maschile
«I was very proud, and John Barleycorn was proud with me. I could carry my drink. I was a man. I had drunk two men, drink for drink, into consciousness. And I was still on my feet, upright, making my way on deck to get air into my scorching lungs. […] I was no boy of fourteen, living the mediocre ways of sleepy town called Oakland. I was a man, a god, and the very elements rendered me allegiance as I bitted them to my will.»
Nel 1913, all’età di 36 anni, lo scrittore Jack London pubblicò John Barleycorn, romanzo autobiografico sulla vita di un accanito bevitore. Nel romanzo, il consumo di alcool appare, all’interno dell’ambiente lavorativo e nel tempo libero degli operai, come un comportamento sociale profondamente radicato: «All drinkers begin socially. […]When I thought of alcohol, the connotation was fellowship. When I thought of fellowship, the connotation was alcohol. Fellowship and alcohol were Siamese twins.» I luoghi in cui veniva consumato l’alcool rappresentavano luoghi di ritrovo maschili, degli spazi omosociali. La bevuta collettiva permetteva agli operai di diventare compagni e talvolta anche agli stessi capi di diventare amici. Il consumo collettivo di alcoolici era inoltre legato a forme di ritualità che dovevano servire a rafforzare la compagnia: London descrive “il giro di bevuta” che ci si offriva tra compagni e racconta delle rumorose liti tra uomini ubriachi che non di rado si concludevano con la violenza fisica. E infine descrive il processo del diventare (e del suo diventare) uomo tramite l’alcool: chi regge l’alcool, il messaggio è più o meno questo, ha compiuto un passo importante verso la maschilità adulta. London descrive quella maschilità «rude» delle fasce del sottoproletariato, in contrapposizione alla maschilità «rispettabile» delle generazioni di riformatori e riformatrici, le quali propagandavano un modello di uomo che si sarebbe dovuto basare su valori come la moderazione, il carattere e la responsabilità. Ma la maschilità rappresentata da London mette in evidenza non soltanto il
Gli eroi di Jack London
fervore della riforma: molti lettori uomini delle classi medie divoravano i suoi romanzi ed erano addirittura appassionati dalla rappresentazione di virilità maschile che veniva proposta, sia che si trattasse delle combriccole di ubriaconi in John Barleycorn o degli eroi solitari in Il lupo di mare (1903). Nelle loro molteplici e variabili forme storico-culturali, le tipologie maschili di associazionismo di gruppi omosociali rappresentano da molto tempo temi importanti per i «Men’s Studies» e per la storia delle maschilità. Nelle prossime pagine si parlerà di confraternite e società segrete, sindacati e gruppi sportivi, bande e combriccole, gruppi d’azione e associazioni studentesche, come anche di altre organizzazioni di carattere politico. Specialmente negli ultimi anni, concetti che riguardano la sfera politica o concetti di nazione e nazionalità sono stati esaminati in base alle loro relazioni simboliche e materiali con le gerarchie di genere. Il discorso relativo alle organizzazioni militari come «scuole della nazione» può ricollegarsi alle trasposizioni verificatesi all’interno delle società, di specifiche forme e modelli di comunità tradizionalmente concepiti al maschile e può ricollegarsi al fatto che le trasposizioni di questi modelli potevano essere costruite. Ci si interroga inoltre sulla formazione del soggetto maschile, e sui processi di acquisizione, interiorizzazione e riflessione di norme, competenze o comportamenti che si definivano e si costruivano in relazione al genere.
Concetti di affinità o solidarietà maschile venivano spesso collegati alle idee di amicizia, cameratismo e fratellanza. Allo stesso tempo venivano collegati a strategie di esclusione, che erano indirizzate non soltanto all’esclusione del femminile ma anche all’esclusione delle maschilità “diverse” da un punto di vista economico, sociale, sessuale o di razza. Parte della ricerca che si occupa di maschilità e soprattutto nel panorama della letteratura ordinaria questa configurazione di gruppi di uomini viene spesso definita con il termine «Männerbund». Poiché il Männerbund e l’omosocialità sono due aspetti fondamentali del capitolo, questi dovranno essere inizialmente discussi.
Helmut Blazek (1999) realizzò un’opera di catalogazione delle particolarità di quello che viene definito Männerbund, riferendosi in parte alle ricerche dell’etnologo tedesco Heinrich Schurtz, il quale, attorno al 1900, credeva di aver scoperto l’esistenza di tali Bünde nelle colonie. Aggressività, isolamento fisico e sociale, drammatizzazione del ruolo maschile, ostilità nei confronti
Associazionismo
della donna, struttura gerarchica (il principio di un capo guida), riti di iniziazione, conoscenza elitaria, condivisione di saperi e informazioni segrete, demarcazione nei confronti dell’omosessualità e allo stesso tempo l’omoerotismo, oltre che un’immagine tradizionalista dell’uomo sarebbero le caratteristiche specifiche. Partendo da questi presupposti, Blazek esamina gruppi dell’antica Grecia, come anche confraternite cattoliche o la Hitlerjugend, associazioni e circoli di artisti, tifoserie calcistiche o gli Skinheads strutturando una separazione tra quelli che sono i Männerbund veri e propri e i gruppi che agiscono con una mentalità che riproduce il Männerbund ( si veda anche Völger 1990).
Ci si attiene a quest’uso del concetto generico di Männerbund per due motivi. Per prima cosa, il Männerbund, proprio nella Germania della prima metà del XX secolo ha rappresentato una forma specifica e significativa di comunità concepita al maschile, alla quale si ricollegavano concetti e modelli di comportamento peculiari che non possono essere ricondotti ad altri contesti storici. Il Männerbund non ha le sue radici in «modelli base», cioè in modelli che sembrerebbero stabili dal punto di vista psicologico e socio antropologico. Di certo, prestiti interdisciplinari provenienti da campi di ricerca differenti possono rappresentare degli utili strumenti per chiarire tante questioni specifiche, tuttavia tutto ciò non si può sostituire alla storicizzazione del Männerbund (Sombart 1999; Bruns 2007).
Successivamente, si vuole descrivere la socialità maschile non soltanto nelle sue forme esclusive e omosociali, ma si vogliono evidenziare anche le fasi di cambiamento che denotano l’esclusione o l’inclusione nelle forme di associazionismo maschile. Molto spesso viene constatata soltanto l’esclusione sistematica delle donne dai Männerbünde, senza discutere sulla posizione e sull’importanza di questi gruppi all’interno di un globale sistema sociale e di generi e senza inoltre interrogarsi sul possibile peso di ulteriori categorie oltre a quelle di maschilità e femminilità. Infine, la prospettiva di esclusionismo presente in tali configurazioni di gruppi fa si che scompaia la forte influenza dell’individualismo e dell’autodeterminazione, ossia di quei modelli teorici che per le maschilità occidentali e moderne erano sempre stati molto influenti. Invece di parlare di Männerbund in generale, si utilizza ora il termine «Omosocialità».
