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DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici

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Academic year: 2022

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DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici

CICLO XXXII COORDINATORE Prof. ROLANDO MINUTI

Settore Scientifico Disciplinare M-STO/01

Produzione scritta e predicazione orale:

forme della comunicazione per la riforma ecclesiastica del secolo XI

Dottorando Tutor

Dott. ANTONIO MANCO Prof. FRANCESCO SALVESTRINI

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Coordinatore Prof. ROLANDO MINUTI

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Anni 2016/2019

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Indice

INTRODUZIONE ... 4

Composizione della tesi ... 5

La comunicazione orale della riforma: un problema storiografico ... 8

La grande stagione storiografica del secolo XX ... 9

Metodi di lettura e interpretazione delle fonti principali ... 20

I.LA STORIOGRAFIA SULLA PREDICAZIONE DEI SECOLI XII-XV ... 27

I.1. Opere di sintesi sulla predicazione medievale e la religiosità popolare ... 28

I.2. Il sermo antiquus e la predicazione di età patristica (secoli VI-XII) ... 30

I.3. La nascita degli Ordini mendicanti e i riflessi sulla predicazione tardomedievale ... 37

I.4. La tematica degli Exempla e dei leggendari: uno spaccato di società medievale al servizio dell’oratoria ... 52

I.5. Considerazioni conclusive ... 56

II.LA PREDICAZIONE DI SAN PIER DAMIANI TRA IMPEGNO POLITICO E RIELABORAZIONE LETTERARIA ... 58

II.1. Giovanni da Lodi e lo scriptorium di Fonte Avellana negli anni Settanta del secolo XI ... 58

II.2. La tradizione manoscritta del sermonario di Pier Damiani ... 68

II.3. Il rapporto con Cencio di Giovanni Tignoso e la predicazione da parte dei laici ... 76

II.4. I rapporti tra Pier Damiani e la Pataria. L’Actus Mediolani e l’epistolario damianeo tra teoria e pratica della predicazione ... 85

III.IL SERMONARIO DI SAN PIER DAMIANI TRE RETORICA, AGIOGRAFIA E PUBBLICO ... 96

III.1. Chiavi di lettura e struttura del sermonario damianeo ... 96

III.2. L’ideale di predicazione e l’ars retorica. Il concetto di “metapredicazione” ... 102

III.3. Le città italiane come scrinia sanctorum. Pier Damiani interprete delle coscienze collettive ... 112

III.4. Dal contemptus mundi alla riforma monastica. Il pensiero damianeo attraverso il sermonario ... 125

III.5. La produzione su committenza e l’agiografia con valore di exemplum ... 135

IV.LA MISSIONE DI PIER DAMIANI NELLE GALLIE.INTERLOCUTORI ETEROGENEI E APPROCCI COMUNICATIVI ... 147

IV.1 La liturgia e la celebrazione della messa nella seconda metà del secolo XI ... 147

IV.2. Il sermone LXXII In dedicatione ecclesiae. Il rituale della dedicazione oltralpe da Leone IX a Pier Damiani ... 152

IV.3. L’Iter Gallicum (1063). Rapporti tra Pier Damiani e le grandi abbazie del suo tempo ... 160

IV.4. La committenza della Vita Odilonis e la sinodo di Chalon. Pier Damiani romanus belligerator per l’abbazia di Cluny ... 170

IV.5. Considerazioni conclusive ... 177

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V.MILANO.GRANDI PROTAGONISTI E POPULUS INQUIETO.LA PREDICAZIONE PATARINICA E I

SUOI EFFETTI SUL PUBBLICO CITTADINO ... 180

V.1. La storiografia sulla Pataria milanese ... 181

V.2. Le fonti sulla Pataria. Problemi di prospettiva ... 187

V.3. L’esordio della predicazione patarinica di Arialdo, tra formazione ed eloquenza ... 190

V.4. Il phytacum de castitate servanda. Tentativi di risoluzione della controversia sul nicolaismo ... 198

V.5. La lotta contro la simonia e l’intervento di Roma. La legazione del 1059 nei suoi riflessi sulla popolazione milanese ... 200

V.6. La fase violenta dalla Pataria milanese. L’esordio di Erlembaldo, miles Christi ... 212

V.7. La morte di Arialdo (1066) e la svolta nel proselitismo da parte di Erlembaldo ... 218

V.8. Aspetti della comunicazione in Arialdo: parola, liturgia, pubblico ... 223

V.9. Considerazioni conclusive ... 225

VI.IL SIGNUM CRUCIS DALLE LOTTE ALLA SIMONIA ALLA CROCIATA DEI LOMBARDI (1100). PROFILI DI COMUNICAZIONE SIMBOLICA: CASI ESEMPLARI ... 228

VI.1. Tra Milano e Firenze. Profilo storiografico del movimento contro il vescovo Mezzabarba (1062-1068) ... 228

VI.2 La croce come simbolo di lotta e fattore identitario: dal carroccio al vexillum sancti Petri ... 233

VI.3. I pellegrinaggi in Terra Santa e la loro ricaduta psicologica ... 238

VI.4. La croce come simbolo di lotta spirituale ... 241

VI.5. Milano. Dalla Pataria alla crociata (1056-1100): il caso della chiesa del Santo Sepolcro. ... 243

VI.6. Considerazioni conclusive ... 249

CONCLUSIONI ... 253

BIBLIOGRAFIA ... 259

Fonti ... 259

Studi ... 263

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4 INTRODUZIONE

«Non si può concepire la lotta per le investiture come una mera lotta al vertice, del papa e dei suoi fedeli contro l’imperatore e i suoi fedeli: essa […] si frantumò in vari episodi dove però le parti religiose si intrecciavano nelle maniere più diverse con le parti sociali e politiche».1 Cinzio Violante.

In poche righe uno dei grandi maestri della storia della riforma ecclesiastica del secolo XI e di quella medievale in genere riassume la complessità di un fenomeno che la stessa storiografia ha fatto fatica a catalogare e a riassumere. A oggi non esistono delle sintesi complete, o quantomeno efficaci, che permettano di inquadrare quanto intercorso durante la cosiddetta lotta per le investiture. Un tentativo recente è rappresentato dal volume di Stefan Weinfurter, Canossa: il disincanto del mondo2, che, partendo dall’episodio simbolo (l’umiliazione di Enrico IV presso il castello di Matilde di Canossa alla presenza del pontefice Gregorio VII) di un intero secolo di scontri dialettici e non solo, traccia delle linee essenziali in cui inquadrare centinaia di personaggi che in maniera più o meno decisiva hanno contribuito a modificare le sorti non solo dei due massimi poteri del mondo, il Papato e l’Impero, ma di tutta la Christianitas. La prospettiva è leggermente spostata sulla vicenda istituzionale, politica e militare della fazione imperiale, ponendo in evidenza gli avvenimenti piuttosto che le idee. D’altronde, pregio e al contempo limite del saggio è il suo porsi all’interno di una linea di confine tra la produzione scientifica, cui giova lo spessore dell’autore, e una latente intenzione divulgativa.

Tornando, però, all’asserzione di Violante, l’intreccio tra le parti è la chiave stessa della comprensione. Se negli ultimi anni si è preferito indicare come riforma della Chiesa quella che tradizionalmente veniva indicata come lotta per le investiture, viene naturale pensare primariamente alla dialettica istituzionale finalizzata a un rinnovamento ecclesiologico attraverso il confronto/scontro con l’Impero, che fino a quel momento aveva rappresentato una forza in grado di bilanciare le spinte centrifughe e lesive interne all’ordinamento ecclesiastico. Tutto ciò che ruota attorno a questo nucleo centrale

1 Violante C., “Chiesa feudale” e riforme in Occidente: (secc. X-XII): introduzione a un tema storiografico, Spoleto 1999, p. 45.

2 Weinfurter S., Canossa: il disincanto del mondo, Bologna 2014.

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rappresenta, per certi aspetti, un contorno difficile da rappresentare in maniera autonoma e slegata dai grandi soggetti storiografici.

