CAPITOLO 2: IL TERREMOTO DEL 14 AGOSTO 1846

2.1 Il terremoto visto dai contemporanei

Il 14 agosto 1846 un forte terremoto, di magnitudo 5.6, colpì la città di Pisa. L’epicentro era situato ad Orciano Pisano, dove crollarono 99 case su 113, e una quarantina di paesi, fra le province di Pisa e Livorno subirono danni ingenti1. Un’importante fonte di informazioni intorno all’evento sismico è rappresentata dalle descrizioni dei testimoni oculari: Giuseppe Tabani, Cesare Tellini e Leopoldo Pilla, professore di geologia2. Tutte queste narrazioni sono basate sull’osservazione diretta e su dati raccolti direttamente sul posto, ascoltando i vari racconti della gente colpita dal flagello. Ma oltre alle storie della gente comune, in esse si presta anche grande attenzione al paesaggio, alle strade e agli edifici, osservando in particolare il comportamento di questi ultimi. Numerose sono le testimonianze di paramenti murari che si aprono lasciando filtrare un lampo di luce e si richiudono repentinamente senza lasciare nessuna traccia visibile, o di solai che si dilatano facendo cadere quello che c’è al piano superiore e si ricompongono, o di volte e archi che si sconnettono e si riconnettono senza cadere. Ma, mentre per i primi fenomeni è necessario il racconto da parte di chi ha assistito al fenomeno, per quanto riguarda gli archi e le volte è possibile leggere il danno provocato dal sisma direttamente sull’edificio, poiché la chiave d’arco scivola verso il basso e si riassesta grazie alla sua forma tronco piramidale, evitando un crollo3.

Le narrazioni, inoltre, attraverso degli schemi riassuntivi, ci forniscono dati precisi circa il numero degli abitanti , dei morti o dei feriti, ma anche il numero totale delle case, di quelle danneggiate e di quelle crollate. In questi prospetti Pisa non è presente, poiché la descrizione riguarda solo i paesi più colpiti o quelli che erano stati visitati direttamente. Il Pilla, non si limita a seguire solo questo semplice schema, ma lo amplia aggiungendo anche delle considerazioni sulla natura del suolo e degli edifici.

Il professor Pilla si trovava all’interno del Museo di storia naturale dell’Università di Pisa quando la terra cominciò a tremare. Nei tre giorni successivi egli andò a visitare i paesi devastati dalla scossa: Lorenzana, Orciano, Montescudaio e Casale. Già il 19 agosto fu stampato un suo opuscoletto, il cui ricavato doveva essere devoluto ai bisognosi, dal titolo

1

http://meteoterremoti.altervista.org/blog/terremoti/i-terremoti-storici-della-toscana/

2 Leopoldo Pilla fu chiamato ad occupare la cattedra di geologia e mineralogia presso l’Università di Pisa,

dove arrivò nel 1844.

3

Per un’ampia trattazione dell’argomento, si veda l’introduzione di D. ULIVIERI, in “Il terremoto delle colline…”.

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13

Poche parole sul tremuoto cha ha desolato i paesi della costa toscana nel quale

rassicurava gli animi spaventati, invitava la gente ad essere solidale e chiariva le cause di questo fenomeno naturale.

Il granduca in persona si recò a visitare i paesi danneggiati, in compagnia di Alessandro Manetti, direttore del Corpo degli ingegneri di acque e strade, e già il 29 agosto emanò un decreto in cui erano indicati e regolamentati i provvedimenti di soccorso. Tutto ciò mise in moto la grande macchina tecnico-amministrativa attiva sul territorio, alla quale era affidato il compito di prendere dei provvedimenti in questo stato di emergenza. Il granduca voleva principalmente prestare soccorso e far fronte ai danni arrecati alle popolazioni e agli edifici, ma ciò si ricollegava ad un preciso disegno politico volto ad evitare la rottura della pace sociale a causa di questo tragico avvenimento. L’amministrazione cercò di rispondere con razionalità ed efficienza ai problemi derivati dal terremoto, avvalendosi dell’aiuto degli ingegneri granducali, ma non sempre furono raggiunti risultati apprezzabili.

Colui che meglio degli altri riuscì ad affrontare un argomento che aveva provocato un forte spavento negli animi, approfondendolo grazie all’osservazione diretta o alla raccolta di notizie ricavate da interviste alla gente del posto, fu proprio Leopoldo Pilla.

“Ai primi di Agosto il cielo principiò a velarsi su Pisa, a luogo a luogo, di nubi. Biancastre nel giorno, si stringevano nere a sera verso occidente, e pareano promettere la desiata pioggia, ma pioggia non venne […]. E in questa guisa giungemmo al dì 14, fatale, da segnarsi tra’ più nefasti”4. “Il 14 agosto si levava a Pisa sereno e tranquillo come i giorni

precedenti”5

. Il Pilla si trovava nella sala di mineralogia del Museo di storia naturale dell’Università di Pisa. Mancavano pochi minuti alle tredici6

quando l’aria veniva sempre più infuocandosi7 e un fragore sopraggiunse come un vento tempestoso. La sala cominciò dapprima a vibrare, seguì poi un movimento in senso orizzontale. Giunto alla finestra, con i calcinacci della sala che iniziavano a cadergli addosso, vide uno degli spettacoli più terribili che potevano presentarsi alla vista di un uomo: le case intorno e gli alberi si muovevano in modo spaventoso ma poi, a poco a poco, tutto si fermò. Terminata la scossa, il Pilla uscì fuori e vide le strade piene di gente che aveva dipinto in faccia il terrore 4 TABANI, 1846, p. 6. 5 PILLA, 1846, p. 7. 6

“Il tremuoto Toscano seguì a 1 ora meno 5 minuti pom.”, PILLA, 1846, p. 100. Tuttavia, l’ora esatta in cui si registrò la catastrofe è riportata in maniera diversa negli altri scritti del tempo: “Ed ecco, sei o sette minuti innanzi la prima ora pomeridiana, un cupo fragore”, TABANI, 1846, p. 6; “[…] a ore 12 e minuti 57 meridiane una romba tremenda spaventosa feriva gli orecchi degli abitanti di Pisa e di Livorno”, TELLINI, 1846, p. 4.