Con il termine omosocialità si intende, in riferimento al modello di Jean Lipman-Blumen (1976:16) «the seeking, enjoyment, and/or preference for the company of the same sex», ossia come secondo Michael Meuser, un «orientamento reciproco e vicendevole tra membri dello stesso sesso»1 (2001:13)
Il concetto di omosocialità ha visto un importante ampliamento del proprio significato grazie a Eve Kosofsky Sedwick (1985). L’autrice ha stabilito il concetto di «desiderio omosociale» che caratterizza i legami sociali e sessuali tra persone dello stesso sesso. Le idee della Sedwick vengono oggi recepite soprattutto nell’ambito dei Queer Studies, i quali si propongono di analizzare le dimensioni erotiche dei gruppi omosociali “contro corrente” (Krass 2003). Le forme attraverso le quali si manifestano i legami omosociali vengono analizzate dalla ricerca come luoghi di prova della maschilità, oltre che come strutture fisiche ed anche simboliche di produzione e riproduzione dell’egemonia sociale. Si definiscono in opposizione a ciò che rappresenta alterità e proiettano verso l’esterno le costruzioni di genere. Questi gruppi suggeriscono sicurezza e perciò, proprio nei momenti in cui i sistemi di genere diventano precari (vengono percepiti oppure descritti come precari da parti specifiche) possono acquistare un significato specifico.
Uguaglianza, fratellanza? Socialità maschile nelle
società segrete, club e circoli
Il consumo di alcool come promotore della maschilità della classe operaia bianca, così come veniva concepito da Jack London, è un argomento che nella storiografia americana ha ricevuto molta attenzione, anche se i primi contributi di ricerca a riguardo non hanno trattato questa tematica secondo una prospettiva esattamente storica e di genere. Si può dire lo stesso per la vasta
1
»wechselseitige Orientierung der Angehöhrigen eines Geschlechts aneinander«
Omosocialità
Alcool come strumento di unione
letteratura sui movimenti di temperanza in America, per tutto il XIX secolo e gli inizi del XX secolo. Ciò nonostante queste prospettive storiche e di genere inaugurarono, prima di tutto, l’interesse nei confronti dell’impegno pubblico delle donne bianche della classe media, le quali si facevano promulgatrici di questi movimenti di riforma; secondariamente, venne posto in esame il modello del marito irresponsabile che tende spesso a comportamenti violenti; ci si inoltra così in un terzo momento al dibattito relativo alla maschilità rispettabile che viene contrapposta al modello di maschilità rude, ad una forma di maschilità non di rado caratterizzata da tratti razzisti e xenofobi (Pegram 1998). Solo negli ultimi anni sono apparsi studi sul tema dell’alcool, i quali chiaramente rientrano negli studi di genere. A riguardo, si considerino i lavori di Catherine Gilbert Murdock (1998) i quali trattano il periodo che va dal 1870 al 1940 e i lavori di Lori Rotskoff (2002) che invece riguardano il periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Le due autrici descrivono “l’ascesa” del social drinking come nuovo ideale sociale e lo descrivono in rapporto all’alcool e al lento allontanamento dagli stereotipi razzisti e classisti che venivano utilizzati per giudicare il comportamento della persona che beveva. Le autrici si riferiscono a tre interessanti aspetti: prima di tutto all’aumento, dopo il proibizionismo, del consumo di alcool tra le donne, successivamente, alla crescente rilevanza dell’uso di alcool anche tra le mura domestiche e infine alla rilevanza di concetti come la responsabilità e la moderazione, i quali erano concetti sessualmente strutturati. La Rotskoff discute inoltre la fase di formazione delle associazioni di alcolisti anonimi. Queste associazioni vengono caratterizzate come gruppi all’interno dei quali gli uomini, che si impegnano a riappropriarsi della loro maschilità rispettabile e borghese, stanno a fianco del loro “corpo ausiliario”, ossia le mogli.
Nel frattempo, altre ricerche specifiche si sono occupate di tematizzare la rilevanza del consumo di alcool tra uomini, affrontando anche questioni legate specialmente alla violenza maschile. Del periodo coloniale se ne è occupata Sharon Salinger (2002), David Conroy (1995) si è dedicato alla funzione dell’alcool nel periodo della rivoluzione americana e Scott Martin (2000) si è occupato di tali argomentazioni analizzando gli inizi della storia dello stato del Connecticut. Della storia del consumo di alcool come forma di devianza nel territorio occidentale degli Stati Uniti, si è occupato Angus McLaren (1997)
mentre Elaine Parson (2000) si è occupata dello studio dei territori centro occidentali. Altre ricerche collocano il tema dell’alcool, in quanto usanza maschile e omosociale, all’interno di una cultura del lavoro già descritta nell’opera di Jack London (McBee 1999;Powers 1998;Taillon 2002). Infine, Massimo Perinelli e Olaf Stieglitz (2005) vedono nella capacità, nell’essere in grado di reggere l’alcool un criterio di misura della rimascolinizzazione negli Stati Uniti (e nella Germania dell’ovest) dopo il 1945. Potrebbe rappresentare un desideratum di ricerca, una storia che si occupi del consumo di alcool tra maschilità non bianche. Prospettive storiche e di genere non sono propriamente presenti negli studi che si occupano dell’uso di alcool tra i nativi americani. Molto limitata è la letteratura in lingua tedesca che si occupa del significato del bere nell’ambito delle comunità omosociali. Un contributo di Michael Frank (1998a) che si occupa del consumo maschile d’alcool come “minaccia per i ruoli di genere” dimostra come nella prima età moderna la capacità di reggere l’alcool veniva interpretata come simbolo di forte virilità. Al contrario, il cittadino dedito al bere, nell’ottica dell’etica protestante, veniva considerato un modello raccapricciante. Una figura importante per quanto riguarda il rapporto tra uomo e socialità è quella dello scapolo. La figura del bachelor fuori dal controllo familiare procurava agitazione già nelle colonie dell’America del nord, agitazione che sfociò in vera isteria nel corso del XIX secolo. Problemi e mali urbani, come ad esempio la prostituzione o i tornei e gli incontri di box, vennero associati a comportamenti che rimandavano alla figura dello scapolo e perciò considerati una minaccia per la nazione (Kann 1992; Wallach 1997; Chudacoff 1999). Con l’avanzare del XIX secolo nelle città venne però recepito in maniera positiva l’arrivo di una nuova e giovane sottocultura maschile (Snyder 1999). Per quanto riguarda la borghesia tedesca, Bärbel Kuhn (2000) dimostra come gli uomini celibi, diversamente dalle donne nubili, conducessero uno stile di vita che permetteva loro maggiori libertà. Tuttavia, con la “scoperta” dell’omosessualità verso la fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, proprio gli uomini celibi che superavano l’età “da matrimonio” vennero stigmatizzati e il loro comportamento considerato deviato (Chauncey 1994; Mc Laren 1997). Tali forme di stigmatizzazione dell’omosessualità continuarono a perdurare anche nella seconda metà del XX secolo, soprattutto a causa del fatto che il matrimonio, durante il clima della guerra fredda, veniva
promulgato come modello di vita esemplare all’interno delle società democratiche e capitaliste. Prosperità economica, maggiore tendenza ai consumi e l’inizio della liberalizzazione dei costumi sessuali portarono nel frattempo alla creazione di una forma alternativa di maschilità bianca della classe media che veniva opposta in maniera positiva alla figura socialmente agiata dell’uomo/marito “in flanella grigia”. Dal bachelor si arriva al playboy (Osgerby 2001). Strettamente collegati alla figura dello scapolo sono gli ambienti di socialità studenteschi. Proprio le università tedesche e le associazioni universitarie, gli statuti delle osterie (Biercomment) e i duelli tra studenti iscritti alle corporazioni (Mensurweisen) esercitarono un enorme fascino non soltanto tra gli studenti del XIX secolo ma anche per gli storici. Helmut Blazek (1999: 138-156) analizza le associazioni studentesche come prototipi di una maschilità politico-militare che in Germania diventò egemonica dall’inizio del secondo Reich. Le sue interpretazioni sono state condivise dalle ricerche che si sono susseguite (Heither 2000; Schmale 2003: 195-203;Becker 2007). Anche al di fuori della Germania, così come in Svizzera (Blattman 1998) o in Inghilterra (Burke 1990; Levsen 2003) esistevano le associazioni studentesche. Ciò che accomuna tutti questi studi è che , attraverso l’analisi delle forme organizzative di associazioni studentesche, si cerca di comprendere le qualità tipiche del Männerbund all’interno di istituzioni ancora più ampie. Importanti studi aggiuntivi sono offerti da contributi che si sono occupati delle corporazioni studentesche ebraiche di combattimento (Fetheringill Swrtout 2003; Rürup 2005). Il significato dell’alcool nella vita studentesca di fin de siècle viene delineato da Anja Becker (2007). Le confraternite studentesche (fraternities) esistono anche nei college e nelle università americane ma per vie delle loro differenziate caratteristiche, difficilmente vengono messe in relazione alla maschilità militarizzata (Horowitz 1988; Carnes 1989).
