• Non ci sono risultati.

III.1 Dalla seconda metà del X alla prima metà dell’XI secolo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "III.1 Dalla seconda metà del X alla prima metà dell’XI secolo"

Copied!
125
0
0

Testo completo

(1)

80

III.1 Dalla seconda metà del X alla prima metà dell’XI secolo

Premessa

Nei primi anni della seconda metà del X secolo si consolida finalmente il controllo fatimida sulla Sicilia grazie all’azione del primo emiro siciliano, al-Hasan al-Khalbi (d. 964 d.C.), che pone fine alle continue rivolte al potere. Per rafforzare il controllo sulla Sicilia e per prevenirne una possibile riconquista bizantina, il califfo fatimida al-Muizz impone all’emiro kalbita l’esecuzione di una serie di misure (958 d.C.) comprendenti un più stretto controllo sulle comunità cristiane ed ebraiche e la conquista dei territori isolani rimasti in mano bizantina1. Nel 967 nuove misure vengono richieste all’emiro kalbita di Sicilia in seguito alla stipula dell’ennesima pace con i Bizantini.

In quest’ultimo atto, noto come il rescritto di al-Muizz, si ordina di fortificare le mura di Palermo, costruire in ogni distretto o provincia (iqlīm) dell’isola una città fortificata o un paese con una moschea pubblica e un pulpito (minbar) in essa. Si ordina inoltre alla popolazione Musulmana di ogni distretto di risiedere all’interno delle mura delle città fortificate o dei paesi e di non vivere sparsi nella campagna2. Pochi anni dopo la presa di Rametta (962 d.C.) conclude di fatto la conquista della Sicilia.

Dalla seconda metà del X secolo e per buona parte dell’XI secolo, la Sicilia islamica conosce un lungo periodo di stabilità politica e di sviluppo economico, proprio relativamente a quest’ultimo aspetto, le informazioni che possiamo dedurre dalla ceramica sono particolarmente indicative. I cambiamenti più rilevanti di questo periodo nel campo delle produzioni ceramiche sono l’orientalizzazione delle forme ceramiche e introduzione della tecnica dell’invetriatura, che si colloca nella seconda metà del X secolo3. L’ultima fase del dominio musulmano nell’isola è segnata da un periodo di anarchia politica e di frammentazione del potere in concomitanza con il regno dell’ultimo kalbita al-Samsām e la successiva dissoluzione della dinastia nel 1053. Dalle lotte per il controllo dell’isola tra 1040 e 1050 emergono alcuni qa’id, ognuno a capo di una signoria locale. Il qa’id Ibn Mankūd assume il controllo di una vasta parte della Sicilia occidentale comprendente Trapani, Mazara, Marsala e Sciacca; Ibn al-Hawwās è signore di Agrigento e Castrogiovanni; Ibn al-Maklati governa su Catania;

1 C HIARELLI 2011, p. 108. 2 Cfr. ‘An-Nuwayrī in A MARI 1880-1881, II, p. 135. 3

(2)

81

Ibn al-Thumna controlla Siracusa4. Furono i contrasti sorti tra questi due ultimi qai’d a spingere Ibn-al-Thumna a richiedere l’aiuto di Ruggero d’Altavilla che nel febbraio del 1061 sbarcava a Messina dando inizio alla conquista normanna della Sicilia, completata nel 1091, ma che già con la presa di Palermo del 1072 segna la fine dell’esperienza statale musulmana in Sicilia.

III.2 La produzione, la circolazione e il consumo di manufatti ceramici tra la seconda metà del X e la prima metà dell’XI secolo

Per il periodo compreso tra la seconda metà del X e l’XI secolo disponiamo di un discreto numero di strutture e di indicatori di produzione ceramica. Essi ci informano soprattutto sugli aspetti legati alla produzione di ceramiche fini invetriate e di ceramiche depurate. Nessun dato è invece disponibile sui sistemi produttivi di ambito domestico (ad esempio attestazioni di forni a fossa o a catasta).

Iniziando dalle produzioni da fuoco di seconda metà X-XI secolo, si rileva innanzitutto la compresenza di ceramiche tornite e modellate a mano5. La forma base per la preparazione dei cibi continua ad essere l’olla globulare (cat. 1.22.10-17). Dalla fine del X/inizi XI secolo essa può essere affiancata o sostituita6 dalla pentola ansata (cat. 1.25.7-9) o dalla pentola “ad impasto” (cat. 9.25.8-11). Ad integrazione del corredo da cucina possono trovarsi i tegami (cat. 9.11.1) in ceramica grezza o pietra tenera e manufatti in depurata7 quali gli scaldavivande (cat. 3.8.2-5), i vasi con becco (cat. 3.28.1) e i pentolini da latte (cat. 3.27.5).

Il panorama produttivo delle ceramiche da fuoco doveva essere alquanto articolato. A cominciare dai manufatti torniti, le analisi sulle olle rinvenute negli scavi in via Torremuzza (seconda metà X-inizi XI secolo) a Palermo hanno indicato la presenza di due tipi di impasto, uno di provenienza locale, l’altro genericamente attribuibile alla Sicilia occidentale o al Nord Africa8. Produzioni locali di ceramiche grezze da fuoco

4

GABRIELI, SCERRATO 1979, p. 86.

5 Per la descrizione dei tipi si rimanda ultra al paragrafo sulla grezza priva di rivestimento III.3.1. 6 Come accade nei contesti palermitani, per i quali si rimanda ad A

RCIFA, LESNES 1997. Fuori dalla capitale, l’olla globulare viene utilizzata ancora nell’XI secolo ed è spesso rinvenuta in associazione alle pentole “ad impasto”, ad esempio a Casale Nuovo (MOLINARI, VALENTE 1995) ed al castello della Pietra di Castelvetrano (ARDIZZONEETALII 2012).

7 Per la descrizione dei tipi si rimanda ultra al paragrafo sulla depurata priva di rivestimento III.3.3. 8

(3)

82

sono state identificate nell’insediamento rurale di Casale Nuovo (XI secolo)9, ad Agrigento10 (fine XI-prima metà XII secolo), Piazza Armerina (XI-inizi XII secolo)11. Olle con impasti diversi da quelli palermitani sono segnalate dalle ricognizioni nell’area dei “Monti di Trapani”12. Passando alle pentole ansate (cat. 1.25.7-9), le caratteristiche morfologiche di quelle attestate a Brucato potrebbero segnalare l’esistenza di un altro centro di produzione13. Per quanto riguarda infine le pentole “ad impasto”, sono state individuate produzioni locali di questi contenitori nell’officina della necropoli sub-divo di Agrigento14 (nella versione modellata a mano) in contesti di fine XI-prima metà XII secolo e a Mazara (nella versione tornita) in contesti di XI secolo15.

Le olle globulari, ed in particolare i manufatti palermitani, sono caratterizzate da una forte standardizzazione morfologica e da una fattura di buona qualità, indicata anche da impasti piuttosto depurati. Olle morfologicamente analoghe a quelle palermitane sono note nel territorio di Contessa Entellina16, dei “Monti di Trapani”17, nel territorio di Caccamo18, ad Agrigento e nel suo territorio19, a Casale Nuovo20, al castello della Pietra21 a Castelvetrano, a Santa Croce Camerina22, a Caltanissetta23. In questi casi è evidente il riferimento ad uno stesso prototipo morfologico24. Alcune di queste attestazioni sono attribuibili a produzioni locali palermitane. Questo dato potrebbe indicare un ampio raggio di diffusione delle olle prodotte nella capitale (cat. 1.22.10-13) che si rinvengono frequentemente soprattutto nella Sicilia occidentale tra seconda metà X-XI secolo. Se tale dato fosse confermato si collocherebbe in linea con quanto emerge

9 A

RDIZZONE 2004, p. 380, nota 26. SCUTO, FIORILLA 1990, p. 137, 240. È probabilmente da rivedere l’attribuzione al XII secolo di questo rinvenimento. L’olla era infatti associata a ceramica dipinta in rosso con decorazione a linee sinuose alternate a linee verticali (X secolo).

10 VITALE 2007. 11 A LAIMOETALII 2010. 12 R OTOLO 2011, p. 549. 13

MACCARI POISSON 1984, pp. 286-288 e p. 286, pl. 23, 1D. Anche le dipinte sotto vetrina locali rinvenute a Brucato presentano diverse varianti nell’articolazione degli orli o nello sviluppo delle pareti.

14 D

ENARO 2007, pp. 150-151.

15 M

OLINARI, CASSAI 2010.

16

sito 45 Quattrocase 1 UT 2; 30 Bufalo 1 UT 48; 77 Vallone Vaccarizzo 1 UT 51; 159 Arcera Casa Crasti UT 70; 241 Masseria Ciaccio 2 UT 96.

17 R

OTOLO 2011, p. 550, fig. 1, 1-3.

18 L

AURO 2009.

19

Olle simili sono state recuperate ad Agrigento (cfr. ARDIZZONE 2004, p. 380, nota 36) e sono segnalate tra i manufatti prodotti dalle fornaci della necropoli sub-divo di Agrigento. Tuttavia l’edizione definitiva dello scavo di questa officina ha mostrato che si tratta di olle non da fuoco ma per gli usi della dispensa (VITALE 2007). Diverse le attestazioni nell’entroterra di Agrigento, cfr. RIZZO 2004.

