Memorie scritte sulle strade Fermata n. 7, viale Italia, Sesto S. Giovanni
Marina De Meo
Premessa
“Memorie scritte sulle strade” fa parte di un’in
dagine più ampia condotta nella città di Sesto S. Giovanni (Milano) durante un corso di for
mazione della Regione Lombardia per Opera
tori socioculturali nell’ambito della valorizza
zione dei beni architettonici e ambientali e cu
rato dalla cooperativa Lotta contro l’emargi
nazione. Lo scopo della ricerca, compiuta da novembre 1997 a marzo 1998, è stato quello di realizzare una guida e organizzare un tour de
stinati agli abitanti di Sesto S. Giovanni e ai progettisti invitati al concorso intemazionale di idee “Parco urbano aree Falck”, indetto dal- l’amministrazione comunale di Sesto, dalla Provincia di Milano e dal Gruppo Falck con il sostegno dell’Asnm (Agenzia sviluppo Nord Milano).
Questa ricerca ha prodotto un volume, stam
pato solo in dieci copie e dal titolo Sesto S. Gio
vanni, itinerario tra memoria e identità, che ora si può consultare soltanto nell’archivio Insmli e nella biblioteca di zona Karl Marx, in via Curie, e una versione ridotta, Sesto S. Giovanni Tour - Circolare sinistra, distribuita nel giugno 1998, in occasione di una mostra, presentata nella bi
blioteca comunale Villa Visconti D’Aragona, e di un percorso guidato sulla circolare 107 aper
to a tutti e gratuito.
Sesto S. Giovanni Tour: autobus n. 107
L’itinerario, pensato da un gruppo di sei perso
ne e coordinato da Emanuela De Cecco, utilizza il giro di un autobus urbano, che attraversa i quar
tieri e i luoghi più significativi della città, per rac
contare il territorio in modo nuovo e invitare chi
“per necessità o per svago si trovasse a salire su quest’autobus, a sentirsi anche un po’ turista”1.
Sesto S. Giovanni Tour propone otto fermate della circolare n. 107 scelte, dopo un’accurata selezione, per la propria rappresentatività nel ter
ritorio comunale: Sesto F.S., Sesto Rondò, Tor
retta, Sesto Marelli, Quartiere Gescal, Cascina De’ gatti, viale Italia, Villaggio Falck. La guida si basa su documenti bibliografici e d’archivio, testimonianze orali e interviste, impressioni e conbscenze dirette ottenute sul territorio, foto
grafie e appunti che sono stati raccolti nell’arco di qualche mese sotto forma di testo illustrato.
I frammenti, ordinati e ricuciti in funzione della “guida turistica”, rivelano tanti aspetti sot
tovalutati e non detti dalle fonti della storia uf
ficiale, permettono di riflettere sulla memoria culturale della città e di pensare anche alla con
dizione attuale, al malessere o all’orgoglio, alla nostalgia o al rifiuto della “città delle fabbriche”.
Secondo la tradizione del Gran Tour, nata in Europa nel Settecento, l’Italia è una delle mete più ambite per i suoi centri di grande valore cul
1 Emanuela De Cecco, Introduzione,in Ema Castiarena, MarinaDeMeo, Daniela Pirola, OlgaPirola,AnnaLia Ruti- gliano, Silvana Senzani,Sesto S.Giovanni,itinerario metropolitanotra memoria eidentità,Sesto San Giovanni, 1998, guida inedita.
‘Italia contemporanea”,giugno 2002, n. 227
278 Marina De Meo
turale, artistico o paesaggistico. “A Sesto S. Gio
vanni non c’è il mare, non ci sono montagne, i manuali di storia dell’arte non segnalano la pre
senza di capolavori da ammirare, eppure qui ha avuto luogo una delle storie che più profonda
mente hanno segnato l’Italia, qui nei prossimi anni — sulle ceneri delle grandi fabbriche — gli architetti reinventeranno il paesaggio”2.
2 Emanuela De Cecco,Sesto S. Giovanni, itinerario metropolitano tramemoria eidentità,cit.
3 La maggior parte delle notizie storiche sono tratte da Giorgio Frumento,Le impreselombarde nella storiadellasi derurgia italiana. Il contributo deiFalck,1833-1913, Milano,Allegretti,1952, e da Istituto regionale di ricerca della Lombardia (a curadi),Siderurgia lombarda. Problemi e prospettive, Milano,Angeli, 1981.
Fermata n. 7: viale Italia Breve storia delle Acciaierie Falck3
Le vie della città, a eccezione di quelle che ri
portano la scritta “strada privata”, sono di soli
to spazi pubblici aperti che permettono di spo
starsi lentamente a piedi o velocemente in auto
mobile e di orientarsi con l’aiuto dei numeri ci
vici. Viale Italia a Sesto San Giovanni, insieme alle strade private, rappresenta un altro tipo di eccezione perché, pur essendo lunga svariati chi
lometri, possiede pochi numeri civici, che, nel
la maggior parte dei casi, indicano accessi pri
vati, vietati o sbarrati.
Il traffico su ruote è molto intenso e scorre veloce come sulla tangenziale; pedoni e ciclisti, poco invogliati dal paesaggio di muri alti, grigi, decadenti e “abbelliti” soltanto per brevi tratti da una nuova vegetazione selvatica, si contano sulle dita di una mano. A essi si aggiungono di giorno gli studenti dell’istituto magistrale stata
le Erasmo da Rotterdam, al numero civico 409.
La strada non offre un granché e anzi, con la sua monotonia, trasmette un certo senso di disagio, interrotto solo a tratti dalla vista di qualche ci
miniera o turbina d’epoca affacciata dietro le in
terminabili pareti perimetrali.
