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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’

Il disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (il cui acronimo è DDAI per l’Italia e ADHD per l’America, Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) è la più recente “etichetta” diagnostica utilizzata per descrivere questa sindrome, classificata come un disturbo del neurosviluppo, caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività che interferiscono con il funzionamento e lo sviluppo del soggetto. Lo scopo del capitolo è quello di delineare gli aspetti caratteristici del DDAI: storia, caratteristiche e sintomi primari, criteri diagnostici, eziologia, sviluppo ed evoluzione del disturbo, i modelli interpretativi e le procedure diagnostiche.

1.1 DDAI, un excursus storico

Il concetto contemporaneo di Deficit di Attenzione e Iperattività, come definito nel DSM 5 (American Psychiatric Association 2013) è relativamente nuovo. Tuttavia, un’analisi della letteratura storica suggerisce che i bambini che presentano i sintomi caratteristici di disattenzione, iperattività e impulsività sono stati precedentemente descritti da numerosi autori nel corso degli ultimi 200 anni. Le caratteristiche cliniche, i concetti di base, e la nomenclatura delle disfunzioni descritte sono cambiati nel corso del tempo. Molte delle descrizioni storiche sono, comunque, in linea con i moderni criteri diagnostici per il DDAI.

Il Deficit di Attenzione e Iperattività è stato descritto per la prima volta nel 1845 dal medico Heinrich Hoffman, il quale creò alcune storie illustrate per bambini tra le quali, "The Story of Fidgety Philip", nel quale veniva presentata un’accurata descrizione di un bambino iperattivo. Nella storia di Fidgety Phil, Hoffmann illustra un conflitto familiare a cena causato dal comportamento irrequieto del figlio. All'inizio della storia, il padre chiede "in tono serio" (Hoffmann 1846, edizione inglese): "Fammi vedere se puoi assumere almeno per un po’ il comportamento di Gentleman” e anche “Fammi vedere se è in grado di stare fermo per una volta a tavola" (Hoffmann 1846, edizione inglese). Le dichiarazioni suggeriscono, che il padre aveva già ammonito in precedenza qualche comportamento scorretto di suo figlio a tavola, quindi questo non era evento singolare o occasionale. L’evento rappresenta un primo accenno alla presenza di un disturbo persistente

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sottostante. Il DSM 5 attualmente postula che, per una diagnosi di ADHD, i sintomi devono persistere per almeno 6 mesi (American Psychiatric Association 2013). Successivamente, Hoffmann descrive sintomi di disattenzione e iperattività in nel ragazzo. Philipp, al monito del padre, sembra non dare ascolto, anche questo comportamento rappresenta un sintomo esplicito di disattenzione. Il DSM 5 descrive i soggetti con DDAI come: "spesso non sembra ascoltare quando si parla direttamente" e “spesso non segue le istruzioni” (American Psychiatric Association 2013). Nella storia il ragazzo successivamente il ragazzo, invece di seguire la richiesta del padre, "divincolava e ridacchiò, e poi, dichiaro, oscillato avanti e indietro e inclinò la sedia" (Hoffmann 1846, edizione inglese). Questa descrizione può essere interpretato come sintomo di "iperattività motoria" (Burd e Kerbeshian 1988) ed è somigliante al primo sintomo di iperattività caratterizzato nel DSM-IV-TR: "spesso agita con le mani o i piedi o si dimena sulla sedia" (American Psychiatric Association 2013). Hoffmann descrive l'attività motoria di Philipp come abbastanza eccessiva "Philip cade dalla sedia, urla con tutte le sue forze, e porta con se giù la tovaglia, facendo cadere a terra bicchieri, pane, coltelli forchette e tutto ciò che c’era "(Hoffmann 1846, edizione inglese). Alcuni autori sono convinti che la storia di Fidgety Phill rappresentano le prime descrizioni di bambini con DDAI (Burd e Kerbeshian 1988; Kopf 2006).

Questo disturbo, venne però riconosciuto come un problema medico solo nel 1902 in seguito ad una serie di conferenze tenute da Sir George F. Still, pediatra inglese, per il Royal College of Physicians. G.F. Still, pubblicò diversi articoli sul Lancet descrivendo un gruppo di bambini fortemente disturbati, ipercinetici, irrefrenabili, che presentavano “un deficit nel controllo morale... ed una eccessiva vivacità e distruttività” (Still, 1902). Egli definisce il controllo morale come “il controllo delle azioni in conformità con l’idea del bene e del male comune a tutti” (Still, 1902). Tuttavia, "ci sono altri casi che non possono essere inclusi in questa categoria" (Still 1902) e che, come fa notare, "in particolare (...) chiedono attenta osservazione" (Still 1902, p. 1008) . Essi comprendono i casi considerati descrizioni storiche di DDAI, cioè i bambini con un difetto di controllo morale, ma senza un "ritardo generale dell'intelletto" (Still 1902, p. 1077). Still divide questi casi in altri due gruppi, i bambini con un difetto morboso del controllo morale associato a malattia fisica, come ad esempio un tumore cerebrale, meningite, epilessia, trauma cranico o febbre tifoide, e bambini con un difetto di controllo morale come una manifestazione morbosa, senza compromissione generale di intelletto e senza malattie fisiche (Still 1902, p. 1079). Alcuni appartenenti a quest’ultima classificazione, tuttavia, ha mostrato una "storia di gravi disturbi cerebrale nella prima infanzia" (Still 1902 p. 1081).Questa differenziazione è all'origine di concetti successivi di danno cerebrale, disfunzione cerebrale minima, e iperattività come precursori storici con DDAI (Rothenberger e Neumärker 2005). Still, nel descrivere queste manifestazioni

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comportamentali prese in esame 20 casi di bambini con un “difetto del controllo morale senza compromissione generale dell’intelletto e senza malattie fisiche”, di cui 15 erano maschi e 5 femmine. Secondo il medico questa risultava essere "una sproporzione che (...) non è del tutto accidentale" (Still, 1902). Dato comunemente osservato, dove il rapporto tra maschi e femmine risulta essere di 3:1 (Barkley, 1990). Still notò anche che le prime manifestazioni sintomatiche comparivano prima dei sette anni di età, criterio in uso fino al DSM-IV-TR. Il medico inoltre, notò che “una mancanza di controllo morale poteva essere mostrata in molti modi (…): passionalità, cattiveria la crudeltà, la gelosia, l'illegalità, disonestà, malizia-distruttività, spudoratezza - immodestia immoralità sessuale, e cattiveria. Ciò che caratterizzava queste qualità è l’ auto-gratificazione, la gratificazione immediata di sé senza considerare né al bene degli altri o al bene per se” (Still, 1902). Anche se la maggior parte dei sintomi elencati non sembrano appartenere all’attuale concetto di DDAI, Still, contribuisce alla ricerca moderna sul disturbo menzionando:

- Il problema della gratificazione dei bisogni, infatti anche Barkley nel 2002 sostiene che questi bambini hanno un grave problema nel ritardare le gratificazioni.

- La “passionalità”, non intenso come comportamento mosso dall’affetto (Barkley, 2006), ma come “impulsività che riguarda un obiettivo immediato” e una sorta si “ e una certa velocità nell’elaborare le emozioni, soprattutto quelle di frustrazione, rabbia, ostilità e aggressività” (Barkley 2006).

- La “gelosia”, che non si riferisce alla mera emozione, ma piuttosto si riferisce a un comportamento morboso caratterizzato dall’incapacità di non riuscire a controllare l’eccitabilità.

- Un deficit da parte del bambino nel mantenere l’attenzione sostenuta, notato sia dai genitori del bambino che dagli insegnanti. Questo deficit attentivo inoltre non era accompagnato da una compromissione dell’intelletto (Still, 1902). Recenti studi hanno dimostrato che il QI dei bambini con DDAI, è nella norma (MTA Cooperative Group 1999; Schuck e Crinella 2005).

Molte delle descrizioni di Still sembrano indicare che i bambini nei primi anni del XX secolo, mostravano chiari sintomi di DDAI.Tuttavia, la maggior parte dei sintomi elencati da Still e descritti nei suoi casi non si riferiscono al DDAI.I bambini descritti infatti, "sembravano prendere un piacere nel tormentare gli altri bambini" (Still 1902, pag. 1080). Per cui il concetto di “difetto di controllo morale” non è coerente con la diagnosi di DDAI. Still nelle sue descrizioni si è soffermato maggiormente non sui bambini disattenti-impulsivi, piuttosto ha descritto bambini con comportamenti che appartengono alla gamma dei disturbi del comportamento esternalizzante (Conners, 2000).

