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Pasolini, eretico etico poetico. LAURA GIOENI

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Academic year: 2022

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Pasolini, eretico etico poetico.

LAURA GIOENI

Attualmente allestita nella capitale francese, la mostra Pasolini Roma è stata ospitata dal 23 maggio al 15 settembre di quest'anno nelle sale del CCCB, Centre de Cultura Contemporània di Barcellona. Frutto di un lavoro di co-produzione di quattro enti museali europei - il CCCB, la Cinemathèque Française di Parigi, l'Azienda Speciale Palaexpo - Palazzo delle Esposizioni di Roma e il Martin Gropius Bau di Berlino - e finanziata con l'appoggio della Commissione Europea, è attesa dai primi di marzo del 2014 a Roma per poi chiudere il suo percorso itinerante nell'allestimento berlinese.

Alla mostra si accompagnano un interessante e omonimo sito web, luogo virtuale dove è fedelmente rispecchiato il programma topologico di ricostruzione di un itinerario di pasoliniane memorie romane e un catalogo, dall'aspetto spartano ma elegante nelle scelte grafiche ed editoriali, pubblicato da Skira- Flammarion1 e curato da Jordi Ballò, con la consulenza scientifica di Graziella Chiarcossi e commenti di Alain Bergala e Gianni Borgna.

Occorre dire che, per nostra fortuna, l'intenzione programmatica - e di costume - di privilegiare il rapporto tra Pasolini e la città di Roma, espressa con volontà anche troppo didascalica nel titolo dell'esposizione, viene allentata e arricchita in un toccante ritratto che restituisce il protagonista alla sua poliedrica polidimensionalità e al suo candido sguardo, ingenuo e spietato ad un tempo - e, a ben dire, assai preveggente - sotto la cui lente cadono e sono narrate le peggiori mutazioni antropologiche della società italiana.

Nel percorso della mostra, infatti, i luoghi non sono più che un pretesto per un racconto che intreccia manoscritti e dattiloscritti originali, frammenti epistolari e documenti d'archivio pazientemente selezionati, immagini, spezzoni cinematografici, interviste e materiali audiovisivi (spesso facilmente reperibili sul web) che offrono una presa diretta sulla vita di Pasolini ma, soprattutto, restituiscono con cura archeologica il quadro vivente delle trasformazioni sociali dell'Italia del dopoguerra.

Il viaggio comincia con lo sguardo che traguarda l'umida campagna friulana attraverso il finestrino di una sussultante tradotta ferroviaria e, con qualche inciampo cronologico, si dipana nella vita pubblica e privata dello scrittore e regista.

Da subito però i limiti temporali stabiliti, i 25 anni di residenza di Pasolini a Roma dalla partenza da Casarsa sino alla tragica morte, sono in verità dilatati a comprendere gli antecedenti e le premesse di quel viaggio.

Così trovano spazio le memorie bolognesi, gli anni dell'università che, sotto la guida del "maestro" Roberto Longhi, plasmano il gusto figurativo che costituirà la cifra riconoscibile, antinaturalistica e antirealistica - della cinematografia pasoliniana. "Il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa", dice Pasolini: "ciò che ho in testa come visione, come campo visuale, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto - che sono i pittori che più amo insieme ad alcuni manieristi (per esempio Pontormo) - e non posso concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure, fuori da questa mia iniziale passione pittorica per il secolo XIV che ha l'uomo come centro di ogni prospettiva". È dunque a Bologna, nell'aula

"fuori dall'entropia accademica" in cui Longhi impartiva le sue lezioni, che Pasolini accoglie la rivelazione di un maestro che, a differenza degli altri professori universitari "alienati dalla loro professione", dietro la cui maschera autoritaria lasciavano trasparire un'altra maschera da modesti scribacchini, sapeva vestire la maschera dell'uomo prima che del professore e con acuta ironia iniziava i suoi studenti ad un lessico rivoluzionario di assoluta novità. Inclinazione figurativa che Pasolini non mancherà di mettere alla prova pratica e in cui si incarna il suo "desiderio di ricchezza". Nell'ideale di una nuova casa romana in fuga dalla "prigione della miseria", sogna un'alcova adorna delle opere dei suoi pittori preferiti, un Zigaina, un Morandi, un Mafai, e poi un De Pisis accanto a un piccolo Rosai e a un grande Guttuso, che trovano altresì la loro collocazione nel percorso dell'esposizione, accanto ai ritratti di mano pasoliniana.