Composizione della tesi

Il punto di partenza del presente lavoro è proprio questo: interrogare le fonti in maniera differente e sviluppare una nuova tematica che in maniera più o meno esplicita viene citata e considerata in tanta parte degli studi di settore, ma che non ha mai trovato piena autonomia e coerenza all’interno della produzione storiografica. Una delle metafore preferite dagli storici è quella del “far parlare le fonti” cioè saperle leggere e interpretare, spremerle per carpirne i segreti. Prendere alla lettera questo assunto è semplicemente la ratio di questa tesi.

Interrogare le fonti, focalizzando l’attenzione sulla parola viva che esse esprimono e, soprattutto, lasciarle parlare prima di interpretarne il pensiero e le intenzioni. Non si tratta di un nuovo approccio storiografico, bensì di sviluppare un’idea già presente nella storiografia medievistica ma applicata in ambiti che in maniera più naturale sono predisposti a questo tipo di approccio metodologico. Il primo capitolo di questa tesi, infatti, dal punto di vista cronologico rappresenta un excursus in piena regola. Avulso dal contesto della riforma e dallo scontro tra Papato e Impero, sposta il baricentro della trattazione non sul periodo storico preso in esame (il tardo Medioevo), ma sulla contestualizzazione dell’intuizione alla base della genesi del lavoro: la comunicazione orale attraverso l’opera dei predicatori.

Il motivo per cui la storiografia del secolo XI menzioni spesso l’esistenza di predicatori itineranti e di idee diffuse in maniera capillare grazie a essi sta nel fatto che effettivamente fu un secolo di eccezionale mobilità, non solo sociale, politica ed economica3, ma anche spaziale. Un secolo in cui, nonostante i limiti nelle comunicazioni

3 Basti qui menzionare il caso emblematico di Milano tra l’inizio dell’XI secolo e la metà del successivo: cfr. Violante C., La società milanese nell'età precomunale, Roma-Bari 1981 (La prima edizione risale al 1953); Wickham C., Sonnambuli verso un nuovo mondo: l’affermazione dei comuni italiani nel XII secolo, Roma 2017 come esempi di un incessante interesse storiografico che va avanti con profitto da oltre settant’anni.

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e negli spostamenti, vediamo eremiti come Romualdo di Ravenna (951-1027) muoversi incessantemente spinti dalla ricerca della solitudine ed essendo, allo stesso tempo, incessanti propagatori di rinnovate istanze spirituali attraverso le nuove fondazioni sia cenobitiche sia eremitiche.

Un altro esempio è rappresentato, soprattutto dopo il pontificato di Leone IX (1049-1054) “il papa itinerante”, dalla grande attività ispirata al principio di Chiesa universale della Sede romana, che proprio in questo secolo cerca di imporsi attraverso non soltanto gli scambi epistolari tra i pontefici e tutti i personaggi più eminenti in seno alla Cristianità, ma anche con la presenza fisica dei legati pontifici inviati per sottolineare la presenza del papa e di Roma nelle vicende di tutto l’orbe cristiano, dalla semplice dedicazione di chiese4 in Germania e in Francia alla risoluzione di dispute come quelle che avevano coinvolto l’abbazia di Cluny e il vescovo maconense.

Uno dei legati di più sicura fedeltà e le cui abilità risultarono indiscutibili fu Pier Damiani (1007-1072). L’eremita fondatore di Fonte Avellana e cardinale vescovo di Ostia che più di ogni altro ha avuto la lungimiranza di capire l’efficacia della comunicazione scritta, ma soprattutto l’importanza della conservazione e della divulgazione delle sue opere. Grazie alla sua incessante attività come predicatore, come legato e teologo, risulta l’autore più prolifico della sua epoca. La sua opera offre uno spaccato della società, delle lotte istituzionali, delle dispute e dei rapporti interpersonali nell’ambito della riforma ecclesiastica. Per questa ragione i capitoli II, III e IV sono interamente dedicati all’Avellanita. L’impostazione di questi, pur presentando un protagonista assoluto, non vuole tendere allo studio monografico e, men che meno, biografico del personaggio. Pier Damiani rappresenta una sorta di guida che, attraverso la propria esperienza a tutto tondo e le testimonianze dirette giunte fino a noi, conduce lo studio della comunicazione su livelli eterogenei.

Il capitolo II, infatti, presta maggiore attenzione allo studio della produzione scritta operata dal discepolo, Giovanni da Lodi, e alle ragioni della trasposizione di fonti puramente orali, come i sermoni, in forma scritta, oltre che ai motivi della larga diffusione degli stessi. Mentre in quello successivo viene effettuato un ulteriore passo all’interno dell’aspetto comunicativo, stavolta non nella sua trasposizione su pergamena, ma su ciò

4 Iogna-Prat D., La Maison Dieu: une histoire monumentale de l'Église au Moyen âge v. 800 - v.

1200, Paris 2012.

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che di oralità in quelle pergamene si può rintracciare, indagando anche le sfumature retoriche presenti a seconda che la reale predica si fosse svolta davanti a un pubblico di laici o di ecclesiastici. Il problema del pubblico e della comunicazione viene evidenziato anche nel capitolo IV dove, attraverso l’analisi della missione gallica del 1063 (opera di un discepolo e senza la supervisione del maestro) in qualità di legato apostolico, si scopre un Pier Damiani più spontaneo nell’affrontare le difficoltà e gli imprevisti. Ma allo stesso tempo risaltano i diversi approcci comunicativi operati dallo stesso in base ai suoi interlocutori e alla posizione che egli stesso percepisce di avere di fronte a tipologie di pubblico differenti.

Un uditorio molto particolare con cui si interfaccia il Damiani è quello della città di Milano (capitolo V). Il populus, elemento composito e quanto mai eterogeneo, è sobillato dalle due fazioni in lotta: da una parte i fautori della Pataria, dall’altra i chierici ambrosiani, gelosi delle proprie tradizioni secolari e pronti a difenderle con l’aiuto dei ceti aristocratici anche contro la volontà di Roma e del suo sempre più consapevole primato. I predicatori patarini parlano sovente all’indirizzo del laicato per smuovere le coscienze e, quando necessario, le armi contro i propri avversari.

Ma la forza delle parole non è talvolta sufficiente a ottenere gli scopi preposti. È per questo motivo che il secondo caso di studio sulle masse, che introduce il capitolo finale, vede protagonisti i cittadini di Firenze, fomentati contro il vescovo Pietro Mezzabarba (1062-1068) dai seguaci di Giovanni Gualberto (995-1073), il fondatore di Vallombrosa, e dall’appoggio dell’arcidiacono Ildebrando (futuro papa Gregorio VII dal 1073 al 1085). Il simbolismo della croce si affaccia prepotentemente sulla scena con la prova del fuoco di Settimo (1068) e si inserisce in un filone che percorre tutto il secolo XI come naturale preludio alla croce/simbolo per eccellenza, quella posta sulle spalle dei crociati in partenza per la Terra Santa. Attraverso uno studio antologico di casi esemplari riferiti ai protagonisti dei capitoli precedenti viene evidenziato il nesso tra comunicazione e staurologia come motore di dinamiche diverse che vanno dalla spiritualità dell’interpretazione damianea alla più concreta insegna del vexillum concesso dal pontefice Alessandro II (1061-1063) ad alcuni grandi condottieri negli anni Sessanta del secolo.

Ogni capitolo si inserisce in un sistema a incastro con quello precedente teso a favorire la continuità tematica e la lettura dell’opera nella sua complessiva coerenza. Il

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volume è concepito in maniera lineare attraverso sfumature sul tema principale della comunicazione orale declinato nelle sue varie sfaccettature e prendendo in considerazione i molteplici aspetti che ne influenzano le scelte di metodo: il pubblico, il contesto, l’abilità degli oratori, le finalità della produzione scrittoria pervenutaci. L’attenzione si concentrerà sugli anni Sessanta del secolo con alcuni slittamenti cronologici nel decennio precedente e in quello successivo.

