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CAPITOLO 2 MATERIALI E METODI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

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2.1 Disegno di campionamento

Per ciascuna delle specie prese in esame in questo studio sono stati considerati diversi porti situati in un’area del Mar Mediterraneo pressochè corrispondente alle coste italiane. I campioni sono stati prelevati nel Mar Ligure (Montecarlo, Genova, La Spezia sito 1, La Spezia sito 2, Viareggio, Livorno e Portoferraio), nel Mar Tirreno (Civitavecchia, Olbia e Napoli), nel Mar Ionio (Siracusa e Taranto), nel Mar Adriatico (Ancona, Ravenna e Trieste) e nella Laguna Veneta (Porto Marghera) (Fig. 2.1).

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I siti di campionamento hanno una distanza nautica minima di 0.63 miglia (distanza presente fra i due siti campionati nel porto di La Spezia) ed una massima di 1190 miglia nautiche minime (Montecarlo e Porto Marghera). Nello studio è stata quindi confrontata la variabilità genetica su piccola scala, all’interno del porto di La Spezia, la variabilità su media scala, confrontando campioni provenienti da ognuno dei bacini presenti in Mediterraneo (Mar Ligure, Mar Tirreno, Mar Ionio e Mar Adriatico), e su scala più ampia confrontando i campioni provenienti da bacini diversi.

I campionamenti sono stati effettuati tra l’aprile del 2009 ed il maggio del 2011. Inoltre, soltanto per Amphibalanus amphitrite, sono stati utilizzati alcuni campioni già presenti in laboratorio prelevati fra il dicembre del 2006 ed il marzo del 2007 (Genova, Livorno, Civitavecchia ed Ancona) e fra l’ottobre del 2003 e l’ottobre del 2004 (La Spezia sito 1 e Porto Marghera).

2.1.1 Descrizione dei siti di campionamento

Porto di Montecarlo

Il porto di Montecarlo (Fig. 2.2) è situato in una baia naturale ai piedi della rocca ancestrale dei Principi di Monaco ed è uno dei rari, se non l'unico, porto della Costa Azzurra in acqua profonda. Nell'antichità era già utilizzato come porto commerciale dai greci e dai romani, ma aveva l'inconveniente di non essere ben riparato dai venti dell'est. All'inizio del XX secolo vennero perciò costruiti due moli che contribuirono ad assicurare una migliore protezione del porto. Per migliorare ulteriormente la situazione, negli anni ’70, vennero intrapresi studi che hanno portato alla costruzione, ai piedi della rocca di Gibilterra, di un'opera colossale di 352 metri di lunghezza per un peso di 160.000 tonnellate. Quest'opera, che protegge integralmente il porto dalle mareggiate provenienti da est, ha la particolarità di essere semi-galleggiante al fine di preservare la fauna e la flora marina. Questo nuovo avamporto ha permesso di realizzare un bacino supplementare per ospitare le navi da diporto di grandi dimensioni, e di accogliere le navi da crociera lunghe fino a 300 metri, che fino a quel momento dovevano gettare l’ancora in rada. È grazie alla diga semi galleggiante che è stato possibile lo sviluppo di questa attività, Infatti, il numero degli scali è passato da 101 nel 2002 a

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192 nel 2005 e 210 per il 2006. Inoltre, dal 2006, sono state intraprese diverse azioni a favore dell’ambiente, con il fine di diminuire l’inquinamento all’interno del porto (http://www.ports-monaco.com/).

Fig. 2.2: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Montecarlo.

Il campionamento (circa 50 balani, 40 serpulidi e 30 ascidie) è stato effettuato all’interno di Port Hercules, nei pressi di alcuni moletti galleggianti (coordinate 43° 44 '5.71"N; 7° 25' 32.54"E).

Porto di Genova

Il porto di Genova (Fig. 2.3), situato nell’omonimo golfo, è lo sbocco naturale al mare delle regioni industrializzate del Nord-Ovest d’Italia. Si sviluppa, partendo da levante verso ponente, dal bacino delle Grazie (area ove sorgono cantieri e officine di riparazione navale), poco distante dal quartiere fieristico della Foce e dal porticciolo turistico Duca degli Abruzzi, fino ai moderni terminal per la movimentazione delle merci, poco lontani dalla Lanterna. Risulta in termini di traffici e di ampiezza il maggior porto industriale e commerciale italiano, in concorrenza con Marsiglia e Barcellona nel Mediterraneo, e uno fra i più attivi in Europa.