Il periodo di residenza nella materna Casarsa sono gli anni degli esordi poetico letterari e di ricerca sulla lingua popolare, con la piccola accademia della lingua friulana e, tra le altre opere, l'antologia dei poeti catalani. Una ricerca che mira a restituire dignità di lingua alle declinazioni dialettali e ad annullare i

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confini tra cultura alta e cultura popolare. La stessa istanza, che punta a demolire i miti autorali per restituire voce all'opera anonima del popolo, motiverà più avanti la presa di posizione in favore della tutela del patrimonio urbano diffuso e dei manufatti più poveri, che, in quanto tracce della storia umana e dell'opera di antropizzazione del territorio, testimoniano di una cultura materiale popolare che va considerata sullo stesso piano della cultura aulica e monumentale. Vale la pena qui richiamare quanto Pasolini affermerà in un documentario sulla forma della città a proposito del "selciato sconnesso e antico"

che andava percorrendo a piedi nei pressi della città di Orte: "è un'umile cosa, non si può nemmeno confrontare con certe opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana. Eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore, con cui si difende l'opera d'arte di un grande autore. Nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa e io ho scelto invece proprio di difendere questo. Voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un'intera storia, dell'intera storia del popolo di una città, di un'infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all'interno di un'epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi e più assoluti nelle opere d'arte e d'autore. Con chiunque tu parli, è immediatamente d'accordo con te nel dover difendere un monumento, una chiesa, la facciata della chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato ma nessuno si rende conto che quello che va difeso è proprio questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare".

Appartiene al periodo friulano anche la dolorosa esperienza della perdita del fratello più giovane, Guido, iniziato da Pierpaolo agli ideali politici e la cui morte rimarrà una ferita aperta non solo sul piano degli affetti ma anche in quello delle convinzioni ideologiche. Riconsiderando gli eventi che portarono alla morte del fratello più tardi scriverà: "nulla è semplice, nulla succede senza complicazioni e sofferenze; (...) ciò che conta è la lucidità critica (...) che va sino in fondo alle cose, sino alla loro segreta e inalienabile verità".

Acquisita negli anni di maturazione la consapevolezza dell'orientamento del proprio desiderio erotico, Pasolini si mostra conscio della difficoltà di far convivere pacificate, nel panorama sociale italiano di quegli anni, la rettitudine del personaggio pubblico - poeta, insegnante e comunista - e le sue libertà amorose: "la mia omosessualità è entrata nella mia coscienza da vari anni e nei miei abiti ormai non c'è più un Altro dentro di me. (....) però chissà se insanguinato e coperto di cicatrici riuscirò a sopravvivere salvando entrambe le cose, vale a dire l'eros e l'onestà".

E infatti le trappole moralistiche aprono il varco al tradimento politico, a sancire socialmente una spaccatura tra un Pasolini buono e uno cattivo. Una "dissociazione schizoide" che verrà proiettata nei due personaggi sosia dell'ultima disperata novella del Petroleo: "B, l'uomo dal carattere «cattivo» è al servizio di A, l'uomo dal carettere «buono»: è il suo servo, vale a dire l'incaricato del lavoro sporco. Tra i due dissociati c'è un accordo perfetto. Un vero equilibrio".

Con lo scandalo pubblico la "diabolica perfidia democristiana" si libera di un lucido oppositore politico facendo sì che il PCI ne decreti l'espulsione dal partito, condannandolo - come ricorda Nico Naldini - con

"un ostracismo silenzioso che castigava un intellettuale di sinistra prima tanto stimato".