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14 provato. Il movimento fu inizialmente di tipo vibratorio e poi ondulatorio, e la durata dell’oscillazione fu di 25-30 secondi, anche se erano molti quelli che la riducevano a 12 o 15 secondi8. Dopo la prima scossa se ne registrò un’altra, sempre il 14 agosto, di sera, verso le ore 22, ma molto più debole, e il giorno dopo, il 15 agosto, intorno alle tre del pomeriggio se ne verificò un’altra ancora, ma così fievole che quasi nessuno l’avvertì. La linea di azione principale si manifestò lungo la costa, dalla foce del fiume Arno a quella del Cecina, seguendo quindi una direzione che andava da nord-ovest a sud-est, dalla costa ai primi colli subappennini. Da qui poi l’energia si propagò fino toccare i paesi di Lorenzana, Orciano, Riparbella, Montescudaio, Bibbona. Al dì là di questo spazio, l’azione della scossa si propagò, ma con intensità decrescente. Ovviamente, i paesi che sorgevano in pianura risentirono in maniera minore della scossa rispetto a quelli posti in collina. Oltre alla loro collocazione, i danni subiti dai centri abitati variarono anche in base alla tipologia del suolo. Come sappiamo, infatti, se la sua natura è friabile e poco consistente, renderà meno solida la costruzione degli edifici che vi poggiano sopra, così come le fondamenta instabili di una casa rendono instabile la casa stessa9.

“A Pisa, siccome in piano, essendo fabbricata su un terreno instabile ed arenoso, per quanto il terremoto l’abbia fortemente scossa, i danni sono stati di poca entità” 10

.

“I disastri che la città di Pisa ha sofferti da tale sciagura sono assai pochi in confronto di quelli che poteano accadere” 11

. Il Tabani afferma che Pisa non aveva da piangere che pochi danni12. Quelli maggiori si registrarono nella chiesa di San Michele in Borgo, dove cadde la volta della navata sinistra, ma essendo avvenuto il terremoto in quel giorno, e a quell’ora si evitò un massacro. Tra i pisani non si contò nessuna vittima. Quasi tutti gli edifici però, sia religiosi che civili, riportarono dei danni consistenti in varie crepe. Come ben aveva osservato il Pilla, “le stragi di questo flagello dirivano tutte dalla necessità in cui è l’uomo di passare buona parte della sua vita sotto al tetto” 13

. Coloro che al momento della scossa si trovavano in aperta campagna, lontano dai centri abitati, la avvertirono molto meno. Quindi, quasi paradossalmente, si potrebbe affermare che proprio il bisogno di stare sotto un tetto, nelle abitazioni, ossia nei luoghi dove ci si sente più al sicuro, ha

8

“Per non meno di dodici secondi Pisa barcollando in modo da saettare lo spavento anche nei più duri degli animi, sembrò inabissare”, TABANI, 1846, p. 7.

9 PILLA, 1846, p. 16. 10 CALAMAI, 1846, p. 11. 11 PILLA, 1846, p. 9. 12 TABANI, 1846, P. 8. 13 PILLA, 1846, p. 32.

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15 portato a conseguenze disastrose in caso di terremoti. Secondo il Pilla l’intensità di un evento sismico era dovuta a diversi fattori, ovvero: alla forma e alla solidità degli edifici, alla forma del suolo e alla sua natura geologica14. Se, infatti, un edificio è basso e ha una larga base resisterà meglio alle scosse rispetto ad uno alto con una base stretta. Se poi questo è isolato, sarà agitato con una forza maggiore poiché non potrà trasmettere l’urto agli edifici vicini15.

Certamente, come afferma il Pilla “la conoscenza dell’avvenire non è concessa alle facoltà dell’uomo”16

ma “le sciagure rendono l’uomo accorto, e lo mettono nella necessità di prendere cautele e provvedimenti onde in altre contingenze simili non sia colto alla sprovvista”17. E questo era appunto ciò che si augurava l’illustre professore.

Coloro che assistettero al drammatico evento furono consapevoli dello sventato pericolo, perché, essendo avvenuta la scossa il 14 agosto e non il giorno dopo, in cui molti fedeli si sarebbero recati ad assistere alle sacre funzioni, per il giorno dell’Assunzione di Maria, restando senza dubbio sotto le macerie. Il fatto di non aver subito nessuna perdita umana, ma solo danni al patrimonio edilizio, li convinse che quello fu un vero e proprio miracolo18.

E “la Magistratura medesima crederebbe di mancare al più sacro dei suoi doveri se omettesse di provocare rendimento di grazie alla Beatissima Vergine con quella solennità che è giustamente reclamata dalla grandezza del benefizio, e dall’importanza dell’oggetto. Quindi delibera di promuovere coi mezzi consueti avanti l’Autorità Ecclesiastica una solenne funzione in nome della Beatissima Vergine volgarmente detta di sotto gli Organi coll’esposizione della Sacra Sua Immagine traslandola nel Coro principale”19

.