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Indipendentemente dal fatto che le descrizioni di Still includono o meno, casi di Deficit di Attenzione e Iperattività, il suo lavoro è comunque importante per l'analisi delle teorie storiche riguardanti il DDAI. L’assunzione di Still su una connessione tra danno cerebrale e il comportamento deviante nei bambini è stato molto influente per quanto riguarda l'ulteriore concettualizzazione del DDAI.

Diversi ricercatori, dopo la prima guerra mondiale, osservarono che alcuni militari che avevano subito danni al cervello presentavano la medesima sintomatologia che alcuni soggetti presentarono che successivamente a un “encefalite...legata ad una forte influenza”.

Le caratteristiche sintomatologiche maggiormente osservate comprendevano un cambiamento significativo nella personalità, instabilità emotiva, deficit cognitivi, difficoltà di apprendimento, inversioni di sonno, tic, la depressione, e scarso controllo motorio (Conners 2000; Kessler 1980 Rothenberger e Neumärker 2005). I bambini, che avevano contratto l’encefalite spesso diventavano "iperattivi, distraibili, irritabili, antisociali, distruttivi, indisciplinati, ingestibili e nella scuola"(Ross e Ross 1976, pag. 15). Questa ipercinesia conduce i bambini a contatto con l'ambiente continuamente, toccando, prendendo e la distruzione "(citato da Kessler 1980, pag. 19). Molte descrizioni dei bambini con questo disturbo presentano alcuni sintomi caratteristici del DDAI, anche se la maggior parte dei bambini colpiti, comunque, non avrebbero soddisfatto i criteri di DDAI attuali. I disturbi del comportamento suscitati, tuttavia, hanno generato un interesse generale per l'iperattività nei bambini, ed i risultati sono stati influenti per l'ulteriore sviluppo scientifico del concetto di DDAI (Rothenberger e Neumärker 2005). L'assunzione di un nesso causale tra il danno cerebrale e sintomi di iperattività e distraibilità è stato un passo importante per un ulteriore concettualizzazione del concetto di Deficit di Attenzione e Iperattività (Rafalovich 2001; Rothenberger e Neumärker 2005).

Un decennio dopo, le ricerche arrivarono alla conclusione che i sintomi dell’iperattività e della disattenzione erano concomitanti tra di loro, ma in modo piuttosto variabile a seconda dei casi. Nel 1938 Levin sostenne che la causa era da ricercare nella presenza di un Danno Cerebrale Minimo, anche se non era stata riconosciuta alcuna lesione evidente. Altri autori ipotizzarono che la spiegazione più plausibile fosse da ricercare, non in una lesione vera e propria, ma in una non ben precisata Disfunzione Cerebrale Minima causata da intossicazione da piombo (Byers & Lord, 1943), da traumi perinatali (Shirley, 1939) o da infezioni cerebrali (Meyers & Byers, 1952). L’etichetta di Disfunzione Cerebrale Minima è stata criticata come troppo generica ed eterogenea e poi è stata sostituita da più etichette più specifiche e descrittive come "iperattività", "difficoltà di apprendimento", "dislessia" o "disturbi del linguaggio" (Barkley 2006a; Rothenberger e Neumärker 2005 ). Rie (1980) ha sostenuto che la definizione di Disfunzione cerebrale minima, non aveva una

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base empirica solida, ne mancavano difatti le prove. Per definire il disturbo sono stati compiuti ulteriori sforzi che si sono basati su osservazioni oggettive di bambini che mostravano i deficit, "piuttosto che su qualche meccanismo eziologico non osservabile alla base del cervello" (Barkley 2006). In questo contesto, dove i soggetti mostravano un eterogeneità sintomatologica "l’iperattività [era] l'elemento più eclatante", come è stato già affermato nel 1957 da Laufer, Denhoff e Solomons. La loro idea di un "Disordine dovuto a un impulso ipercinetico" (Laufer et al. 1957) si è sviluppata e nel 1960, il concetto della sindrome da iperattività è stata generata (Barkley 2006). L’iperattività è stata riconosciuta come "una sindrome comportamentale che potrebbero derivare da patologia organica, ma potrebbe verificarsi anche in sua assenza"(2006 ,Barkley).

Nel 1952 comparve la prima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) pubblicato dall’American Psychiatric Association il quale prevedeva due sole categorie dei disturbi psichiatrici infantili: la Schizofrenia e il Disturbo di Adattamento.

Solo nella seconda edizione del DSM (APA, 1968) fu menzionato il DDAI con l’etichetta diagnostica “Reazione Ipercinetica” del bambino. Questo concetto etichettato come "Reazione Ipercinetico dell'Infanzia" viene definito in due frasi: "La malattia è caratterizzata da iperattività, irrequietezza, distraibilità, e capacità di attenzione, specialmente nei bambini piccoli; il comportamento di solito diminuisce di adolescenza "(American Psychiatric Association 1968, Barkley 2006). La scelta di questo termine enfatizzava l’importanza dell’aspetto motorio a scapito di quello cognitivo. Il termine Ipercinesia difatti deriva dal greco “hyper” cioè eccessivo e “kinesis”, movimento, moto. Tuttavia anche nel DSM-II (APA 1968) non venivano specificati i criteri per poter formulare una diagnosi, anche perché i primi DSM erano manuali descrittivi più che nosografici.

L’edizione successiva del manuale, il DSM-III, rappresentò una vera e propria rivoluzione nella procedura clinica-diagnostica in quanto prevedeva un sistema di valutazione multiassiale con specifici criteri diagnostici per ogni disturbo; esso inoltre includeva un sistema diagnostico orientato in senso evolutivo, strutturato specificatamente per i disturbi dell’infanzia. Il DSM-III utilizzava l’espressione diagnostica “disturbo da deficit di attenzione”. Tale cambiamento nosografico, presupponeva un mutamento nella lettura della sindrome, di cui si sottolineava la centralità degli aspetti cognitivi rispetto a quelli motori e comportamentali, e questo portò a evidenziare la centralità dei primi rispetto ai secondi, inquadrati come un semplice epifenomeno. Tale mutamento fu reso possibile soprattutto dagli studi condottinegli anni '70 da Virginia Douglas la quale sottolineava la centralità degli aspetti cognitivi rispetto a quelli motori definendo così l'ADHD come «disturbo connesso alla difficoltà nel concentrarsi su un compito e nel mantenere l'attenzione, sia in ambito scolastico che sociale, mentre solo per alcuni soggetti presenta iperattività motorie».

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Nel DSM-III (APA, 1980) venivano descritti due sottotipi di DDA: con o senza Iperattività. I sintomi previsti erano 16, suddivisi in tre categorie: disattenzione (5 sintomi), impulsività (6 sintomi) e iperattività (5 sintomi). Secondo tali criteri, il bambino, per essere diagnosticato con DDA, doveva presentare almeno tre sintomi didisattenzione e tre di impulsività; mentre se al DDA si associava l’Iperattività allora dovevano essere presenti almeno altri 2 sintomi.

Nel 1987 fu pubblicato il DSM-III-TR, il quale rappresentò forse un arretramento rispetto alla precedente edizione, in quanto furono eliminati i sottotipi. Questa pubblicazione ha introdotto, però, una nuova etichetta diagnostica: Deficit di Attenzione/Iperattività.

Tra le principali cause che hanno risvegliato nei clinici un interesse verso questo disturbo devono essere citate:

1) Il riconoscimento dell’ereditarietà del disturbo.

2) L’identificazione della genesi del disturbo in alcune aree cerebrali specifiche.

3) Il cospicuo rischio di una comorbidità con disturbi psicologici in soggetti adulti con pregressa diagnosi di DDAI.