20

MOLINARI, CASSAI 2010.

21 A

RDIZZONEETALII 2012, p. 42, fig. 3b.

22 D I STEFANO, FIORILLA 2000, p. 246. 23 A RDIZZONE 2004, p. 380 nota 36. 24 ARCIFA 1998a, p. 278.

(4)

83

anche per le altre produzioni ceramiche palermitane con cronologie analoghe25. La sua conferma richiederebbe però verifiche ulteriori ed il ricorso ad analisi archeometriche, poichè il panorama dei centri produttori di ceramiche da fuoco tra la seconda metà del X e l’XI secolo sembra essere alquanto articolato e comprende inoltre attività artigianali riferibili a diversi modi di produzione e con vari gradi di specializzazione. Avanzando nell’XI secolo, i contesti palermitani mostrano la sostituzione dell’olla globulare con la pentola ansata e la pentola “ad impasto”. L’origine delle pentole cilindriche “ad impasto”, la cui cronologia è compresa tra XI e prima metà/terzo quarto del XIII secolo, non è ancora del tutto chiara26 L’analisi dei contesti mostra che le pentole “ad impasto” hanno una diffusione che interessa principalmente la Sicilia meridionale, sia in area costiera che nell’interno. Le attestazioni più tarde della classe interessano invece solamente alcune aree della Sicilia occidentale. I rinvenimenti cronologicamente più definiti sono quelli di Palermo e dell’area fra Mazara e Castelvetrano27. Più difficile risulta l’inquadramento delle evidenze raccolte nei restanti siti. Tali contenitori sono attestati soprattutto negli insediamenti rurali ma anche in contesti urbani e nei centri fortificati. Le attestazioni della classe nella Sicilia orientale terminano probabilmente nella seconda metà del XII secolo, in seguito agli scontri che opposero latini e musulmani nella seconda metà del secolo e che determinarono il conseguente spostamento della popolazione araba verso la Sicilia occidentale, l’area più islamizzata dell’isola28. L’utilizzo delle pentole “ad impasto” continua qui nel corso del XII e fino alla prima metà del XIII secolo. Esse sono ben attestate nei siti d’altura nei quali la popolazione è di maggioranza musulmana (Segesta, Entella, Monte Iato). Le attestazioni della classe terminano in coincidenza con lo sterminio e all’assorbimento nel tessuto sociale isolano latino e cattolico29 degli elementi arabi rimasti nell’isola dopo la soppressione delle ultime rivolte musulmane della prima metà del XIII secolo per mano di Federico II. I rinvenimenti altomedievali di ceramiche da fuoco, come visto in precedenza, mostrano per il momento l’assenza di pentole e l’impiego di casseruole per la cottura dei cibi. Tra queste, gli scavi di Colmitella hanno mostrato l’esistenza di casseruole “ad impasto” ascrivibili alla fine del VII secolo che potrebbero segnalare la continuità della tradizione produttiva locale di ceramiche da fuoco modellate a mano.

25 Vedi ultra all’interno di questo capitolo il caso delle produzioni palermitane di dipinta in rosso e della

dipinta sotto vetrina tipo “pavoncella”.

26 Cfr. il paragrafo sulla classe III.3.2.

27 Cfr. il paragrafo III.3.2 per le attestazioni della classe. 28 M

AURICI 1995, p. 140.

29

(5)

84

La carta della distribuzione delle pentole “ad impasto” in rapporto a quella delle olle globulari non contribuisce a chiarire le ragioni della presenza di questi manufatti. Incrociando le attestazioni dei manufatti che costituiscono il corredo da cucina notiamo che nell’XI secolo i corredi da cucina più articolati sono presenti a Palermo e nella Sicilia meridionale, anche se bisogna rilevare che tale dato potrebbe essere influenzato dallo stato della ricerca.

Per quanto riguarda la ceramica depurata, strutture di produzione sono note nella Sicilia orientale nel grande insediamento rurale di Piazza Armerina30, a Sofiana, e a partire dalla fine dell’XI secolo a Palermo31 e Agrigento32.

Ad Agrigento, un gruppo di fornaci è stato individuato nel quartiere di Santa Lucia, dove si produceva ceramica invetriata dipinta sotto vetrina ma anche diversi tipi di anfore e manufatti da mensa e dispensa in depurata.

Un’altra officina ceramica è stata messa in luce recentemente nella necropoli sub-divo all’interno della Valle dei Templi di Agrigento33. Questa struttura è al momento l’unica che impiega fornaci verticali con piano forato invece che fornaci a barre d’infornamento. Tale scelta potrebbe essere legata ai prodotti che vi erano realizzati, costituiti quasi esclusivamente da anfore e olle in ceramica depurata ed in misura ridotta da ceramica dipinta in rosso e grezza da fuoco. Un’altra possibilità è che tale struttura fosse attiva in un periodo diverso dalla fine dell’XI-prima metà XII secolo. Alcuni aspetti della produzione di questa officina rimangono infatti problematici se confrontati con il coevo panorama siciliano. Tralasciando la tipologia di forno impiegato, che è connessa ai prodotti da realizzare, sono alcune produzioni ceramiche e procedimenti tecnici impiegati nell’officina a presentare dei tratti distintivi rispetto a quanto noto. Le anfore realizzate dalle fornaci della necropoli sub-divo hanno corpo globulare, mentre quelle attestate nel resto dell’isola hanno corpo ovoidale o fusiforme; la forma del catino-coperchio, uno dei prodotti di queste fornaci, non è attestata nel resto dell’isola, nè negli altri centri produttori nè nei contesti d’uso; alcuni tipi di anfore e di olle sono rivestite da ingobbio, tecnica non utilizzata altrove in questo periodo in Sicilia.

30

Da ultimo ALAIMOETALII 2010.

31 A

RCIFA 1996.

32 Fornaci Santa Lucia (S

CUTO, FIORILLA 1990); fornaci necropoli sub-divo (BONACASA CARRA, ARDIZZONE 2007).

33

(6)

85

Altre produzioni sono state riconosciute in assenza di strutture o scarti di produzione, è questo il caso delle produzioni locali di depurata e ceramica da fuoco nell’insediamento rurale di Casale Nuovo e a Mazara34. Per quanto riguarda Mazara, queste produzioni si aggiungono a quelle precedentemente messe in luce e relative allo scarico di un’officina che produceva ceramica invetriata tra seconda metà/fine X e gli inizi dell’XI secolo35. La possibile esistenza di produzioni locali è indiziata dalle varianti morfologiche di alcuni tipi di catini a Delia e Rocchicella (cat. 3.2.6c-f) 36. Infine, gli scavi di Delia hanno fornito indizi della possibile presenza di produzioni locali con il rinvenimento del corpo di un’anfora ipercotta e deformata37.

Sono molto rari invece i centri che producono ceramiche depurate con decorazioni dipinte in rosso. Tra questi, il più importante è sicuramente Palermo, identificato grazie alle analisi sulle anfore utilizzate come rinfianchi nelle volte della Zisa38. Nelle officine della capitale si realizzavano anfore, anforette e vasi con filtro con decorazioni dipinte in rosso39 oppure in bianco su fondo rosso (cat. 4. e 10.)40. Contenitori anforici dipinti in rosso erano prodotti anche dalle fornaci della necropoli sub-divo di Agrigento41 e a Piazza Armerina42.

Le dipinte in rosso palermitane sono degli indicatori particolarmente interessanti poichè oltre ad essere una delle poche classi di cui è stato accertato il centro di produzione, sono anche soggette nel corso del tempo a modificazioni che interessano la morfologia dei tipi anforici ed il loro ordito decorativo43. Il riconoscimento di queste variazioni44 ci consente di definire cronologicamente alcuni momenti della diffusione della classe a livello regionale ed extra-regionale, informandoci sul ruolo esercitato da Palermo nel commercio di prodotti entro contenitori anforici in diversi tra il X e il terzo quarto/fine del XII secolo. Il lavoro svolto su questa classe si colloca nel solco delle recenti indagini volte a precisare il ruolo della capitale45 nella produzione di ceramica e nella 34 M OLINARI, CASSAI 2010. 35 M OLINARI 1997a. 36 A RCIFA 2008c, p. 308, fig. 165, 828. 37 Ivi, p. 83, fig. 14 b. 38

ARDIZZONE 1999; ALAIMO, GIARRUSSO, MONTANA 1999.

39 Cfr. ultra il paragrafo III.3.4.

40 Per la descrizione della classe vedi ultra il paragrafo III.3.5. 41

BONACASA CARRA, ARDIZZONE 2007.

42 A

LAIMOETALII 2010.

43 Cfr. ultra il paragrafo III.3.4. 44 A

RCIFA, ARDIZZONE 2009.