Le confraternite si stabilirono non soltanto all’interno dell’ambito universitario, ma nel XIX secolo fiorirono anche altrove come in club riservati a élite bianche, nei quali la maschilità veniva considerata, da una parte, in rapporto al mondo del lavoro e degli affari e dall’altra, alla vita domestica e matrimoniale. Gruppi come la massoneria o per citare un importante esempio che riguarda l’America, il «Benevolent and Protective Order of Elks», non
Confraternite
Altre confraternite
soltanto esclusero di proposito le donne ma imposero inoltre un modello di confraternita esclusivamente bianco e caratterizzato da una marcata coscienza di classe. Tale modello si basava soprattutto sul principio di reciproca lealtà e sulla creazione di forme rituali, principalmente rituali di iniziazione (Carnes 1989; Foster 2003). Organizzazioni simili che hanno al centro la maschilità afroamericana sono state oggetto di interesse delle ricerche degli ultimi anni, le quali hanno contribuito nel XX secolo a rafforzare l’autocoscienza della classe media afroamericana (Summer 2004).
Dalla pubblicazione dell’opera di Gisela Völger e Karin Welck (1990), con il loro volume Männerbünde- Männerbande, si sono verificate in seguito delle pubblicazioni molto affini a quest’ultima per quanto riguarda le tematiche trattate (Hoffmann 2000). Le società segrete vengono presentate come luoghi di esperienza dell’identità maschile, all’interno delle quali il carattere sociale, la fratellanza e la maschilità sono aspetti centrali. Inoltre, l’appartenenza ad una società segreta veniva sostanzialmente considerata come il far parte di una conoscenza borghese dell’essere uomo. Per quanto riguarda il periodo di fine XIX secolo, Martina Kessel (2003) ha messo in evidenza la funzione stabilizzatrice di questi e altri gruppi omosociali all’interno di un sistema gerarchico di generi che cambia e si trasforma.
Non di rado vengono citati i comportamenti e le modalità di condotta interne a queste società segrete e logge massoniche, anche ai fini di rintracciare i meccanismi che regolano gruppi maschili clandestini del sottoproletariato. I parallelismi nella nomenclatura e nei rituali segreti tra le logge e questi gruppi, come ad esempio il Ku Klux Klan, sono stati spesso messi in evidenza ed è stata fatta attenzione al significato di questi parallelismi per quanto riguarda la formazione di una «White Southern Manhood» che fosse esclusiva (Mac Lean 1994). Di grande importanza erano inoltre i concetti dell’onore maschile e della consequenziale difesa di quest’ultimo, concetti che soprattutto nel sud degli Stati Uniti, prima della guerra civile, avevano condizionato l’agire sociale (Greenberg 1996; Friend 2004). Negli stati del sud, gli uomini dovevano essere pronti ad usare la violenza per difendere tenacemente il loro onore in un incontro di pugilato o in duello (Gorn 1985). Nel complesso, il dibattito relativo alle concezioni maschili di onore è stato ampliamente trattato (Frevert 1991 a,1995; Roper 1992). Ute Frevert mette in evidenza soprattutto la
correlazione, le differenze, i punti di contatto tra le concezioni maschili e femminili di onore nella borghesia tedesca del XIX secolo. Ne esamina la dimensione relazionale, storica e di genere anche se, come la stessa Frevert osserva «quasi tutto ciò che è stato detto e scritto nel XIX secolo sulle questioni relative all’onore, in maniera implicita o esplicita, è stato riferito all’uomo mentre sul concetto di onore femminile si è soltanto riflettuto»2 (Frevert 1995: 168). Anche studi storici che hanno come oggetto le bande e l’appartenenza a queste, non di rado, hanno utilizzato il concetto di onore come punto di partenza. Per bande, vengono intesi diversi fenomeni come ad esempio i giovani di strada oppure gruppi più strutturati che fanno parte di sistemi criminali della classe dei colletti bianchi. Vengono concepite come strutture all’interno delle quali si cerca di compensare fenomeni di emarginazione o la carenza di condizioni sociali favorevoli, attraverso una particolare identità maschile di tipo aggressivo. Esistono studi sulle bande giovanili che trattano l’argomento in prospettiva storica e di genere e che presentano l’argomento non soltanto in ottica pedagogica o in un’ottica di riformismo sociale (Davies 1998 per la Gran Bretagna). Soprattutto gli anni successivi alla seconda guerra mondiale sono stati ben elaborati – specialmente per quanto riguarda l’analisi di giovani che hanno un background di immigrazione oppure un background etnico non bianco (Schneider 1999; Adamson 2000; Knupfer 2001). Esistono inoltre ricerche che si interessano di delinquenza giovanile maschile e della rappresentazione di questa nella cultura popolare (Gilbert 1986; Cohan 1997). Anche l’equivalente di questi gruppi in Germania,e cioè quello degli Halbstarken ha attirato un ricco interesse storiografico molto attivo. A riguardo, due sono gli atteggiamenti di questi gruppi che risaltano particolarmente, l’adattamento (modificato) ai modelli americani trasmessi dai media e un distacco dalle modalità linguistiche ma anche fisiche dell’ apparire maschile “tradizionale”: gli Halbstarker non volevano più sembrare uomini energici, piuttosto uomini disinvolti (Maase 1999; Kurme 2006). Inoltre viene ampliamente analizzata la ricca e durevole presenza del modello sociale del “Gangster” nei media americani dagli anni venti in poi. Ci si interroga sul peso che le rappresentazioni dell’ascesa e del successo del Gangster hanno avuto sulla costruzione di altri modelli di genere e
2
»sich fast alles, was im 19.Jahrhundert über Ehre gesprochen oder geschrieben wurde, implizit oder explizit auf Männer bezog, wurde weibliche Ehre immer mitgedacht«
Bande e gli «Halbstarke»
su come le convenzioni dell’ideale maschile della classe media, attraverso il modello del delinquente urbano, agile e aggressivo abbiano subito una “modernizzazione”. Un aspetto importante riguarda le maschilità che, sulla base di caratterizzazioni etniche o “razziali” ,vengono concepite in modi differenti e vengono continuamente messe in relazione alla costruzione egemone. A riguardo bisogna citare l’ “Italian American” o il “ Black Gangster” (Munby 1999; Stieglitz 2007).