Nel 1994, alla luce di nuove conoscenze viene pubblicato il DSM IV, nel quale viene descritto il DDAI riprendendo una suddivisione dei sintomi in Disattenzione, Iperattività e Impulsività come già era stata fatta nel DMS III. Da questi poi si evidenziano i diversi tre sottotipi del Deficit di Attenzione e Iperattività: il tipo Combinato, il tipo con Disattenzione Predominante e il tipo con Iperattività-Impulsività Predominanti. Nel 2001 è stato pubblicato il DSM IV-TR, questa edizione non ha apportato modifiche nella descrizione dei sintomi, ma ne precisa sottotipi e frequenze. Nell’ultima edizione del DSM 5 si hanno ulteriori rivoluzioni, gli autori hanno portato cambiamenti nella rielaborazione formale e concettuale. Le prime riguardano la struttura del manuale, con un assessment dimensionale e un nuovo sistema multiassiale, le seconde invece comportano l’identificazione di nuove categorie diagnostiche, e nuova definizione di alcune categorie già presenti. Per quanto riguarda nello specifico il DDAI viene inserito nella categoria dei disturbo del neurosviluppo dove i criteri rimangono piuttosto simili rispetto a quelli elencati nel DSM IV come i sintomi patognomici che vengono divisi nei due domini dell’Inattenzione e dell’Iperattività/Impulsività. Per porre diagnosi è necessario che compaiono almeno sei sintomi in uno dei due domini. Inoltre il DMS 5 propone degli esempi clinici per definire la diagnosi, estende l’età per porre diagnosi dai 7 ai 12 anni, rimpiazza i sottotipi con degli specificatori, rende possibile diagnosi di comorbidità, e definisce una soglia dei sintomi minimi al di sotto dei quali non è possibile porre diagnosi.

L’altro manuale diagnostico, altrettanto diffuso in Europa, è l’ICD (International Classification of Diseases), stilato dall’OMS-WHO Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948 ed oggi alla

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decima edizione (ICD-10, OMS-WHO, Ginevra, 1993). Il disturbo è anche stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come sindrome ipercinetica (ICD-9, 1992) nel 1992 e, nel 1997, come disturbo ipercinetico (ICD-10,1997).

I 18 sintomi presentati nel DSM-IV sono gli stessi contenuti nell’ICD-10 (OMS, 1992), l’unica differenza si ritrova nell’item (f) della categoria Iperattività-Impulsività (parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una manifestazione di Impulsività e non di Iperattività.

Tutti questi cambiamenti avvenuti nel corso del tempo per quanto riguarda le terminologia sono il riflesso di una migliore conoscenza, avvenuta nel corso degli anni, dell’eziologia, dell’identificazione e della gestione più appropriata di questo disturbo.

In Italia negli ultimi anni si è avuta una grossa diffusione delle conoscenze scientifiche riguardanti il DDAI e le comorbilità ad esso associate con “l'emanazione delle "Linee-Guida per la diagnosi e terapia farmacologia del Disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD) in età evolutiva" approvate dal Consiglio Direttivo della Sinpia il 24/06/2002 e la sottoscrizione della Consensus Nazionale di Consenso del 6-7 Marzo 2003, con approvazione del documento finale intitolato "Indicazioni e strategie terapeutiche per i bambini e gli adolescenti con disturbo da deficit d'attenzione e iperattività", da parte di tutte le società scientifiche e associazioni che si occupano di bambini[...]”.

1.2 Quali sono i sintomi che permettono di individuare i bambini con DDAI?

Le caratteristiche principali che connotano il disturbo si identificano con i criteri del DMS 5: il deficit di attenzione sostenuta, deficit di memoria a breve termine, deficit di pianificazione e autoregolazione, ovvero mancanze in quelle che sono definite le funzioni esecutive accompagnate da l’iperattività e impulsività. La sintomatologia non è causata da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ma piuttosto da difficoltà oggettive nell’autocontrollo e nella capacità di pianificazione. Il bambino dà la sensazione di essere costantemente irrequieto, agitato, incapace di stare fermo, mostra infatti un eccessivo grado di attività motoria. Mostra una difficoltà a regolare i propri movimenti e, spesso le azioni non sono adeguatamente finalizzate. Sono bambini che fanno fatica a controllare i propri impulsi e a posticipare la gratificazione: non sono capaci di aspettare il proprio turno, di rispettare le regole e nemmeno di riflettere prima di agire. Il modo di comportarsi è da imputare alla mancanza di un “dialogo interno” una forma di pensiero interiore, che permette di ripercorrere le fasi di un problema e cercare possibili soluzioni, i bambini con DDAI non essendo in grado di utilizzare questa procedura, si trovano in difficoltà anche nel gestire le emozioni negative,

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come rabbia e frustrazione diventando aggressivi con gli altri. Tutti i soggetti sono accumunati da un profondo desiderio di stringere amicizia con i coetanei, ma alcuni sono carenti di abilità sociali; altri invece riescono a creare rapporti amicali che poi non sono in grado di mantenere a causa della loro impulsività, imponendosi in modo aggressivo. Le relazioni interpersonali e sociali di questi bambini sono connotate da numerosi rifiuti da parte dei compagni, questo accade perché i livelli di aggressività di questi soggetti sono tre volte superiori rispetto alla media e inoltre non riescono a rispettare le regole mentre possono assumere un ruolo collaborativo e attentivo solo nel momento in cui rivestono un ruolo attivo nella relazione. Entrano così in gioco anche altri fattori secondari che derivano dall’interazione dei sintomi primari con l’ambiente circostante. Le situazioni di fallimento, per questi bambini, si ripetono e ciò li porta a sentirsi meno bravi non riuscendo a valutare adeguatamente i traguardi raggiunti. Il rapporto con gli altri è difficile e poco gratificante, in quanto soggetti a continui rimproveri da parte dei genitori e degli insegnanti, queste relazioni connotate da sfumature negative fanno si che i bambini si rapportano con gli altri mostrando ansia, sviluppando scarsa fiducia nelle loro capacità e nel loro valore personale.

Sintomi di disattenzione

“L’attenzione è definibile in molteplici modi, poiché sono diversi i processi che sottostanno allo stesso concetto” (Marzocchi G.M.,2003). Essa implica la selezione delle informazioni utili (attenzione selettiva), l’archiviazione in memoria dopo averle selezionate ulteriormente (attenzione focalizzata), il mantenimento dello stimolo sensoriale dello sforzo prolungato nel tempo (attenzione mantenuta) e l’adattamento allo spostamento dell’attenzione da un contesto a un altro (spostamento dell’attenzione) o l’utilizzo di strategie per svolgere più compiti contemporaneamente (attenzione condivisa). E’ chiaro che il soggetto con un deficit attentivo presenterà difficoltà multiple a diversi livelli che possono andare dalla selezione delle informazioni alla mancanza di flessibilità nel passaggio da un compito a un altro. Il deficit di Attenzione, il bambino con DDAI lo manifesta in tutti i contesti di vita: a casa, a scuola e nelle situazioni sociali. A scuola, appaiono distratti e poco concentrati, passano da un'attività ad un'altra senza concluderne alcuna e senza riuscire ad organizzare il lavoro, perdono il materiale didattico ed in genere tendono a non soddisfare le richieste degli insegnanti. I compiti che richiedono uno sforzo mentale prolungato, particolare concentrazione o capacità organizzativa vengono avvertiti sia dai bambini che dagli adulti affetti da questo disturbo come avversi e vengono così evitati. Questo comportamento è dovuto alle difficoltà del soggetto a mantenere l’attenzione e non ad una sua propensione oppositiva. Come afferma Marzocchi i bambini affetti da deficit attentivo manifestano

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quindi le loro difficoltà soprattutto in «quelle attività in cui è necessario prestare uno sforzo mentale prolungato, un ascolto costante e una cura anche per i dettagli». Nei contesti sociali la disattenzione viene espressa dal soggetto cambiando spesso argomento nella conversazione, non ascoltando gli altri.

Sintomi di iperattività e Sintomi di impulsività

La ricercatrice canadese Rosemary Tannok ha studiato l'attività motoria dei bambini iperattivi utilizzando dei sensori speciali, detti actometri («[…] braccialetti che, applicati ai polsi o alle caviglie con un cinturino, registrano la quantità di movimenti degli arti.»). Attraverso i braccialetti ha potuto dimostrare che il movimento delle braccia di questi bambini è doppio rispetto ai bambini con una attività normale, mentre quello delle loro gambe è di quattro volte superiore. Oltre a questo Tannok ha potuto osservare che il loro livello di iperattività aumenta quando l'attenzione cala, infatti i movimenti tendenzialmente aumentano in tarda mattinata e nel pomeriggio a scuola. Questo incremento di attività è stato interpretato come un tentativo, da parte del bambino con DDAI, «[...] di contrastare le cadute attentive: nel momento in cui egli sente più grave fatica nel prestare attenzione, inconsapevolmente fa aumentare il proprio livello di attività motoria. In questo modo il movimento aiuta il bambino a prolungare i tempi di attenzione e a sopportare lo sforzo cognitivo». I bambini con DDAI appaiono frettolosi, eccessivamente impazienti, hanno grandi difficoltà nel controllare le loro reazioni e nel rapporto con l'altro hanno difficoltà a rispettare i turni di dialogo. «L'impulsività è dunque il contrario della riflessività, ed è dovuta ad un deficit di inibizione.»