45

(7)

86

commercializzazione di derrate. Nello specifico, è stata effettuata una rilettura del complesso delle attestazioni della dipinta in rosso palermitana tra X e XII secolo, per cercare definire meglio la diffusione dei prodotti di Palermo nel corso del tempo. Questi dati sono poi stati incrociati con quelli della ceramica dipinta sotto vetrina tipo “pavoncella” (XI secolo), la cui produzione palermitana è fortemente indiziata. Per la costruzione del quadro della diffusione delle ceramiche dipinte in rosso palermitane sono stati selezionati, all’interno della classe, i tipi anforici la cui cronologia è ormai definita con una certa sicurezza46. Alla mappa elaborata per la prima metà del X secolo, abbiamo aggiunto i tipi con cronologie comprese tra fine X-XI secolo, a cominciare dalle attestazioni di dipinta in rosso in contesti di scavo ben datati tra seconda metà X-XI secolo. Nello specifico, sono stati considerati i seguenti tipi: l’anforetta fusiforme (cat. 3.15.9-10 e 4.15.37a-t); l’anforetta con orlo concavo internamente e convesso all’esterno (cat. 4.15.26a-b); le anfore caratterizzate da modanature complesse dell’orlo e dettagli quali nervature a rilievo e solcature47. I dati ricavabili dall’edito sono stati integrati, come negli altri casi, da dati inediti provenienti dallo studio della ceramica medievale per la Carta Archeologica di Contessa Entellina48. La carta mette in luce il progressivo aumento del raggio di diffusione dei prodotti palermitani dipinti. I tipi della prima metà del X secolo sono attestati non solo nella città di Palermo ma anche in alcuni insediamenti rurali delle aree interne della Sicilia occidentale e centro-settentrionale. Un’unica attestazione riguarda la Sicilia centro-meridionale (Muculufa) e si riferisce ad una parete dipinta con decorazione a linee sinuose (X secolo). Inoltre, i tipi di prima metà X non sono attestati al di fuori dell’Isola.

A partire dalla seconda metà del X secolo, si osserva una diffusione capillare dei contenitori dipinti palermitani in particolare nella Sicilia occidentale, sia nei centri costieri che interni ma, che interessa anche la parte orientale dell’isola. Da questo momento si registrano le esportazioni extra regionale dei prodotti contenuti entro tali anfore dipinte in diversi centri della costa tirrenica, in Provenza, Sardegna, Tunisia49in Puglia ad Otranto. Disponiamo di scarse informazioni sulla diffusione delle ceramiche dipinte in rosso realizzate negli altri centri, che al momento è decisamente ristretta.

46

Per la descrizione dettagliata dei tipi e degli orditi decorativi della dipinta in rosso (e la loro cronologia) si rimanda ai paragrafi II.2.4 (per la prima metà del X secolo) e III.3.4 (per la seconda metà X-XI secolo).

47 Cfr. ultra III.3.4. Cfr. inoltre G

RECO, GAROFANO, ARDIZZONE 1997-98, in part. pp. 669-670.

48

Anfore dipinte in rosso con cronologie di seconda metà X-XI secolo sono state rinvenute nei siti di Quattrocase UT 3/UT 14; Bufalo 1 UT 48; Vallone Vaccarizzo UT 51; Buscioletto 1 UT 55; Arcera Casa Crasti UT 70; Masseria Ciaccio 2 UT 96; Masseria Ciaccio 2 UT 97; Cozzo Mole 1 UT 101; Laparia UT 125; Garretta 1 UT 128.

49

(8)

87

Alcuni frammenti di anfore prodotte dall’officina della necropoli sub-divo di Agrigento sono attestate nel sito di Butermini Casa Bellomo, presso Raffadali, nell’entroterra della città50. Nessuna dato è disponibile per le ceramiche dipinte di Piazza Armerina.

Le produzioni invetriate sono al centro di un dibattito che ha preso le mosse dalla recente proposta, formulata da A. Bagnera, di spostare nel corso della prima metà del X secolo il limite iniziale dell’avvio delle produzioni invetriate in Sicilia51, sulla base di affinità morfologiche e decorative (ductus epigrafico) che legano alcune produzioni tunisine di dipinta sotto vetrina (fine IX-primo terzo X secolo) alle prime importazioni nordafricane in Sicilia, e queste ultime ad un tipo di catini siciliani definiti “a carena alta”52. Le attestazioni di questo tipo sono rare e concentrate in particolare a Palermo. L’ipotesi ha il merito di aver stimolato nuovamente il dibattito attorno alle prime invetriate che sta portando alla revisione dei contesti palermitani. Purtroppo però i catini “a carena alta” finora noti sono stati rinvenuti in contesti caratterizzati il più delle volte da una certa fragilità stratigrafica. La verifica dell’ipotesi avanzata deve quindi passare necessariamente attraverso nuovi scavi nei centri che furono oggetto di conquista nei nei momenti iniziali dell’avanzata araba, Palermo ma anche Mazara del Vallo.

Disponiamo di un discreto numero di strutture e di indicatori relativi alle produzione di ceramica invetriata. Lo scarico di un’officina recuperato nel centro storico di Mazara53 rappresenta l’attestazione più antica della presenza di un’attività artigianale che utilizza tecnologie produttive la cui origine è riferibile al mondo arabo. Il periodo di attività di questa bottega è compreso tra la seconda metà/fine X e gli inizi dell’XI secolo. L’officina si situa in un contesto urbano ma in posizione periferica, all’interno del percorso ricostruito per le mura urbiche di età normanna54. I materiali dello scarico hanno permesso di verificare che l’officina impiegava una fornace verticale “a barre”55, costituita da un unico ambiente senza separazione tra focolare e camera di cottura. I manufatti da cuocere erano disposti nella fornace su ripiani creati utilizzando barre circolari in argilla refrattaria, oppure, se dotati di anse, potevano essere agganciati

50

RIZZO 2004, pp. 118-119.

51 A

RCIFA, BAGNERA, NEF 2012; BAGNERA 2012.

52 Catini con carena situata nel terzo superiore del vaso. La parete di questi catini è piuttosto breve e

spesso molto marcata all’esterno.

53 M

OLINARI 1997a; MOLINARI, CASSAI 2010.

54 M

OLINARI 1997a.

55 Si tratta di un tipo di forno di tradizione orientale il cui modello di riferimento sembra originario

(9)

88

direttamente alle barre o per mezzo di specifici supporti. Le barre si inserivano in appositi fori praticati nelle pareti della fornace. Lo scarico ha restituito sia le barre d’infornamento sia frammenti delle pareti forate del forno. Per il posizionamento dei manufatti da cuocere potevano essere impiegati altri elementi di supporto oltre alle barre, anch’essi realizzati in argilla. Nell’officina mazarese sono stati rinvenuti ganci a forma di “S” utilizzati per sostenere manufatti ansati di piccole dimensioni, quali le tazze. Lo scarico non ha restituito i distanziatori a “zampa di gallo”, utilizzati per l’impilaggio in fornace dei catini. La produzione esclusiva della bottega è costituita da ceramiche invetriate56, quali catini, tazze e lucerne rivestite da invetriatura piombifera. È interessante rilevare che la bottega produceva molto probabilmente imitazioni di ceramica nordafricana a boli in giallo57.

Due fornaci e alcuni scarichi di produzione sono stati messi in luce a Piazza Armerina. È da riferire all’XI secolo lo scarico di una fornace “a barre” rinvenuto nel peristilio della Villa nel 197058. È costituito da ceramica depurata priva di rivestimento e ceramica invetriata. I rinvenimenti comprendono manufatti con difetti di fabbricazione, grumi di argilla concotta, due frammenti di barre d’infornamento con gocciolature di vetrina sul corpo59. Un secondo scarico era stato rinvenuto nel corso delle precedenti indagini condotte da V. Gentili nell’ambiente termale. Esso costituiva il riempimento di una fossa che aveva tagliato il pavimento a mosaico con una scena di circo. Stando ad una brevissima descrizione fornita da Fiorilla60, i materiali di questo secondo scarico dovrebbero essere del tutto simili a quelli pubblicati da Ampolo61. In precedenza, gli scavi diretti da Gentili avevano portato alla luce tra gli anni ’50 e ’70 due fornaci, una all’interno del Peristilio e l’altra nel Prefurnio centrale del Calidario delle Terme, che furono distrutte. La prima aveva pianta rettangolare e piano forato. Al suo interno fu recuperato il carico costituito da ceramica depurata, dipinta in rosso e coppi ipercotti. La seconda fornace era invece più tarda (XIV secolo ?) e produceva coppi.

Recenti indagini nel settore Ovest hanno portato alla luce elementi che fanno supporre l’esistenza di un impianto produttivo di fine XI-inizi XII, appartenente ad un’area artigianale probabilmente più vasta. Lo scavo ha restituito manufatti ceramici

56 M

OLINARI 2012.

57

Cfr. la descrizione della classe al paragrafo III.3.11. Per Mazara, cfr. MOLINARI 1997a, p. 377, nota 9.

58 A MPOLO 1971. 59 A LAIMOETALII 2010, p. 59. 60 F IORILLA 1995a, p. 34. 61 AMPOLO 1971.

(10)

89

identificati come scarti di produzione di anfore, ceramica depurata ed invetriata ed inoltre frammenti di barre di fornace62. Scarti ed indicatori di produzione sono stati recuperati inoltre in diverse parti del sito nel corso delle indagini63.