2.2 L’organizzazione amministrativa

Per comprendere come fu affrontata e gestita l’emergenza del patrimonio monumentale all’indomani del terremoto è necessario descrivere la complessa macchina amministrativa dalle cui competenze dipendevano le operazioni.

14 PILLA, 1846, pp. 106-107. 15 Ibidem. 16 Ivi, p. 7. 17 Ivi, p. 175. 18

Le vittime furono in totale 60, 18 delle quali solo ad Orciano. ASP, Camera Comunitativa n° 1066, terremoto 1846, Nota dei morti e feriti in conseguenza del terremoto del quattordici Agosto milleottocento quarantasei.

19

ASP, Comune di Pisa div. F, n° 24: Comunità di Pisa: Registro delle Deliberazioni, Adunanza XVI, 17 agosto 1846, c. 400 e segg.

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16 Nel primo periodo lorenese erano rimaste inalterate le strutture amministrative medicee, ma nella seconda metà del XVIII secolo, il granduca Pietro Leopoldo rinnovò completamente gli organismi burocratici a cui era affidata l’amministrazione della Toscana, abolendo le magistrature centrali di impianto mediceo o addirittura repubblicano ed assicurandosi un apparato di tecnici particolarmente efficienti e preparati20.

Pisa, però era anche sede di alcuni uffici e magistrature specifici, la cui giurisdizione andava ben oltre le mura cittadine e le cui funzioni, che nella capitale costituivano solo casi eccezionali, erano significativamente connesse con la particolare posizione della città21. Trovandosi Pisa su di un terreno principalmente pianeggiante di formazione alluvionale solcato dall’Arno, fin dal tempo dell’antica repubblica l’azione di bonifica della città, di difesa dalle piene del fiume, il controllo cioè delle acque e dei terreni agricoli, erano state gestite da un’apposita magistratura, chiamata inizialmente Offizio dei consoli del mare, esistente già dal 116022. I consoli del mare acquisirono, con il tempo, dei poteri sempre più ampi: giurisdizione nelle cause marittime o concernenti la mercatura che riguardavano mercanti e forestieri residenti a Pisa o Livorno, controllo sulla dogana, redazione dei catasti di tutte le comunità del contado, sovrintendenza delle fabbriche e fortificazioni e, in generale, la tutela del territorio pisano23. Dal 1475 il nome dell’ufficio cambiò in Opera della riparazione del contado e della città di Pisa. A capo vi erano due cittadini fiorentini con la carica di provveditori e ai quali spettava il compito di eleggere quattro operai fra i cittadini pisani particolarmente competenti in materia24 e che li avrebbero affiancati nello svolgimento dei loro compiti. Oltre a loro vi erano, poi, un notaio e un camerlengo.

Nel 1547 il granduca Cosimo I che, con grandissima diligenza volle risollevare le sorti di Pisa e della sua pianura25, riformò questa vecchia istituzione dandole il nome di Magistrato o Uffizio dei Fossi26. Questo era formato dal provveditore del mare e da un commissario dei fossi, entrambi di nomina granducale, da quattro ufficiali pisani, estratti a sorte, e da un altro provveditore pisano. Dei quattro ufficiali pisani, due rimanevano in carica per tre anni e due per due, in modo tale che, al suo interno, due mutassero e sue no27. Accanto a loro operavano altri funzionari minori ed un camerlengo, nominato ogni sei mesi fra i cittadini 20 ZANGHERI, 1989, pp. 171-172. 21 FASANO GUARINI, 1980, pp. 30-31. 22 FIASCHI, 1938, p. 23. 23 FASANO GUARINI, 1980, p. 30. 24http://www.aspisa.beniculturali.it/getFile.php?id=50 25 FASANO GUARINI, 1980, p. 83. 26 GRAZZINI, 1898, p. 7. 27http://www.aspisa.beniculturali.it/getFile.php?id=50

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17 pisani. L’ufficio subì poi parziali trasformazioni, come la sostituzione del provveditore del mare con i consoli del mare nel 1551, ed ulteriori riforme fino alla fine degli anni Ottanta del Cinquecento, ma quello che era davvero eccezionale era il fatto che, al suo interno, collaboravano rappresentanti fiorentini ed esponenti della classe dirigente pisana28.

La magistratura prese infine il nome di Ufficio dei fiumi e fossi, punto di riferimento di ogni lavoro pubblico in area pisana. Nata per soprintendere le acque, finì ben presto per diventare ufficio di soprintendenza generale delle comunità della provincia e per gestire gli affari economici29. Oltre ad avere giurisdizione in tutte le cause sia civili che penali che avessero rapporto con le operazioni riguardanti l’estimo e la ripartizione delle imposte fiscali, infatti, era una specie di ministero dei lavori pubblici per tutta l’area pisana30. Nel 1821 l’Ufficio dei fiumi e fossi venne dotato di una Camera degli ingegneri, che prevedeva la presenza di un solo ingegnere, due aiuto ingegneri e un copista per i disegni delle piante e delle relazioni, tutti con l’obbligo di residenza a Pisa. Il provveditore stabiliva i principali ordini di servizio per l’ingegnere e il diretto superiore di questo, il sottoprovveditore dell’ufficio, verificava e valutava il suo operato. Gli aiuto ingegneri ricevevano ordini direttamente dall’ingegnere, tranne che il provveditore non decidesse in maniera diversa in circostanze particolari, e dovevano sottoporre a lui le loro perizie e relazioni per ottenerne l’approvazione31

.