Queste sono le premesse e le ragioni del suo allontanamento e trasferimento a Roma: una seconda fuga - la prima era stata quella da Bologna -, una fuga lontano dal padre con la madre Susanna, unica e insostituibile donna per la quale sia in grado di nutrire un autentico e viscerale amore e al cui amore si immola dichiarando la propria sottomessa schiavitù: "Sei insostituibile. Per questo è condannata alla solitudine la vita che mi hai dato. (...) Ho una fame infinita di amore, dell'amore di corpi senz'anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù".

Giunto a Roma vive "come può vivere un condannato a morte" accompagnato da un sentimento di inquietudine, di disonore e di miseria. È questo il momento in cui viene a contatto con un nuovo paesaggio umano, quello delle borgate: quel sottoproletariato urbano che vive marginalizzato nei tuguri della periferia romana, al limite della sopravvivenza e dell'illegalità, così diverso dal proletariato contadino delle campagne friulane, e che sarà protagonista dei suoi primi esperimenti cinematografici. È l'incontro con la città notturna dei monumenti - "non si può amare che le statue" -, con una Roma odorante di vita,

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arabescata di oscurità; ma anche con la grigia e conformista città papale che dispiega processioni di una religiosità senza colore, col paraocchi, specchio di stupidità e idiozia piccoloborghese: "di fronte a questo show la bomba atomica non scandalizza più: urge suicidarsi".

Inizia qui l'itinerario romano di Pasolini, a cominciare dalla prima camera messa a disposizione dallo zio in Piazza Costaguti, nel quartiere ebraico non distante dal Tevere e dall'isola tiberina; senza soldi né impiego si trasferisce quindi a Ponte Mammolo, vicino al carcere di Rebibbia, in una "casa marocchina", da poveri, senza tetto né intonaco, "un manto di polvere l'estate, un pantano d'inverno. Ma era l'Italia, l'Italia nuda e brulicante, con i suoi ragazzi e ragazze, «i suoi odori di gelsomino e di zuppe povere», i tramonti sopra i campi dell'Aniene, i cumuli di spazzatura, e in quanto a me, i miei sogni integri di poesia".

Dopo due anni di disoccupazione e disperazione - "per due anni fui un disoccupato disperato, di quelli che finiscono suicidi" - trova da insegnare in una scuola privata a Ciampino. Invito calorosamente il lettore a rivedere il filmato dell'intervista di Jean André Fieschi, Pasolini l'enragé (1966), in cui Pasolini, passeggiando davanti alla sua casa di un tempo, rievoca l'esperienza di vita nelle borgate, mentre la camera da presa indugia sui dettagli di misere architetture che reclamano la loro dignità: "come vedete la realtà vi parla. Vedete quei muri là. Sono case costruite dagli operai con le loro mani. È un tipo particolare di borgata romana. Non è il quartiere sottoproletario di cui parlo nei miei romanzi e che ho rappresentato nei miei film, che sono i quartieri costruiti dal fascismo come campi di concentramento per i poveri. Qui vedete un angolo di terzo mondo. Roma è un città pre-industriale. Non c'è industrializzazione.

La gente vive come nel mondo pre-industriale, come in Africa, come a Il Cairo, Algeri o a Bombay".

Risale al periodo di insegnamento nella scuola di Ciampino l'incontro con l'allievo Vincenzo Cerami che incoraggia alla scrittura e avvia alla lettura degli autori e poeti contemporanei tra i quali v'erano anche i suoi compagni di mondanità dell'esilio romano. Credo che la testimonianza di Cerami, raccolta da Alain Bergalà nel gennaio del 2013 e di cui è riportata trascrizione nel catalogo della mostra, sia uno dei più delicati e pertinenti ritratti di Pasolini, del suo essere maestro: "non ci correggeva in rosso gli errori di grammatica. Non li considerava molto gravi. Per lui erano imperdonabili gli errori etici".

Intanto Pasolini si guadagna la vita con collaborazioni di scrittura e sceneggiatura, mentre attorno alle frequentazioni "borgatare", dei giovanetti disponibili ed ammiccanti, degli antieroi marginali e deliquenti per necessità, costruisce il nucleo del suo romanzo Ragazzi di vita.