Viale Italia si colloca in una delle aree indu
striali più vaste della Lombardia e dell’intero paese, è l’asse che collegava gli stabilimenti del
la Falck e custodisce parte della storia industriale
di Sesto che si allarga, insieme alle aree Breda, Magneti Marcili, Ercole Marcili e Pirelli, per cir
ca due milioni di metri quadrati.
La concentrazione di tante aree industriali in un territorio così circoscritto è dovuta alla col
locazione strategica della città nel periodo del
la grande industrializzazione italiana tra la fine dell’ottocento e i primi del Novecento. Sesto era situata alle porte del capoluogo lombardo, già all’epoca congestionato, e lungo la linea fer
roviaria Milano-Monza, inaugurata nel 1882 co
me via diretta di comunicazione tra la Lombar
dia e l’Europa centrale, quindi con una delle maggiori intensità di traffico italiano. La città, inoltre, aveva a disposizione vasti tenerti che erano stati impoveriti dalle monocolture e, dun
que, risultavano disponibili a costi molto bassi ed erano inseriti nel piano di lottizzazione Nuo
vo quartiere industriale raccordato, presentato negli anni dieci, che prevedeva l’insediamento di poli industriali e le conseguenti opere infra
strutturali.
La storia delle Acciaierie Falck, situate a ri
dosso della ferrovia a nord-est di Sesto, prende le mosse dal 1833 quando dall'Alsazia arriva in Italia Giorgio Enrico Falck per lavorare in una ferriera di Dongo sul lago di Lecco, come tec
nico esperto del settore siderurgico. Più tardi passa alla Badoni di Lecco e nel 1862 lascia l’I
talia. Il figlio di Giorgio, Enrico, inizia a lavo
rare nella stessa fabbrica, ma poi, seguendo le tracce lasciate dal padre, si trasferisce a Dongo, dove sposa la figlia del proprietario della fer
riera creando così un legame più stabile tra i Falck e l’Italia.
Il terzo Falck, dopo una prima esperienza la
vorativa in Germania, acquista uno stabilimen
to nel quartiere Rogoredo, situato alle porte di Milano, da destinare a ferriera e crea la prima esperienza pilota per il futuro polo industriale di Sesto: nel 1906 apre la Società acciaierie e fer
riere lombarde con due stabilimenti, uno a Vo- bamo e uno a Dongo, e con il proposito di edi
ficare un’acciaieria con forni Martin-Siemens nell’area milanese.
Nello stesso anno, infatti, abbandonata l’ipo
tesi di collocare il grande centro siderurgico nel
l’area di Rogoredo, inizia la costruzione del pri
mo stabilimento di Sesto, l’Unione, quello più grande di tutti (sfiorerà i 5.000 operai negli an
ni cinquanta) e destinato a produrre materia pri
ma da lavorare in altri due impianti che sareb
bero stati costruiti successivamente. L’“Unio- ne” è costituito da due reparti: l’acciaieria per la fusione (nei forni Martin-Siemens) e la produ
zione di lingotti e bramme destinate alla lami
nazione, la fonderia per la fusione in forni elet
trici e la produzione di getti in acciaio e ghisa.
Chiuso nel dicembre 1995, lo stabilimento Unio
ne è direttamente collegato con il Vulcano, aper
to nel 1925 e chiuso per primo (nel 1976), de
stinato alla produzione di ghisa e ferroleghe. Il Concordia e il Vittoria, inaugurali negli anni ven
ti e costruiti per la laminazione a caldo della ma
teria prima e per la produzione di filo e fimi me
talliche, hanno chiuso rispettivamente nel 1992 e nel 1995.
La strategia imprenditoriale dei Falck si gio
vava di molti punti forza: l’utilizzo di centrali elettriche proprie e l’approvvigionamento di
retto di materie prime da miniere, cave e stabi
limenti di proprietà, che riducevano nettamente i costi di produzione; l’investimento in altre pic
cole e medie imprese siderurgiche (Officine, Transider, Franco Tosi, Sidmar) strettamente le
gate sul piano produttivo; l’attività sempre in
dirizzata verso la produzione di acciai sofisti
cati; la specializzazione, la diversificazione e l’incremento qualitativo degli impianti. Infine non bisogna dimenticare che i Falck hanno per
seguito una politica d’impronta paternalistica che, fornendo agli operai ogni tipo di servizio
(casa, salute, istruzione, ecc.), si aspettava in cambio un’ottimizzazione della produzione e un attaccamento psicologico e fisico alla propria azienda.
La visita4 e le testimonianze orali
4II testo nella sua versione originale è statocompletato nel marzo 1998, quindimoltidati e riferimenti a cose oa per sone, e soprattuttoalla conversione delle ex aree industriali, non sono aggiornati. Dove èstato possibile ho aggiunto datiaggiornati all’anno in corso.
5Queste parole sono stateregistrate durante la visitaalleacciaierie, il 30 gennaio 1998.
A differenza di tutte le altre aree industriali di
smesse a Sesto e già in fase di conversione da anni, la Falck conserva ancora oggi buona par
te degli stabilimenti e lunghi muri perimetrali.