Il panorama della ricerca sui gruppi omosociali non sarebbe completo se non venissero citati i gruppi di organizzazioni giovanili come la “Young Men’s Christian Association” (YMCA) e i “Boy Scouts”, gruppi che, dalla seconda metà del XIX secolo, avevano fatto della socializzazione tra la gioventù maschile una loro bandiera. Un intenso confronto con queste istituzioni fa parte dei temi più importanti affrontati dalla storia delle maschilità negli Stati Uniti, già a partire dalle prime ricerche (Hantover 1980; Rotundo). Delle organizzazioni di questo tipo presenti in Germania, se ne parlerà successivamente. Il loro sviluppo negli Stati Uniti è stato trattato principalmente nell’ambito di uno scenario di crisi degli uomini bianchi della classe media; gruppi come la YMCA o i “Boy Scouts” venivano considerati come gruppi che dovevano contrastare la presunta effeminatezza dell’uomo borghese tramite il patriottismo, la forza di carattere e il benessere fisico. La fisicità, nella forma di attività sportiva, e un orizzonte di valori cattolico-protestante risultavano particolarmente importanti. Gli studi di Clifford Putney (2001) si occupano di questa muscular christianity e analizzano la storia della socialità maschile nell’ambito dello sport e della vita religiosa. Olaf Stieglitz (1999) ha potuto dimostrare in che modo questi modelli, che si erano stabiliti in uno scenario di crisi economica mondiale, possano essere stati attualizzati in altri contesi istituzionali e in considerazione di un fruitore sottoproletario. Nei piani per l’occupazione che ha preso in analisi, i Civilian Conservation Corps, gli ideali delle organizzazioni giovanili borghesi e protestanti si univano agli ideali di cameratismo militare e al social management degli anni tra le due guerre mondiali, facendo così in modoche una generazione di giovani uomini, i quali si presumeva vivessero sotto minaccia economica e morale, potesse affiatarsi e fraternizzare in conformità ad una concezione di nazionalità in cui il fattore sessuale era un fattore specifico.
Gruppi giovanili
Una pietra miliare che rimanda ai dibattiti sullo sport e sul suo significato per uomini provenienti da classi lavoratrici eterogenee è l’opera del 1986 di Elliott Gorn. Stephen Riess (1991) e Gail Bederman (1995) affrontano il tema della fisicità sottoproletaria e di come questa attraesse le classi medie che attraversavano una presunta crisi. Queste ultime svelarono i modelli razzisti di questo nuovo entusiasmo sportivo scoperto attorno al 1900. In generale, la formazione di un nuovo ideale fisico della classe media, il quale lentamente sostituì il modello egemone di maschilità vittoriana, in cui il corpo sembrava non esistere, è stato un tema che ha ricevuto molta attenzione (Kasson 2001; Poole 2007).
In questa direzione vanno anche gli studi di Maren Möhring (2004), effettuati nel confronto con il movimento tedesco della Nacktkultur (ossia la cultura della nudità) degli inizi del XX secolo. Möhring mostra come le pratiche corporee di questi gruppi, pratiche sessualmente codificate, erano dirette soprattutto alla normalizzazione delle attività del movimento ed inoltre, il culturismo praticato individualmente o collettivamente doveva servire non soltanto a formare il corpo ma a formare anche la nazione. Studi storici sullo sport e sulla maschilità omosociale sono ancora sporadici, questo è infatti un campo in cui dominano le ricerche di tipo sociologico e pedagogico. Tuttavia, rappresentano un’eccezione gli studi storici e di genere sul movimento tedesco dei Turnen, associazioni ginniche omosociali ed espressione dell’ utopia maschile (McMillan 1996). Svenja Goltermann (1998) fa risalire il concetto di maschilità dei Turnen ai concetti, tra loro collegati, della capacità di difesa, di moralità e armonia nazionale. Turnen, creazione dello stato nazionale tedesco, idee di “stato maschile” diventano concetti gli uni legati agli altri.
Nella storia tedesca, benché le associazioni religiose sono state trattate come gruppi omosociali a sé stanti, un dibattito più elaborato che tracci possibili collegamenti tra la religiosità e i gruppi maschili ancora manca, e a maggior ragione manca se le maschilità che si prendono in esame comprendono uomini che non erano mai stati funzionari della chiesa o dignità ecclesiastiche. Per quanto riguarda la storia americana, esistono studi di questi tipo che comprendono il periodo di inizio XIX secolo e studi sul movimento protestante e di riforma sociale del social gospel, sviluppatosi verso la fine dell’epoca vittoriana (Bederman 1989; Curtis 1990; si veda anche Ownby 1990 per gli
Sport
Gruppi religiosi
stati del sud). Le opere dimostrano nel complesso in che modo la percezione di una presunta perdita d’influenza degli uomini nei confronti delle donne avrebbe portato ad una maggiore partecipazione nell’ambito dei gruppi religiosi.
Militarismo, omosocialità maschile e cameratismo
“Donna pacifica” e “uomo bellicoso”, Venere contro Marte – difficilmente un’altra coppia di opposti ha contribuito in maniera così efficace a consolidare l’idea che esista un binarismo sessuale “naturale”. In tutte le discussioni internazionali che si interrogano sull’integrazione o meno delle donne all’interno del servizio militare volontario o obbligatorio, la sfera militare viene ancora complessivamente considerata come un “affare” maschile, in questa si consolidano un linguaggio e una simbologia prettamente legati al maschile che difficilmente si ritrovano in altri ambiti. Ciò ha avuto ripercussioni anche nelle scienze storiche, nelle quali la storia militare, fino a non molto tempo fa , veniva ancora considerata un “affare”maschile, ma non in senso duplice: e cioè veniva considerata storia degli uomini sugli uomini, ma senza prendere in considerazione l’aspetto del genere (Hagemann 1998). La “nuova storia militare” era da poco diventata una storia molto produttiva (Nowosadtko 2002). Nell’esposizione che segue, lo scopo è quello di porre l’attenzione sul rapporto tra maschilità e sfera militare e di concentrarsi soprattutto sulle modalità e sulle forme militaresche di associazionismo omosociale. Il “cameratismo” militare , in qualità di ideale necessario ed esperienza di vita vissuta e sofferta, è un tema trattato in maniera dettagliata nella letteratura di ricerca. Ci si chiede, inoltre, in che misura gli ideali di uno stile di vita militaresco e tipico delle organizzazioni quali il Männerbund potessero essere rilevanti anche in periodi in cui non ci si trovava in stato di guerra e in che misura la mentalità del cameratismo militare potesse rappresentare un ponte tra il militarismo e la società civile. Si osservi innanzitutto la ricerca sulla storiatedesca e dell’Europa continentale. A partire dai contributi di Barton Hacker (1981) si è affermata l’idea che, per quanto concerne il periodo della prima età moderna, i soldati non vivessero e non combattessero affatto all’interno di uno spazio omosociale e che la sfera militare e il ruolo di soldato non fossero ambiti esclusivamente maschili (Sikora 2003). I soldati facevano piuttosto parte di una grande “città mobile” con al seguito gruppi di persone che si occupavano di loro, dei loro bisogni così che fossero nelle condizioni di combattere (Kroener 1998). Nel corso del XVIII secolo, le direzioni militari sollecitarono l’allontanamento delle donne dal campo d’influenza militare, ma le conseguenze non furono particolarmente incisive. Da come venivano edificate le caserme militari nel periodo di inizio età moderna si denota appunto come queste non fossero luoghi in cui si verificava una separazione del maschile, ma come piuttosto servissero come luoghi di sistemazione per le famiglie dei soldati (Nowosadtko 1998).