Il Deficit di Attenzione e Iperattività si caratterizza per un importante eterogeneità clinica. È possibile, infatti, trovare oltre ai tre diversi sottotipi (Disattento, Iperattivo e Impulsivo) può presentarsi una certa comorbidità con disturbi sia internalizzanti che esternalizzanti. I 18 sintomi riportati per il DDAI dal DSM-5 sono gli stessi riportati dall’ICD 10, l’unica variante è rappresentata dall’item (f) della categoria iperattività-impulsività “Parla eccessivamente” che secondo l’OMS, è una manifestazione non di Iperattività, ma da Impulsività. Nonostante, i criteri del DSM-5 siano gli stessi del DSM-IV sono state apportate delle variazioni nella nuova edizione:

1. Presenza di esempi dopo la descrizione dei sintomi per facilitare nelle diverse età la diagnosi;

2. Il criterio che enunciava che i sintomi devono verificarsi in almeno due contesti è stato rafforzato per “ diversi” sintomi in ogni ambiente;

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3. Il criterio di insorgenza è stato cambiato in “vari sintomi di disattenzione o iperattivi-impulsivi erano presenti prima dei 12 anni”;

4. L’indicazione del disturbo è stata arricchita da una descrizione che specifica ulteriormente le caratteristiche dei sottotipi già presenti;

5. È consentita una diagnosi in comorbidità con disturbo dello spettro autistico;

6. Nella diagnosi degli adulti è necessario sottolineare in modo più evidente la compromissione clinicamente significativa del DDAI;

Vediamo, a questo punto, nella tabella sottostante quali sono i sintomi previsti dal DSM 5 per la diagnosi di DDAI e per la determinazione del quadro clinico della “disattenzione, dell’iperattività e impulsività”:

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DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’ Criteri diagnostici

A.

Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisca con il funzionamento o lo sviluppo come caratterizzato da (1) e/o (2):

1. Disattenzione: Sei o più dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno sei mesi con un intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali scolastiche/lavorative.

Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti sono richiesti 5 sintomi.

a. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o altre attività (per es. omette i dettagli o il lavoro non è accurato).

b. Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o le attività di gioco (per es. ha difficoltà a rimanere concentrato durante le lezioni, una lettura o una conversazione). c. Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente (es. la mente sembra

altrove anche in assenza di distrazioni evidenti).

d. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (es. inizia i compiti ma perde facilmente l’attenzione ). e. Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti o nelle attività (es. ha difficoltà nel

gestire compiti sequenziali; difficoltà nel tenere in ordine materiali e oggetti; lavoro disorganizzato disordinato; gestisce il tempo in maniera inadeguata non riesce a rispettare le scadenza).

f. Spesso prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (es. compiti scolastici o compiti a casa; per gli adolescenti più grandi e per gli adulti stesura di relazioni, compilazione di moduli, revisione di documenti). g. Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività (es. materiale scolastico

portafogli chiavi documenti occhiali telefono cellulare).

h. Spesso è facilmente distraibile da stimoli esterni (es. per gli adolescenti e adulti possono essere compresi anche pensieri incongrui).

i. È spesso sbadato nelle attività quotidiane (es. sbrigare le faccende; fare le commissioni; ricordarsi di fare una telefonata; pagare bollette; perdere gli appuntamenti).

2. Iperattività e Impulsività: Sei o più dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto

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sulle attività sociali scolastiche/lavorative.

Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti sono richiesti 5 sintomi.

a. Spesso si agita o batte le mani i piedi o si dimena sulla sedia.

b. Spesso lascia il proprio posto in una situazione in cui si dovrebbe rimanere seduti (es. lascia il posto in classe, in ufficio o in un altro luogo di lavoro, o in altre situazioni che richiedono di rimanere fermi al proprio posto).

c. Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui risulta inappropriato.

d. È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente.

e. È spesso sotto pressione, agendo come se fosse “azionato da un motore” (es. è incapace di rimanere fermo si sente a disagio nel farlo per un periodo prolungato come nei ristoranti o durante delle riunioni; può essere descritto dagli altri come una persona irrequieta o con cui è difficile avere a che fare).

f. Spesso parla troppo.

g. Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia completata. h. Ha difficoltà ad aspettare il proprio turno (es. aspettare in fila).

i. Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (es. interrompe conversazioni giochi o attività; può iniziare a utilizzare le cose degli altri senza chiedere o ricevere il permesso; adolescenti e adulti possono inserirsi o subentrare in ciò che fanno gli altri).

B.

Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni.

C.

Diversi sintomi di disattenzione e iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti (es. casa, scuola, lavoro; con amici o parenti; in altre attività).

D.

Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

E.

I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (es. disturbo dell’umore, disturbo d’ansia, disturbo dissociativo, disturbo di personalità, intossicazione o astinenza da sostanze).

Specificare quale:

314.01 (F90.2) Manifestazione combinata: se il criterio A1 (disattenzione) e il criterio A2 (iperattività-impulsività) sono soddisfatti entrambi negli ultimi sei mesi.

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314.00 (F90.0) Manifestazione con disattenzione predominante: se il criterio A1 (disattenzione) è soddisfatto ma il criterio A2 (iperattività-impulsività) non è soddisfatto negli ultimi sei mesi.

314.01 (F90.1) Manifestazione con iperattività-impulsività predominante: criterio A2 (iperattività-impulsività) è soddisfatto ma il criterio A1 (disattenzione) non è soddisfatto negli ultimi sei mesi.

Specificare se:

In remissione parziale: quando tutti i criteri sono stati precedentemente soddisfatti negli ultimi sei mesi e i sintomi ancora causano compromissione del funzionamento sociale scolastico lavorativo.

Specificare la gravità attuale:

lieve: Presenti pochi, ove esistenti, sintomi oltre a quelli richiesti per la diagnosi, e i sintomi comportano solo compromissioni minori del funzionamento sociale o lavorativo.

Moderato: Sono presenti i sintomi o compromissione funzionale compresi tra lievi e grave. Grave: sono presenti molti sintomi oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi o diversi sintomi che sono particolarmente gravi, o i sintomi comportano una compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.

1.2.1 Diagnosi differenziale

Disturbo oppositivo provocatorio

Gli individui con disturbo oppositivo provocatorio possono opporsi a compiti scolatici o lavorativi che richiedono applicazione in quanto si oppongono al soddisfacimento delle richieste degli altri. Il loro comportamento è caratterizzato da negatività, ostilità e provocatorietà. Questi sintomi devono essere differenziati dall’avversione per la scuola o per i compiti mentalmente impegnativi dovuta alla difficoltà di sostenere lo sforzo mentale, al dimenticare le istruzioni e all’impulsività caratteristica dei DDAI.

Disturbo esplosivo intermittente

Il DDAI e il disturbo esplosivo a intermittente condividono elevati livelli di impulsività. I soggetti con disturbo esplosivo a intermittente, però a differenza dei soggetti con DDAI, mostrano anche seri episodi di aggressività verso gli altri, mentre non fanno esperienza di

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problemi legati all’attenzione caratteristici invece dei soggetti con DDAI. Inoltre il disturbo esplosivo a intermittente risulta essere raro nell’infanzia.

Altri disturbi del neurosviluppo

L’eccessiva attività motoria tipica dei soggetti con DDAI deve essere distinta dai comportamenti ripetitivi e stereotipati tipici dei disturbi dello spettro autistico. Nel caso dei comportamenti stereotipati, il comportamento generalmente risulta essere ripetitivo e fisso, mentre l’agitazione e l’irrequietezza dei soggetti con DDAI non sono caratterizzate da movimenti ripetitivi. Nel disturbo di Tourette, i tic multipli e frequenti possono essere erroneamente considerati come agitazione del DDAI.