L’accesso è consentito solo a pochi: camionisti addetti al trasporto dei rottami, impiegati della EcoSesto-Falck Ambiente (che ha sede in una palazzina dell’area Unione) incaricati della bo
nifica dei rifiuti tossici, ingegneri e tecnici ad
detti allo smantellamento degli impianti. Per en
trare bisogna attendere un permesso scritto, re
gistrare il proprio nominativo, essere accompa
gnati dai responsabili della sicurezza e abban
donare qualsiasi tentativo di registrazione foto
grafica o video. Una volta entrati nello stabili
mento Unione, il responsabile della sicurezza, l’ingegnere Volpi, che accompagna, vigile, i vi
sitatori tra macchinari, rottami e vecchie impal
cature di acciaio, ha il compito di fornire un qua
dro numerico e generale della produzione: “La fabbrica solo nella città di Sesto occupava più di un milione di mq, aveva 10 km di tunnel sot
terranei tra uno stabilimento e l’altro, produce
va un milione di tonnellate di acciaio all’anno e un inquinamento acustico nell'altoforno pari a 130 db. L’Unione aveva un ponte mobile con una portata di 210 tonnellate e gli operai erano esposti ad una temperatura media di calore di 60° C”5.
Dopo una breve illustrazione delle palazzine situate all’ingresso, convertite in altre attività impiegatizie, la visita prosegue a piedi. Gigan
teschi capannoni alti decine di metri, che ùna
280 Marina De Meo
volta ospitavano i vari reparti, attualmente sono svuotati di ogni impianto, pieni di macerie e di detriti e impregnati di odori intensi e acri. For
ni Martin-Siemens, forni elettrici, turbine, la
minatoi, fonderie, trafilerie sono stati privati di ogni componente, rottamati e, nellamigliore del
le ipotesi, venduti ai paesi del Terzo mondo. Que
sto paesaggio di rovine rende i capannoni tutti uguali tra loro e provoca un certo stato di diso
rientamento: tra i pochi segnali riconoscibili ri
mangono, sparse qua e là, soltanto piccole tar
ghe appese ai muri a ricordare i caduti sul lavo
ro, i sindacalisti e i partigiani deportati nei cam
pi di sterminio. Senza il supporto di una mini
ma documentazione bibliografica6, le spiega
zioni della guida e i resti industriali da soli ser
virebbero ben poco a immaginare le reali con
dizioni degli operai al lavoro.
6 Si vedano Gianfranco Bertelo(a cura di), Un minuto inpiù delpadrone.Imetalmeccanici milanesi dal dopoguerra agli anni ’70,Milano, Isrmo-Vangelista, 1977; PietroCrespi, Una capitaleoperaia. Storie di vita raccontate trale fabbriche di Sesto S. Giovanni,Milano,Jaca Book,1979; Giorgio Manzini, Una vitaoperaia,Torino, Einaudi, 1976.
Il giornale illustratodifabbrica delleAcciaierie e FerriereLombarde Falck, “LaFerriera”, riporta, soprattutto negli anni cinquanta, notizie riguardanti servizi e iniziative rivolte agli operai. Gli articoli e le fotografie fanno spesso rife
rimento allecolonie estive destinateai figlidei dipendenti conaccenti visibilmenteautocelebrativi e paternalistici.
Moltenotiziesono state raccoltegrazie alle testimonianze di Angela P, figlia di un operaio dellaFalcke assidua fre- quentatrice delleresidenze estive.
Le interviste ad Angela P.e a SilvanaR. sonostate realizzatepresso ilvillaggio Falcknelfebbraio1998.
Costruita a ridosso di viale Italia già ai primi del Novecento, la centrale termica era uno dei fiori all’occhiello della Falck perché era in gra
do di riscaldare tutta la città. Segnalata come uno degli impianti da conservare e ristrutturare in chiave simbolica, come la turbina posta al
l’ingresso della Società Elettrica Sondel dal
l’altra parte della strada, la centrale ricorda la tipologia edilizia industriale ottocentesca. Con
finante con la stazione delle Ferrovie dello Sta
to, l’area, soprannominata la Parigina, è il gran
de scalo merci da cui transitavano tutti i con
vogli carichi di materie prime o prodotti finiti e da cui partivano anche i treni destinati alle co
lonie estive per i figli dei dipendenti7. Tra gli uffici svuotati e gli spogliatoi, costruiti vicino ai binari, ci sono ancora timide tracce del pas
sato: guanti, adesivi e poster attaccati agli ar
madietti di ferro, pagine di giornale buttate per
terra, quaderni di fatturazioni e altro tipo di scar
ti irriconoscibili.
Per ricostruire le attività produttive di questi stabilimenti ora silenziosi e fermi, la conoscen
za del territorio e la documentazione bibliogra
fica non sono sufficienti, bisogna ricorrere alle parole degli operai, alle testimonianze dirette del
le persone che hanno vissuto la Falck e il perio
do delle grandi industrie, da cui traspare, talvol
ta, un certo senso di nostalgia. “Una volta in que
ste strade si viveva una vita molto accomunata a quella delle altre persone. Alle sette del mattino, alle dodici, alle quattordici e alle diciassette via
le Italia si riempiva di gente che usciva ed en
trava alla Falck. Non avevo bisogno dell’orolo
gio: mi alzavo alle sei con la prima sirena e sa
pevo che dovevo uscire di casa quando sentivo la seconda sirena, alle sette. La Falck entrava nel
la vita di tutti anche di chi, come me, non ci ha mai lavorato”, ricorda Angela P., ex impiegata Atm e figlia di un operaio impiegato alla Falck.
“Ogni volta che passo dal Concordia mi si stringe il cuore. C’era un giardino, si prendeva
no molta cura del verde all’interno degli stabi
limenti, il direttore del personale aveva incul
cato a tutti noi l’idea della cura del verde. [...]