Sempre connesso alla particolare posizione di Pisa era l’Ufficio di fabbriche e coltivazioni, istituito da Ferdinando I nel 1601, avente lo scopo di vigilare sulle condizioni delle campagne pisane, migliore la situazione idraulica, intensificare le coltivazioni e la produzione e di ripopolare l’area attraverso opere mirate alla costruzione di nuove fabbriche. Al suo interno vi erano quattro deputati, tre fiorentini e uno pisano.

Nel 1603 venne istituito, per tre anni, il Magistrato dei surrogati che svolgeva compiti di controllo amministrativo e finanziario sulle comunità del contado, fino ad allora svolti dalla Magistratura fiorentina dei Nove conservatorie si occupò di risolvere le controversie nate tra diverse comunità o tra comunità e privati. Nel 1606 venne prorogato per un altro anno e così nel 1607, fino a diventare effettivo nel 160832.

L'Ufficio dei fossi si presentava quindi a partire dagli inizi del XVII secolo come un complesso di tre diversi Magistrati, composti in gran parte dalle stesse persone, ma 28 FASANO GUARINI, 1980, p. 31. 29 BARSANTI, 1999, pp. 44-45. 30 MIGLIORINI, 1992, p. 49. 31 CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, pp. 78-79. 32http://www.aspisa.beniculturali.it/getFile.php?id=50

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18 formalmente diversi: Magistrato dei fossi, Magistrato di fabbriche e coltivazioni, Magistrato dei surrogati. Questa sua struttura rimase così inalterata fino alla seconda metà del sec. XVIII, quando, con la legge del 19 giugno 1775 i tre diversi magistrati vennero soppressi.

Con motuproprio del 17 giugno 1815 venne istituita la Deputazione generale amministrativa de’ fiumi, fossi e canali della provincia pisana, riformata poi con motuproprio del 30 novembre 1828. Al momento del terremoto, nel 1846, questa era formata da otto valenti membri della provincia, suddivisi in due sezioni di quattro individui ciascuna, una delle quali per i corsi d’acqua della pianura settentrionale, e l’altra per quelli della pianura meridionale. Entrambe erano presiedute dal provveditore della Camera di soprintendenza comunitativa, Girolamo Gargiolli. Tutti e otto i funzionari dovevano risiedere Pisa e soprintendere agli interessi delle masse contribuenti, ai corsi d’acqua compresi nella rispettiva pianura, discutere l’opportunità dei lavori da eseguirsi, dirigere la parte economica. Oltre ad essi vi era un segretario della Deputazione, un computista, un aiuto computista, un apprendista, un cassiere e i custodi33.

Nonostante il carattere di piccola capitale che Pisa veniva assumendo, non bisogna dimenticare che comunque le decisioni venivano prese da Firenze, dal granduca e dai suoi più stretti collaboratori34.

Dominazione francese

Durante il periodo francese, nel 1808, l’Ufficio fiumi e fossi venne soppresso35

.

La Toscana, come già ricordato nell’introduzione storica, venne divisa nei tre Dipartimenti dell’Arno, dell’Ombrone e del Mediterraneo36

, con capitali rispettivamente a Firenze, Siena e Livorno. Si trattava di tre distretti del tutto indipendenti dalla vecchia capitale, amministrati secondo leggi e ordinanze emanate direttamente da Parigi37. Ciascun Dipartimento venne poi suddiviso in circondari, e questi, a loro volta, in cantoni e municipalità. A capo di ogni Dipartimento vi era un prefetto, il solo responsabile della sua amministrazione, ma che era coadiuvato dal Consiglio di prefettura e dai Consigli generali 33 ALMANACCO TOSCANO 1846, pp. 560-562. 34 FASANO GUARINI, 1980, p. 31. 35

“Da Firenze, in data 6 settembre 1808, M. Capelle, Prefetto del Dipartimento del Mediterraneo, ricevette comunicazione, firmata dal Governatore Generale Menou, dell’invio di un decreto con il quale si sopprimeva l’Ufficio dei Fossi”. FIASCHI, 1938, p. 333

36

Il Dipartimento del Mediterraneo comprendeva la prefettura di Livorno e le sottoprefetture di Pisa e Volterra.

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19 di dipartimento, che si occupavano del reparto delle contribuzioni e delle spese del dipartimento38. In ciascun circondario vi era un sottoprefetto e un consiglio di circondario; nelle municipalità, invece, si trovavano i maires con uno o più aggiunti e un consiglio municipale. La loro nomina spettava all’imperatore in persona. Ai prefetti spettava invece la nomina dei Consigli comunali e degli aggiunti delle municipalità minori. La figura del prefetto era senza dubbio centrale, essendo egli il titolare assoluto dell’autorità pubblica e il diretto rappresentante e responsabile verso il l’impero39

.

Durante gli anni francesi iniziarono ad assumere un ruolo di primo piano gli ingegneri, riuniti nel Dipartimento di Ponts et Chaussèes.

Durante tutto il XIX secolo i centri del granducato, sia piccoli che grandi, subirono una serie di trasformazioni ad opera di due figure chiave: l’architetto e l’ingegnere.