Disturbo specifico dell’apprendimento

I bambini con disturbo specifico dell’apprendimento possono apparire disattenti per gli elevati gradi di frustrazione, della mancanza di interesse o delle abilità limitate. Tuttavia, la disattenzione dei soggetti con disturbo specifico dell’apprendimento non porta a invalidazione al di fuori del contesto scolastico.

Disturbo dello spettro autistico

I soggetti con disturbo dello spettro autistico come quelli con DDAI presentano disfunzioni sociali, difficoltà a gestire il comportamento e disattenzione. Le disfunzioni sociali del bambino con il disturbo dello spettro autistico sono dovuti al disimpegno sociale, alla mancanza di segnali comunicativi del volto e dall’isolamento, questi bambini potrebbero fare dei capricci dovuti all’incapacità di tollerare un cambiamento, mentre i bambini con DDAI possono comportarsi male o fare i capricci a causa di un loro scarso autocontrollo o impulsività.

Disturbo reattivo dell’attaccamento

I bambini con disturbo reattivo dell’attaccamento possono mostrare disinibizione sociale, ma non il cluster completo sintomatologico tipico dei bambini con DDAI.

Disturbo d’ansia

Il DDAI condivide i sintomi di disattenzione con i disturbi d’ansia, il primi mostrano questi sintomi a causa di una loro attrazione per gli stimoli esterni, per nuove attività o a causa del

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loro pensiero rivolto ad attività divertenti, mentre i secondi si mostrano disattenti a causa delle loro preoccupazioni e le ruminazioni.

Disturbi depressivi

I soggetti con disturbi depressivi possono manifestare un’incapacità a concentrarsi. Tuttavia questa mancanza di concentrazione si manifesta in questi soggetti durante il decorso del disturbo.

Disturbo bipolare

Gli individui con disturbo bipolare possono mostrare eccessivi livelli di attività, scarsa concentrazione e impulsività, ma queste caratteristiche sono episodiche, si verificano per diversi giorni ma solo nel corso dell’episodio. Inoltre l’impulsività o la disattenzione nel disturbo bipolare sono accompagnate da caratteristiche bipolari, grandiosità e umore elevato. I bambini con DDAI possono mostrare cambiamenti significativi dell’umore durante la giornata ma tale labilità è diversa dal episodio maniacale il quale per essere classificato tale deve durare 4 o più giorni.

Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente

Il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente è caratterizzato da pervasiva irritabilità e intolleranza alla frustrazione, ma disattenzione disorganizzata e impulsività non sono caratteristiche essenziali.

Disturbi da uso di sostanze

Per la diagnosi differenziale in questo caso ci riferiamo alle chiare evidenze del DDAI anteriori all’abuso di sostanza ottenute da informatori e precedenti documentazioni. Questo viene fatto se la prime manifestazioni di DDAI seguono all’esordio dell’abuso.

Disturbi di personalità

Negli adolescenti e negli adulti è difficile fare una diagnosi differenziale tra DDAI e disturbi di personalità quali narcisistico, borderline, o altri. Tutti questi disturbi condividono uguali caratteristiche di disorganizzazione, di disregolazione delle emozioni e disregolazione cognitiva. Tuttavia il DDAI non presenta comportamenti di autolesionismo, di ambivalenza, o timore dell’abbandono tipici dei disturbi di personalità. Al fine di porre la diagnosi differenziale possono essere richieste osservazioni cliniche estese.

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Disturbi psicotici

Non viene fatta diagnosi di DDAI se l’impulsività e l’iperattività si presentano durante il decorso di un disturbo psicotico.

1.3 Le cause

Ad oggi non sono state identificate le cause dell’insorgenza del DDAI. I dati sull’eziologia del DDAI sono molto scarsi, la difficoltà risiede soprattutto nell’identificare tutti i fattori che si pensa contribuiscano allo sviluppo di questo disturbo, soprattutto perché le “vie” che conducono al DDAI sono eterogenee. Per alcuni studiosi lo sviluppo del DDAI è dovuto a cause ereditarie, mentre per altri è dovuto a fattori esterni o specifici fattori ambientali che possono contribuire al fenotipo sintomatologico, altri ancora, non avendo identificato la causa e trovando difficoltà di prove scientifiche di questo disturbo, sostengono che il DDAI sia una “sindrome inventata”. Come risposta R.A. Barkley afferma che «Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l'ADHD non esiste sono poste a confronto con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinioni potessero godere eguali meriti. Tali tentativi alla fine danno all'opinione pubblica la sensazione che vi sia un sostanziale disaccordo scientifico sul fatto che l'ADHD sia un disturbo reale. Infatti, non esiste affatto tale disaccordo almeno non più di quanto ve ne sia sul fatto che il fumo possa causare il cancro o che il virus dell'HIV causi l'AIDS.».

Inizialmente si pensava che il disturbo fosse confinato all’infanzia e che la maggior parte dei bambini superasse il problema crescendo. Tuttavia le ricerche hanno indicato come i soggetti con DDAI continuano a presentare i sintomi anche bel oltre l’infanzia. Achenbach, Howell e Stanger hanno trovato che rispetto all’iperattività e all’impulsività, è maggiormente probabile che rimangano presenti i problemi legati all’inattenzione nell’età adulta e che questi comportino un deficit più elevato nel funzionamento dell’individuo.

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1.3.1 Fattori di rischio genetici

Nel definire se il Deficit di Attenzione e Iperattività ha una causa genetica sono stati studiati e messi a confronto coppie di gemelli omozigoti e dizigoti. Gli omozigoti essendo portatori dello stesso corredo genetico, ogni loro differenza comportamentale può essere imputata all'ambiente condiviso e non condiviso, mentre i fratelli dizigoti hanno somiglianze nel patrimonio genetico quante quelle di due fratelli non gemelli. E' stato osservato che il fratello gemello omozigote di un bambino che presenta DDAI ha l'80% di probabilità di presentare lo stesso disturbo, mentre nei dizigoti la percentuale scende al 30-35%. Ciò confermerebbe che all'eziologia del DDAI contribuiscano fattori genetici. La disfunzione attenzionale, l’impulsività e l’iperattività che interferiscono con il funzionamento quotidiano dei soggetti con DDAI sarebbe causata, come emerge da studi di neuroimmaging e genetici, da un malfunzionamento di diverse aree cerebrali in particolare corteccia frontale e nucleo caudato, le cui funzioni sono modulate da due neurotrasmettitori: la dopamina e la noradrenalina. Sembrano essere coinvolti varianti di geni che codificano per il trasportatore della dopamina (DAT1) e il recettore per la dopamina (DRD4). Modificazioni in questi due geni sembrerebbero giustificare, almeno in parte, le anomalie quantitative di dopamina rintracciate in bambini ADHD (La Hoste, G.J., et al., 1996). I genetisti molecolari hanno individuato geni del sistema dei recettori della dopamina che influenzano i processi attentivi, come candidato per lo sviluppo del DDAI, sebbene un piccolo numero di studi attribuisca il rischio genetico ai recettori della noradrenalina. Il DDAI sembra essere un disturbo poligenico, derivato dall’effetto cumulativo di più geni (G.M. Marzocchi, Op. cit., pp. 38 – 40). L’incidenza del disturbo appare elevata nei parenti biologici di primo grado di individui con DDAI. L’ereditarietà del DDAI è consistente. Anche se sono stati correlati con il DDAI specifici geni questi non rappresentano fattori causali sufficienti, né necessari. Altri fattori che influenzano i sintomi DDAI possono essere le compromissioni uditive e visive, disturbi del sonno, carenze nutrizionali ed epilessia.