Tutto ciò cominciò a cambiare dalla fine del XVIII secolo. Il periodo bellico, che coincise con la formazione dello stato nazionale, andò di pari passo con lo stabilirsi di una nuova forma di ordine militare, la quale influì in maniera considerevole sulle relazioni di genere (Frevert 1996; Dudink 2004). Da adesso in avanti, le guerre diventano guerre nazionali e vengono condotte sulla base di un’ampia mobilitazione. Con l’introduzione del servizio militare obbligatorio, almeno durante i periodi di guerra, molti uomini provenienti da strati sociali diversi prestarono servizio alle armi. La retorica della “nazione” e della “patria” si univa ai concetti, carichi di significato sessuale, della differenza tra “protettori” e “protetti”, “eroi” e “vittime” . I diritti civili delle nuove nazioni erano prevalentemente collegati al servizio militare, il quale diventò un affare di esclusività maschile. A ciò si accompagnò l’esclusione delle donne dalla sfera militare come anche da quella politica. I loro ruoli e i loro compiti, legati alla salvaguardia e alla difesa delle nazioni, vennero nuovamente e ampiamente ridefiniti (Frevert 2000; Hagemann 2002 a). Gli eserciti diventarono “scuole della nazione” e allo stesso tempo “scuole della maschilità”, luoghi all’interno di quali non vi era posto per le donne (Frevert 2001; Pröve 1998). Il vecchio esercito, la “città mobile” col suo seguito di persone, viene adesso reputato come non funzionale al rafforzamento e all’accrescimento della disciplina e
Soldati nella prima età moderna «Scuola della nazione»
della forza di combattimento. Si aspirava ora invece ad una netta divisione tra sfera militare e società civile.
Nel militarismo maschile e omosociale che andava accrescendosi, il “cameratismo” acquistò un importante valore. Dietro questo concetto si cela un complesso, e a volte contraddittorio, sistema di norme, standard comportamentali e modalità di relazione tra compagni (Kühne 2006). Nella sociologia militare è ed è stato descritto come sentimento di appartenenza all’interno di piccole unità militari tra loro comunicanti, sentimento che vale inoltre come fondamento per la morale e per l’efficienza. Questa magra definizione sociologica non permette di cogliere a pieno l’intricata complessità del concetto. Proprio perché il sistema militare doveva svolgere la funzione di “scuola della maschilità”, il cameratismo assunse un significato molto importante. Ciò non riguarda soltanto i periodi di guerra, infatti la camerata militare, luogo in cui alloggiavano i soldati, è già da considerare come un luogo primario di raggruppamento e di condivisione della quotidianità e del lavoro. Per ampliare la complessità del concetto, nei suoi lavori, Thomas Kühne consulta sia opere normative che ego-documenti. Innanzitutto fa una distinzione tra connotazioni “forti” e “deboli” di cameratismo, per cui i loro significati cambiano in prospettiva cronologica e anche geografica. In parte, il cameratismo è una forma di solidarietà tra pari che permette ai militari di sopportare l’addestramento e la disciplina imposta dai superiori e permette inoltre di rapportarsi alla violenza della guerra; secondo questa connotazione debole di cameratismo, l’unità militare diventa una specie di surrogato della famiglia. A questa concezione di cameratismo, tuttavia, si contrappongono e si sono contrapposti dei significati che strumentalizzano e organizzano in maniera repressiva l’ideale e l’esperienza del cameratismo, all’interno di una “istituzione totale” come quella militare. A riguardo si devono citare fenomeni come la tendenza e le pressioni di conformità all’interno del gruppo, l’emarginazione, il processo di disindividualizzazione e di aderenza al gruppo. Klaus Theweleit (1977/78) ha potuto dimostrare che una divisione tra questi due livelli del significato di cameratismo, per la storia tedesca della prima metà del XX secolo, non ha alcun senso. Di gran lunga, è più importante la relazione reciproca tra questi due livelli, i quali hanno influenzato aspetti sociali, psicologici e culturali della maschilità egemone del periodo in questione. Le
ricerche più recenti hanno seguito queste direzioni. Hanno analizzato soprattutto la centrale importanza della prima guerra mondiale per la formazione di un ideale di maschilità eroico-marziale, per il quale i soldati rappresentavano la quintessenza della maschilità – ideale che infine portò al nazionalsocialismo assieme alla guerra di sterminio e alla Shoah. Il cameratismo nelle guerre di trincea in Belgio e nel nord della Francia e la sua ripercussione nella letteratura del dopoguerra o negli ego-documenti è stato oggetto di diversi studi storiografici non soltanto in Germania (Kundrus 2002). In Germania, già nel contesto della “rivoluzione conservatrice”, si era certamente costituito in maniera profondamente ideologica oltre che come « idea dominante di un modello di società antipluralista e di una restaurazione politico-sessuale»3 (Kühne 1996:510). Quale fosse il potenziale di violenza con il quale si accompagnasse, lo ha potuto chiarire Sven Reichardt (2002) nei suoi studi comparati sulle leghe di combattimento fasciste.
Per ottenere un quadro complessivo sul sistema militare è necessario che queste ricerche con oggetto l’ideale del cameratismo militare vengano ampliate. Un’altra forma significativa di coesione di gruppo maschile negli eserciti è quella dello spirito militare, il quale esprime prima di tutto l’autocoscienza e le modalità di organizzazione omosociale delle gerarchie di ufficiali. In Germania e in altri paesi, gli ufficiali venivano tradizionalmente reclutati tra le classi della nobiltà e successivamente anche tra la borghesia. Con quest’ultima cominciarono a strutturarsi specifiche identità di genere come anche le gerarchie degli eserciti militari, fin quando nel corso del XX secolo, il reclutamento divenne meno restrittivo. L’ accademia militare era l’ unico luogo nel quale giovani uomini diventavano ufficiali e dove venivano formati i “veri”uomini (Theweleit 1977/78, Vol.2: 167-183).
Ma già durante il periodo del secondo Reich, l’immagine dell’ufficiale che incarnava l’ideale del maschio tedesco, virtuoso, nobile d’animo, disciplinato ed eroico, cominciò a vacillare. L’accrescimento della specializzazione e della razionalizzazione delle strutture militari moderne portarono ad un annullamento delle vecchie concezioni relative ad una “naturale” rivendicazione del comando. Tali concezioni diventarono sempre meno funzionali. Il corpo militare subì delle attribuzioni di effeminatezza dall’esterno
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»Leitidee eines antipluralistischen Gesellschaftsmodells und der geschlechterpolitischen Restauration ausgebildet«
e un “indurimento” verso l’interno. Vennero adesso integrati cittadini provenienti dalla classe borghese, il che comportò una rivalutazione di ciò che si poteva considerare e ritenere maschile. Con ciò, diminuì il carisma che l’ufficiale esercitava all’interno della società e che tuttavia, già nel XIX secolo, era ambivalente (Funck 2008). Gli ufficiali sembravano però predestinati a ricoprire il ruolo di eroi della guerra. Si permette che la loro vita e i loro combattimenti vengano strumentalizzati per il mantenimento della coesione del gruppo militare (Schilling 2002; Schüler-Springorum 2002).