Sia al Concordia che al Vulcano c’erano all’ini
zio delle aziende agricole interne con i contadi
ni e i giardinieri che coltivavano la terra. Alla Falck esisteva una cultura molto familiare [...], era una ‘grande famiglia’ e ti ci sentivi proprio nella famiglia, si lavorava anche di più per que
sto”. “Si cresceva al villaggio, si andava all’a
silo Montessori, si frequentavano le loro scuo
le, tutti vivevano sotto la loro ala”, aggiunge Sil
vana R., amica di Angela e operaia al Concor
dia per 30 anni8.
Silvana abita, con il fratello operaio in pen
sione, in una delle palazzine edificate nel vil
laggio Falck, di proprietà fino alla fine del 1997 della famiglia omonima, costruito tra il 1928 e il 1936 e concepito come insediamento autosuf
ficiente attrezzato con i negozi, la parrocchia, la farmacia, le scuole e il bar. Mentre un tempo gli operai erano orgogliosi di abitare qui, oggi si sentono isolati e abbandonati a se stessi, non han
no i mezzi di trasporto per muoversi, mancano i servizi di prima necessità come l’ufficio po
stale, le case spesso versano in condizioni di de
grado avanzato. Il villaggio in effetti, a eccezio
ne di poche presenze superstiti, conserva anco
ra poche testimonianze del “glorioso” passato.
Prima fra tutte, la chiesa affacciata su viale Italia, di fronte all’ingresso dello stabilimento Unione. Costruita nel 1934 in tipico stile fasci
sta, con tre arcate di cemento a tutta altezza, la chiesa è dedicata ai santi Giorgio e Irene, come i coniugi Falck, ed è arredata al suo interno con quadri, dipinti, vetrate e altari, realizzati dagli operai stessi. Insieme all’iconografia tipica
mente religiosa, ogni manufatto riporta segni e simboli del lavoro di fabbrica: uomini con tute blu, attrezzi e strumenti da lavoro, ciminiere, ca
pannoni industriali. In fondo alla navata, nel
l’ultima nicchia a destra, 1 ’ altare scolpito in bron
zo rappresenta le diverse fasi di lavorazione del- l’acciaieria.
Più avanti, sempre su viale Italia, sorge il cir
colo cattolico San Giorgio (chiuso nel 2001), unico bar e luogo di ritrovo per gli abitanti, con una bocciofila e una trattoria frequentata so
prattutto dai camionisti di passaggio. Nel San Giorgio l’aria è ferma e viziata dal fumo, i mo
bili sono consumati e le iscrizioni e gli avvisi posti in bacheca sono logori e ingialliti. Fuori, all’ingresso, sopravvive un altro reperto: una grande targa con i nomi di operai che furono fu
cilati, durante la seconda guerra mondiale, pro
prio davanti al circolo e agli occhi di tutti, per
aver organizzato uno sciopero. Qualche metro più avanti, superate le villette a schiera, un al
tro circolo chiuso al pubblico e dedicato ai Mar
tiri e caduti, versa in condizioni peggiori: è pra
ticamente un deposito di materiali di scarto, ma conserva anche una targa dedicata ai caduti. Per
correndo il villaggio a piedi, un occhio di ri
guardo deve andare ai nomi delle vie, ovvero ai nomi di quegli stessi operai che furono fucilati vicino al circolo San Giorgio nel 1944 e ai qua
li è dedicata la targa incontrata prima.
Costruito secondo il vecchio modello pater
nalista ottocentesco, il villaggio attesta la poli
tica invasiva dei Falck che entravano e occupa
vano ogni spazio della vita privata dei lavorato
ri — la famiglia, l’associazionismo, il tempo li
bero, gli stili di vita, l’educazione — influen
zando gli schemi mentali e l’immaginario so
ciale.
Le mappe della memoria: circoli, targhe, archivi, nomi di strade e monumenti9
9Nella versione originale questaricerca ècorredatadacinque mappecartografiche, una perognitraccia,e di imma
gini fotografiche che ritraggono alcuni tra i luoghi e gli oggetti citati nel testo.Lafunzione delle mappe è quella diil
lustrare il metodo utilizzato per l’indaginesul territorio.
Le aree dismesse della Falck rivestono un forte ruolo simbolico nella storia operaia italiana e ap
partengono a un immaginario collettivo conso
lidato che spesso produce luoghi comuni e teo
rie scontate. Quando sulla documentazione sto
rica o sulla conoscenza antropologica del mon
do del lavoro prevale addirittura l’interesse per la dimensione estetica dei luoghi in rovina, il vi
sitatore rischia l’atteggiamento “neopiranesia- no”, affascinato dalle mitologie, dalle forme e dai colori dei rottami, delle macerie, della ve
getazione che lentamente conquista terreno.
Scartato l’approccio storico antropologico e quello nostalgico, soprattutto in una città come Sesto S. Giovanni, che sta vivendo una forte cri
si d’identità, toma utile intraprendere nuovi per
corsi e guardare con un’ottica diversa. George Perec, in Specie di spazi, giocando con agilità
282 Marina De Meo
tra esercizi mnemonici e di catalogazione, de
scrizioni puntuali, esempi e situazioni parados
sali, s’interroga sul rapporto tra l’uomo e lo spa
zio, sulle dinamiche di relazione e di misura
zione con esso. Con leggerezza e ironia l’auto
re coglie alcune paure ricorrenti dell’uomo con
temporaneo di fronte alla velocità degli eventi:
la perdita dei punti di riferimento, della memo
ria e del senso delle cose circostanti, il senso di smarrimento provocato da attraversamenti sem
pre più rapidi e frequenti10.
10Si veda GeorgePerec, Specie di spazi, Torino, BollatiBoringhieri, 1989. Sullo spaesamentodell’uomo contempo
raneo nel suo ambiente si vedano traglialtriMarc Auge, Non lieux, Parigi, Seuil, 1992; FrancoLa Cecia,Perdersi.