1.3.2 Meccanismi neurobiologici

Numerosi studi sul funzionamento del cervello sono stati fatti dalla metà degli anni 80 in poi, questi hanno permesso di comprendere e ampliare le conoscenze riguardo le possibili cause del DDAI, anche che se le risposte ad oggi risultano comunque poco esaustive. Gli studi e le ricerche più recenti sottolineano la necessità di studiare in modo approfondito la neuroanatomia e i circuiti cerebrali che caratterizzano le persone che soffrono di DDAI, in quanto sono emerse sostanziali

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differenze tra soggetti con il disturbo e senza. Tramite la metodi non invasivi, come le tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), sono state evidenziate alterazioni volumetriche, ossia riduzioni del volume a carico della corteccia prefrontale dorsolaterale, dei due nuclei della base, nucleo caudato e globo pallido, e verme del cervelletto di circa il 4% in soggetti con DDAI rispetto i gruppi di controllo. Queste differenze risultano maggiori nell'emisfero destro, ed appaiono correlate in maniera statisticamente significativa ad alterazioni nelle capacità di inibire la risposta motoria a stimoli ambientali (Castellanos, et al. 2002). È emerso, infatti, che i malfunzionamenti della corteccia prefrontale dorsolaterale causino dei deficit nei processi della memoria di lavoro e di pianificazione; un malfunzionamento dei nuclei della base e delle aree interconnesse con le regioni centrali, portano a uno scarso controllo delle risposte e del monitoraggio delle azioni orientate a uno scopo, generando in questo modo reazioni impulsive da parte del soggetto; e anche le strutture limbiche sembra che abbiano un ruolo nella genesi del disturbo, in particolar modo l’ippocampo che è implicato nei processi attenzionali attraverso la memoria di lavoro visuo-spaziale e nei processi di modulazione delle funzioni esecutive.

Attraverso l'utilizzo di altre metodiche specifiche (RMN funzionale e P.E.T.) è stato scoperto da D. Hales e R.E. Hales, che nelle aree sopra descritte, la metabolizzazione del glucosio è più lenta e vi è una minore irrorazione sanguigna nei bambini con DDAI rispetto al gruppo di controllo. Viene quindi imputata a questa ridotta attività delle aree anteriori del cervello l'incapacità di controllare il proprio comportamento, e le conseguenze che questo comporta sono: iperattività comportamentale, impulsività e riduzione della capacità attentiva, i tre sintomi del DDAI. La causa sembra risiedere nell’aumento di consumo degli zuccheri nella popolazione in generale e nei bambini in particolare, che porta quindi ad una minore tolleranza del glucosio (riscontrata soprattutto nei bambini con DDAI) e ad una sorta di ipoglicemia reattiva, causata da questo aumento del consumo che porterebbe il corpo ad incrementare la produzione di adrenalina e quindi ad una maggiore stimolazione del sistema nervoso. Gli stessi autori non ritengono però opportuno postulare una reazione di causa-effetto per la presenza di variabili libere, quali ad esempio l’evento di possibili reazioni allergiche allo zucchero.

Nelle aree cerebrali fin qui considerate (corteccia frontale e nucleo caudato), diverse funzioni sono modulate da due neurotrasmettitori.

La dopamina è neurotrasmettitore con funzione inibitoria, soprattutto nei confronti di sistemi coinvolti in emozione e movimento (sistema dopaminergico mesocorticale). Due recettori dopaminergici:

- D2: effetto pre-sinaptico - gangli della base - D4: effetto post-sinaptico - regioni corticali

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Il sistema dopaminergico mesocorticale ha un ruolo regolatorio: permette ai neuroni corticali (corteccia prefrontale) di funzionare attraverso l’attivazione di una via finale comune di diversi processi integrativi.

In bambini con DDAI: livelli inferiori di dopamina, sembrano attribuibili alla velocità con cui i neuroni di questi bambini catturano la dopamina presente nello spazio intersinaptico. La noradrenalina invece sembra essere coinvolta nelle connessioni tra corteccia pre-frontale, talamo e locus coeruleus per la regolazione dell’arousal.

1.3.3 Fattori ambientali

La genetica, però non è tutto, un ruolo molto importante lo svolge nell’evoluzione e nell’involuzione del disturbo anche l’ambiente familiare. Barkley fa una distinzione tra ambiente condiviso e ambiente non condiviso. Il primo si riferisce all’insieme di variabili sociali della famiglia: status occupazionale, educazionale e clima familiare. Il secondo invece si riferisce a tutti quei fattori di natura biologica non ereditari. I fattori individuati possono essere divisi anche in prenatali, perinatali e della prima infanzia.

Per quanto riguarda i fattori prenatali ci riferiamo all’abuso di alcol e assunzione di droghe durante la gestazione da parte della madre, ed elevati livelli di ansia o problemi di salute della madre.

I fattori di rischio perinatali, sono dati dal peso del bambino inferiore ai 2,5kg, indicato come una condizione che può triplicare la possibilità di sviluppare il DDAI, ma oltre a questo troviamo anche un basso risultato dell’indice di Apgar.

Per quanto riguarda i fattori di rischio della prima infanzia del bambino si sostiene che ve ne siano alcuni che possono essere tenuti sotto il controllo dei genitori e sono: il ritardo nello sviluppo delle abilità di coordinazione motoria, problemi di respirazione successivialla nascita, il ritardo nell'apprendimento del linguaggio e basso peso corporeo durante la crescita. Tra i due e i tre anni di vita del bambino bisogna prestare una particolare attenzione a determinati comportamenti quali il voler continuamente cambiare attività, avere reazioni spropositate alle stimolazioni dei genitori e un interesse per i giochi di durata molto breve. Durante la scuola dell'infanzia da tenere sotto controllo sono i problemi attentivi, le difficoltà nella regolazione del sonno e nell'alimentazione, problemi di controllo emotivo, l'irritabilità, gli scatti d'ira e i problemi di adattamento alle nuove situazioni. Un ambiente familiare sano ed equilibrato è uno dei principali fattori che determinano una crescita serena dei figli. Nei casi in cui le famiglie siano disorganizzate, presentino problemi coniugali e di stress o siano prive di regole, potrebbero causare l'insorgenza di problemi di attenzione e iperattività

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nei figli. Come ritiene Marzocchi «[...] la maggior parte di bambini nasce già con una predisposizione a sviluppare un DDAI, che successivamente si struttura e si alimenta in base all'ambiente di crescita. Questo, sommato all'educazione dei genitori contribuisce a modellare la personalità e il comportamento del bambino.»

1.4 Evoluzione del disturbo

Il DDAI non cambia con l’età. Fino a non molti anni fa si riteneva che il Deficit Attentivo e l’Iperattività si risolvessero con l’età. Per comprendere meglio l’evoluzione del disturbo è necessario anticipare che esso si manifesta secondo tempi e modalità differenti a seconda di una serie di fattori che mediano le manifestazioni sintomatologiche. Tra queste citiamo: la qualità delle relazioni con i genitori, l’accettazione del bambino nel contesto scolastico, il profilo cognitivo e intellettivo, e la presenza di altri disturbi che, eventualmente, possono complicare il quadro patologico. Le modificazioni evolutive del disturbo sono meglio comprensibili se teniamo presente che le difficoltà sono maggiormente evidenti quando il bambino non riesce a soddisfare le richieste dell’ambiente, per cui i momenti fondamentali e cruciali sono quelli di transizione, ad esempio in coincidenza con l’ingresso nella scuola elementare o alla media.

L’infanzia è caratterizzata soprattutto da manifestazioni di iperattività, mentre nell’adolescenza possono sopraggiungere problemi di autostima e disturbi dell’umore. L’età adulta, invece è distinta da problemi di organizzazione e pianificazione delle attività.

Spesso i primi problemi si manifestano verso i tre quattro anni di età, con un evidente iperattività, litigiosità, assenza di paura, con condotte pericolose atte a provocare danni. Le difficoltà aumentano nel momento dell’ingresso alla scuola elementare perché al bambino vengono richiesti il rispetto delle regole e determinate prestazioni cognitive alle quali non è in grado di far fronte. Con la crescita, l’iperattività tende a diminuire in termini di frequenza e intensità e può venire parzialmente sostituita da “un’agitazione interiorizzata” che si manifesta soprattutto con insofferenza, impazienza e continui cambi di attività o movimenti del corpo (Fischer et al., 1993). Queste manifestazioni di eccessiva attività motoria si attenuano poi verso la fine delle scuole elementari, mentre persistono e subentrano i sintomi di disattenzione e impulsività.