Gli scavi condotti negli anni ’60 nella statio tardoantica di Sofiana portarono alla luce tre fornaci da ceramica, distrutte per proseguire le indagini nei livelli inferiori del sito. Secondo quanto comunicato da Fiorilla64, il forno della stanza XII potrebbe essere ascrivibile al Tardoantico mentre gli altri due, costruiti rispettivamente nella stanza II e nel tepidarium, sono di età medievale. Non è chiara la tipologia di forni utilizzati. Un riesame dei materiali ha permesso di attribuire alla fornace della stanza II un complesso di manufatti comprendente scarti di prima e seconda cottura. Si tratta di qualche catino carenato con orlo bifido e di molti altri con orlo arrotondato, lucerne a vasca chiusa e becco canale, ceramica invetriata e dipinta sotto vetrina in verde e bruno e forse da ceramica monocroma verde con decorazione solcata 65 . Questi manufatti sono inquadrabili tra la seconda metà del X e la prima metà del XII secolo.

Gli scavi per la realizzazione del Viale Littorio agli inizi del ‘900 a Siracusa (Ortigia), rivelarono, presso il tempio di Apollo, potenti livelli di discarica che restituirono un enorme quantitativo di ceramica databile tra seconda metà X e XVI secolo66. Relativamente alle produzioni di seconda metà X-XI secolo, il 95% dei rinvenimenti è costituito da ceramica invetriata. Il tipo maggiormente attestato è il catino emisferico con orlo a breve tesa, seguito dai catini carenati con orlo arrotondato o bifido decorati in verde e bruno. Analisi archeometriche eseguite su alcuni campioni hanno accertato una produzione locale di questi manufatti, indicata dalla presenza di inclusi di natura vulcanica67. Un gruppo di scarti di lavorazione e strumenti di corredo della fornace quali barre cilindriche d’infornamento, distanziatori a zampa di gallo e supporti ad anello, indica che l’officina che ha prodotto questi manufatti utilizzava una fornace verticale “a barre”.

62

ALAIMOETALII 2010, p. 41.

63 Ceramica ipercotta e deformata tra cui anfore fondo umbonato e distanziatori a zampa di gallo sono

stati rinvenuti nel corso degli scavi Gentili (ALAIMOETALII 2010, pp. 58-59); barre d’infornamento con gocciolature di vetrina provengono da alcuni butti recentemente indagati (PENSABENEETALII 2009).

64 F IORILLA 1995a, p. 34. 65 Ibidem; F IORILLA, SCUTO 1990, p. 162-165, 22-33 e p. 166, 39-40. 66 F IORILLA 2009a. 67 BEN AMARA ET ALII 2009.

(11)

90

La presenza a Palermo di officine che producono ceramica invetriata è segnalata da scarti e indicatori di produzione di seconda metà X-XI secolo che sono stati rinvenuti in più occasioni in varie parti della città, alla Stazione Centrale, in via F. Crispi e nell’area del castello a Mare68. Alla fine dell’XI-inizi XII secolo si data lo scarico di un’officina con fornace “a barre” rinvenuto a Palazzo Lungarini69 e quello nell’ex convento dei Benedettini Bianchi70. Un’officina ceramica con due fornaci a barre è stata inoltre messa in luce recentemente nei locali del Teatro di Santa Cecilia alla Kalsa (inedito), con cronologia compresa tra XI e XII secolo. Possibili produzioni locali di ceramica invetriata, in assenza di strutture e scarti di produzione sono state ipotizzate sulla base dell’identificazione di varianti morfologiche in alcune produzioni invetriate. È questo il caso di un gruppo di catini rinvenuti a Brucato e a Monte Iato71.

Le officine che producono ceramiche invetriate impiegano tutte forni verticali “a barre” di tradizione islamica, la cui introduzione è connessa al diffondersi delle nuove tecniche di rivestimento dei manufatti con invetriatura piombifera o stannifera72. Questa tipologia di forno trova quindi un impiego specialistico per la produzione di ceramiche con rivestimento invetriato. Tale produzione può comunque essere affiancata da quella di manufatti in grezza da fuoco e/o depurata. In quest’ultimo caso l’utilizzo della fornace con le barre fittili d’infornamento pone al vasaio alcuni limiti poichè i prodotti non possono avere grandi dimensioni e peso eccessivo per non causare la rottura delle barre e la conseguente perdita del carico.

Le officine sono situate sia in contesti urbani sia rurali, all’interno dell’abitato o ai margini di esso. Nel caso degli insediamenti rurali, si osserva che le attestazioni riguardano in alcuni casi abitati sorti nell’area occupata da importanti preesistenze tardoromane o tardoantiche, come la villa di Piazza Armerina o la vicina statio di Philosophiana. Le attività artigianali si trovano in prossimità di vie di comunicazione e,

68 Cfr. ARCIFA 1996, p. 452, nota 7. 69 D’ANGELO 2005. 70 A RCIFA 1996. 71 Cfr. M

OLINARI 1994a, p. 102. Per Brucato (MACCARI POISSON 1984, pp. 349-350); per Monte Iato (ISLER 1984, fig. 24.96).

72 Il rivestimento utilizzato nelle produzioni ceramiche siciliane monocrome o dipinte sotto vetrina di

seconda metà X-XII secolo è esclusivamente l’invetriatura piombifera. Le prime produzioni siciliane ad impiegare l’invetriatura stannifera sono le protomaioliche, la cui produzione inizia ai primi del XIII secolo.

(12)

91

in alcuni casi, di vicini punti di approvvigionamento delle materie prime73. È interessante evidenziare che la vicinanza di luoghi di mercato, la cui presenza è attestata soprattutto grazie all’opera di Idrīsī (1154) 74 , è un elemento che certamente condizionava le scelte nel posizionamento di queste attività produttive (figg. 11 e 12). Le fonti scritte ricordano che tra le botteghe presenti nei mercati cittadini di Palermo, concentrati nell’area tra il Quartiere Nuovo ed il Quartiere della Moschea, c’erano quelle dei vasai e dei mercanti di giare (973 d.C.)75. Le indagini archeologiche in quest’area della città hanno portato alla luce lo scarico di Palazzo Lungarini e recentemente anche l’officina ceramica all’interno dei locali del Teatro S. Cecilia (inedito).

Le produzioni siciliane di ceramica fine da mensa con rivestimento invetriato tra seconda metà X e prima metà XI secolo sono molto numerose76. La maggior parte delle produzioni è riconducibile alla Sicilia occidentale, ma solamente in pochi casi ne è stato accertato il centro di produzione. I rinvenimenti più frequenti riguardano i catini carenati con orlo bifido e decorazioni “a pennellate senza contorno” (seconda metà X-prima metà XI secolo), e i catini carenati con orlo arrotondato, leggermente più tardi (fine X/XI secolo). Tra i catini con orlo arrotondato si distingue la produzione tipo “pavoncella” per via del soggetto principale della sua decorazione. La compatibilità ossevata tra gli impasti caratterizzanti le anfore dipinte in rosso palermitane e quelli relativi al tipo pavoncella, spesso rinvenuti in associazione, rendono molto probabile che essa fosse prodotta a Palermo77. Abbiamo quindi incrociato le sue attestazioni con quelle della dipinta in rosso palermitana per cercare di articolare ulteriormente il raggio di diffusione dei prodotti della capitale. Le attestazioni di catini con orlo arrotondato tipo pavoncella sono numerosissime e concentrate in particolare nell’area occidentale. Interessano sia i centri urbani sia gli insediamenti rurali. Fuori dalla Sicilia il tipo pavoncella è attestato anch’esso a Pisa, a San Paragorio a Noli, in Calabria ed in Libia ad El-Medeinah e Ajdabiyah 78.

73

Le officine di Piazza Armerina e Sofiana potevano facilmente approvvigionarsi dell’argilla necessaria sfruttando i vicini giacimenti fluviali del Gela. Nel caso di Piazza Armerina è stato verificata la compatibilità tra i manufatti prodotti e le argille del vicino fiume Gela (ALAIMOETALII 2010).

74

Idrīsī in AMARI 1880-81, I, capitolo VII, pp. 31-133.

75 Ibn Hawqal in A

MARI 1880-81, I, capitolo IV, pp. 11-27.

76 Per la descrizione delle produzioni dipinte locali vedi i paragrafi III.3.6-8. 77 M

OLINARI,CASSAI 2010, p. 216 e p. 227, nota 102.

78

(13)

92

Il riesame delle attestazioni di produzioni ceramiche siciliane ed in particolare della dipinta in rosso palermitana e delle invetriate “a pennellate senza contorno” e “pavoncella”, conferma per il momento quanto noto sulle esportazioni di ceramiche siciliane, che si registrano quindi a partire dalla seconda metà del X secolo. È evidente il ruolo esercitato da Palermo nella produzione e circolazione di ceramiche a livello regionale ed extra regionale79. È stato notato che la circolazione di ceramiche palermitane non è tanto legata alla distanza da questa città quanto dalla concorrenza di officine locali e da precise preferenze di mercato80. A livello regionale, l’ampia circolazione che riguarda alcune classi ceramiche, e che è particolarmente evidente per i prodotti palermitani, lascia intravedere la presenza di una rete di scambi articolata ed efficiente all’interno della Sicilia.