L'uomo senza ambiente, Roma-Bari, Laterza, 1988; Eleonora Fiorani, La non certezza ‘terrestre’, “Alfabeta”,aprile 1985, n.71; Paul Virilio, L'orizon negatif. Essai de dromoscopie, Paris,Galilée,1984.
11 George Perec, Speciedi spazi,cit., p. 75.
12G. Perec, Specie di spazi,cit., p. 62.
13 Laclassificazione ingruppio seriedioggettiè un metodo cheserve per mettere in luce la persistenza fisicasul ter
ritorio degli stessi elementi e per mettere in risaltola coerenza intemadel fenomenostesso.
Al di là di ogni teoria urbana collaudata, Pe- rec formula nuove possibilità di misurazione e di relazione, invita alla lettura puntuale e siste
matica delle città, dei quartieri, delle strade.
Cos’è il cuore di una città? El’anima della città? Per
ché si dice che una città è bella o brutta? Che cosa c’è di bello e che cosa c’è di brutto in una città? Come si conosce una città? Come si conosce la propria città?
Metodo-, bisognerebbe, o rinunciare a parlare della città, o costringersi a parlarne il più semplicemente possibile, a parlarne in modo ovvio, familiare. Scac
ciare ogni idea preconcetta. Smettere di pensare in ter
mini belli e fatti, dimenticare quanto è stato detto da
gli urbanisti e dai sociologi11.
Per capire una città bisogna passeggiare, pren
dere appunti, annotare, guardare lentamente,
Osservare la strada, di tanto in tanto, magari con una cura un po’ sistematica. Applicarsi. Fare tutto con cal
ma. [... ] Annotare quello che si vede. Quello che suc
cede di notevole. Sappiamo vedere quello che è no
tevole? C’è qualcosa che ci colpisce? Niente ci col
pisce. Non sappiamo vedere. Bisogna procedere più lentamente, quasi stupidamente. Sforzarsi di scrivere cose prive di interesse, quelle più ovvie, più comuni, più scialbe. Scrivere: cercare meticolosamente di trat
tenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strap
pare qualche briciola precisa al vuoto che si scava, la
sciare, da qualche parte, un solco, una traccia, un mar
chio o qualche segno12.
Il bisogno di trattenere meticolosamente ogni traccia del passato e di far sopravvivere qualco
sa anche di insignificante, ha generato le map
pe della memoria che prendono in esame anche il territorio urbano situato oltre il perimetro del
le ex aree industriali. Attraversando la città con scrupolosa attenzione, si colgono contempora
neamente leggere tracce del passato e luoghi for
temente simbolici, che insieme restituiscono si
gnificati nuovi e inaspettati. La mappatura pren
de in considerazione alcuni elementi legati alla realtà di fabbrica — circoli, targhe, archivi, no
mi di strade e monumenti13 — e si avvale delle testimonianze orali raccolte sul campo per av
valorare il senso dell’operazione.
Il villaggio Falck, come abbiamo visto, rap
presenta uno dei luoghi deputati della memoria operaia: insieme alle vie con i nomi dei parti
giani (via Canducci, via Migliorini o via De Can- dia, tanto per citarne alcune) e alle targhe dedi
cate ai caduti (viale Italia, n. 598 e n. 618), qui hanno sede due circoli operai: il San Giorgio e il Martiri e caduti. Anche il resto della città, co
munque, non è da meno: in tutta Sesto si conta
no oggi una quindicina di circoli tra cui il “S.
Clemente” (via A. Volta, n. 13), sempre vicino alla Falck ma a poca distanza dal Duomo, il Pro
gresso (via Falck, n. 72) e il Primavera (via G.
Cantore, n. 176). Oltre la ferrovia e il Rondò, so
no molto frequentati il circolo Del Riccio (via Podgora, n. 114) e il Proudhon (via Ugo Fosco
lo, n. 46). Non di rado questi luoghi di ritrovo
sono arredati con fotografie storiche, quadri di ispirazione politica, manifesti e cimeli di ogni genere che amplificano e confermano il ruolo di conservazione storica attribuita ai circoli. “I par
tigiani sestesi che si sono sacrificati sono un nu
mero elevato, è chiaro che un minimo tributo co
me una lapide, il nome di una via o di un circo
lo sono quelle cose di una città storica che non vanno dimenticate. Sesto, oltre ad essere la città delle fabbriche, ha avuto un peso notevole per la lotta alla Resistenza. Conosco parecchi sestesi che ricordano sofferenze, la loro clandestinità”, spiega Roberto P., sestese e giornalista di un quo
tidiano locale.
Meno in vista dei circoli, le targhe e le lapi
di sono diffuse su tutto il territorio della città;
sono collocate praticamente dappertutto: al
l’ingresso dei circoli e delle case economiche e popolari, lungo i muri delle strade e dentro le fabbriche. Tra le altre si notano facilmente quel
le poste in via Rovani (angolo via S. Denis) al
l’ingresso delle case popolari, in via Giovanna d’Arco (angolo via Falck), dietro piazza Petaz- zi vicino al cineteatro Manzoni, in via Caval
lotti vicino al circolo Fogagnolo, in via Cesare da Sesto, n. 113 vicino all ’ ingresso dell ’ Anpi in Villa Zom. Tutte le targhe riportano nomi, co
gnomi, date di nascita e di morte dei caduti e sono accompagnate da frasi retoriche e parole desuete, buona parte ha anche il vaso per i fio
ri e il lumicino. “Da parte mia c’è abitudine a vederle, fanno parte del paesaggio. Sono im
portanti perché sono la testimonianza di qual
cosa. Alcune ancora colpiscono e sono abba
stanza importanti anche se mi fanno venire in mente delle realtà virtuali perché non ne so nien
te”, afferma Elena B., residente a Sesto da qual
che anno.