La comunicazione orale della riforma: un problema storiografico

Il dibattito pubblico come fulcro di indagine ha recentemente conosciuto una rinnovata fortuna con lo studio di Leidulf Melve, Inventing the Public Sphere5, dove il panorama della riforma viene esteso dal 1030 fino al concordato di Worms del 1122. Lo studioso norvegese legge le fonti del secolo XI attraverso il filtro della tradizione canonistica e individua all’interno delle stesse un preciso substrato giuridico, incentrando, quindi, la trattazione sull’impiego di questo riscontrato all’interno delle fonti più prettamente inerenti la polemistica, come i libelli de lite e gli epistolari6.

All’interno della storiografia vi è una «programmatica sottovalutazione della dimensione dell’oralità»7 asserisce Nicolangelo D’Acunto in un suo recente contributo.

Non si tratta naturalmente di una lacuna voluta o predeterminata, le stesse fonti a nostra disposizione inducono a evitare uno studio sistematico della comunicazione orale come avviene invece per i secoli al tramonto del Medioevo. Tuttavia, e qui si trova l’idea da cui nasce la ricerca, è possibile attraverso nuovi paradigmi interpretativi dialogare in modo diverso con le fonti, anche quelle più classiche, restituendo al dibattitto riformatore

5 Melve L., Inventing the public sphere: The public debate during the Investiture Contest, c. 1030 – 1122, 2 voll., Leiden 2007.

6 Per il genere epistolare come forma di comunicazione durante la riforma ecclesiastica cfr. Riversi E. – Schroll A. L. - Hartmann F., Brief und Kommunikation im Wandel: Medien, Autoren und Kontexte in den Debatten des Investiturstreits, Köln 2016.

7 D’Acunto N., Argomenti di natura giuridica e strumenti della comunicazione pubblica durante la lotta per le investiture, in Verbum e ius. Predicazione e sistemi giuridici nell’Occidente medievale / Preaching and legal Frameworks in the Middle Ages, a cura di Gaffuri L. e Parrinello R. M., Firenze 2018, pp. 225-243, in particolare p. 229.

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quell’aspetto un po’ naïf che richiama per certi versi la storiografia dei decenni centrali del secolo XX, dando quindi spazio all’indagine sociale e alle ripercussioni che la predicazione ha avuto sul pubblico, nell’accezione più ampia del termine, e di riflesso sull’evoluzione della riforma. Lo stesso Melve, catalogando le fasi cronologiche del dibattito sulle investiture, individua negli anni Sessanta del secolo un momento di oralità sulle decisioni sinodali8 e che, come tale, in parte sfugge al discorso perfettamente coerente e fondato sui canoni sviluppatosi tra gli intellettuali del secolo XI per la risoluzione delle controversie e la piena affermazione della libertas Ecclesiae.

La grande stagione storiografica del secolo XX

Utilizzare l’espressione ‘comunicazione di massa’ con riferimento all’età medievale potrebbe risultare fuorviante, a tratti provocatorio. Un fenomeno di tale portata e inteso nell’accezione odierna con riferimento ai mezzi di comunicazione, i mass media, riporta alla mente epoche di gran lunga più basse da un punto di vista cronologico. Le masse, così come la relativamente recente istituzione degli studi sociologici le intende, rappresentano allo stesso tempo causa ed effetto di grandi svolte nella Storia dell’umanità, ma tutte inserite negli ultimi due secoli dello straordinario romanzo storico scritto e diretto dall’Occidente del mondo. Non che prima le masse non ci fossero o si limitassero a una inerme moltitudine di popoli più o meno definita. La grande storiografia novecentesca, segnata anche dal vissuto quotidiano di ideologie e popoli che stavano modificando la fisionomia stessa del genere umano, si è a suo tempo interrogata su che cosa significasse parlare di Storia e in che modo lo storico avrebbe dovuto leggere il passato. L’esito fu la felice esperienza della rivista Annales d'histoire économique et sociale fondata nel 1929 grazie all’intuizione di Marc Bloch9 e Henri Pirenne10, attorno alla quale inizio a crearsi

8 Melve, Inventing the Public Sphere, p. 280.

9 Bloch M., La société féodale, 4 voll., Paris 1968; Id., Les rois thaumaturges. Etude sur le caractère surnaturel attribué à la puissance royale particulièrement en France et en Angleterre, Oxford 1924; Id., Apologie pour l'histoire ou métier d'historien, Paris 1967. Solo per citare i più celebri.

10 Pirenne H., Histoire de l'Europe: des invasions au XVIe siècle, Bruxelles 1936; Id., Mahomet et Charlemagne, Paris 1937.

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una Scuola di intellettuali che avrebbe segnato per sempre il modo di fare Storia. Svolta storiografica non significa, tuttavia, infallibilità scientifica. A tal proposito, giova citare a titolo d’esempio la cosiddetta “tesi Pirenne”11 e le implicazioni da essa derivate, la quale ancora oggi negli storici, pur consci del suo completo superamento, pone degli interrogativi sulla categorizzazione e sulla stessa esistenza di un’epoca per certi versi omogenea e nota come ‘età di mezzo’, oltre che sui suoi discutibili e continuamente contestati estremi cronologici.

Il merito incontestabile della storiografia francese delle Annales sta nell’aver spalancato le porte della disciplina storica a nuovi orizzonti tanto ampi quanto difficili da gestire. Si tratta di riconoscerne i meriti, infatti, oltre che per un apporto scientifico assolutamente fondamentale, anche per aver segnato più o meno consciamente le generazioni di storici successive. Si è creata una sorta di consapevolezza storica comune e diversa da quello che era stato il metodo storico nei decenni precedenti a tale svolta. In Italia, i decenni centrali del secolo XX hanno visto, e a tratti sofferto, la dicotomia tra le nuove prospettive provenienti d’oltralpe e il collaudato neoidealismo crociano12 applicato alla storia medievale, inserito in un determinismo storico che lasciava poco spazio a quella “variabile impazzita” che avrebbero potuto rappresentare le masse. In particolare, la grande storiografia medievistica ha cercato di operare una sintesi tra queste differenti prospettive di ricerca con esiti visibili ancora oggi nei lavori di studiosi più o meno consciamente figli ed eredi dei grandi ‘padri’ del Medioevo italiano.13

11 Pirenne H., Mahomet et Charlemagne, Paris 1937.

12 Croce B., Teoria e storia della storiografia, 1917.

13 Violante C., La Pataria milanese e la riforma ecclesiastica, v. 1: Le premesse, 1045-1057, Roma 1955; Id., Studi sulla cristianità medioevale: società, istituzioni spiritualità, Milano 1972; Id., Il secolo XI.

Una svolta?, Atti della XXXII settimana di studio, 10-14 settembre 1990, Bologna 1993; Volpe G. – Violante C., Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana: secoli XI-XIV, Roma 2010; Volpe G., Medioevo italiano, Roma 1961; Capitani O., "Ecclesia Romana" e riforma: "utilitas" in Gregorio VII, in Chiesa diritto e ordinamento della societas christiana nei secoli XI e XII, pp. 26-69; Id., Esiste un'«età gregoriana»?, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 1 (1965), pp. 454-481, ora anche in Capitani, Tradizione e interpretazione, pp. 11-48; Id., Immunità vescovili ed ecclesiologia in età

"pregregoriana" e "gregoriana". L'avvio alla restaurazione, Spoleto 1966, rist. anast., Torino 1973; Id., Il papato di Gregorio VII nella pubblicistica del suo tempo: notazioni sul 'Liber ad Gebehardum, in Studi Gregoriani, XIII, Roma 1989, pp. 373-396, ora anche in Capitani, Tradizione e interpretazione, pp. 233- 260; Id., Problematica della Disceptatio synodalis, in Studi Gregoriani, X, Roma 1975, pp. 142-174, ora

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Accennare brevemente alla grande storiografia tout court aiuta a comprendere meglio l’impostazione ideale di questo lavoro e le idee che ne hanno in un certo modo influenzato la scelta iniziale. Occuparsi della comunicazione rivolta in particolar modo alle masse da parte dei grandi intellettuali del secolo XI rappresenta un punto di incontro tra la storia ‘dal basso’ e la storia degli ‘eventi’, la histoire événementielle, che proprio la succitata scuola francese ha cercato di porre in secondo piano, prediligendo gli aspetti economici e sociali a quelli istituzionali e politici.