Già nel 1747 nacque in Francia l’Ecole des Ponts et Chaussées che permise all’ingegnere di acquisire una propria autonomia e configurazione, diversa da quella dell’architetto. L’anno successivo venne fondata anche l’Ecole des ingénieurs de Mèziéres il cui scopo era quello di formare personale tecnico specializzato su rigorose basi scientifiche40. Nacque così una nuova figura, quella dell’ingegnere, dotato di una propria autonomia e che entrò ben presto in un conflitto di competenze con quella dell’architetto. Nel 1794 fu fondata l’Ecole Polytechnique, che fece assumere all’ingegnere una posizione sempre più nitidamente distaccata da quella dell’architetto.

A differenza di quanto avveniva in Francia, in Italia la figura dell’ingegnere tardò ad affermarsi41. Solo durante gli anni di diretta amministrazione francese, dopo essere stati riuniti nel Dipartimento di Ponts et Chaussées, vennero affidati agli ingegneri vasti compiti sul territorio. Ma con il ritorno di Ferdinando III, i loro compiti vennero ridimensionati42, anche se questi avevano ormai acquisito coscienza del proprio ruolo. La divisione che si era venuta a creare tra architetti e ingegneri fece sentire, anche in Toscana, la necessità di separarne il percorso di studi e la formazione professionale43. La sede in cui essi si preparavano a svolgere la loro professione era l’Università di Pisa dove conseguivano la laurea in Scienze matematiche e fisiche, senza però nessun insegnamento di carattere pratico44. 38 CASINI, 1953-1954, p. 164. 39 CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, pp. 76-77. 40 CRESTI-ZANGHERI, 1978, p. XII. 41 GIUNTINI, 1989, p. 393. 42 Ivi, p. 396. 43 CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, pp. 81-82. 44 GIUNTINI, 1989, p. 395.

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20 Per tutto l’Ottocento gli architetti si occuparono dell’aspetto estetico dell’edificio, ricoprendo quasi un ruolo di decoratori, di artisti puri che si preoccuparono solo dei problemi formali45, delle decorazioni e degli abbellimenti, mentre agli ingegneri venne affidato il compito di risolvere i problemi tecnici, impiantistico-strutturali e quelli legati alla realizzazione46. Il precipitoso mutare dei tempi aveva ormai invertito i ruoli, riducendo l’architettura ad una posizione secondaria e subordinata rispetto all’ingegneria47

.

Restaurazione

Governatori e Auditori

Con la restaurazione e il ritorno in Toscana di Ferdinando III, nel 1814, furono immediatamente ripristinate la legislazione e l’organizzazione leopoldina, facendo un passo indietro rispetto agli ordinamenti napoleonici: vennero soppresse le Prefetture, le sottoprefetture e i mairies, e ripristinati alcuni fondamentali organi istituzionali centrali come, ad esempio, l’Ufficio dei fiumi e fossi, soppresso nel 1808 e sostituito in tutte le sue funzioni dalla prefettura del Mediterraneo.

La Restaurazione comportò una certa confusione dei poteri giudiziari, amministrativi e militari. Ai prefetti francesi vennero a sostituirsi i Governatori che avevano vasti poteri nel campo poliziesco, giudiziario, militare e amministrativo e i provveditori delle Camere di soprintendenza comunitativa che svolgevano compiti di controllo finanziario sugli enti locali. Le riforme giudiziarie del 1832 e del 1838, però, apportarono notevoli miglioramenti nell’organizzazione amministrativa del territorio48

.

Con la legge del 9 aprile 1816 fu istituito il Circondario del governo di Pisa, insieme a quello di Siena, Livorno e dell’Isola d’Elba, che venne a sostituire il commissariato regio creato il 27 giugno 1814, che a sua volta esercitava le funzioni amministrative delle soppresse sottoprefetture49.

Il Governo era una circoscrizione territoriale dell’amministrazione governativa retta da un Governatore civile e militare, da un Auditore di Governo, da un segretario, da commessi e copisti50. 45 BENEVOLO, 1966, p. 33. 46 GIUNTINI, 1989, p. 400. 47 Ibidem. 48 CASINI, 1953-1954, pp. 184-185. 49 BARSANTI, 2004, pp. 11-12. 50 CASINI, 1953-1954, p. 166.

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21 Il governatore di Pisa aveva poteri amministrativi, militari, giudiziari, polizieschi ed economici. Negli anni Trenta e fino al 1848, i suoi poteri di polizia si ridussero per assumere invece quelle di controllo sulla progettazione urbana e su una vera e propria politica architettonica51. Era coadiuvato, nelle sue funzioni di polizia e buon governo, da un Auditore di governo che controllava l’ordine pubblico, gli enti religiosi e morali, le scuole, le carceri, gli approvvigionamenti52. Col motuproprio del 2 agosto 1838 fu tolta ai governatori la potestà economica. Il governatore di Pisa aveva anche la presidenza e la vigilanza della deputazione sopra gli stabilimenti di pubblica beneficenza, che riguardava l’amministrazione della Pia casa della misericordia, della Pia casa di carità, del conservatorio degli orfani, delle Scuole normali delle fanciulle di San Ranieri, dell’Eredità Fancella e del Rifugio dei poveri. Inoltre era anche presidente dell’Istituto dei sordomuti e dell’Opera dei Bagni di San Giuliano.