Gli archivi e le biblioteche rappresentano un altro tipo di traccia perché non si possono ve
dere di passaggio, non appartengono alla città pubblica, come i circoli e le targhe, ma devono essere cercati di proposito. Essendo luoghi de
putati alla conservazione e alla preservazione della memoria, gli archivi, che a Sesto sono tan
ti e importanti per tutto il territorio lombardo,
occupano una parte notevole nell’operazione di mappatura: oltre alla biblioteca centrale e a quelle di zona, a Sesto sono rilevanti l’istituto milanese per la storia dell’età contemporanea, della Resistenza e del movimento operaio (Ismec), situato in via Fante d’Italia, n. 2, do
ve si conservano soprattutto documentazione archivistica e libri anche rari di storia operaia e della Resistenza, l’archivio regionale della Fiom (oggi associazione Archivio del lavoro di Milano) in via E. Breda, n. 56, dove sono con
servati volantini, manifesti e giornali di fabbri
ca, il Centro Di Vittorio, via E. Breda, n. 56, dove il responsabile Giuseppe Granelli racco
glie un vasto archivio di interviste realizzate da lui stesso agli operai (oggi incorporato nel- l’Archivio del lavoro di Milano), la sede del- l’Aned, via dei Giardini, n. 14, dove sono rac
colte interviste, foto e documenti di deportati e di familiari, l’Anpi in via Cesare da Sesto, n.
113 e l’Insmli, che dall’ottobre del 2001 si è trasferito dal centro di Milano in una palazzi
na situata nelle ex aree Breda, confinanti con il territorio di Sesto. “Senza fabbrica è un trauma perché il tempo non passa mai, perché non si conosce gente, perché si perde il ruolo in fa
miglia. Ho lavorato in Falck per 35 anni, da 10 anni lavoro al Centro Di Vittorio dove incon
tro tanta gente per intervistarla sul Sessantotto, sui licenziamenti, sulla vita in genere”, confi
da nostalgico Giuseppe Granelli, ultraottanten
ne responsabile al Di Vittorio.
Infine esistono segni che sono alla portata di tutti ma praticamente risultano quasi impercet
tibili: sono i nomi delle strade che spesso ri
cordano uomini deportati nei campi di stermi
nio, caduti per la Resistenza o sul lavoro. An
che queste tracce, come le targhe dedicate ai caduti, sono tantissime e diffuse su tutto il cen
tro urbano, buona parte ricordano figure stori
che del socialismo e delle lotte operaie — Fi
lippo Corridoni, Andrea Costa, Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Matteotti —, operai antifa
scisti — Renzo Del Riccio, Pantaleo De Can- dia, Giacomo De Zorzi — e deportati nei cam
pi di sterminio — i Fratelli Picardi, Angelo Vii-
284 Marina De Meo
la, Lorenzo Cesari14. “Ci sono strade dedicate ai caduti. Nel villaggio [Falck] c’è una via, via Canducci, dedicata ad un organizzatore degli scioperi alla Falck che fu arrestato insieme al presidente dell’Aned che c’era prima di me. Fe
cero uno sciopero nel 1944, non hanno potuto prenderli, li chiamarono in direzione e li fece
ro arrestare. Anche via Pantaleo De Candia è dedicata ad un altro dei fucilati lì vicino al cir
colo”, ricorda lucido l’anziano Mario Zilli, re
sponsabile dell’Associazione nazionale ex de
portati15.
14 Si vedaFranco Alasia, Quei nomi sul marmo, Milano, Vangelista, 1991.Il testo è una fonte preziosa per riconosce
re la toponomastica diSesto riportando alla memoria i nomi, le date, le localitàchesileggono agliangoli delle strade e delle piazze. Non è un lavorodidascalico ma un elemento diricerca culturale in cuil’autore havoluto farriaffiora rele radicidi una città.
15 Tutte le interviste sonostate realizzate tra gennaio emarzo 1998 a Sesto San Giovanni e aMilano, sempre su ap puntamento e con unaserie di domandefisse.
16LapoBerti, Claudio Donegà,Sesto S. Giovanni. Gliscenaridel cambiamento, Milano, Franco Angeli,1992, p.37.
17 II progetto, promosso dall’assessorato alla Cultura diSesto e curato dall’Isrmo, dallo studio Accanti-Gualzetti-Ma- remmanie coordinato da Alberto DeBernardi, intendecreare una guidasotto forma disegnaleticafissa, con immagi
ni e testi,organizzata su quattro moduli differenti(le porte,learee, le stazionigrandi,lestazioni piccole). Nella rela zione sulla fattibilitàdelprogettosilegge: “L’itinerario storico-industriale si propone di raccontare la storiadellacittà lungoquesto secolo attraverso lacontestualesegnalazione e la ricostruzionedellevicendedei luoghi della produzio
ne industriale e agricola, delleinfrastrutture, degli insediamenti abitativi[...]. Esso intendecontribuire, realizzando una sorta dipercorso museale all’aperto, alla salvaguardiadi unpatrimonio architettonico e tecnologicoche merita dies
sere valorizzato”.
18II monumento, che verrà realizzatonel Parco Norde che è stato progettato dall’architettoLudovicoBarbiano di Bel- giojoso, ha una storia lunga 25 anni, cioè da quando alcuni rappresentanti dell’Aned (Zilli eBertassoni) hanno co
minciato a promuovere lasuarealizzazione. II monumento, lacui costruzione è iniziatanel marzo 1998,haun rilievo non solo locale, visto cherisulta essere Punico ad avere iscrizioni con nomi di persone ancora in vita.