Parlare in generale di riforma del secolo XI o, nella sua accezione più classica, di lotta per le investiture invita lo storico a far riferimento proprio a quest’ultimo tipo di approccio storiografico. Si tratta di un periodo storico in cui i due massimi punti di riferimento istituzionali dell’Occidente raggiungono una consapevolezza di alterità reciproca che porta inevitabilmente allo scontro non solo polemico ma anche violento.

Questa sconsiderata violenza viene proiettata nelle strade e nelle piazze delle più importanti città vescovili inserite all’interno dell’Impero ma non solo; infatti, la continua mancanza di riconoscimento dell’autorità politica da una parte ed ecclesiastica dall’altra porterà sovente all’elezione di ‘papi imperiali’ e ‘imperatori papali’ con relative campagne militari per il controllo della carica più o meno legittimamente ottenuta.

Le vicende sviluppatesi attorno ai due grandi protagonisti del periodo, papa Gregorio VII ed Enrico IV (1050-1106) imperatore, e ai corrispettivi ‘usurpatori’,

anche in Capitani, Tradizione e interpretazione, pp. 49-83.Id., San Pier Damiani e l'istituto eremitico, in L'eremitismo in Occidente, pp. 122-163; Id., Storia dell'Italia medievale, Roma-Bari 1986; Id., Tradizione e interpretazione. Dialettiche ecclesiologiche del secolo XI, Roma 1990; Capitani O. a cura di, La concezione della povertà nel medioevo, Bologna 1974; Id., L'eresia medievale, Bologna 1971; Id., Medioevo ereticale, Bologna 1977; Tabacco G., Autorità pontificia e Impero, in Le istituzioni ecclesiastiche della 'societas christiana' dei secoli XI-XII: Papato, cardinalato ed episcopato, pp. 123-150 ora anche in G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell'alto medioevo, pp. 209-242; Id., Pier Damiani tra edonismo letterario e violenza ascetica, «Quaderni Medievali», 24 (1987), pp. 6-23, ora anche in Tabacco, Spiritualità e cultura nel medioevo, pp. 249-266; Id., 'Privilegium amoris'. Aspetti della spiritualità romualdina, «Il Saggiatore», 4 (1954), nn. 2-3, pp. 1-20, ora anche in Tabacco, Spiritualità e cultura nel medioevo, pp. 167-194; Id., Romualdo di Ravenna e gli inizi dell'eremitismo camaldolese, in L'eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, pp. 73-119, ora anche in Tabacco, Spiritualità e cultura nel medioevo, pp.

195-248; Id., Spiritualità e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993.

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Clemente III (1080-1100) e Rodolfo di Svevia (1025-1080), rappresentano solo la punta di un iceberg, il massimo grado di tensione di una lotta che si era sviluppata in senso cronologico già alcuni decenni prima dell’incontro di Canossa del 1077 e in senso gerarchico, abbracciando larghe fette della società anche non direttamente collegate alla gerarchia ecclesiastica o al complesso sistema politico imperiale.

La storiografia di settore ha colto questo magmatico sistema vigente e si è interrogata a lungo e approfonditamente su ogni aspetto che fosse più o meno direttamente collegato all’annosa questione. Il dibattito germina già nel corso dei primi decenni del XX secolo quando Augustin Fliche diede alle stampe il suo La réforme gregorienne14 in tre volumi (1924-1937). Opera dalla profonda ispirazione cattolica, quella di Fliche è una lettura che configura la storia della riforma come storia di una progressiva liberazione della Chiesa dall’ingerenza del laicato negli affari di pertinenza ecclesiastica. Al contrario, Gerd Tellenbach nel suo Libertas, Kirche und Weltordung im Zeitalter15 aveva visto nell’età che un tempo veniva definita “gregoriana” un momento di passaggio da una perfetta unità e consonanza di intenti tra i due grandi poteri e che si rifletteva su un’ecclesiologia unitaria, a una in cui elemento fondante era quello della libertas Ecclesiae16. La grande differenza tra le due impostazioni storiografiche risiedeva nel fatto che per il Tellenbach la libertà della Chiesa rispetto all’Impero poté essere rivendicata grazie a una nuova ecclesiologia figlia della riforma che avrebbe escluso totalmente il laicato, riducendolo in una posizione di passività. Dunque, quella che era stata definita come Reichskirche rappresentava un avvenimento positivo secondo lo storico tedesco, in una visione diametralmente opposta a quella del Fliche, che, invece, leggeva nell’ingerenza dei laici un aspetto inaccettabile.

Nel 1942, in Italia, Raffaello Morghen diede alla luce il suo Gregorio VII17, ispirato allo storicismo crociano e molto vicino alle impostazioni del Fliche. La riforma

14 Fliche A., La Réforme grégorienne, 1, Les Prégrégoriens, Louvain-Paris 1924.

15 Tellenbach G., Libertas, Kirche und Weltordnung im Zeitalter des Investiturstreites, Stuttgart 1936.

16 Libertas. Secoli X-XIII, a cura di D’Acunto N. e Filippini E., Le Settimane internazionali della Mendola. Nuova serie, 6, Milano 2019.

17 Morghen R., Gregorio VII, Torino 1942; cfr. anche Morghen R., Medioevo cristiano, Roma- Bari 1984.

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era stata mossa, secondo questa lettura, da una profonda spiritualità e si era fondata su uno spirito esclusivamente religioso divenuto inevitabilmente temporale nel momento in cui il celebre pontefice aveva cercato di realizzarla. Morghen si interessò anche dei movimenti patarinici, un aspetto della riforma che, a suo modo di vedere, ne evidenziava le prerogative spirituali attraverso l’appoggio di questi al papato durante la fase precedente al pontificato di Gregorio VII. Nel secolo successivo, infatti, le iniziative popolari furono spesso confinate all’interno dei movimenti ereticali che, pur essendo considerati totalmente estranei alla Chiesa ufficiale, ne rappresentavano per Morghen la sua espressione più dinamica e viva, garanzia di un continuo riformarsi per l’istituzione stessa. L’impostazione morgheniana ha goduto di molta fortuna grazie agli studi dei suoi allievi, quali Raoul Manselli, Arsenio Frugoni, Ovidio Capitani e, se allievo si può definire, Cinzio Violante.

Lo studio dei movimenti religiosi popolari trovò largo spazio e interpretazione durante gli anni Cinquanta e Sessanta, quando, sotto l’influsso dell’imminente apertura del Concilio Vaticano II, gli storici si interrogarono sul ruolo del laicato all’interno della gerarchia ecclesiastica, impiegando grandi sforzi per far luce su un periodo decisivo in tal senso come era stato il secolo XI. In particolare, Manselli si dedicò allo studio delle eresie con un occhio di riguardo alla religiosità popolare dell’alto Medioevo18, mentre Frugoni pose l’accento sui movimenti patarinici, quindi più vicini all’epoca gregoriana e al ruolo che i laici ebbero in questo particolare momento storico, influenzato anche dai fondamentali contributi di Yves Congar, il quale aveva analizzato il ruolo del laicato individuando una cesura nel secolo XIII, che con il superamento di un modello ecclesiologico tipicamente monastico, aveva rappresentato la fine di un atteggiamento di disprezzo verso i laici, pur individuandone un’eccezione in quello che viene definito sacerdozio regale dei fedeli, limitato comunque a quei laici che esercitavano funzioni di pubblico rilievo.19

18 Manselli R., Studi sulle eresie del secolo XII, Roma 1953; Id., La religion populaire au Moyen Âge: problèmes de méthode et d'histoire, Montreal 1975; Id., La religiosità popolare nel Medio Evo, Bologna 1983.