Il discorso degli eroi di guerra è strettamente collegato a quello delle vittime di guerra. Per quanto riguarda le varie guerre del XX secolo, il ruolo degli invalidi negli eserciti e nelle società del dopoguerra è stato messo in luce sempre di più in relazione a premesse storiche e di genere (Lengwiler 1998; Goltermann 1999; 2000; Kienitz 2001, 2002).
Se alla fine di questo paragrafo ci si concentra sulla ricerca americana che si occupa degli stessi temi, si potrà allora constatare un chiaro differimento degli aspetti contenutistici più importanti. Nelle attuali enciclopedie sulla storia delle maschilità negli Stati Uniti mancano in effetti entrate lessicali sul cameratismo o sullo spirito militare e non compare nemmeno una volta la parola chiave “soldato”. Nella ricerca americana, gli uomini che combattono, gli uomini soldati, certamente rappresentano spesso elementi centrali per il processo di costruzione dell’identità maschile, mentre l’omosocialità, in quanto categoria d’analisi, ha giocato tuttavia soltanto un ruolo subordinato. La tematica militare è stata invece caricata di un significato prettamente discorsivo per quanto concerne i concetti di uomo protettore e uomo sostentatore ed è stata continuamente tematizzata in questo modo e differenziata in conformità alle categorie strutturali di “race” e “class”. Il servizio militare come “fase di iniziazione” per l’acquisizione di una nazionalità pienamente valida avanzò dunque nel campo di ricerca dominante. Eccezioni confermano certamente la regola. Infatti, la letteratura, pressoché sconfinata, relativa alla guerra civile americana ha messo in evidenza, su tutti e due i fronti, tutto il ruolo del sentimento di appartenenza maschile nella fortificazione dell’efficienza bellica (Weitz 1998; Finzsch 2001/Hampf). Gli studi sulla seconda guerra mondiale costituiscono un punto fondamentale. Nelle sue osservazioni sui soldati americani, osservazioni frutto di studi di storia del corpo, Christina Jarvis
Vittime di guerra
(2004) mette in evidenza quanto i soldati fossero attaccati ai concetti, sviluppatisi in quel periodo, di corpo militare maschile, cameratismo e comunità. In più viene analizzata la rappresentazione mediale che viene fatta della maschilità, specialmente nei film di Hollywood, e viene analizzato come questa si ricollegasse al cameratismo maschile (Doherty 1993; Fenkse 2008). Anche le problematiche relative ai reduci di guerra e agli invalidi di guerra trovarono attenzione (Jefford 1989; Michel 1992; Gerber 1994). Bernd Greiner (2003), con delle riflessioni che partivano da una analisi storica e di genere, si occupò di un nuovo tipo di soldato e cioè il “soldato della giungla” che combatteva nella guerra del Vietnam. Proprio questo ultimo aspetto è diventato un punto principale per la ricerca in Inghilterra. Gli studi di Joanne Bourke (1996) sulla maschilità, durante e dopo la prima guerra mondiale, sono esempi importanti per ricerche ulteriori.
Individualità vs comunità? Concezioni politiche e di
stato nella storia delle maschilità
Nella tradizionale storia delle idee, la sfera politica, lo stato e le sue istituzioni, da poco sono stati analizzati come degli elementi sessualmente strutturati, nei quali l’esclusione delle donne da questi settori era stata di fatto nascosta e la maschilità posta al di fuori del campo di osservazione come qualcosa di universale e generale. Nell’ambito politico «in conformità all’idea dominante, si incontrano soggetti con pari diritti , guidati dalla ragione, capaci di libero arbitrio e di fare scelte autonome – ergo:soggetti maschili »4 (Boukrif 2002:2). Questi aspetti strettamente legati gli uni agli altri sono stati a lungo sottoposti a critica dalle teorie politiche del femminismo. Queste ultime hanno ideato dei
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»begegneten sich der dominanten Vorstellung zufolge gleichberechtige, vernuftgeseuerte, zu freiem Wille und autonomen Entscheidungen befähigte – ergo: männliche- Subjekte«
propri modelli di spazio politico che contrastano con i concetti precedenti e hanno fatto della massima del femminismo, secondo la quale anche la sfera privata è politica, un punto essenziale della loro analisi (Appelt 1994/Neyer). La storia delle donne, già dagli inizi, tra le tematiche storiche oggetto d’analisi, si è occupata dell’esclusione delle donne dalla sfera politica e dell’influenza del maschile su quest’ultima. Si discute di concetti come stato, politica, nazione e nazionalità e ciò avviene secondo una modalità che ha ampliato enormemente quella che è una “storia di genere in prospettiva politica” (Canning 2002/Rose). Le idee di stato e politica alla base delle concezioni e della retorica maschile vengono adesso non soltanto rivelate e sottoposte a critica ma, in maniera sistematica, si analizza anche il genere e lo si analizza come «sistema che viene strutturato in maniera tale da agire sulle unità collettive»5 (Boukrif 2002:4). In questo senso, le idee di stato maschile e dei suoi meccanismi vengono sottoposte ad una accurata analisi, e ciò viene fatto in relazione ad un discorso politico che è onnipresente ma che però sembra invisibile (Kühne 1998). Al centro dell’attenzione vi è innanzitutto il periodo della rivoluzione democratica e della formazione degli stati nazionali. Come una promessa universale, i diritti umani e civili che hanno accompagnato questi processi, già dalla rivoluzione francese, si rivelarono progetti maschili. Sono soprattutto i concetti di nazionalità che vengono messi in luce, i loro cambiamenti nel corso del tempo ma anche le caratteristiche più moderne e la loro varietà dal punto di vista geografico. Il legame tra il servizio di leva e lo status di cittadino ha una significato di grande importanza. La “scuola della maschilità” era anche una “scuola della nazione”, i diritti di cittadinanza si ricollegavano all’obbligo del servizio militare, il quale era stato esteso ad un numero sempre maggiore di popolazione maschile (Frevert 2001; Hagemann 2002a).
Negli ultimi anni vi è stato un aumento di importanti prospettive comparatistiche internazionali sul concetto di cittadinanza. Sono state messe in evidenza soprattutto le peculiarità nazionali sulle quali si fondava il presunto ideale universale di cittadino repubblicano virtuoso. Tale ideale fu importante in molti stati, tuttavia si consolidò in maniera differenziata e rimase legato a specifiche culture politiche. Anche le dimensioni imperialiste del processo di
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»Einfluβ von Geschlechterbildern im Sinne gedachter Ordnungen für kollektive Einheiten systematisch« analysiert
Stato maschile
formazione della nazione sono state maggiormente trattate in questo contesto. Il riconoscimento e l’emarginazione dell’alterità coloniale comportò la produzione di diverse tipologie di maschilità che, se mai venivano elevate di rango, venivano elevate in una maniera del tutto diversa(Dudink 2004/Hagemann/Tosh).