Osservando la città da cima a fondo si nota
no altri segnali che attestano la tradizione se
stese rivolta alla preservazione della memoria e che “il più delle volte risultano patrimonio co
mune di una collettività impegnata, oggi più di ieri, nella faticosa ricerca di un’identità comu
ne”16 e di forme simboliche di autorappresenta
zione: grandi cartelloni posti in posizioni stra
tegiche e recanti sullo sfondo della bandiera tri
colore, non senza una certa enfasi retorica, stral
ci di articoli della costituzione italiana in viale Casiraghi (angolo via Montegrappa), in via Mat
teotti (angolo via Fratelli Picardi), in viale Ita
lia (angolo via Mincio).
Il nuovo progetto La Città delle fabbriche - Viaggio nella Sesto San Giovanni del ’900, pre
sentato nel novembre 1997, prevede grandi to
tem segnaletici da localizzare in punti strategi
ci e simbolici della città siderurgica17 (oggi i to
tem, che hanno immagini e testi descrittivi su ambo i lati, sono leggermente sbiaditi dagli agen
ti atmosferici e sembrano integrarsi nel paesag
gio dismesso).
Il 2 febbraio 1998, presso la Sala degli affre
schi della Biblioteca comunale, alla presenta
zione ufficiale del Monumento alla deportazio
ne18 si presentano tutte le autorità locali: l’as
sessore alla Cultura, l’assessore alla Pianifica
zione territoriale, i presidenti dell’Aned e del- l’Anpi. Tra i relatori e gli interventi del pubbli
co è unanime il senso morale di creare una me
moria storica attiva. Durante la presentazione, il presidente in carica dell’Aned afferma severa
mente che “i monumenti hanno rilievo solo se sono affiancati da un’intensa attività delle am
ministrazioni locali: c’è bisogno di organizzare visite guidate ai monumenti per capire bene, per costituire una memoria utile. E necessario che la memoria faccia capire perché ciò è accaduto, per
ché negli anni venti, trenta e quaranta sono sta
te organizzate strategie di morte. Oggi si assiste ad un appiattimento della memoria; dopo il re
visionismo lo studio del passato si è trasforma
to solo in una conoscenza del passato”. Alla fi
Memorie scritte sulle strade. Fermata n. 7, viale Italia, Sesto S. Giovanni
glia di un deportato che interviene dalla platea dicendo che “manca un museo della deportazio
ne, un monumento non basta a documentare, bi
sogna trovare un luogo per la documentazione”, risponde l’assessore alla Pianificazione di Sesto:
“il Comune ci sta provando con diverse iniziati
ve: attività nelle scuole, iniziative culturali con mostre di fotografia e di pittura come quella di acquerelli dedicata a Primo Levi e presentata il 9 febbraio 1998”. “Eppure oggi si avverte un’as
senza delle forze politiche e sindacali rispetto al risveglio della memoria, bisogna sollecitare di più il ricordo da parte dei politici. Uno dei pochi segnali interessanti è l’apertura del Cimitero ai Caduti di Milano”, conclude amareggiato il vi
cepresidente dell’Anpi milanese19.
19 Queste testimonianzesonostate raccolte ericostruitedagli interventiavvenuti alla presentazione del Monumento alla deportazione il 2febbraio 1998. Dal momento chenonesistonomaterialiregistrati, ma solo miei documenti ma noscritti, le affermazioni non sono totalmente attendibili.
20 G. Perec, Specie dispazi, cit., p.73.
21 JacquesLe Goff,Documento-monumento,in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1978, voi.V, p.46.
Sul tavolo dei relatori diversi volantini infor
mano di due iniziative su questi argomenti: un viaggio organizzato da un’agenzia turistica di Milano con destinazione nei campi di stermi
nio di Dachau, Ebensee, Mauthausen, e un ban
do di concorso, rivolto agli studenti delle me
die inferiori e superiori dei comuni limitrofi, sul tema “La stele della memoria”, organizzato in occasione della costruzione del monumento.
La città di Sesto S. Giovanni, prima di quel
lo dedicato alla deportazione, aveva fatto erige
re altri monumenti: quello ai caduti in piazza del
la Repubblica, alla Resistenza in piazza della Re
sistenza vicino al palazzo del Comune, ai cadu
ti per il capitalismo di recente costruzione e si
tuato in piazza Caleffi, ai caduti di cascina Gat
ti in via Di Vittorio, ai deportati all’interno del
l’area Falck-Concordia, ai marinai in piazza Ma
rinai d’Italia.
“La presenza di tutti i monumenti dipende da un certo tipo di politica, di sensibilità, non a ca
so Sesto era chiamata la Stalingrado d’Italia, per cui tutto era creato in funzione di quello che era la realtà. È giusto che fosse così, oggi la realtà è
cambiata perché le fabbriche hanno chiuso e bi
sogna fare i conti con quello che è rimasto”, di
ce Augusto P. che abita a Sesto sin da piccolo.
“Fino alla mia generazione l’abbiamo nel Dna tutta questa storia [...]. Egiusta la conoscenza: vi
vi a Sesto, sai cosa è stata, però tappezzare la città con queste cose è un’angoscia. E come se vives
si in Russia e, finito il comuniSmo, la città viene riempita di oggetti che raccontano come era la vi
ta durante il comuniSmo” (Laura, 25 anni, grafi
ca e attiva esponente del Movimento umanista).