Nell’ età adolescenziale, i ragazzi mostrano deficit nell’attenzione in attività scolastiche, e nella programmazione dei compiti quotidiani. Le attività scolastiche e le relazioni con gli altri sono distinte da un certo grado di instabilità e insuccessi, perciò l’individuo può sviluppare una bassa autostima e scarsa fiducia in sé, manifestando successivamente disturbi ansioso depressivi. Durante

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l’adolescenza ci sono possibili evoluzioni del DDAI. I dati evidenziano che per il 35% dei bambini il disturbo può essere considerato una sorta di “ritardo semplice dello sviluppo delle funzioni esecutive”, il 45% dei soggetti può mostrare un attenuazione dei sintomi iperattivi, con una crescente compromissione emotiva (ansioso depressiva) e sociale, invece il 20% restante mostra disturbi comportamentali di adattamento sociale. Il più importante indice predittivo di tale evoluzione è la presenza, già nell’infanzia, di un disturbo della condotta associato: tale associazione presenta una prognosi significativamente peggiore di quella del disturbo di condotta isolato (Taylor et.al. 1996).

Il soggetto con DDAI, nell’età adulta, ha problemi di adattamento, soprattutto in contesti lavorativi per svariati motivi: scarsa progettualità, intolleranza per la vita sedentaria, affaccendamento afinalistico e condotte rischiose accompagnate dall’uso di sostanze. L’adulto con questo deficit spesso si trova a fare i conti con la marginalità sociale, e con un certo grado di vulnerabilità psicopatologica.

1.5 I Modelli interpretativi

In questo paragrafo non ci soffermeremo nuovamente sulle teorie ormai sorpassate e prese già in esame precedentemente nella sezione relativa alla storia del disturbo, tra cui quelle di Still e quelle sulla Disfunzione Cerebrale Minima.

Dagli anni 70 ad oggi è possibile rintracciare nella letteratura internazionale quanto meno 4 modelli che tentano di esplicare il complesso pattern di deficit cognitivi e comportamentali dei bambini con DDAI.

Negli anni Settanta e Ottanta, Virginia Douglas ha sovvertito lo studio sui processi cognitivi dei bambini con DDAI, la descrizione nosografica del DDAI introdotta dal DSM-III (APA,1980) infatti ha cominciato ad enfatizzare soprattutto i deficit cognitivi rispetto a quelli comportamentali. Il modello della Douglas (1983) delinea la presenza di 4 deficit primari:

1) debole investimento in termini di mantenimento dello sforzo;

2) deficit di modulazione dell’arousal psicofisiologico che rende il soggetto incapace di raggiungere le richieste dei compiti;

3) forte ricerca di stimolazioni e gratificazioni intense ed immediate; 4) difficoltà di controllo degli impulsi;

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A causa di questi deficit, poi si elicita un generale deficit di autoregolazione che include delle debolezze a livello della pianificazione, dell’organizzazione, delle funzioni esecutive, della metacognizione, della flessibilità cognitiva, auto-monitoraggio e auto-correzione.

Il gruppo di Sergeant, successivamente, ha proposto negli anni novanta il modello energetico-cognitivo, nel quale sono previsti tre livelli di elaborazione dell’informazione:

1) sovraordinato: il quale coordina le azioni ed è la sede delle funzioni esecutive

2) energetico: nel quale viene proposta l’esistenza di tre pool: il primo, l’effort (ossia lo sforzo) fornisce al soggetto l’energia necessaria per lo svolgimento di un compito; l’effort, a sua volta controlla l’arousal e l’activation. L’arousal è definito come l’energia necessaria per fornire risposte rapide; l’activation è l’energia necessaria per mantenere la vigilanza.

3) è costituito da tre sistemi: decodifica, processazione e risposta motoria.

Il modello di Sergeant (Sergeant&Van der Meere, 1990; Sergeant et al., 1998) prevede che i bambini con DDAI abbiano un deficit a carico della componente di attivazione che determina una compromissione a livello di esecuzione motoria; mentre risulta intatto il circuito arousal–decodifica. Secondo Sergeant, i bambini con DDAI presentano un deficit a carico della componente di controllo superiore (funzioni esecutive) però non risulta tuttora chiaro quale di questi processi risultano compromessi e quali sembrano intatti.

Nel 1997, Barkley ha proposto il suo modello, il modello delle funzioni esecutive, conosciuto come modello ibrido. Le funzioni esecutive in letteratura non hanno una definizione univoca. Le componenti che compongono questa funzione non sempre sono sovrapponibili tra loro. Dal punto di vista cognitivo, in termini generali ci riferiamo a quelle abilità che permettono al soggetto di pianificare, organizzare monitorare un azione..

Barkley (2006) ritiene che, il soggetto con DDAI presenti all’interno delle funzioni esecutive un deficit di inibizione comportamentale, questa permetterebbe al soggetto il controllo delle interferenze nel corso di un attività orientata verso un preciso obiettivo. Normalmente, un soggetto dovrebbe essere capace ad inibire tutti gli stimoli altri diversi dal compito nel quale è impegnato, in modo che tutte le abilità richieste nello svolgimento del compito come per esempio la memoria possano essere eseguite in modo efficiente e orientate allo scopo. Quello che però accade alle persone con DDAI è che la mancata inibizione a questi stimoli causa caoticità esecutiva, difficoltà a portare a termine un compito e la tendenza ad intraprendere più lavori in contemporanea con lo scopo di raggiungere obiettivi diversi, senza riuscire a completarli. Sulla base di queste osservazioni veniva spiegato che i deficit cognitivi e comportamentali dei soggetti con deficit di attenzione e iperattività fosse dovuto a un alterazione della corteccia prefrontale e quindi delle funzioni esecutive. Barkley evidenziò che le prestazioni dei soggetti con DDAI erano simili a quelle dei

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soggetti che riportavano lesioni prefrontali e sostenne che i deficit nei meccanismi di inibizione determinassero difficoltà nell’area della Working Memory, dell’autoregolazione delle emozioni, dell’interiorizzazione del discorso e dell’analisi e della sintesi degli eventi.

La proposta di Swanson risulta essere più convincente dal punto di vista neuropsicologico (Swanson et al.,1998; Swanson et al., 1999) in quanto riprende la formulazione dei network attentivi proposta da Posner Peters (1990). Il modello di Posner prevede l’esistenza di tre network che controllano i processi attentivi:

1) Esecuzione/controllo. 2) Mantenimento dell’allerta. 3) Orientamento.

La circuiteria che si occupa delle funzioni esecutive controlla i comportamenti diretti ad uno scopo, l’individuazione degli obiettivi, il rilevamento degli errori, la risoluzione dei conflitti e l’inibizione di risposte automatizzate. Dal punto di vista neurologico, il network esecutivo si trova in corrispondenza del lobo frontale mediale, compreso il giro del cingolo, l’area supplementare motoria e una parte dei gangli della base. Il circuito per il mantenimento dell’allerta si occupa del mantenimento dell’attenzione e della prontezza di risposta; ha un corrispondente cerebrale nel lobo frontale destro e nel locus coeruleus. Il network che controlla l’orientamento e l’attenzione spaziale trova una collocazione cerebrale nel lobo parietale.

1.6 Le procedure diagnostiche

Uno degli aspetti più tortuosi, quando si parla di DDAI, è la diagnosi. In primo luogo, ancora oggi, non sono stati messi a punto strumenti di laboratorio, come ad esempio prelievi ematici, EEG, Risonanza Magnetica, né valutazioni neuropsicologiche che siano stati ritenuti di esclusivo valore diagnostico, nella valutazione clinica del disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività. Sono stati realizzati, però, dei test che permettono di seguire l’evoluzione e lo sviluppo nel tempo del DDAI: i test neuropsicologici, i questionari per genitori ed insegnanti, le scale di valutazione. Questi, inoltre, sono strumenti necessari anche per individuare possibili patologie associate come i disturbi d’ansia o dell’umore o disturbi specifici dell’apprendimento, e per studiare i meccanismi neurobiologici che ne sono alla base (Cantwell 1996; Doyle et al. 2000; Hetchman 2000; Swanson et al. 1998). L’iperattività, il deficit di attenzione ed il comportamento impulsivo possono essere sintomi comuni a numerosi disturbi psicopatologici. È necessario, sempre, verificare se tali patologie possono da un lato simulare il DDAI, e se dall’altro possono essere in comorbidità con il DDAI.

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In secondo luogo, alcuni bambini con DDAI posso riuscire a tenere un comportamento controllato in un contesto eteroregolato, come può essere un setting di valutazione, in cui il comportamento e l’attenzione del bambino possono essere modulati dall’esaminatore. È possibile, quindi, che durante la valutazione, il clinico possa non avere alcun riscontro dei comportamenti sintomatici, per questo motivo i manuali diagnostici, quali ICD e DSM, si raccomandano di costatare i sintomi in almeno due contesti di vita del bambino, che generalmente sono la famiglia e la scuola.