Si trasferisce quindi nel quartiere di Monteverde Nuovo, nella casa di via Fonteiana in cui è ritratto, con la prima edizione del libro in mano, in un interno di normalità piccoloborghese, tra le chincaglierie di famiglia, dietro una lugubre scrivania retrò, circondato dalle cornici dorate dei quadretti autografi.

Un'immagine pacificata che viene di nuovo squarciata dai fantasmi moralizzatori. Il romanzo, che pure viene insignito di un premio letterario da una autorevole giuria, porta nuovamente Pasolini in tribunale a fronteggiare un'accusa - la prima di tante successive - di oscenità e che muove alla difesa alcuni tra i più eminenti letterati italiani.

L'itinerario espositivo procede così tra i due poli della vita pasoliniana, le tappe e i riconoscimenti per la sua attività di scrittore e cineasta e le grottesche denunce per oltraggio alla moralità che le sue opere suscitavano. Nell'ultima intervista, la voce ansimante, sfinita da un'esasperata e amara disillusione, ringhierà sferzante: "io penso che scandalizzare sia un diritto ed essere scandalizzati un piacere. E chi lo rifiuta è un moralista".

Le sere romane sono costellate di incontri mondani con gli scrittori e intellettuali che si danno appuntamento nei ristoranti e trattorie più popolari. In questo ambito avviene l'incontro con Laura Betti, la sua "sposa non carnale, però passionale", come scriverà in una nota a Godard, con la quale condivide uno stretto rapporto di complicità sul piano affettivo e di lavoro. Una parentesi di apparente normalità che si incrinerà del tutto allorché nella vita di Pasolini farà apparizione, come uno scanzonato angelo spettinato, la figura di Ninetto Davoli.

Alla scrittura letteraria si affianca la fascinazione per la scrittura per immagini attraverso lo strumento cinematografico, per Pasolini l'unico in grado di esibire quel primitivo linguaggio rappresentato dall'azione dell'uomo nella realtà. Accattone è il suo primo progetto e fatica a prendere avvio dopo il rifiuto della

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casa di produzione di Fellini. Ma arriverà alla 26° mostra del cinema di Venezia. Il regista alle prime armi coinvolge come assistente un giovanissimo Bernardo Bertolucci che accetta dopo qualche titubanza.

Bertolucci più volte ricorderà il suo primo incontro con Pasolini che, in occasione di una visita al padre Attilio, viene scambiato per un ladro e lasciato da Bernardo fuori dalla porta di casa.

Attraverso le prime sue esperienze cinematografiche Pasolini dipinge un ritratto elegiaco della Roma marginale, riscrivendo i tratti di una "grandiosa metropoli plebea", ridefinendone i sublimi caratteri estetici:

i visi, i corpi, le piazze, le vie, i resti degli edifici, le pareti annerite e danneggiate, il fango, i prati pieni di mattoni e di pattume, "ogni cosa appariva con una luce fresca, nuova affascinante, assumeva un aspetto paradisiaco e assoluto (...) in una Roma che non era Roma".

Ma sullo sfondo è già il presentimento che questo residuo di anarchica vitalità stia per essere inghiottito dalla pianificazione, che, imponendo l'applicazione del modello urbano e architettonico razionale e borghese, sradica e distrugge le primarie relazioni umane e sociali. Questo è in fondo il tema già presente in Mamma Roma, ma che ritorna anche nella descrizione letteraria della spasmodica ricerca della sua casa ideale all'EUR: "mi era sembrata sempre allegra questa zona dell'EUR che ora è orrore e basta. (...) E chi siete, vorrei proprio vedervi, progettisti di queste catapecchie dell'Egoismo, per gente senza nervi (...) fortilizi fascisti fatti con il cemento dei pisciatoi".

Di fronte ad un nuovo panorama fatto di INA Casa senza storia né poesia, scatta in Pasolini l'identificazione con la rovina, con il rudere abbandonato e solitario in un campo - "un solo rudere, sogno di un arco, di una volta romana o romanica (...) lì ridotto il rudere è senza amore" - abitatore alienato di un tempo senza storia. Osservando l'albeggiare e i tramonti su Roma "come i primi atti della Dopostoria", Pasolini riconosce la propria genealogica provenienza dal passato, un passato che dà la forza di rifondare la più alta modernità: "Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi", scrive in Poesie in forma di rosa, "feto adulto mi aggiro, più moderno di ogni moderno, a cercare fratelli che non sono più".