“Non cercare di trovare troppo rapidamente una definizione della città, ci sono molte probabilità di sbagliarsi”20
A Sesto, dove è molto viva la resistenza nei con
fronti delle mutazioni, una consistente parte del
la popolazione manifesta la forte esigenza di te
nere vivo il ricordo del passato. Alcune iniziati
ve come l’inaugurazione del Monumento alla de
portazione non godono sempre di grande con
senso tra i cittadini e soprattutto tra quelli più giovani. Spesso il senso di certe operazioni sfug
ge totalmente e diventa necessario confrontarsi con il significato stesso di monumenti e di “do
cumenti” storici, che è andato in crisi già da tem
po un po’ ovunque, e magari fare riferimento a una delle voci più autorevoli in questo campo, lo studioso francese Jacques Le Goff, che affer
ma: “II documento è monumento. È il risultato dello sforzo compiuto dalle società storiche per impone al futuro — volenti o nolenti — quella data immagine di se stesse. Al limite, non esiste un documento-verità. Sta allo storico il non fare l’ingenuo [...]. Bisogna anzitutto smontare, de
molire quel montaggio, destrutturare quella co
struzione e analizzare le condizioni in cui sono stati prodotti quei documenti-monumenti”21.
286 Marina De Meo
La stesura delle mappe è un tentativo per rap
presentare uno dei caratteri inconfondibili di Se
sto: è la testimonianza simbolica dell’ancora- mento di una parte della popolazione (quella del
le generazioni più vecchie) e di un certo agire po
litico (quello legato alla cultura di “sinistra”) a un passato eroico, mitico, entrato nella storia da al
cuni decenni e tuttora ancora vivo. L’inventario di questi elementi restituisce un’identità ben pre
cisa di Sesto: quella che fa riferimento, in linea generale, alla mitologia della “città delle fabbri
che”, la “Stalingrado d’Italia”, operaia e comuni
sta, che, pur con un innegabile fondamento stori
co, si è giovata, per affermarsi, di molte forme di autorappresentazione. Ci sarebbero molti discor
si da fare in proposito, ma questo non spetta a una
“guida turistica” e basta osservare che il “mante
nimento di quell’immagine da parte di un insie
me variegato di enti, istituzioni, organismi, va
riamente preposti o impegnati nella produzione simbolica della città faccia premio sulla perce
zione dei cambiamenti o addirittura la ostacoli”22.
22 L. Berti, C.Donegà,Sesto S. Giovanni. Gliscenari del cambiamento, cit., p. 35.
23Lo“Spazio-arte” è un’iniziativa comunaledove sirealizzano mostre eattivitàculturali di ognigenere; è situato in viaMartiri dellavoro nei pressidella fermatadel metrò Sesto-Marelli.
24 Si veda Gianpasquale Santomassimo, La memoria pubblicadell’ antifascismo, “Italiacontemporanea”, 2001, n. 225.
La produzione di elementi simbolici (i mo
numenti e i cartelli con gli articoli della costitu
zione italiana, per esempio), di cui parlano Ber
ti e Donegà, è andata aumentando con la chiu
sura delle grandi industrie e cioè man mano che l’identità di Sesto è andata in crisi. Quindi il for
marsi dell’universo simbolico, se ha consentito alla città di tenersi ben salda a una tradizione storica e di trovare la sua legittimità nella storia del Novecento, contemporaneamente rischia e ha rischiato di provocare effetti collaterali, in
desiderati e controproducenti.
Quando l’amministrazione o gli enti pubblici promuovono iniziative che sembrano rinforzare il cliché della città-fabbrica o della città Meda
glia d’oro alla Resistenza, allora si avvertono se
gnali d’insofferenza e di rifiuto. In particolare, a proposito della costruzione del Monumento alla deportazione, oppure nel caso del progetto La
Città delle fabbriche - Viaggio nella Sesto San Giovanni del ’900, si riscontrano motivi di di
sappunto o disapprovazione. “Quei cartelloni...
neanche fosse il Colosseo! Magari preferirei che allo ‘spazio-arte’23 ci fossero delle iniziative una volta al mese sulla Magneti Marcili o sulla Falck.
Perché coinvolgerebbe di più le persone e avreb
be più successo che una cosa di questo tipo [...].
Il monumento non deve essere l’elemento qua
lificante, è un elemento, però la parte determi
nante deve essere l’insieme con le panchine, gli alberi, ecc. ecc.” (Augusto, 30 anni, nato e cre
sciuto a Sesto). “Mi fanno ridere quando fanno queste cose... Avrebbero fatto meglio a preoccu
parsi prima [...] quando in centro c’erano tante vecchie corti rurali e il Comune ha lasciato che le abbattessero” (Ricky, 30 anni, impiegato al- l’Aem di Milano, ma residente a Sesto).
Dalla maggior parte delle interviste sembra, insomma, che ci sia un riconoscimento, allarga
to e condiviso, di Sesto S. Giovanni come luogo deputato alla conservazione della memoria anti
fascista. Allo stesso tempo, però, le testimonian
ze confermano la presenza in città, come in tut
ta la società italiana, di una cultura antifascista composita e conflittuale ereditata dalla politica italiana sin dal dopoguerra, quando “la Resistenza viene intesa non solo come ‘evento fondatore’
della Repubblica”, ma come elemento unitario di tutta la politica italiana. Già negli anni sessanta appare chiaro come l’antifascismo sia “un valo
re largamente diffuso e condiviso, ‘paradigma’
unificante del comune sentire della grande mag
gioranza degli italiani: con l’inevitabile tasso di retorica che sarà subito avvertito e criticato da una più giovane generazione di contestatori di quella cultura, di una contestazione però che ten
deva ad affermare — e non a negare — in forme più radicali lo stesso patrimonio ideale costituti
vo di quell’esperienza”24.