I governatori di Pisa della prima metà dell’Ottocento furono prestigiosi esponenti del patriziato fiorentino e senese, chiamati al governo per la fama del loro casato e non perché fossero burocrati di carriera. Essi venivano eletti direttamente dal granduca. Ciò fu motivo di alcuni episodi di contrasto con le comunità53, in quanto il più delle volte essi non erano in grado di svolgere al meglio i compiti di cui la loro carica li investiva. Questa soluzione, inoltre, contraddiceva il metodo adottato da Pietro Leopoldo che, nella scelta degli impiegati, aveva privilegiato l’onestà, l’abilità e la capacità, senza considerare la famiglia di provenienza o le condizioni economiche54.

Al momento del terremoto del 1846 il cavaliere e conte Luigi Serristori (1793-1857), già governatore di Siena, era governatore di Pisa dal gennaio dello stesso anno e lo fu fino al settembre 1847. Dopo di lui, la carica fu assunta ad interim dall’auditore di governo Giuseppe Mori55.

Con la legge 13 ottobre 1814 furono istituiti per le città di Pisa, Siena, e Livorno gli Auditori di governo56. Oltre che consultore legale e politico del Governatore, l’Auditore del governo fu anche giudice e, per Pisa e Livorno, ricoprì funzioni di polizia e giurisdizione criminale. Fu coadiuvato, dal 1815 al 1838, dal cancelliere criminale e, dal 1838 al 9 marzo 1848, dal direttore degli atti criminali. Dopo questa data la figura dell’auditore fu abolita, così come quella del governatore, e le sue funzioni passarono 51 COPPINI, 2002, p. 233. 52 Ibidem. 53 BARSANTI, 2004, p. 36. 54 SALVESTRINI, 1969, p. 11. 55 BARSANTI, 2004, p. 21. 56 CASINI, 1953-1954, p. 169.

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22 prima al direttore degli atti criminali e poi, dalla fine del 1849, al delegato di governo57. L’Auditore di Pisa, nel periodo qui preso in esame, era Giuseppe Mori.

Camere di soprintendenza comunitativa

Alla morte di Ferdinando III, Leopoldo II prese il potere e, secondo l’esempio paterno, condusse una politica di stampo conservatrice, confermando nelle loro cariche tutti i funzionari pubblici e consiglieri di Stato, con Vittorio Fossombroni58, direttore del Regio Consiglio di Stato, alla loro guida59. Tutti i pubblici funzionari divennero servitori, ossia rappresentanti del sovrano assoluto60.

Nel 1825, sotto il granducato di Leopoldo II, con motuproprio del 1° novembre, vennero abolite le diverse denominazioni che contraddistinguevano le Magistrature di Firenze, Pisa, Siena, Grosseto e venne assegnato ad esse il nome unico di Camera di soprintendenza comunitativa61. Oltre a queste, venne costituita anche la Camera di soprintendenza comunitativa di Arezzo. A Pisa questa nuova istituzione venne a sostituire il vecchio Ufficio dei fiumi e fossi62. Ciascuna delle cinque Camere doveva soprintendere ad una ben definita circoscrizione territoriale, che prendeva il nome di compartimento. I cinque compartimenti erano suddivisi in trentasette circondari distinti secondo cinque classi e ogni circondario era a sua volta suddiviso in comunità. I compiti delle Camere erano principalmente di natura fiscale: controllavano i bilanci e riscuotevano le tasse.

A Pisa la Camera di soprintendenza comunitativa aveva sede sopra le logge dei Banchi63. Il compartimento pisano venne suddiviso in otto circondari e cinquantotto comunità. Ogni circondario era affidato alla responsabilità di un solo ingegnere, detto ingegnere di circondario. Il primo di essi da cui è partita la mia ricerca è Corrado Puccioni che fu, dal 1834 al 1838, ingegnere di 1a classe per la Direzione del corpo degli ingegneri d’acque e

57

ASP, Governatore di Pisa, inv. 73.

58 Lo statista Vittorio Fossombroni (Arezzo 1754- Firenze 1844), nel 1782, cominciò la sua carriera sotto il

granduca Pietro Leopoldo come funzionario nella direzione di opere di bonifica nella Val di Chiana e in Maremma, qualifica che mantenne anche con il granduca Ferdinando III. Tra il 1796 e il 1798 fu rappresentante toscano in politica estera, impegnato nel mantenimento della neutralità del granducato. Nel marzo 1798 fu nominato da Ferdinando III Segretario di Stato, insieme a Neri Corsini. Durante la parentesi napoleonica divenne membro del Consiglio privato di Napoleone, senato e conte dell’impero. Appena tornato sul trono del granducato, Ferdinando III lo nominò Ministro degli Affari Esteri e presidente del Consiglio di Stato. La sua carriera si concluse con la sua morte, avvenuta a Firenze nel 1844.

59

PESENDORFER, 1987, p. 142.

60 PESENDORFER, 1989, p. 28. 61

Per un’ampia trattazione dell’argomento cfr. PIASTRA, a. a. 2002-2003.

62

BARSANTI, 2004, p. 7.