A queste amare considerazioni si aggiungerà dopo qualche anno anche la preveggente e piena consapevolezza della crisi del marxismo, giocata tutta sul piano della surrealistica ironia del film Uccellacci e uccellini, dove un improbabile trio - Totò, il papà, Ninetto, il figlio e il corvo, "una metafora irregolare dell'autore" - agisce sullo sfondo dei territori sfregiati dall'espansione urbana e delle infrastrutture, luogo residuale di radicamento di una altrettanto improbabile umanità.

Monteranno negli anni a venire i sentimenti di repulsione verso Roma - al cui disgusto finirà per apparentare tutte le città italiane - trasformatasi nella materializzazione di una esecrabile società dei consumi che contrabbanda, anche e soprattutto tramite il medium televisivo, un modello piccoloborghese;

un modello che ha finito per compromettere quella cultura popolare subproletaria che per Pasolini aveva rappresentato anni addietro la meraviglia di una scoperta.

Con prospettivistico spirito di contraddizione, persino le agitazioni studentesche del '68 in Italia gli sembrano espressione di prerogative da borghesucci figli di papà, tanto da prendere partito, anche se solo sul piano umano, per i poliziotti, figli dei poveri, costretti a quel mestiere dalla necessità: "in questi casi, amici, ai poliziotti si danno fiori".

Nell'ambito della critica alle ipocrisie borghesi Pasolini, con grande perspicacia, non cesserà di mettere in guardia contro il mezzo televisivo, non solo e non tanto per i suoi contenuti, ma per la sua stessa esistenza. La televisione, come pervasivo e antidemocratico strumento di costruzione e diffusione della menzogna, è un male contro l'umanità; è una "gabbia che tiene prigioniera l'opinione pubblica - servilmente servita per ottenere il totale servilismo". La televisione come medium di massa "non può che mercificarci e alienare. Nel momento in cui qualcuno ti ascolta attraverso lo schermo ha verso di te una relazione da inferiore a superiore, che è una relazione spaventosamente antidemocratica".

Negli ultimi anni, svanite le positive spinte utopiche, un Pasolini rassegnato approda a quella che definirà una sorta di "anarchia apocalittica", dove anche l'ultima speranza è uccisa dal genocidio culturale, veicolato dalla società dei consumi, che ha mutato l'amato vivace popolo dei bassifondi in "pallidi, feroci e infelici fantasmi", convertendoli in "milioni di candidati alla morte dell'anima".

Continua però la sua battaglia di impegno poetico e politico anche attraverso gli articoli pubblicati sul

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Corriere della Sera, tra i quali risalta quella sua lucida analisi della "strategia della tensione" che, a colpi di attentati, instaurava nell'Italia degli anni '70 "un sistema di protezioine del potere".

Con questi neri presagi, che si riflettono nella scrittura del Petroleo e si materializzano nelle difficoltà legate alla realizzazione del film Salò - minacce di morte, furto di negativi, pressioni politiche - Pasolini va incontro alla morte il 2 novembre 1975.

Della sua fine, la cui dinamica non è stata mai chiarita e le cui ragioni a tutt'oggi sembrano risiedere nella volontà di zittire una delle voci più scomode della cultura di quegli anni, ci rimane ben impressa nel ricordo, più che la pudica sindone offerta ai rilievi della polizia e alla curiosità degli astanti, la dirompente forza dell'immagine di un cadevere straziato, quasi una pietà michelangiolesca magistralmente sfigurata dal pennello di un Francis Bacon.

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1 La versione del catalogo consultata e commentata è quella in spagnolo. I testi, dove non diversamente specificato, provengono dal catalogo della mostra e sono stati ritradotti a mia cura. Mi scuso per le eventuali difformità dal testo dell'originale italiano. Le immagini provengono dal catalogo dell'esposizione, a cui si rimanda per i crediti.

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