La diagnosi di DDAI deve essere effettuata in un centro di competenza specialistico di neuropsichiatria infantile (NPI). La valutazione del disturbo si basa sull’osservazione clinica e sulla raccolta di informazioni fornite da fonti multiple genitori, insegnanti ed educatori. Deve sempre essere fatta una differenziazione del disturbo dalla vivacità dei bambini normali, dalle condizioni legate esclusivamente a contesti sociali svantaggiati, da esperienze traumatiche, da atteggiamenti educativi incongrui ed a modelli sociali o familiari fortemente caratterizzati da impulsività. Il consenso e la cooperazione dei genitori sono, d’altra parte, cruciali per la valutazione del bambino in generale (King et al, 1997). Poiché questo disturbo è complesso, i professionisti spesso lavorano con un team di esperti quali psichiatri infantili, psicologi clinici, pediatri e neurologi.

Negli ultimi decenni la definizione clinica del disturbo, è stata oggetto di numerosi studi che hanno permesso a Istituzioni Sanitarie Internazionali (American Academy of Child Adolescent Psychiatry, American Assosation of pediatrics, European Society of Child Adolescent Psychiatry, National Instistute of Mental Healt [NIMH. USA ], National Institute for Clinical Excellence [NICE, UK]) di poter definire le specifiche linee guida. Tali raccomandazione sono state approvate dal Consiglio Direttivo della Società di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) in data 24, giugno 2002.

Per cui, nel caso in cui si sospetti che un bambino possa essere affetto da disturbo da deficit di Attenzione Iperattività si necessita (Hill and Taylor 2001):

1.Raccogliere informazioni da fonti multiple, genitori e insegnanti, utilizzando interviste semistrutturate e/o questionari standardizzati sui diversi aspetti del comportamento e del funzionamento sociale del bambino.

2.Si deve condurre un colloquio col bambino per verificare la presenza di altri disturbi associati; anche le scale standardizzate di autovalutazione del bambino (ansia, depressione etc.) possono essere utili.

3.Valutazione neuropsicologica e una possibile valutazione degli apprendimenti scolastici; valutare in maniera oggettiva le capacità attentive, di pianificazione delle attività e di autocontrollo.

4.Effettuare l'esame medico e neurologico, valutando la presenza di eventuali patologie associate e gli effetti di eventuali altre terapie inatto.

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Per la raccolta dei dati possono essere utilizzati sia i questionari che le interviste semistrutturate. I questionari che sono utilizzati in maggior misura, di cui esistono le versioni italiane standardizzate o in corso di standardizzazione sono:

1.Child Behavior CheckList (CBCL, Achembach 1991; validazione della versione italiana in corso): consente di definire e misurare un fattore “generale” relativo ai disturbi “esternalizzanti” del comportamento. La CBCL, al fine di costruire un profilo comportamentale del bambino contiene 113 item relativi a una vasta gamma di problemi manifestati dai soggetti con un età compresa tra i 4 e i 16 anni. Il questionario consente di ottenere informazioni sulle competenze dimostrate da bambino in diversi contesti, sportivi, scolastici, sociali e sulla capacità di lavorare e giocare da solo; inoltre permette di evidenziare alcune problematiche quali: la depressione, l’ansia, l’aggressività, la disattenzione e l’impulsività manifestate.

2.Conner’s Teacher, Rating Scale- Revised e Conner’s Parent Ratig Scale (CTRS-R, CPRS-R, forme lunga “-L” e breve “-S”; Conners 1997; validazione della versione italiana in corso): contiene items mirati a indagare comportamenti internalizzanti e esternalizzanti. Queste Scale sono impiegate principalmente per la valutazione del DDAI, sono però ampiamente utilizzate poiché contengono delle Subscale per la valutazione dei problemi della condotta, cognitivi, familiari, emotivi, di autocontrollo e ansia. Queste Scale vengono somministrate sia ai genitori che a insegnati di soggetti con età compresa tra i 3 e 17 anni.

3.Disruptive Behavior Disorder Rating Scale (DBD; Pelham 1992; versioni validate italiane: SCOD-I e SCOD-G, Marzocchi et al. 2001; Marzocchi et al. (inviato per la pubblicazione).

4.ADHD Rating Scale –IV (DuPaul et al; 1998, di cui esiste una versione italiana curata da Marzocchi & Cornoldi).

5.SNAP-IV (Swanson 1992; Conners et al. 2001): la Scala è costituita da 90 item che corrispondono ai criteri del DSM-IV con subscale multiple per la diagnosi di DDAI e di altri disturbi psicopatologici.

6.L’ICD-10/DSM-IV Questionnaire (IDQ; Hartman, Geurt & Sergeant. Analisi dei dati della validazione della versione italiana in corso).

Il loro uso va sempre fatto seguire dall’utilizzo di interviste diagnostiche che esplorano l’intero ventaglio della psicopatologia: ciò consente di individuare eventuali patologie associate, quali disturbi del comportamento, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi di apprendimento, tic e disturbo ossessivo-compulsivo. Quelle di uso più comune sono:

1) Diagnostic Interview for Children and Adolescents (DICA; Reich et al. 1997).

2) Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia, Present and Life-time version (K-SADS-PL; Kaufman 1997): intervista diagnostica per la valutazione dei disturbi psicopatologici

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attuali e passati, in bambini e adolescenti secondo i criteri del DSM-III-R e del DSM-IV. Viene somministrata sia ai ragazzi che ai loro genitori e consente di ottenere un punteggio complessivo che tiene di conto di tutte le informazioni ricavate dalle varie fonti. Essa è composta da un intervista introduttiva non strutturata e un intervista diagnostica di screening, una check-list per la somministrazione dei supplementi diagnostici, cinque supplementi diagnostici, una check-list complessiva della storia clinica del paziente e una scala per la valutazione complessiva del funzionamento attuale del bambino. Si dimostra essere uno strumento fondamentale poiché permette di effettuare un corretto bilancio prognostico, indispensabile per programmare un adeguato intervento terapeutico.

3) Parent Interview of Child Symptom (PICS-IV, Scachar 1996; di cui e’ in corso la validazione della versione italiana): indaga tutte le aree di difficoltà è costituita da 48 item, di cui 10 indagano l’iperattività impulsività e disattenzione, mentre i rimanenti indagano l’apprendimento, l’aggressività, e i problemi comportamentali, psicosomatici e legati all’ansia.

Come già è stato sottolineato in precedenza non esistono test per poter fare diagnosi di DDAI: la misurazione delle capacita di attenzione prolungata, di pianificazione, categorizzazione e di inibizione delle risposte automatiche (funzioni neuropsicologiche localizzate nei lobi frontali,) e dei processi di apprendimento permettono una più precisa descrizione della sindrome. E’ sempre opportuno misurare il livello cognitivo del soggetto con strumenti standardizzati come la WISC IV e valutare le capacità di scrittura, lettura e comprensione del testo per poter fare una diagnosi differenziale con i disturbi specifici dell’apprendimento che possono simulare o essere associati ad un disturbo da deficit attentivo con iperattività.

Va sottolineato che il disturbo cognitivo non coinvolge solo il disturbo dell’attenzione. L’elemento caratterizzante è rappresentato dai deficit che coinvolgono i processi di controllo e regolazione strategica delle risposte cognitive, che si riverberano su diversi ambiti del funzionamento dell’intelligenza come l’attenzione, memoria, ecc. Gli strumenti diagnostici devono essere quindi appropriati a tale complessità.

Il Continuous Performance Test (CPT) valuta il mantenimento della vigilanza per un lungo periodo di tempo, dovendo il soggetto dare risposte premendo un pulsante ad uno stimolo target mescolato tra diversi distruttori con possibilità di omissioni per inattenzione o false risposte per impulsività. Il Matching Familiar Figure Test (MFFT) è un altro test che stima la capacità di inibire risposte rapide ed automatiche.

Un altro test utilizzato è il Change Task, questo è composto da una serie di possibili risposte di “Go” e di “Stop” generalmente il 25%. Nelle prove di “Go”, a seconda di dove è localizzato lo stimolo sullo schermo del pc, deve scegliere tra due pulsanti. In quelle di “Stop”, al bambino viene

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