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23 strade. Durante questo periodo, precisamente il 2 luglio 1834, furono emanate le “Istruzioni da servir di norma agl’ingegneri di circondario nella verificazione dello stato delle fabbriche parrocchiali che debbono eseguire in adempimento dei sovrani veneratissimi ordini” 64

. Egli visitò quindi le diverse chiese della città di Pisa e ne riportò i dati nelle sue relazioni, fonte di informazioni copiose e dettagliate circa lo stato degli edifici religiosi e dei loro annessi. In quanto ingegnere di circondario era tenuto a verificare lo stato delle chiese, di patronato regio, misto o di libera collazione, formando per ciascuna di esse una specifica relazione suddivisa in due titoli e cinque articoli. Il titolo primo, descrizione della chiesa e suoi annessi, era formato da due articoli: descrizione delle fabbriche, loro stato e loro principali dimensioni e inventario e descrizione degli affissi e loro stato. Il primo articolo era formato da circa undici paragrafi in ognuno dei quali ci si occupava di un aspetto diverso65. Il secondo titolo, perizia dei lavori occorrenti, era formato dagli articoli III, IV e V. Se le fabbriche erano considerate in buone condizioni, si tralasciavano gli articoli III, descrizione e stima dei lavori di riparazione ai vizj di cattiva costruzione, d’instabilità di suolo e di vetustà, e IV, descrizione dei lavori per riparazione, per passare direttamente al quinto ed ultimo articolo. Per quanto riguarda il mio caso di studio, solo le chiese di San Michele degli Scalzi, di Santa Maria Maddalena e di Sant’Ermete non presentano uno sviluppo degli articoli III e IV. Tutte le altre relazioni delle chiese prese in esame contengono l’articolo III e, solo per la chiesa di San Sepolcro si ritrova anche l’articolo IV.

Per dieci delle dodici chiese66 prese in esame nella presente tesi è stato possibile disporre di queste come punto di partenza per stabilire se i danni subiti dagli edifici sacri e registrati

64

ASP, Comune di Pisa div. F, n° 940, Istruzioni da servir di norma agl’ingegneri di circondario nella verificazione dello stato delle fabbriche parrocchiali che debbono eseguire in adempimento dei sovrani veneratissimi ordini del dì 2 luglio 1834, c. 60 r.-61 v.

65

ASP, Comune di Pisa div. F, n° 940, Istruzioni da servir di norma agl’ingegneri di circondario nella verificazione dello stato delle fabbriche parrocchiali che debbono eseguire in adempimento dei sovrani veneratissimi ordini del dì 2 luglio 1834, c. 60 r.-61 v. I paragrafi standard erano: 1. Esterno della Chiesa, 2. Interno, 3. Coperta, 4. Altari, Pulpito ed altri accessorj, 5. Coro, 6. Sagrestia, 7. Campanile, 8. Campo Santo e suoi annessi, 9. Annessi alla Chiesa, come Cappelle, Sotterranei ec. 10. Canonica, 11. Case coloniche. In corrispondenza della voce Interno, nella colonna delle osservazioni bisognava poi indicare la capacità della chiesa e precisando se una tale capacità era o non era sufficiente ai bisogni della popolazione, considerando che era necessario un braccio quadro di superficie per ogni individuo. Sempre nella colonna delle osservazioni bisognava precisare a chi spettava il mantenimento non della chiesa in sé, ma ad esempio delle cappelle, degli altari, del campo Santo o degli altri annessi appartenenti ad alcune famiglie o istituzioni private e, nel momento in cui vi era un tipo di patronato misto, si chiarivano le proporzioni delle spese di mantenimento.

66 Non sono state ritrovate, tra le relazioni del Puccioni, quelle che riguardano le chiese di San Pietro in

Vinculis e di San Paolo a Ripa d’Arno. Per la prima delle due, però, la relazione era stata stilata, come lo stesso Puccioni scrisse in una sua lettera indirizzata al soprintendente del Corpo degli ingegneri. Egli la compilò nel novembre del 1834, presumibilmente negli ultimi dieci giorni del mese, dopo aver elaborato

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24 nelle relazioni e nelle perizie all’indomani del terremoto erano solo una conseguenza dello stato di abbandono in cui questi versavano già da tempo o se si erano verificati solo a causa di questo fenomeno naturale.

Nell’articolo V, infine, era espressa la somma ritenuta necessaria dall’ingegnere per il decente mantenimento della chiesa e i suoi annessi, escludendo lavori di abbellimento e puro ornamento e considerando necessari solo quelli necessari per provvedere ai bisogni del culto e della popolazione. Oltre la somma, veniva precisato anche a chi spettavano tali spese di mantenimento.

Venivano escluse dalle verifiche le chiese che si concedevano in affitto, gli oratori e le chiese succursali in genere, né quelle rette da corporazioni religiose, ma solo quelle in cui si svolgevano stabilmente le funzioni liturgiche ad opera del parroco67. Nel primo articolo poi bisognava limitarsi a una descrizioni senza riportare le dimensioni dell’edificio o di parti di esso, a meno che non fosse un’operazione indispensabile per mettere mano a lavori di ingrandimento. Andava solo indicato il loro stato che poteva essere buono mediocre o cattivo68.

Gaetano Becherucci, dal 20 luglio 1838 al 31 ottobre 1847, prestò servizio come ingegnere del circondario pisano69. Egli, oltre a svolgere compiti di progettazione e di controllo sui lavori di manutenzione delle strade e fabbriche comunitative, di controllo dei fiumi, fossi, canali, torrenti, scali e porti durante le visite periodiche70 e straordinarie71, i cui dati andavano poi a confluire in ben nove relazioni, ognuna delle quali prendeva in esame un argomento diverso72, ebbe l’incarico di effettuare sopralluoghi nelle chiese del territorio

quelle di San Matteo (11 novembre 1834), Santa Cristina (13 novembre 1834), Santi Cosimo e Damiano (15 novembre 1834) e Santa Cecilia (21 novembre 1834). ASP, Comune di Pisa div. F, n° 964: Copia-lettere Circondario di Pisa dal 18 maggio 1833 al 5 dicembre 1848, Lettera 1° dicembre 1834, c. 31.