19 Congar Y. M., Clercs et laics au point de vue de la culture au moyen-age: "laicus" = ""sans lettres", in Studia mediaevalia et mariologica P. Carolo Balic...dicata, Roma 1971, pp. 309-332; Id., Jalons pour une théologie du laicat, Paris 1953; Id., Les laïcs et l'ecclésiologie des «ordines» chez les théologiens

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Da un punto di vista della definizione stessa di riforma ma non solo, rappresenta ormai un grande classico storiografico il celebre saggio Esiste un'«età gregoriana»? di Ovidio Capitani, in cui in parte polemizzava con la definizione di Fliche e trovava necessario ridisegnare i limiti cronologici delle definizioni utilizzate. Infatti, Capitani individuava due filoni principali: il primo definito più genericamente riforma ecclesiastica, il secondo più specificamente riforma gregoriana. Quest’ultima, oltre che limitata da un punto di vista cronologico al solo pontificato di Gregorio VII, conosce anche un patrimonio di idee ben delimitato e definito gregorianesimo, intendendo con questo termine l’unione di due macro-idee come il primato romano e la distinzione tra potere spirituale e temporale. Egli leggeva nel suddetto pontificato la vera e propria riforma, utilizzando per il periodo antecedente l’aggettivo pregregoriano.20

Le differenti prospettive impiegate dai grandi storici della seconda metà del Novecento per inquadrare il complesso fenomeno della riforma trovano un’interessante opera di sintesi nella produzione di Ernst Werner21. Nei numerosi scritti dedicati al tema, lo storico tedesco ha fatto risalire la genesi di differenti correnti religiose già all’inizio del secolo X, quando inizia a svilupparsi una delle due tipologie, un movimento di riforma condotto dai monaci e dall’élite feudale, espressione di una spiritualità raffinata improntata all’uso della liturgia e della teologia per tenere a freno la ribellione verso le gerarchie ecclesiastiche che già andava delineandosi nelle classi inferiori. Proprio queste ultime si esprimeranno in seguito attraverso differenti movimenti religiosi, spesso sfociati nell’eterodossia e guidati dalla classe emergente cittadina, specie quella dei mercanti.

Il paradosso sta nel fatto che proprio il clero figlio di tali istanze farà in modo che la riforma venga realizzata in seno alla Chiesa istituzionale, quindi non, come ci si auspicava, all’interno dei movimenti popolari. Tale visione relegava inevitabilmente la lotta per le investiture a un conflitto tra ambiti di potere. Si tratta di un’impostazione

des XIe et XIIe siècles, in I laici nella «cocietas christiana», pp. 82-117; Id., Modèle monastique et modèle sacerdotal en Occident de Grégoire VII (1073-1085) à Innocent III (1198), in Etudes de civilisation médiévale (IX-XII siècles). Mélanges E. R. Labande, Poitiers 1974, pp. 153-160.

20 Capitani O., Esiste un’«età gregoriana?», op. cit.

21 Werner E., Alla ricerca del dio nascosto: eretici e riformatori radicali nel secolo XI, in “Studi storici”, XXII (1987), pp. 61-79; Werner E., Religion und Gesellschaft, Spoleto 1995; Werner E. – Matschke K. P., Ideologie und Gesellschaft im hohen und späten Mittelalter, Berlin 1988; Werner E., Pier Damiani e il movimento popolare del suo tempo, in Studi Gregoriani, X, Roma 1975, pp. 287-315.

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tipicamente marxiana basata sul concetto di struttura e sovrastruttura. La differenza rispetto alla già vista interpretazione morgheniana risiede nel dare maggior peso alla religiosità anche delle classi dominanti, relegata dal Morghen a mera struttura istituzionale. Il grande merito, riconosciuto al Werner anche da Cinzio Violante22, sta nell’aver ampliato ulteriormente l’arco cronologico riguardante la riforma, abbracciando in questo modo la nuova spiritualità cluniacense di inizio X secolo fino al concordato di Worms (1122) e al primo concilio lateranense (1123).

Lo stesso Cinzio Violante, abbracciando gran parte delle istanze storiografiche proposte, individuava una chiave di lettura della riforma ecclesiastica nel fatto che non esista un’unica chiave di lettura stessa. Mi spiego meglio. L’eterogeneità del fenomeno fa sì che una concezione unitaria di esso venga dalla somma delle molteplicità. L’operato di Gregorio VII e i suoi rapporti con l’Impero sono inscindibili dalla religiosità popolare e lo stesso XI secolo visto sotto ogni aspetto sociale, economico, politico, religioso, culturale risulta essere un periodo fondamentale dell’Occidente. Ci si è interrogati, infatti, sul fatto che il secolo in questione possa aver rappresentato una ‘svolta’. Durante la Settimana della Mendola del 198623 e il convegno dell’Istituto storico germanico tenutosi a Trento nel 199024 ha prevalso l’idea comune che in quel momento storico fosse in corso una crisi allo stesso tempo politica, religiosa e morale.

Utile per inquadrare quel filone di religiosità popolare più autentica è Eresie medievali25 di Ilarino da Milano, pubblicato nel 1983, contenente un breve capitolo dedicato ai fenomeni eterodossi registrati nei secoli X-XI non solo in Italia, ma anche e soprattutto in Francia a partire dalla controversa figura di Gerberto d’Aurillac (papa con il nome di Silvestro II dal 999 al 1003), passando per l’analisi della vicenda riguardante gli eretici di Monforte d’Alba. Ilarino ha sottolineato la grande eterogeneità presente all’interno dei movimenti popolari, intendendo giustamente con questo aggettivo tutti i diversi ceti sociali attivi sia nelle città sia nelle campagne.

22 Violante, “Chiesa feudale”, op. cit., pp. 38-39.

23 L'Europa nei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura. Atti della decima Settimana di studio (Mendola 25-29 agosto 1986), Milano 1989.

24 Violante C. e Fried J. a cura di, Il secolo XI: una svolta?, Bologna 1993.

25 Ilarino da Milano, Eresie medievali: scritti minori, Rimini 1983.

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Gli anni Ottanta sono stati altamente produttivi anche per quanto riguardo l’ambito strettamente affine alla predicazione, tema centrale della presente trattazione.

Roberto Rusconi pubblica nel 1981 Predicazione e vita religiosa nella società italiana26 proponendosi come obiettivo quello di delineare un panorama delle fonti omiletiche che abbracci non solo l’intera penisola italiana, ma anche tutto l’arco cronologico che va dalla formazione dell’impero carolingio alla definitiva spaccatura della Christianitas successiva alla Controriforma. Rusconi ha definito la predicazione «un vero e proprio mezzo di comunicazione di massa» in grado di penetrare in maniera capillare all’interno della società e nei luoghi entro cui essa opera. La consapevolezza delle nette differenze intercorse nell’evolvere del fenomeno attraverso i secoli non preclude, secondo l’autore, il trovare degli elementi in comune all’interno di quello che è un vero e proprio genere letterario autonomo. L’impostazione dell’opera è quella di un’antologia non solo dei sermoni come testi autonomi ma anche di quelle fonti che parlano del modo in cui questi venivano pronunciati, il tutto secondo un ordine non tematico o geografico bensì cronologico. La difficoltà derivante dall’eterogeneità di fonti viene risolta attraverso l’uso di cronache, lettere, elementi giuridici; tutto contribuisce a disegnare un panorama quanto più possibile esaustivo. Seppur l’opera consti di cinque parti, appena una viene dedicata allo studio della predicazione nell’Alto Medioevo, nonostante questa sezione arrivi a interessare addirittura il principio del secolo XIII, dunque all’alba della svolta operata dagli Ordini mendicanti. Le difficoltà oggettive alla base di questo tipo di studi per i periodi più alti trova il suo specchio in un’opera che resta indiscutibilmente preziosa per inquadrare il fenomeno all’interno di una prospettiva quanto più possibile ampia.