Le fonti scritte di X-XI secolo non contengono molti riferimenti ai luoghi degli scambi, ad eccezione della dettagliata descrizione dei mercati cittadini di Palermo fornita da Ibn Hawqal (973)81. Il viaggiatore e geografo indica che la maggior parte dei mercati della capitale sono situati tra il Quartiere della moschea (Harat ‘al Masgid) ed il Quartiere nuovo82 (Harat ‘al gadīdah), ovvero a Sud della città. La cittadella (al-Hālisah) non ha al suo interno nè mercati nè fondachi. Nei mercati ricordati da Ibn Hawqal si vendono prodotti alimentari ed artigianali, ed in essi sono attivi anche vasai e mercanti di giare83. Dall’articolazione e dalla marcata specializzazione per settori merceologici di tali mercati (aswāq), è possibile dedurre un forte sviluppo della figura del mercante, con una fitta rete di collegamenti nell’entroterra per l’approvvigionamento84. Avanzando in età normanna, la testimonianza di Idrīsī85 (1154) ci consente di ricostruire un quadro dettagliato della rete di mercati e dei porti commerciali attivi in Sicilia alla metà del XII secolo. Egli ricorda sostanzialmente i mercati presenti nei porti d’esportazione e nei

79 Cfr. M

OLINARI 2010.

80 Ivi, p. 165. 81

Ibn Hawqal in AMARI 1880-81, I, capitolo IV, pp. 11-27. BRESC 1993, p. 304 e nota 63.

82

Ibn Hawqal in AMARI 1880-81, I, capitolo IV, p. 15.

83 Cit. B

RESC 1993, p. 304 e nota 63. I mercati ricordati da Ibn Hawqal sono di prodotti alimentari ed artigianali. In essi si trovano i mercanti d’olio, di farina, di frumento, di pesci, granaglie, verdura, frutta, piante aromatiche, panettieri, venditori di carne e macellai, fabbri, armaioli, ricamatori, cordaioli, calzolai, conciatori, falegnami, vasai, cardatori, ciabattini, mercanti di giare, cambiatori (di denaro), farmacisti, droghieri, venditori di legna, mercanti di cotone e tudjajār (grandi mercanti).

84 Cit. A

RCIFA 2008e, pp. 44-45.

85

(14)

93

borghi fortificati86. Non fa quasi menzione dei mercati rurali, all’interno dei casali, che sono ricordati invece nella documentazione monrealese del 118587.

Per il periodo compreso tra X ed XI secolo, la documentazione scritta che ci informa sui commerci da e verso la Sicilia, è costituita sostanzialmente da alcune fatwas88, sentenze giuridiche emesse da dottori della legge islamica per dirimere controversie in seno alle comunità, e dalle lettere delle famiglie di mercanti ebrei rinvenute in Egitto alla Geniza di Fustāt (oggi Il Cairo)89. Le fatwas fanno riferimento alla Sicilia come terra produttrice di grano. Queste fonti Sappiamo inoltre che l’isola esporta zucchero verso la Tunisia già nei decenni centrali del X secolo e che tali esportazioni devono aver avuto un carattere non occasionale. Lo studioso sunnita di Qayrawan Abū al-Faḍl al-Mamsī, morto nel 945 d.C., si rifiuta ad es. di mangiare torte perchè lo zucchero utilizzato in città proveniva dalle coltivazioni siciliane del califfo Fatimida90. I documenti dei mercanti ebrei menzionano invece importazioni di tale prodotto in Sicilia. Le lettere della Geniza attestano a partire dall’XI secolo commerci di prodotti di lusso. La maggior parte dei documenti che riguardano la Sicilia si concentra nella prima metà dell’XI secolo, quando l’isola amministrata dai Kalbiti stava vivendo un momento di splendore91. All’interno della Sicilia, le lettere attestano frequenti relazioni tra la capitale Palermo e la città di Mazara. I viaggi commerciali internazionali più frequenti sono invece dall’Egitto e dal Maghreb verso la Sicilia92. Per quanto riguarda i prodotti scambiati, i documenti attestano esportazioni siciliane di seta grezza, tessuti di pregio, pelle, ma anche alimenti quali mandorle, formaggi e piccole quantità di olio o grano93. Tra le merci importate in Sicilia figurano invece il lino egiziano, prodotti necessari all’industria tessile (sale d’ammonio, lacca, indaco), spezie, zucchero94.

I vettori degli scambi commerciali da e verso la Sicilia sono i mercanti locali, d’Ifriqiya, dell’Italia meridionale. Le flotte pisane e genovesi non sono ricordate nelle fonti di XI

86 Cit. BRESC 1993, p. 301. 87 Ivi, p. 300. 88 A MAR 1908-09. 89 G OITEIN 1967; UDOVICH 1995; NEF 2007. 90

Cit. IDRIS 1962, II, pp. 630-631, nota 179; BRESC 1993, p. 295; CHIARELLI 2011, p. 216.

91 N EF 2007, p. 277. 92 Ibidem. 93 Ivi, pp. 289-290. 94 Ibidem.

(15)

94

secolo come vettori di commerci, ma sono piuttosto impegnate in imprese militari95 in chiave anti islamica.

Le importazioni di manufatti ceramici tra seconda metà X e prima metà XI secolo in Sicilia sembrano avere per il momento una scarsa incidenza generale, sia in ambito urbano sia rurale. Esse riguardano quasi esclusivamente ceramiche di provenienza nordafricana. Tra questi manufatti prevalgono in Sicilia le attestazioni piccole forme chiuse96, come ad esempio i vasi con filtro e le ceramiche invetriate97. I rinvenimenti di Casale Nuovo98 hanno mostrato come la qualità di questi manufatti (invetriate/smaltate dipinte sotto vetrina) sia piuttosto scadente se confrontata con le coeve produzioni siciliane. Tra le importazioni nordafricane si distingue la classe della ceramica smaltata con decorazione a “boli” in giallo, che mostra un maggior numero di attestazioni nella Sicilia centro-meridionale ed è presente in più casi in insediamenti fortificati. Per questa classe è stata accertata anche una produzione locale a Mazara99 (seconda metà/fine X-inizi XI secolo). Le importazioni da aree diverse dal Nord Africa sono molto rare. Un solo frammento di cuerda seca parcial, prodotto nella Spagna islamica, è stato rinvenuto a Calathamet. Solo qualche frammento proviene dalle aree islamiche orientali100. Un’unica attestazione, a Palermo, riguarda la vetrina sparsa di probabile produzione campana. Si segnalano inoltre rinvenimenti di pietra ollare a Marettimo ed a Santa Maria degli Angeli (Gancia) a Palermo101. Il quadro della circolazione extra regionale di ceramiche siciliane tra la seconda metà del X e l’XI secolo ci permette di ampliare notevolmente il quadro dei contatti/rapporti commerciali noto attraverso le fonti scritte.

95 P

ETRALIA 2000, p. 207.

96 Palermo - via Torremuzza (P

EZZINI 2004, p. 361), Palazzo Sambuca e Chiaramonte Steri (SPATAFORA

2005, pp. 64-66 e 71-73). Mazara - Casale Nuovo (MOLINARI, VALENTE 1995).

97

Importazioni di ceramica fine da mensa: Palermo – quartiere castello san Pietro (ARCIFA,LESNES 1997, p. 409, fig. 2b, 14-15), fine IX-primo terzo X secolo. Mazara – Casale Nuovo (MOLINARI, VALENTE

1995, tav. I, 5-11; PATTERSON 1995), fine X-XI secolo; via T.G. Romano (MOLINARI, CASSAI 2010, p. 210), fine X-XI secolo. Marsala – Capo Boeo (MOLINARI 1995, p. 192). Carini – contrada San Nicola (GAROFANO 1997-1998, p. 664, fig. 3), fine X-inizi XI secolo. Montevago – casale di Caliata (CASTELLANA, MCCONNELL 1992a, p. 43). Delia - Castellazzo (SCUTO, FIORILLA 2010, pp. 94-95). Milena – casale di Milocca (ARCIFA, LA ROSA 1991, p. 202 e p. 300 fig. 46, 2).

98 M

OLINARI, VALENTE 1995.

99

MOLINARI 1997a. Dovrebbero essere di fabbricazione locale anche alcune ceramiche a “boli” in giallo da Delia.

100 O

RSI 1915; GABRIELI, SCERRATO 1979, pp. 422-23; PESEZ,POISSON 1991, p. 326. Un riferimento ad importazioni di ceramiche egiziane in Sicilia è contenuta nelle fonti ebraiche (GOITEIN 1967, p. 110).

101

(16)

95

III.3 Le ceramiche di produzione locale e di importazione

Il capitolo presenta le classi identificate descrivendone le caratteristiche tecnologiche, i tipi morfologici principali e discutendo le principali problematiche aperte che le riguardano. Fornisce inoltre il quadro delle attestazioni della classe nell’isola corredato dai i relativi riferimenti bibliografici e cronologici. Le informazioni riguardanti la datazione dei rinvenimenti non sono presenti nei casi in cui il contesto di provenienza ha scarsa affidabilità oppure se si tratta di recuperi da ricognizioni o comunque privi di supporto stratigrafico.

III.3.1 Grezza priva di rivestimento (catalogo 1.)

Le forme principali per la cottura dei cibi tra la seconda metà del X secolo e la prima metà dell’XI secolo sono l’olla e la pentola.

La tipologia di olla rinvenuta con maggiore frequenza è realizzata al tornio e si caratterizza per l’orlo ingrossato a tesa estroflessa, il corpo globulare con parete cordonata, il fondo convesso (in alcuni casi carenato) e le superfici scurite (cat. 1.22.9), la cottura riducente (?).