Ad esempio, per la storia coloniale della Germania, bisogna tener presente che ai tedeschi che vivevano nelle colonie africane del sud-ovest venivano negati i diritti di cittadinanza. E’ da notare, inoltre, che questi uomini si sono esposti talvolta in prima persona nella lotta per i diritti e contro la classificazione di “indigeni” o di “negri” e hanno preso parte ad operazioni militari contro i ribelli africani e così facendo si sono guadagnati il diritto di cittadinanza (El Tayeb 2001: 104; Maβ 2006).
Questa tipologia di razzismo esclusionista si è verificata anche in altri contesti. Ne sono una dimostrazione le storie dei soldati ebrei in Germania e dei soldati afroamericani negli Stati Uniti, storie che dimostrano quanto fossero strettamente collegati l’un l’altro i concetti di razza, il pieno riconoscimento dei diritti civili e le identità militari maschili. Essere uomini “veri”, capaci di combattere, godere dei diritti civili sono tutte caratteristiche che non potevano essere slegate, ragion per cui ad esempio negli Stati Uniti, e specialmente nel sud,a molti soldati neri veniva negato il riconoscimento dello status di veterani, assieme a tutti i vantaggi sociali che tale status comportava (Onkst 1998). E’ da notare inoltre che questo collegamento tra l’essere uomini, soldati e cittadini si articolava non soltanto nella percezione dell’altro ma anche nella percezione di se stessi. Tramite lettere che risalgono al periodo della prima guerra mondiale si può rilevare come i soldati ebrei al fronte ricercassero in maniera considerevole il pericolo della guerra così da poter dimostrare non soltanto il loro essere uomini ma anche il loro essere tedeschi e guadagnarsi inoltre il riconoscimento da parte dei propri “compagni d’armi” (Caplan 2000; sotto la voce Quelle 6 del sito Internet www.historiche-einfuehrungen.de). Allo stesso modo, negli Stati Uniti, gli ex soldati definivano il fucile e l’uniforme (indossata da alcuni di loro in guerra civile) come simboli del loro diventare uomini (Cullen 1999).
Si definisce così con chiarezza il significato che veniva attribuito al sistema militare come promotore di una appartenenza totale e di diritto alla comunità.
Stato bianco
Negli Stati Uniti, il rapporto stretto tra lotta per l’ottenimento dei diritti civili e lotta per i diritti dell’uomo prosegue nel movimento per i diritti della popolazione afroamericana (Estes 2005). Una delle caratteristiche più marcate di questo movimento si ritrovava certamente nel fenomeno del machismo, atteggiamento messo in atto da molti membri del “Black Panther Party” e che si ricollegava inoltre alla disponibilità alla lotta armata (Finzsch 1999; Wendt 2007a, 2007b). Se ci si sofferma ancora un attimo sulla situazione americana e sui concetti di nazionalità costituitisi su base sessuale, l’attenzione deve essere allora rivolta verso un altro aspetto. Assieme a costrutti concettuali sul tema della nazionalità e del sesso, sono state ampliamente messe in luce soprattutto le implicazioni che derivano dal modello politico del repubblicanesimo americano, durante e dopo il periodo rivoluzionario. In questo dominava da tempo il confronto con l’ideale di donna repubblicana (Kerber 1980). Inoltre si è verificato un crescente interesse relativo al ruolo dei“padri fondatori” degli Stati Uniti e a come questi concepissero una nazione “di uomini liberi e uguali”. Questa “Republic of Men” appariva però costantemente minacciata da quegli uomini che, secondo i padri fondatori, non erano all’altezza dei diritti di una società liberale e perciò, il progresso e il benessere del nuovo stato non poteva essere affidato nelle loro mani. Perciò,si stabilirono gerarchie tra donne e uomini, ma anche tra uomini e uomini (Kann 1992,1998; Martschukat 20007 b).
Questi contributi si ricollegano direttamente ad altri campi di ricerca, ad esempio ai dibattiti relativi alla figura dei padri di famiglia in contrapposizione agli uomini celibi, alle analisi delle strategie di egemonia della maschilità “rispettabile” in contrapposizione a quella “rude”, a ricerche su alcool, lavoro e povertà. Tali ricerche mettono in evidenza come lo status di uomo “riuscito” fosse strettamente collegato al successo del nuovo ordine sociale e rappresentano, inoltre, uno sviluppo fondamentale per la comprensione del repubblicanesimo negli Stati Uniti. Altre ricerche hanno arricchito queste prospettive storiche e di genere sulla rivoluzione, il repubblicanesimo e l’ordine sociale liberale (Norton 1996; Nelson 1998). Inoltre mostrano come, per quanto riguarda la rivoluzione americana e la fase successiva alla rivoluzione, a partire da identità locali e regionali si formò l’idea inclusiva e allo stesso tempo esclusiva di una fratellanza nazionale fatta di uomini bianchi,
una fratellanza che faceva dell’unità e del progresso della nuova comunità una propria bandiera. Questo concetto di fratellanza ha agito in maniera efficace sulla gestione delle identità “diverse”, non bianche e non maschili e ha canalizzato in modo particolarmente considerevole gli accessi verso l’ ascesa socioeconomica e l’ottenimento dei diritti politici. Considerazioni che coinvolgono la dimensione di genere del concetto di nazionalità, come anche il consolidamento maschile delle comunità, sono presenti anche per quanto riguarda i periodi della storia più recente. Il periodo delle guerre mondiali rientra tra le importati fasi di cesura che sono di interesse per la ricerca internazionale. Per quanto riguarda la storia tedesca, il discorso relativo al Männerbund acquista, nella prima metà del XX secolo, una posizione di spicco. All’interno di questo discorso, la comunità maschile omosociale veniva definita come una comunità che si posizionava fuori da rapporti di somiglianza con il nucleo statale o con l’idealtipo sociale e che si opponeva inoltre in maniera esplicita al modernismo, alla democrazia e alla “massa”, alla quale veniva attribuita una connotazione femminile.
All’inizio del XX secolo il Männerbund veniva concepito come “motore” e apportatore di ogni progresso sociale. I riferimenti all’etnologia e al colonialismo sono molto importanti per l’ ampliamento continuo di questo modello di pensiero; rituali ed esaltazione collettiva conferiscono ai Männerbunde (secondo i contemporanei) un presunto dinamismo. A differenza di altri dibattiti che possono essere paragonabili per il resto d’Europa, per quanto riguarda il secondo Reich, queste visioni si legarono a concetti antimodernisti, antifemministi e antisemiti. Questi concetti evidenziano come il Männerbund, la cui formazione si compiva tramite rituali di iniziazione, si costituiva in questo modo come un’ organizzazione politica che voleva separarsi consapevolmente dalla massa irrazionale.