Più di recente, anche la storiografia inglese ha cercato di elaborare un lavoro di sintesi con il volume The Sermon27, curato da Beverly Mayne Kienzle. Si tratta di un lavoro con finalità a tratti manualistiche. Anche qui come in Rusconi l’arco cronologico è ampio e abbraccia tutto il Medioevo, tuttavia, dopo un primo capitolo introduttivo finalizzato alla contestualizzazione dei diversi periodi, si procede per aree geografiche, concedendo largo spazio alla produzione enormemente più copiosa successiva all’anno 1200. La predicazione viene analizzata in quanto genere letterario e in questo modo si

26 Rusconi R., Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino 1981.

27 Kienzle B. M. e Noël R., The Sermon, Turnhout 2000.

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cerca di categorizzare alcuni elementi trasversali tra le diverse zone d’Europa, con un occhio anche all’esperienza omiletica giudaica.

La storiografia ha spesso confinato il dibattito a una «guerra di parole scritte»28, eppure non mancano testimonianze nelle fonti che rimarchino il forte impegno da parte dei predicatori ad uscire fuori dalla sacrestia e portare la discussione davanti a un pubblico più ampio come quello del laicato. Gli omeliari liturgici non danno spazio alla polemica della lotta antisimoniaca, tranne, nota D’Acunto, un brevissimo accenno contenuto in un’omelia di Bruno di Segni29 (1045-1123), troppo poco per delineare un preciso programma riformatore anche attraverso questo tipo di scritti, soprattutto considerando l’estemporaneità del riferimento contenuto negli scritti del vescovo contemporaneo di Gregorio VII. Lo stesso autore spiega come Ovidio Capitani sia stato tra i pochi a notare la lacuna storiografica e a interessarsene a proposito della Pataria milanese e della strumentalizzazione dei canoni all’interno della pubblicistica. Un modello interpretativo può essere offerto dalla dimensione giuridica letta in una delle principali fonti sul movimento patarinico30, Landolfo Seniore, ma soprattutto nell’opera di san Pier Damiani.31

Un discorso a parte merita la storiografia dedicata all’eremita di Fonte Avellana.

Il fascino della figura damianea ha incontrato nuova fortuna proprio nei decenni a cavallo

28 In tal proposito rimando a quanto affermato in apertura citando D’Acunto, Argomenti di natura pubblica, op. cit.

29 D’Acunto, Argomenti di natura giuridica, p. 227. La storiografia su Bruno di Segni, peraltro esigua, non offre al momento spunti di riflessione in merito alle istanze di riforma presenti negli scritti frammentari del vescovo. Fondamentali sono le biografie di Gigalski G., B. Bischof von Segni,Abt von Montecassino (1049-1123), Münster 1898, e di Grégoire R., B. de Segni,exégète médiéval et théologien monastique, Spoleto 1965. Cfr. Savio P., Ricerche su s. Brunone Astegiano, in Boll. stor-bibl.

subalpino, LXVII (1969), pp. 5-67.

30 Ibidem, p. 232.

31 Ibidem, p. 232.

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tra il XX e il XXI secolo32 grazie agli studi compiuti da Nicolangelo D’Acunto33, partendo nelle sue analisi dai rapporti con il laicato, e Umberto Longo34, sottile indagatore della

32 Risale alla fine del 2019 l’ultima pubblicazione in merito alla figura di Pier Damiani: Ciccopiedi C., La figura del vescovo nell’epistolario di Pier Damiani. Tra ideale e reale, Spoleto 2019. La studiosa analizza la visione del Damiani in merito all’episcopato non limitandosi all’analisi dell’epistolario, ma chiamando in causa anche le opere agiografiche. Infatti, alcune di esse sono dedicate a vescovi come Mauro di Cesena e Rodolfo di Gubbio. In tal modo si può porre in evidenza la dicotomia tra il cardinale vescovo che desidera ardentemente rinunciare alla sua carica e l’agiografo che elogia le virtù dei vescovi, con la precisa intenzione di esaltarne, più che il ruolo pastorale, quello più vicino all’ascesi eremitica, nonostante i gravosi impegni imposti dalla carica episcopale.

33 D’Acunto N., I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo IX, Roma 1999.

D’Acunto N., La riforma ecclesiastica del secolo XI: rinnovamento o restaurazione?, in Riforma o restaurazione? La cristianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistenze e novità. Atti del XXVI convegno del Centro studi Avellaniti. Fonte Avellana, 29-30 agosto, 2004, Negarine di S. Pietro in Cariano 2006, pp. 13-26; D’Acunto N., Pier Damiani, la santità benedettina e gli amici cassinesi, in I Fiori e’ Frutti santi. San Benedetto, la Regola, la santità nelle testimonianze dei manoscritti cassinesi, a cura di Dell’omo M., Milano 1998, pp. 81-94; D’Acunto, N., Genus electum, regale sacerdotium (1 Pt. 2,9). Il sacerdozio regale dei fedeli negli scritti di Pier Damiani, in Florentissima Proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica Reginaldo Grégoire o.s.b. XII lustra complenti oblata, a cura di Gobbi D., Trento 1996, pp. 121-138; D’Acunto N., Gregorio Magno e Pier Damiani, in L’eredità spirituale di Gregorio Magno tra Occidente e Oriente. Atti del simposio internazionale “Gregorio Magno 604-2004”, Roma 10-12 marzo 2004, a cura di Gargano G. I., Negarine di S. Pietro in Cariano 2005, pp. 307-323;

D’Acunto N., Il prefetto urbano Cencio di Giovanni Tignoso nelle fonti del suo tempo, “Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano”, 95 (1989), p. 1-44; D’Acunto N., L’età dell’obbedienza: papato, impero e poteri locali nel secolo XI, Napoli 2007.

Di grande interesse risultano le introduzioni a tutti i volumi delle lettere di Pier Damiani edite in traduzione italiana da Città Nuova: Petri Damiani, Epistulae. Pier Damiani, Lettere, a cura di Gargano G.

I. e D'Acunto N., traduzioni di Dindelli A., Saraceno L., Somigli C., Città Nuova, Roma 2000-; D’Acunto N., Fonte Avellana nel secolo di Pier Damiani: atti del XXIX convegno del Centro Studi Avellaniti, Fonte Avellana, 29 - 31 agosto 2007, S. Pietro in Cariano (VR) 2008.

34 Longo U., «Inter scripturas mereretur autenticas reservari». Identità del testo e tradizione manoscritta delle opere di Pier Damiani, “Sanctorum”, 1 (2004) pp. 97-112 (sui testi agiografici); Longo U., La mediazione agiografica nel processo di stabilizzazione del carisma: il carisma di Pier Damiani, in Il carisma nel secolo XI. Genesi, forme e dinamiche istituzionali. Atti del XXVII convegno del Centro studi Avellaniti. Fonte Avellana, 30-31 agosto, 2005, Negarine di S. Pietro in Cariano, 2006, pp. 51-65; Longo U., Esiste una santità della riforma del secolo XI?, in Riforma o restaurazione? La cristianità nel passaggio

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produzione agiografica del secolo XI e, in particolare, di quella damianea. Ma già dalla seconda metà del secolo scorso, eminenti studiosi hanno dedicato le loro ricerche all'eremita di Fonte Avellana. Nel delineare e marcare più attentamente i contorni di san Pier Damiani da un punto di vista generale, e comprensivo dei molteplici aspetti del suo tempo e della sua personalità, risultano di straordinaria utilità due importanti studi.