Ceramica da fuoco: Inoltre, è stato recentemente rilevato che anche i catini depurati potevano trovare un impiego durante la cottura dei cibi, utilizzati come coperchio o per particolari tipi di cottura102.

I contesti di quartiere castello San Pietro a Palermo ci restituiscono le prime attestazioni di questo tipo ceramico agli inizi del X secolo. Come detto in precedenza103, non è chiaro se l’olla sia stata utilizzata anche nel corso del IX secolo o piuttosto reintrodotta agli inizi del X secolo. Dalla sua comparsa la forma appare già molto standardizzata104. Le analisi archeometriche condotte sugli esemplari da castello San Pietro e via Torremuzza hanno permesso di accertare una produzione locale di questi manufatti105. L’impasto di questo contenitore è del tipico colore rosso con inclusi di calcite, caratteristico delle produzioni della Sicilia occidentale. Un secondo corpo ceramico, proprio di alcune olle rinvenute in via Torremuzza, è caratterizzato dall’aggiunta

102

È questo il caso dei catini rinvenuti a Delia (SCUTO, FIORILLA 2010, p. 81), il cui bordo è fumigato. Cfr. cat. 3.2.6d-f.

103 Cfr. supra. 104 A

RCIFA 1998a, p. 278.

105

(17)

96

intenzionale di selce frantumata ed è indicativo della presenza di produzioni non di area palermitana106.

Olle con orlo ingrossato a tesa estroflessa, analoghe a quelle rinvenute a Palermo, sono note ad Agrigento107, Muculufa108, nel territorio di Caccamo109, a Santa Croce Camerina110.

Nei casi di Agrigento e Muculufa è stato verificato l’utilizzo di argille locali, indice della presenza di più centri produttori nella Sicilia occidentale111, i quali condividono con Palermo uno stesso prototipo morfologico112.

L’analisi delle olle rinvenute nei contesti palermitani ha evidenziato una modificazione di alcune loro caratteristiche nel corso del X secolo. La tesa si riduce progressivamente e l’orlo diviene arrotondato113.

Altre produzioni sono meno conosciute e di alcune di esse è stata fornita solamente una descrizione sommaria priva di documentazione grafica. Si tratta di olle e tegami di grandi dimensioni modellati a mano, caratterizzati da cotture ossidanti ottenute a bassa temperatura, attestati in contesti palermitani soprattutto nella prima metà del X secolo e che diventano sporadici verso la fine del secolo114.

Avanzando nell’XI secolo, i contesti palermitani mostrano l’affermazione della pentola ansata sull’olla. Queste pentole si caratterizzano per l’orlo ingrossato, estroflesso o appiattito superiormente, le anse complanari all’orlo, il corpo globulare cordonato. Fuori da Palermo, sia le olle con orlo a tesa sia quelle con orlo arrotondato ed estroflesso mostrano un utilizzo più lungo nel corso dell’XI secolo, come indicato ad esempio dai rinvenimenti di Casale Nuovo115. Tra fine XI e prima metà XII secolo le fornaci agrigentine della necropoli sub-divo continuano a produrre olle con orlo a tesa estroflessa oppure verticale ma si tratta in questo caso di contenitori da dispensa116.

106 Ivi, campione 167. 107 V ITALE 2007. 108 SCUTO, FIORILLA 1990, p. 137, 240. 109 LAURO 2009. 110 D I STEFANO, FIORILLA 2000, p. 246. 111 A RDIZZONE 2004, p. 380. 112 ARCIFA 1998a, p. 278. 113 Ibidem. 114 A RCIFA 1998a, p. 278. 115 M

OLINARI, CASSAI 2010,p. 211, fig. 6.

116

(18)

97 III.3.2 Grezza “ad impasto” (catalogo 9.)

La classe è al centro di un dibattito che vede contrapposte due tesi che attribuiscono la sua presenza in Sicilia nel Medioevo alla continuità di una lunga tradizione produttiva locale oppure ad un portato allogeno. La scarsa conoscenza della cultura materiale tra VIII e prima metà X secolo non consente al momento di chiarire definitivamente la questione, sebbene le pentole ad impasto siano al momento assenti nei contesti altomedievali noti, nei quali le ceramiche da fuoco attestate sono olle e casseruole. La tesi della continuità è stata sostenuta da A. Molinari che aveva suggerito un mantenimento della tradizione produttiva delle pentole ad impasto in Sicilia dall’età arcaica alla fine del XIII secolo117. In base a questa interpretazione, le attestazioni di qusti manufatti potevano quindi indicare la presenza della popolazione autoctona sull’isola. Diversa la posizione di F. Ardizzone che attribuisce ad elementi allogeni la rinnovata presenza di ceramiche ad impasto in Sicilia tra fine X/inizi XI ed il terzo quarto del XIII secolo. Riprendendo le considerazioni di Peacock sulle produzioni ceramiche berbere nell’Africa romana, la studiosa attribuisce le attestazioni medievali della classe all’immigrazione di popolazioni berbere nell’isola, stanziatesi in particolare nell’agrigentino, durante il governo dei Fatimidi118. Secondo Molinari invece, non esisterebbe al momento «alcuna prova positiva che permetta di collegare in modo univoco le pentole cilindriche alla componente berbera, essendo ad esempio in Spagna piuttosto legate alla popolazione autoctona, anche prima della conquista islamica»119. Quanto alla possibile attribuzione di tali manufatti alla componente berbera, recenti studi che indicano che la loro presenza nella Sicilia islamica sarebbe stata numericamente poco significativa120.

La classe comprende pentole, tegami, testelli e bacili prodotti a mano, nella maggior parte dei casi, oppure al tornio veloce. Nel primo caso i tipi presentano numerose varianti dovuti al modo di produzione ma mantengono un modello di riferimento comune. 117 M OLINARI 1997b, p. 122. 118 Ivi, p. 204. 119 Cit. M OLINARI,CASSAI 2010, p. 205.

120 Cfr. quanto rilevato da A. Metcalfe (M

ETCALFE 2003) e A. Nef (NEF 2012). Di diverso avviso L. Chiarelli (CHIARELLI 2011), che imposta il suo lavoro sulla contrapposizione tra Arabi e Berberi nella Sicilia islamica.

(19)

98

Le pentole hanno orlo introflesso arrotondato o ingrossato, anse orizzontali “ad orecchio”, pareti verticali e fondo piano121 (cat. 9.25.9-11). La parete esterna è spesso decorata da cordoni o listelli fittili, con motivi impressi o incisi, o da semplici decorazioni incise (più rare). Non sembra al momento possibile precisare l’evoluzione tipologica di questi manufatti.

I tegami (cat. 9.1.11) sono caratterizzati da orlo arrotondato su parete estroflessa e fondo piano. La forma del tegame sembra essere attestata solamente tra le produzioni di ceramica grezza “ad impasto”. La forma trova solitamente impiego nella cottura di carne o pesce. I testi o testelli hanno invece una bassa parete con bordi molto spessi e fondo piano. In Sicilia sono noti esemplari realizzati in ceramica oppure in pietra tenera. La forma trova un impiego specifico nella cottura di farinacei, ma può essere utilizzata anche per altre preparazioni, come mostrato dalle analisi sui residui organici condotte da A. Pecci su alcuni manufatti toscani. I rinvenimenti di testelli in Sicilia sono al momento rari e difficili da circoscrivere cronologicamente.

Tra la seconda metà del X e la prima metà dell’XI secolo la classe è attestata nella Sicilia occidentale, centrale ed orientale con la probabile esclusione del Val Demone, nel quale i primi rinvenimenti si datano alla fine dell’XI secolo. Nel corso del XII secolo (in seguito allo spostamento della popolazione araba verso la Sicilia occidentale, l’area più islamizzata dell’isola, dopo i massacri di Musulmani che si verificarono nell’isola), la classe non sembra essere più attestata nella Sicilia orientale. Nella parte occidentale l’utilizzo delle pentole “ad impasto” continua ancora in alcune aree nel corso del XII e fino alla prima metà del XIII secolo, almeno nei siti fortificati in cui si rifugerà a più riprese la popolazione musulmana. Le attestazioni della classe terminano in coincidenza con lo sterminio e all’assorbimento nel tessuto sociale isolano latino e cattolico122 degli elementi arabi rimasti nell’isola dopo la soppressione delle ultime rivolte musulmane (1221-25; 1229-30; 1239; 1243-1246 d.C.) per mano di Federico II. La classe è attestata a Mazara – Casale Nuovo (MOLINARI, VALENTE 1995, tav. III, 1), XI secolo. Castelvetrano – castello della Pietra (ARDIZZONE ET ALII 2012, p. 42, fig. 3), seconda metà X-prima metà XI secolo. Agrigento - fornaci necropoli (DENARO 2008, p. 149, 89.258; 89.261; 89.268; 96.2189), fine XI-inizi XII secolo. Caltanissetta – Santo Spirito (FIORILLA, SCUTO 1990, p. 87, 62-64). Sofiana (FIORILLA, SCUTO 1990, p. 159,

121 C

ASTELLANA 1992a, p. 48, fig. 25; MOLINARI, VALENTE 1995, tav. III, 1-2; FIORILLA 1992b, pp. 194-195.