Durante la prima guerra mondiale si era compiuto un profondo legame tra le costruzioni maschili militari e l’ideale di cameratismo. Questo legame fece del Männerbund, a partire dal 1918, «un baluardo discorsivo e sociopolitico che si opponeva al modernismo e alla moderna società “mista”»6(Brunotte 2004: 13; Bruns 2007). Per il lavoro storiografico che si occupa del discorso sul Männerbund, sono fondamentali gli studi precedentemente citati di Gisela
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»Männerbund spätestens seit 1918 zu einem diskursiven und sozialpolitischen Bollwerk gegen die Modernisierung und die moderne ›gemischte‹Gesellschaft«
Stato e Männerbund
Völger e Karin von Welck (1990) e quelli di Helmut Blazek (1999). Tuttavia, questi due studi danno l’impressione che i concetti di inizio XX secolo che si ricollegavano al Bund tedesco debbano essere estesi o sperimentati in senso transculturale. Da parte sua, Blazek riteneva fosse un «errore giudicare le ricerche di Heinrich Schurtz come studi non scientifici o semplicemente misogini»7. I Männerbunde appaiono come qualcosa di ultrastorico e che può essere descritto in maniera transculturale. Al contrario, Claudia Bruns (2007) ha recentemente dimostrato quanto invece questa idea di Männerbund come concetto indipendente dallo spazio e dal tempo fosse parte stessa di quel discorso che si era consolidato agli inizi del XX secolo.
Se si osservano i diversi campi sui quali ha agito il discorso del Männerbund, si evince come questo si manifestò, già precedentemente alla prima guerra mondiale, nel movimento giovanile detto Jugendbewegung (Reulecke 2001), il quale fu influenzato dal Männerbund per quanto riguarda i modelli adottati. Recentemente, il panorama della ricerca si è interessato alla figura di Hans Blüher. Blüher può essere considerato il teorico più importante del Männerbund ed è inoltre colui che ha contribuito a renderlo noto e che ha influenzato il movimento dei Wandervögel. In modo particolare negli studi di Claudia Bruns (2007) viene messo in evidenza come le opere di Blüher costituiscono una connessione tra il movimento omosessuale mascolinista e la Jugendbewegung, la sessuologia, la discorsivizzazione della maschilità e l’antifemminismo. Concepito in tal modo, il Männerbund riuscì a collegare l’individualismo della Jugendbewegung con l’affermazione di una collettività intesa in senso maschile e nazionale che esigeva l’esclusione delle donne e degli ebrei dal Bund . Interessante, in questo contesto, è che Blüher ha associato all’omosessualità l’idea di una comunità da approntare, una comunità costituita dalla maschilità superiore ( Brunotte 2004; Bruns 2008). L’estratto che segue ne è una dimostrazione.
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»falsch, die Forschungen Heinrich Schurtz’ als wissenschaftlich und frauenfeindlich einfach abzutun«
«Il supremo Männerbund. Non ci rimane che tirare le somme sull’avvento del Männerbund nella comunità umana. Nel valutare il contenuto di estrema tensione presente in tali creazioni ci si chiede quale sia il loro scopo. Abbiamo conosciuto il Männerbund e la società maschile nelle loro forme più disparate, un tratto comune può essere loro attribuito: l’elemento erotico si ricollega costantemente all’esaltazione dell’essere umano. Che si tratti anche di forme stravaganti, in loro permane sempre qualcosa di nobile. Queste non sono mai orientate ad un’utilità tangibile, nella loro essenza rimane sempre qualcosa di inebriante e solenne. Nella camerateria militare, nel valore in battaglia per un ideale nazionale si nasconde una rozza pederastia; nel movimento dei Wandervögel, nel sentimento romantico, nel desiderio di una gioventù nuova si nascondono tutte le varianti dell’erotismo; negli ordini cavallereschi, lo stesso erotismo si nasconde nei principi pii e nella ricerca di una vita sacra; nei massoni si nasconde un erotismo basato sulla disposizione all’amore più raffinato e trasformato in sentimento di fratellanza nei confronti di tutti gli uomini; basti guardare le rozze osterie o i rozzi ritrovi per fumatori e i Bünde omosessuali: sono sempre molto più pieni di esuberanza vitale e molto più profondamente ricchi rispetto alle normali associazioni cittadine. Nelle società di uomini si addensa qualcosa che difficilmente si addensa altrove: nelle ore di carica estrema vi è un Bund, che è senza scopo ma allo stesso tempo di grande importanza umana […] Lo stato […]non rappresenta un’utilità comprensibile, è invece un destino assolutamente irrazionale, la sua fine e il suo scopo sono sconosciuti. Uno stato si trova in una condizione di profonda corruzione quando il possesso del potere scivola dalle mani del Männerbund in quelle delle associazioni cittadine, quando dal nucleo arriva all’esterno e quando dominano in questo non i re ma rappresentanti della realtà borghese»
(Hans Blüher: Die Rolle der Erotik in der männlichen Gesellschaft. Eine Theorie der menschlichen Staatenbildung nach Wesen und Art. Vol.2: Familie und Männerbund, Jena 1919: pp. 102- 105,217)[trad.mia] (sotto la voce Quelle 7 del sito Internet www.historiche-einfuehrungen.de)
Nel consolidamento dell’ideale di Männerbund all’interno della struttura statale durante il periodo del nazionalsocialismo l’elemento omoerotico, al quale Blüher attribuiva grande importanza, venne rimosso . Mentre questo riferimento al Männerbund omosociale è fondamentale per la ricerca in lingua tedesca che si occupa di lavori storiografici sul tema dei concetti di nazionalità, molti studi dell’area angloamericana dibattono su un’altro importante aspetto della maschilità moderna e cioè l’ individualità. Per quanto riguarda la storia degli Stati Uniti bisogna citare studi che si occupano sia della coscienza del ruolo maschile che degli ideali di successo e ascesa individuale in rapporto alle concezioni di società entro le quali si definivano tali aspetti della maschilità. Specialmente nel periodo della rivoluzione e della neonata repubblica americana, all’ideologia dell’uomo repubblicano di successo venne collegato l’impegno inteso come impegno per il bene comune. Nel corso del XIX secolo la metafora del “successo” si inserì al centro delle osservazioni nel momento in cui occorreva analizzare le relazioni tra progresso individuale e progresso nazionale. Il self-made man che ce l’aveva fatta grazie al duro lavoro e alle proprie capacità, guadagnò una posizione importante nell’ambito delle concezioni egemoni che definivano il modello maschile corretto e idealizzavano la conformazione della società americana.
Per l’analisi storiografica di questo modello e del significato della metafora del successo vengono consultate soprattutto due fonti. Da una parte vengono analizzati testi autobiografici per dimostrare come giovani uomini attribuissero molta importanza al saper leggere e scrivere, sia per poter avere una migliore vita lavorativa, ma anche per la loro stessa caratterizzazione di uomini (August 2003). Dall’altra, vengono anche analizzati testi, come manuali o guide del XIX secolo, tramite i quali è stato possibile analizzare il leitmotiv del successo e dell’ascesa maschile. Nei decenni successivi alla guerra civile, testi di questo tipo riscossero sempre maggiore successo e furono per molto tempo influenti. Le tecniche moderne di stampa e distribuzione contribuirono ad una maggiore diffusione di queste opere che, in questo modo, potevano rivolgersi a gruppi che comprendevano maschilità nuove e tra loro diverse ad esempio per provenienza sociale e regionale. Molti autori realizzarono così un distacco tra gli ideali dei loro predecessori, prima della guerra civile, e quelli che erano gli ormai mutati interessi e bisogni della nuova e urbana epoca industriale (Hilkey
1997). Fino a oggi non c’è stato un proseguimento di questi studi che si sono occupati dell’ analisi dei manuali del XX secolo, anche se alcuni autori hanno richiamato l’attenzione sulla centralità di queste fonti (Kwolek-Folland 1994; Stieglitz 1999).