Mons. Giovanni Lucchesi35 è un nome pressoché onnipresente nell'ambito della storiografia damianea e tra i numerosi saggi dedicati all’Avellanita, risulta di particolare interesse Per una vita di san Pier Damiani36. In uno stile quasi annalistico, Lucchesi ha riprodotto l'intera vicenda biografica damianea. Il riferimento cronologico accompagna la lettura a ogni pagina; i paragrafi sono spesso scanditi per anni e ciò permette una

dal primo al secondo millennio: persistenze e novità. Atti del XXVI convegno del Centro studi Avellaniti.

Fonte Avellana, 29-30 agosto, 2004, Negarine di S. Pietro in Cariano 2006, pp. 51-69; Longo U., Riti e agiografia. L’istituzione della commemoratio omnium fidelium defunctorum nelle Vitae di Odilone di Cluny, “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioe evo e Archivio muratoriano”, 103 (2000-2001), p.163-200; Longo U., San Pier Damiani e l’agiografia, in Scrivere di santi. Atti del II Convegno di studio dell’Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell’agiografia. Napoli, 22-25 ottobre 1997, a cura di Luongo G., Roma, Viella, 1998, pp. 129-144; Longo U., Come angeli in terra: Pier Damiani, la santità e la riforma del secolo XI, Roma 2012; Longo U., La santità medievale, Roma 2006; Longo U., La tradizione manoscritta delle opere agiografiche di Pier Damiani, in Studi di Storia e di Archeologia in onore di Maria Luisa Ceccarelli Lemut, a cura di Baldassarri M. – Collavini S. M., Pisa 2014.

35 Lucchesi G., Sull'antica tradizione manoscritta di S. Pier Damiani, "Benedictina", 24 (1977), p. 209-223, ora anche in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, Faenza, Società Torricelliana di scienze e lettere, 1983, p. 165-175; Lucchesi G., Giovanni da Lodi "Il discepolo", in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972). IV, Cesena 1978, p. 7-66; Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani come monumento storico agiografico e liturgico, "Studi gregoriani" 10 (1975), p. 7-68; ora anche in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, Faenza 1983, p.116-155; Lucchesi G., Sacerdozio regale e S. Pier Damiano, in 25° di sacerdozio di mons. Dott. Adelfo Ferretti, numero unico, Faenza, ottobre 1971, pp. 25- 28; ora anche in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, Faenza 1983, pp. 97-99; Lucchesi G., Clavis s. Petri Damiani, in Studi su s. Pier Damiano in onore del cardinale Amleto Giovanni Cicognani, Faenza 19611ed., 19702ed. (Biblioteca cardinale Gaetano Cicognani, Studi, 5), p. 249-407 (1ed.), pp. 2-215(2 ed.); Lucchesi G., Per una vita di san Pier Damiani. Componenti cronologiche e topografiche, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972). I.II., Cesena, Centro studi e ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate, 1972, I. p. 13-179; II. pp. 13-160.

36 Lucchesi G., Per una vita di san Pier Damiani. Componenti cronologiche e topografiche, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972). I.II., Cesena 1972, I. pp. 13-179; II. pp. 13-160.

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consultazione veloce e mirata. È come se si trattasse di un prontuario, un insieme di eventi, che tuttavia trovano senso in loro stessi grazie all’impostazione data dall'autore.

Naturalmente un impianto di questo genere presuppone una conoscenza di partenza, seppur generica, del personaggio Pier Damiani. A tal proposito il secondo studio fondamentale è il grande classico storiografico, opera di Dom Jean Leclercq: Saint Pierre Damien ermite et homme d’Êglise37. Il metodo monografico adoperato dallo storico benedettino si concentra sulla spiritualità damianea inserita nelle varie fasi della sua vita.

L’Avellanita viene studiato dapprima dal punto di vista dei suoi ruoli istituzionali e successivamente preso in esame come figura culturale. È un viaggio all'interno della personalità dell'uomo e dell’asceta, del cardinale e del teologo, una panoramica di grande spessore storiografico che racconta ciò da cui sono poi nate le opere giunte fino a noi, tutto quello che le ha prodotte e come le vicissitudini di un giovane ravennate abbiano formato poi l'eremita e il cardinale.

Metodi di lettura e interpretazione delle fonti principali

Nel medioevo la predicazione rappresenta, come detto, un vero e proprio mezzo di comunicazione di massa38, attingendo una diffusione capillare ed omogenea. Lo stesso Pier Damiani, attivissimo in questo senso, omette quasi completamente riferimenti alle istanze riformatrici nei suoi sermoni e, ove contenuti, sono sapientemente velati dall'uso dei riferimenti biblici, come se stesse semplicemente spiegando dei passi della Sacra Scrittura. L'impulso predicatore dell’Avellanita viene per lo più profuso all'interno delle sue lettere. Esse entrano a pieno titolo nell'alveo dell'impegno riformatore propagato in forma scritta per la comunicazione nell'ambito delle istituzioni ecclesiastiche, per poi passare ad una forma di oralità mirata alla sobillazione del popolo e alla vasta propaganda sui problemi riformatori attraverso una compenetrazione tra le prediche e il diritto

37 Leclercq J., Saint Pierre Damien ermite et homme d’Êglise, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1960, (“Uomini e dottrine”, 8). In traduzione italiana, San Pier Damiano: eremita e uomo di Chiesa, Brescia 1972.

38 Rusconi R., Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Loescher, Torino 1981.

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canonico39, sconosciuto ai più, ma, proprio grazie a questo approccio comunicativo, reso comprensibile.40

Grazie alla grande fortuna incontrata dalla predicazione, a partire dall'XI secolo cambiano i luoghi stessi delle prediche, dapprima limitati alle chiese e poi allargatisi ai campi, alle piazze e alle strade. Quello che in questo secolo è lo strumento preferito dai propagatori della riforma, diventerà (soprattutto nei due successivi) un’arma in possesso degli eretici, ma anche dei nuovi ordini religiosi.41 Una volta che l’idea di riforma riesce a ottenere la stabilità ai vertici della Chiesa, già con papa Alessandro II, si cerca di ridurre lo sviluppo, spesso fuori controllo, della predicazione. I monaci predicatori itineranti sono costretti a rientrare nei propri chiostri, così come i movimenti popolari che tanto giovamento avevano recato all'attuazione primigenia della riforma stessa.42 Pier Damiani si preoccupa del problema di questo eccesso di predicatori nel suo opuscolo Contra clericos regulares proprietarios. Prendendo le mosse da un brano degli Atti degli apostoli, egli dimostra come siano adatti a predicare solo quei chierici che imitano nella loro vita in tutto e per tutto gli apostoli.43

Naturalmente gli articoli e i saggi dedicati interamente allo studio del sermonario damianeo non sono gli unici a utilizzarlo come fonte storica utile a ricostruire le vicende terrene non solo dell’autore ma anche del contesto storico in cui operava. Il discorso va dunque ampliato a tutti quegli studi che fanno anche solo riferimento a uno o più sermoni damianei, magari inserendone l’analisi in opere di più ampio respiro, come nel caso degli scritti di D'Acunto sul sacerdozio regale dei fedeli44 o quello di Gordini sulla santità nelle

39 Esemplare a tal proposito l’opera di Pier Damiani. Cfr. Ryan J. J., Saint Peter Damiani and his canonical sources. A preliminary study in the antecedentes of the gregorian reform, Toronto, Pontifical institute of Mediaeval Studies, 1956 ("Studies and texts", 2). Ristampato fotostaticamente a Brepols nel 2006.

40 Ibid.

41 Cfr. Capitolo I.

42 Ibid.

43 Ibid., pp. 52-53

44 D’Acunto N., Genus electum, regale sacerdotium (1 Pt. 2,9). Il sacerdozio regale dei fedeli negli scritti di Pier Damiani, in Florentissima Proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica Reginaldo Grégoire o.s.b. XII lustra complenti oblata, a cura di Gobbi D., Trento, Civis, 1996, pp. 121-138.