122

(20)

99

1-4). Delia – Castellazzo (SCUTO, FIORILLA 2010, p. 80, fig. 4), fine X-prima metà XII secolo (?). Bitalemi (FIORILLA, SCUTO 1990, p. 212, 172). Piazza Armerina (BARRESI 2008 p. 139), XII secolo; FIORILLA 2006b, p. 186, XI-XII secolo). Merì - San Giuseppe (ARCIFA 2004d, pp. 89-90, 20-21), XI-inizi XII secolo. Santa Croce Camerina (DI STEFANO, FIORILLA 2000, p. 246). Segesta (MOLINARI 1997, p. 121, fig. 167, I.1.1), prima metà XIII secolo. Entella (CORRETTI 1995, p. 102, A38-39), fine XII-prima metà XIII secolo. Monte Iato (RIBI, ISLER 1988, pp. 66-68), secondo quarto XIII secolo. Agrigento – Cozzo Tahari (RIZZO 2004, pp. 66-67). Sofiana (FIORILLA, SCUTO 1990, p. 159, 5). Caccamo - Contrada Ciacca (LAURO 2009, p. 81). Ragusa Ibla (DI STEFANO, FIORILLA 2006, p. 193), seconda metà X-XI secolo.

III.3.3 Depurata priva di rivestimento (catalogo 3.)

La classe comprende ceramiche con funzioni differenti; si tratta per la maggior parte di manufatti da dispensa e mensa. Sono realizzati al tornio e caratterizzati da impasti depurati e superfici prive di rivestimento non trattate, oppure intenzionalmente schiarite o scurite/brunite. Lo stato dell’edito unitamente ad una certa conservatività delle caratteristiche morfologiche di alcune forme nel tempo (in particolare nel caso dei manufatti da dispensa), non ci consentono di individuare e definire cronologicamente le evoluzioni morfologiche di gran parte delle forme in depurata nel corso del Medioevo. Per quanto riguarda la mensa, la forma principale è rappresentata dal catino. Le attestazioni più frequenti tra fine X/prima metà XI secolo, con attardamenti fino alla fine dell’XI, sono relative a catini carenati (cat. 3.2.4-10) con orlo bifido oppure con orlo arrotondato (a partire dall’XI secolo) e superfici schiarite. A questi catini se ne affiancano altri di differente morfologia che sebbene siano rappresentati nell’edito solo tra le produzioni rivestite, dobbiamo supporre che fossero prodotti anche in depurata priva di rivestimento. È questo il caso ad esempio dei catini con orlo a breve tesa e corpo emisferico, oppure con orlo assottigliato e corpo troncoconico.

Le coppe (cat. 3.5.3-5) si rinvengono raramente negli scavi, nei quali prevalgono invece le tazze. Gli esemplari di seconda metà X secolo da via Torremuzza a Palermo123 sono caratterizzate da orlo indistinto e parete carenata ad andamento verticale o curvilineo.

123

(21)

100

I bacili (cat. 3.1.4-8) potevano essere impiegati per il lavaggio e la preparazione dei cibi, oppure come contenitori generici o per l’igiene personale. Sono caratterizzati da orlo a tesa, corpo troncoconico, due prese laterali e fondo piano.

La funzione degli scaldavivande (cat. 3.8.2-5) rimane in parte ancora da chiarire.

Il tipo che si rinviene con maggiore frequenza è caratterizzato dall’orlo a tesa orizzontale decorata da linee solcate e sormontata da sostegni cilindrici. Gli scaldavivande erano probabilmente utilizzati principalmente come supporto per recipienti, con la funzione accessoria contenere braci124 . Le attestazioni degli scaldavivande si concentrano in contesti urbani: Palermo – ex convento dei Benedettini Bianchi (ARCIFA 1996, p. 465, 21-22); via Torremuzza (PEZZINI 2004, p. 367), seconda metà X-inizi XI secolo; San Domenico (LESNES 1997, tav. I, 12-15); Magione (D’ANGELO, GAROFANO 1995, p. 339, 41; D’ANGELO, GAROFANO 1997, p. 301, fig. 13, 7 e p. 302). Mazara – via T.G. Romano (MOLINARI, CASSAI 2010, p. 215, tav. I, 19-20), XI secolo; Cattedrale (VALENTINO 2003). Bitalemi (SCUTO, FIORILLA 1990, p. 212, 175). Agrigento – fornaci Santa Lucia (SCUTO, FIORILLA 1990, pp. 29-30, 18-20). Santa Croce Camerina (DI STEFANO, FIORILLA 2000, p. 246).

Tra i contenitori anforici sono ben note le produzioni palermitane dipinte in rosso ed anche la serie “parallela” che presenta tipi analoghi ma privi di decorazione dipinta. Date le strette analogie che legano questi manufatti a quelli dipinti è possibile ipotizzare che essi fossero prodotti nelle stesse officine. Sono molto meno note le altre produzioni isolane quanto a caratteristiche morfologiche, cronologia, diffusione ed evoluzione morfologica dei tipi.

Mazara...anfore caratterizzate da orlo ingrossato ed arrotondato, collo cilindrico, anse a sezione ovale impostate tra collo e spalla, corpo cordonato ovoidale e fondo umbonato (cat. 3.15.8 e 11). Spostandoci nell’agrigentino, gli scavi di Delia hanno documentato la presenza di anfore dalla stretta imboccatura, caratterizzati da orli molto articolati e da nervature a rilievo sul collo cilindrico125. La cronologia di questi rinvenimenti non è del tutto chiara, potrebbe trattarsi sia di tipi dell’XI o dei primi decenni del XII secolo. Alcuni di questi manufatti trovano confronti con i prodotti delle fornaci agrigentine di Santa Lucia e della necropoli sub-divo, operanti a partire dalla seconda metà/fine dell’XI secolo. Ma non è da escludere che le anfore di Delia fossero prodotte

124 M

OLINARI, CASSAI 2010, p. 212.

125

(22)

101

localmente. Un indizio in tal senso è dato dalla presenza di un’anfora ipercotta e deformata recuperata nel corso degli scavi126.

Il vaso con filtro (cat. 3.29.1a-c) è una forma chiusa di dimensioni medio-piccole utilizzata per la conservazione ed il consumo di acqua. È caratterizzata da un filtro fittile integrato all’interno del vaso, posizionato all’attacco tra il collo e la spalla. La sua funzione è di proteggere il contenuto del vaso da possibili intrusioni di insetti e corpi estranei127. Sulla base delle decorazioni si distinguono vasi con filtro semplice o elaborato. Nei primi il filtro è costituito da semplici fori a sezione circolare o rettangolare realizzati mediante l’utilizzo di bastoncini o chiodi. Questi vasi hanno quasi sempre decorazioni dipinte in rosso oppure sovradipinte in bianco su fondo rosso-bruno. Nei vasi con filtro elaborato la decorazione è costituita da motivi geometrici realizzati per mezzo di fori e solcature. Lo spazio centrale può inoltre essere occupato da una cupoletta a rilievo o da lettere inscritte in lingua araba128.

La forma è attestata dalla seconda metà del X alla prima metà del XIII secolo sia importata dal Nord Africa, sia prodotta localmente.

I vasi con filtro elaborato compaiono fin dall’inizio della produzione, mentre rimane da chiarire se gli esemplari con filtro semplice, attestati al momento a partire dall’XI secolo, possano essere stati contemporanei ai primi.

A partire dall’XI secolo è attestato anche il tipo con beccuccio versatoio.

Il processo di semplificazione morfologico/decorativa che investe le produzioni ceramiche dalla seconda metà dell’XI secolo interessa anche i vasi con filtro e comporta la semplificazione delle decorazioni nelle produzioni sovradipinte in bianco.

Nello stesso periodo la produzione di vasi con filtro semplice sovradipinti in bianco si interrompe, mentre prosegue quella di vasi con filtro in depurata con superfici schiarite oppure rivestite da invetriatura monocroma verde.

Il vaso da noria (cat. 3.33.2) mantiene sostanzialmente inalterate le sue caratteristiche morfologiche tra seconda metà X e prima metà XI secolo. La forma si rinviene raramente e le sue attestazioni sono concentrate al momento a Palermo. Museo Salinas (LESNES 1997, p. 47, 12), fine X-XI secolo; forse a San Domenico (LESNES 1993, p. 577, fig. 5, 33); Palazzo Arcivescovile (); Maredolce. Resuttano – sito 40 Chiesazza.

126 Ivi, p. 83, fig. 14 b. 127 D

OLCIOTTI 2007, p. 225.

128

(23)

102

La lucerna a cupola attestata dagli inizi del X secolo nella versione in depurata priva di rivestimento, dalla seconda metà del X e fino agli inizi dell’XI secolo è presente anche con superfici rivestite invetriatura o dipinte sotto vetrina (cat. 11.34.1).

A partire dalla seconda metà del X secolo129 la lucerna a cupola viene progressivamente sostituita da lucerne tornite con serbatoio chiuso di forma circolare, presa arrotolata e lungo becco canale (cat. 3.34 e 13.34). A partire dalla forma base si sviluppano numerose varianti. Gli esemplari più elaborati hanno disco traforato, oppure presa a forma di protome animale.

III.3.4 Dipinta in rosso (catalogo 4.)

A partire dalla seconda metà/fine del X secolo, la dipinta in rosso di produzione palermitana modifica il proprio patrimonio morfologico e decorativo.