67

ASP, Comune di Pisa div. F, n° 940, Lettera 6 dicembre 1834.

68

Ivi, Lettera 31 dicembre 1834.

69 CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, p. 122. 70

I sopralluoghi alle strade del circondario si svolgevano nei mesi di aprile e di ottobre. Quelli di ottobre prevedevano anche la presenza dell’ispettore di compartimento. I fiumi e fossi venivano invece visitati nel mese di maggio.

71

Le visite straordinarie erano necessarie nel caso in cui coloro che erano stati incaricati dell’esecuzione dei lavori fossero stati inadempienti. Visite straordinarie erano considerate anche quelle richieste dai privati che, ad esempio, volevano ottenere la licenza di edificare. Per effettuare queste visite straordinarie l’ingegnere aveva diritto a un’indennità.

72

CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, p. 95. In queste relazioni, l’ingegnere esprimeva minuziosamente l’oggetto dei lavori proposti, la spesa prevista per la loro realizzazione, le modalità e i tempi a cui attenersi per eseguirli, seguendo una codificata suddivisione in titoli e capitoli. La relazione che riguardava le fabbriche delle diverse comunità del circondario era la settima. In questa venivano prese in considerazione le diverse tipologie edilizie, il loro stato, gli interventi per migliorarle e quelli più urgenti. Le nove relazioni offrivano un quadro completo delle condizioni tutto il territorio attraverso l’analisi del sistema idraulico,

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25 pisano all’indomani del terremoto. Il Becherucci fu dunque attivo in un periodo particolarmente delicato, trovandosi ad operare in una situazione di emergenza che richiedeva impegno continuo e prontezza d’azione in modo da poter stabilire, nelle relazioni, l’entità dei danni e, nelle perizie, le somme necessarie per i restauri.

L’ingegnere di circondario era tenuto a partecipare alle due annuali ed ordinarie adunanze, a marzo e ad agosto, ma anche alle adunanze magistrali straordinarie. In base al motuproprio del 3 luglio 1840, gli ingegneri di circondario vennero suddivisi secondo tre classi: 1A classe (Livorno, Lari e Pisa), 2A classe (Campiglia, Pietrasanta, Pontedera, Pontremoli, Portoferraio e la divisione di Pisa), 3A classe (Bagnone, Fivizzano, Peccioli, Piombino, Pomarance e le divisioni dei Bagni San Giuliano, Rosignano e Vicopisano). Venne così abolita la precedente suddivisione dei circondari in cinque classi73.

Gli ingegneri di circondario, inoltre, erano tenuti a visitare periodicamente, per verificarne le condizioni, le fabbriche parrocchiali di patronato regio, misto o di libera collazione, attenendosi a istruzioni che sarebbero state utili per la stesura delle relazioni di ognuna delle chiese visitate74. Oltre all’ingegnere di circondario, vi erano in organico un aiuto ingegnere e quattro aspiranti. Questi ultimi, per essere assunti, dovevano dimostrare di essere in grado di mantenersi autonomamente per tre anni nel luogo che era stato loro assegnato. Trascorso questo periodo venivano inseriti nell’organico, iniziando la carriera come aiuto ingegnere75.

In ogni Camera doveva inoltre essere in organico un ingegnere ispettore, responsabile per tutto il compartimento, il quale, oltre a svolgere un controllo sull’operato degli ingegneri di circondario, compilava i progetti sia per nuovi lavori che per lavori di manutenzione alle strade regie e provinciali e li sottoponeva all’approvazione del Consiglio degli ingegneri e a quella sovrana. Il 9 maggio 1837 fu nominato ingegnere ispettore del compartimento pisano Ridolfo Castinelli, che rimase nella Camera fino alla sua soppressione nel 184876.

della rete stradale e delle diverse tipologie architettoniche. Tutte le relazioni dovevano essere consegnate all’ispettore di compartimento entro il mese di giugno.

73CACIAGLI-CASTIGLIA, 2001, p. 104. 74

ASP, Comune di Pisa div. F, n° 940: Istruzioni da servir di norma agl’ingegneri di circondario nella verificazione dello stato delle fabbriche parrocchiali che debbono eseguire in adempimento dei sovrani veneratissimi ordini del dì 2 luglio 1834, c. 60 r.

75

NUTI, 1986, p. 11.

76

L’ingegnere e architetto Ridolfo Castinelli (Pisa, 21/11/1791-Pisa, 27/3/1859), a soli otto anni, si spostò con la sua famiglia da Pisa a Parigi, dove il padre si rifugiò per motivi politici. Iniziò a studiare alla Scuola Normale di Parigi e terminò poi la sua formazione in quella di Pisa, dopo il ritorno nel 1813, dove ebbe modo di studiare scienza, matematica, fisica teorica e sperimentale, meccanica e il calcolo differenziale, conseguendo una laurea in ingegneria. Si trasferì poi a Firenze e, dal 1818, entrò a far parte dell’Ufficio del catasto come geometra calcolatore. Ricoprì la carica di ingegnere di Circondario di Pisa dal 1829 al

Figura

FIGURA 2: Googlemaps, chiesa di San Michele in Borgo
FIGURA 25: Googlemaps, la chiesa di San Matteo che si affaccia sul lungarno Mediceo.
FIGURA 36: Googlemaps, chiesa di San Sepolcro.
FIGURA 47: Googlemaps, chiesa di Santa Maria Maddalena.
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