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opere agiografiche damianee45. Questi permettono di ampliare la visione del sermonario, inserendolo entro un orizzonte più ampio, al fine di aiutare una comprensione della personalità e delle scelte sia letterarie sia stilistiche dell’Avellanita.

La breve panoramica delle fonti damianee non deve trarre in inganno, Pier Damiani non è l’unico autore ad averci riportato dei “discorsi” in forma scritta. Il limite di questi sermoni si trova nella loro eccessiva risistemazione scrittoria, finalizzata non tanto a un riadattamento formale di ciò che effettivamente venne pronunciato, quanto piuttosto al tentativo di creare dei testi universali con l’evidente obiettivo di renderli utilizzabili in contesti diversi anche da predicatori differenti. Il lavoro di limatura elimina tutti quei riferimenti, che verosimilmente erano presenti al momento della predica, all’ecclesiologia, all’eresia simoniaca e agli altri gravi problemi che affliggevano la Chiesa nella metà del secolo XI. Sopravvive una struttura organica e ripetuta quasi ovunque allo stesso modo.

L’epistolario ha aiutato gli studiosi a contestualizzare meglio anche l’opera di predicazione damianea, pur lasciando numerosi dubbi e ambiguità sui luoghi e i tempi in cui i sermoni furono originariamente pronunciati. Ciononostante, rimane un punto di riferimento imprescindibile per un’interpretazione esaustiva degli scritti nel loro complesso. In un certo senso è come se ci si trovasse di fronte a due scrittori diversi. Il Pier Damiani che traspare dalle lettere è un uomo dinamico, a tratti impulsivo ma sicuramente attento all’interlocutore con cui si rapportava. I destinatari delle lettere sono i personaggi laici ed ecclesiastici più eminenti dell’intera Christianitas, da Ildebrando di Soana al giovanissimo Enrico IV46, ma anche le più celebri e influenti comunità monastiche come quelle di Montecassino e Cluny, oltre che i più intimi rapporti con gli eremiti delle sue fondazioni, in primis Fonte Avellana.

45 Gordini G., La santità nelle biografie e nei sermoni damianei, in Fonte Avellana nella società dei secoli Xi e XII. Atti del II convegno del centro di studi avellaniti, Fonte Avellana, 1978 (ma 1979), pp.

367-394.

46 Pier Damiani cerca di proporsi come guida spirituale del giovane imperatore per ottenere la Libertas Ecclesiae, che, a suo modo di vedere, era già stata realizzata dall’operato del di lui padre, l’imperatore Enrico III. Cfr. Manco A., La ‘libertas’ nelle lettere di Pier Damiani, in Libertas, op. cit., a cura di D’Acunto e Filippini, pp. 283-294.

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Anche l’epistolario ha un valore pubblico, Pier Damiani scrive con la consapevolezza che le sue sarebbero state lettere aperte. Naturalmente con pubblico non va intesa in questo caso la declamazione sulla pubblica piazza o nelle chiese come nel caso dei sermoni, bensì un pubblico limitato all’entourage del destinatario (o destinatari) strettamente inteso ed esplicitamente richiamato nella formula di apertura di ogni lettera.

Il Damiani non solo è consapevole della propria autorevolezza, ma attraverso i suoi scritti mira ad accrescere l’influenza esercitata e a diffondere le proprie idee in merito alle questioni più disparate quali il clero sodomita e nicolaita47 o il “buongoverno” da attuare in un’importante regione quale la Tuscia48.

Una lettera, in particolare, conosciuta come Actus Mediolani, la numero 65 dell’edizione curata da Kurt Reindel per i Monumenta Germaniae Historica49, funge da trait d’union con la seconda parte del volume in cui verrà approfondita la vicenda della Pataria milanese. Non mancano in proposito numerosi studi non soltanto riguardo al fenomeno in generale, ma anche a proposito degli avvenimenti specifici che hanno caratterizzato la città lombarda nel corso di tutto il secolo XI. Il movimento nato dalla predicazione di Arialdo si è sovente prestato a essere oggetto di numerose analisi non limitate alla sola esperienza religiosa e morale della Pataria, ma, anzi, tese a inserire il tutto in un contesto più ampio, da un lato precursore di svolte successive, come

47 Esemplare l’epistola 40: Petri Damiani, Liber gratissimus, edidit L. De Heinemann, in Monumenta Germaniae historica. Inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum, edidit Societas aperiendis fontibus rerum germanicarum medii aevi. Libelli de lite imperatorum et pontificum, saeculis XI et XII conscripti. Tomus I., Hannoverae, impensis Bibliopolii Hahniani, 1891, p. 15-75.

48 Manco A., La ‘libertas’ nelle lettere di Pier Damiani, pp. 283-294.

49 Monumenta Germaniae Historica, Die digitalen MGH. Dall’anno 2000 sono disponibili all’indirizzo http://www.dmgh.de/, tutti i volumi pubblicati, quindi le edizioni ottocentesche degli scritti di Pier Damiani e l’intera edizione Reindel delle lettere.

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l’autogoverno cittadino del secolo XII50, dall’altro notando elementi di continuità con il passato51 e i movimenti ereticali dell’epoca dell’arcivescovo Ariberto (1018-1045).52

Le stesse fonti principali per lo studio del fenomeno si preoccupano di dedicare spazio all’interno delle narrazioni alla genesi (anche remota) delle vicende che hanno interessato l’arcidiocesi ambrosiana. Arnolfo da Milano nel suo Liber gestorum recentium53 è tra gli autori che in maniera più lucida ci hanno riportato gli avvenimenti, sebbene questo non significhi oggettivamente. Infatti, così come nella più tarda opera di Landolfo Seniore54, l’intento è polemico e mira a screditare l’operato della Pataria pur accettando il primato petrino propugnato dai pontefici attraverso i legati apostolici a più riprese inviati a Milano e il loro controverso appoggio ai capi patarini contro l’arcivescovo Guido da Velate.

Molto meno diplomatico è il dettato del citato Landolfo. La sua Historia Mediolanensis ripercorre gli avvenimenti della Chiesa milanese addirittura dall’età tardoantica, per poi divenire progressivamente più dettagliata man mano che si procede verso i periodi storici a lui più vicini per poi costituire un affresco ricchissimo con il racconto che va dall’avvento di Arialdo alla morte di Erlembaldo. Si potrebbe definire la Historia di Landolfo una sorta di genere letterario a metà tra la cronaca medievale e il romanzo storico moderno. I personaggi sono vivi e parlano (in continuazione), i discorsi sono accurati, ma sovente partoriti dalla fantasia dell’autore, un ecclesiastico e quindi certamente debitore verso una formazione storiografica di matrice classica. Il limite

50 In tal proposito, oltre al già citato Wickham, cfr. Keller H., Pataria und Stadtverfassung.

Stadtgemiende und Reform, «V orträge und Forschungen», 17 (1973), pp. 321-350; Keller H., Einwohnergemeinde und Kommune, «Historische Zeitschrift», 224 (1977), pp. 561- 579; Keller H., Origine sociale e formazione del clero cattedrale in Le istituzioni ecclesiastiche della Societas Christiana dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Milano 1977, pp. 136-186; Keller H., Gli inizi del comune in Lombardia: limiti della documentazione e metodi di ricerca in L’evoluzione delle città italiane nell’XI secolo, Bologna 1988, pp. 45-70; Keller H., Il laboratorio politico del comune medievale, Napoli 2014.

51 Cfr. Studi di Violante sulla pataria milanese e la Milano precomunale.

52 Il dibattito storiografico verrà approfondito più avanti. Cfr. capitolo V.

53 Arnolfo di Milano, Liber gestorum recentium, a cura di I. Scaravelli, Bologna 1996.

54 Landolfo seniore, Historia Mediolanensis, a cura di Bethmann-Wattenbach in MGH, Scriptores, VIII, Hannoverae 1848, pp. 32-100.

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