I tipi attestati nella prima metà del X secolo sono sostituiti da un gran numero di nuovi contenitori sia con larga imboccatura, da aridi, sia con stretto collo, da liquidi (cat. 4.15.10-37t). Gli studi di L. Arcifa e F. Ardizzone130 sulle produzioni di dipinta in rosso palermitana hanno portato all’identificazione di varianti morfologiche e decorative che interessano alcuni tipi anforici, consentendo di definire meglio lo sviluppo diacronico di questa produzione. Per quanto riguarda la morfologia, le anfore di seconda metà X-XI secolo presentano dettagli quali solcature e/o nervature a rilievo che non sono più presenti nelle produzioni tarde di età normanna.

La decorazione a linee sinuose tra linee verticali viene affiancata e progressivamente sostituita da un motivo decorativo a larghe bande verticali alternate ad una serie di tratti obliqui. Quest’ultimo ordito decorativo sarà il più utilizzato tra la fine del X secolo al terzo quarto/fine del XII secolo, momento che segna il termine della produzione palermitana di ceramica dipinta in rosso. Il motivo decorativo a larghe bande verticali alternate ad una serie di tratti obliqui non è l’unico utilizzato in questo periodo ma solo quello impiegato con maggiore frequenza. Altre decorazioni ornano infatti le anfore di produzione palermitana affiancandosi al motivo a larghe bande verticali. Tra queste distinguiamo un motivo definito di transizione, costituito da lunghe pennellate oblique legate trasversalmente, attestato solamente tra seconda metà X e inizi/prima metà XI131;

129 Cfr. M

OLINARI 1997a, fig. 8, 8a-e.

130 A

RCIFA, ARDIZZONE 2009.

131

(24)

103

una decorazione composta da una serie di tratti obliqui alternati a punti, attestata tra fine X ed inizi/prima metà XI secolo; un particolare ordito dipinto costituito da fasce orizzontali alternate ad una teoria di sottili tratti obliqui e da larghe bande verticali, caratterizzante l’anforetta con orlo verticale ingrossato all’esterno e concavo internamente (cat. 4.15.26a-b) che ricorre nei contesti di fine X-XI secolo.

I rinvenimenti di ceramiche dipinte in rosso ascrivibili al XII secolo da quartiere castello San Pietro e dal Convento della Martorana mostrano una semplificazione delle decorazioni nel corso di questo secolo, segnalata da tratti che si fanno corsivi ed affrettati e da bande disposte in modo più spaziato132. In luogo di un’unica larga banda verticale sono attestate due bande verticali sottili e parallele. Nei prodotti tardi la decorazione può anche essere del tutto assente.

Come affermato, le produzioni di dipinta in rosso palermitana mostrano alla fine del X secolo una notevole articolazione morfologica. Molti dei tipi noti erano prodotti in diverse varianti dimensionali e con pareti più o meno spesse a seconda che fossero destinati ad un utilizzo prettamente commerciale oppure domestico. Inoltre, accanto alle anfore dipinte in rosso coesiste una serie che presenta tipi analoghi ma è priva di decorazione dipinta133. L’affinità tra i tipi dipinti e quelli privi di decorazione è tale che possiamo ipotizzare una produzione delle due serie all’interno delle stesse officine. Nell’ordinamento dei tipi della dipinta in rosso abbiamo seguito la classificazione messa a punto da F. Ardizzone per i rinvenimenti di contrada S. Nicola a Carini134.

All’interno della produzione si distinguono contenitori con larga imboccatura, da aridi, caratterizzati da orlo a fascia segnato da solcature orizzontali, ampio collo cilindrico o troncoconico, corpo ovoidale cordonato, fondo umbonato (cat. 4.15.10-13).

Un altro gruppo di anfore da aridi è costituito da contenitori con larga imboccatura, orlo a fascia ingrossata segnato da solcature orizzontali, breve collo troncoconico, nervature a rilievo all’attacco con il collo (cat. 4.15.15-18).

Tra i contenitori da liquidi ricorre l’anforetta con orlo verticale ingrossato all’interno e concavo esternamente (cat. 4.15.26a-b). Tale contenitore, ascrivibile con sicurezza alla fine del X-XI secolo, si caratterizza, come detto, per il complesso ordito dipinto

132 Cit. A

RCIFA,ARDIZZONE 2009, p. 179.

133

Cfr. ad esempio le anforette prive di rivestimento del relitto A di Marsala (cat. 3.15.9-10) e quelle rinvenute a Sabra al-Mansūriya (cat. 4.15-37a-t).

134 G

RECO, GAROFANO, ARDIZZONE 1997-98. La classificazione di Carini segue quella realizzata per le dipinte in rosso dalle volte della Zisa (D’ANGELO 1976; ARDIZZONE 1999), da quartiere castello S. Pietro (ARCIFA, LESNES 1997) e dal relitto di S. Vito Lo Capo (FACCENNA 2006).

(25)

104

costituito da fasce orizzontali alternate ad una teoria di sottili tratti obliqui e da larghe bande verticali. La presenza di quest’anforetta nei carichi dei relitti noti, insieme all’anfora fusiforme (cat. 4.15.37a-t) indica un suo impiego commerciale (oltre che domestico).

L’anforetta con orlo ingrossato a fascia, anse segnate da una solcatura verticale mediana, corpo fusiforme cordonato, fondo umbonato (cat. 4.15.37a-t), sembra trovare uno specifico impiego commerciale nel trasporto interregionale di derrate ed è al momento assente dai contesti siciliani135. La capacità di questo contenitore è di circa 3,5 litri. Tali anfore costituivano il carico del relitto di San Vito e del relitto A di Marsala (cat. 3.15.9-10) e sono state rinvenute anche nei depositi sottomarini. La loro cronologia è compresa tra fine X e XII secolo. Anche di questi contenitori sono note due serie, una con superfici prive di rivestimento (cat. 3.15.9-10), un’altra con decorazione dipinta in rosso (cat. 4.15.37a-t). Fuori dall’isola si rinvengono frequentemente a Napoli in contesti di XI-XII secolo (ARTHUR 1986; CARSANA 2004, p. 27) ed in Tunisia a Sabra al-Mansūriya (CRESSIER, RAMMAH 2007; TRÉGLIA ET ALII 2009), fine X-inizi XI secolo.

Non conosciamo la natura dei prodotti contenuti nelle anfore dipinte, che potrebbe essere chiarita ricorrendo ad analisi dei residui organici136. La notevole diversità morfologica di questi contenitori è indice di una grande varietà di prodotti in essi contenuti. Alcune ipotesi sul contenuto sono state formulate sulla base delle notizie fornite dalle fonti in relazione alle produzioni dell’area palermitana. Nel caso delle anfore con larga imboccatura è stato ipotizzato come contenuto pesce sotto sale, tonno, carrubbe, frutta secca, granaglie, legumi, olive137. Per i contenitori con stretta imboccatura, da liquidi, si è ipotizzato un contenuto di vino, miele, olio, zucchero. Le evidenze dei relitti di San Vito Lo Capo e Marsala, con il loro carico costituito da anforacei in parte ancora sigillati, potrebbero precisare le ipotesi sul contenuto di alcuni tipi lì attestati. La quasi totalità del carico del relitto di San Vito e del relitto A di Marsala era costituito da anforette con orlo a fascia ingrossata, collo cilindrico, e corpo fusiforme (cat. 3.15.9-10). Le uniche informazioni relative al contenuto di queste anforette sono tuttora quelle derivanti dalle osservazioni autoptiche compiute all’apertura di alcune di quelle recuperate nel relitto A di Marsala. Esse contenevano

135 Cit. M

OLINARI 2010, p. 161.

136 Cfr. ad esempio i risultati ottenuti da A. Pecci nell’identificazione della natura del contenuto di alcune

anfore tardoromane (PECCI, SALVINI, CANTINI 2010; PECCI,SALVINI,CIRELLI,AUGENTI 2010).

137

Riferimenti

Documenti correlati

Antibacterial efficacy and drug-induced tooth discolouration of antibiotic combinations for endodontic regenerative procedures.. INTERNATIONAL JOURNAL OF IMMUNOPATHOLOGY

Le relazioni che nel ducato sabaudo si stabilirono tra i funzionari del potere civile e i rappresentanti del Sant’Uffizio e dell’episcopato nel controllo religioso risultano

It features a slightly modified jet contribution without the JVT-based selection used in case of the reference E miss T reconstruction, to allow the cancel- lation of jet-like p T

Anzi, se già si avverte qualcosa del melodramma romantico, questo qualcosa è proprio nelle incongruenze, in quegli assurdi silenzi che prolungano i malintesi fino alla

Un tema innovativo e di frontiera come quello del rapporto tra lavoro e malattie croniche si impone, del resto, non solo in funzione della sostenibilità futura dei

During systole, the cavum pulmonale contracts overcoming the pulmonary resistance and facilitating the ejection into the pulmonary artery through the valve ostium and, when the

We have found that prior adherence to a typical Italian Mediterranean diet, measured with the Italian Medi- terranean Index, was associated with a lowered risk of weight gain (in

The intracrystalline fraction isolated from Chicoreus and Strombus was tested for closed system behaviour via leaching experiments; for both species, the concentration of free and