L’inquinamento delle acque al suo interno è elevato. Gli scarichi fognari provenienti dalla città hanno un effetto notevole, sull’inquinamento del porto, anche a causa della conformazione di bacino semichiuso del corpo ricettore, per cui il rimescolamento delle acque non è sufficiente a diluire il carico organico inquinante. Le emissioni delle ciminiere delle navi provocano inoltre una ricaduta di sostanze nocive. Cause di inquinamento sono anche gli sversamenti accidentali, la ricaduta in mare dei rifiuti presenti sulle banchine

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e dei macrorifiuti giunti in porto dai torrenti in occasione di forti piogge (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Genova,

http://www.porto.genova.it/index.php/it/il-porto-di-genova/il-porto-oggi/lambiente/acqua/inquinamento).

Fig. 2.3: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Genova.

Il campionamento è stato effettuato lungo una banchina in cemento nella zona della Marina Porto Antico (coordinate: 44° 24' 40.60"N; 8° 55' 24.51"E), dove sono stati raccolti una cinquantina di individui per ognuna delle specie campionate, S. plicata è stata prelevata dalle cime di ormeggio delle imbarcazioni, mentre per quanto riguarda H. elegans sono stati prelevati gli individui che si erano insediati sopra i gusci dei mitili nella zona adiacente alle scalette. Il campione di A. amphitrite è stato prelevato in un precedente studio (Montani-Fargna, 2007) rimuovendo gli individui dalla parete del molo.

Porto di La Spezia

Il porto della Spezia (Fig. 2.4) è situato lungo la riviera ligure, tra il parco marino delle Cinque Terre e la provincia di Massa-Carrara. Esso risulta uno dei maggiori scali mercantili del Mar Ligure e si trova nella parte più settentrionale del Golfo di La Spezia in Liguria. Il suo sviluppo risale alla fine del XIX secolo; da allora è cresciuto sino a diventare uno degli scali principali del Mar Mediterraneo, specializzato nella movimentazione di container. Il porto è situato all'interno di una rada di circa 1500 ettari, protetta da una diga foranea di circa 2.200 metri che ne assicura l'operatività tutti i giorni

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dell'anno, ed ha 5.100 metri di banchine e 575.000 m² di aree disponibili con 17.000 metri di binari ferroviari e 3.500 metri di strade.

I pescaggi arrivano fino a 14 metri, nelle zone escavate, consentendo l'attracco alle navi portacontainer di ultima generazione, mentre in altri punti le acque sono fonde soltanto 7 metri. Sono operativi, con relative attrezzature specializzate, due terminal container, tre terminal multipurpose, due terminal petroliferi, un terminal carbonifero, un terminal per GPL, due terminal per cereali, un terminal per oli alimentari, un terminal per rinfuse, le merci trasportate senza essere sistemate in contenitori, e due terminal per cemento (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_della_Spezia).

Le aree del porto di La Spezia scelte per i nostri campionamenti sono: il molo Lagora (sito 1) (coordinate: 44° 6' 7.82"N; 9° 49' 30.98"E), ed il molo Italia (sito 2) (coordinate: 44° 6' 21.08"N; 9° 49' 53.9873"E).

Fig. 2.4: Localizzazione dei due siti di campionamento all’interno del porto della Spezia. La freccia 1 indica il molo Lagora, mentre la 2 indica il molo Italia.

Il molo Lagora (sito 1) divide il porto mercantile dall’arsenale militare, tale area è interessata dallo scarico del canale Lagora e risulta fortemente impattata da metalli pesanti. Sono stati campionati circa 40 individui di H.

elegans prelevati raschiando le concrezioni presenti sulla parete verticale

delle banchine, e 37 individui di S. plicata prelevati dal fondale. Il campione di

A. amphitrite è stato prelevato in un precedente studio (Fé, 2005)

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Il molo Italia (sito 2), è situato ad est del primo sito, a circa 0.63 miglia nautiche di distanza, nei pressi della Capitaneria di Porto, dove attraccano un gran numero di pescherecci. Sono stati prelevati dalle cime di ormeggio di pescherecci attraccati al molo circa 55 individui di S. plicata, mentre per le altre due specie i campioni sono stati prelevati (circa 70 individui per H.

elegans e 180 per A. amphitrite) dai gusci delle cozze attaccate ai moletti e

alle cime di ormeggio del circolo nautico.

Porto di Viareggio

Il porto di Viareggio (Fig. 2.5), è situato nel Mar Ligure alla foce del Canale Burlamacca, emissario del lago di Massaciuccoli, che divide il litorale viareggino in Spiaggia di Ponente, a nord-ovest, e Spiaggia di Levante, a sud-est. L'infrastruttura è costituita da una serie di sei darsene esterne ed interne (la Nuova Darsena, la Darsena della Madonnina, la Darsena Europa, la Darsena Italia, la Darsena Toscana e la Darsena Lucca), dove si trovano diverse centinaia di posti barca. Le darsene più interne sono riservate ai pescherecci e ai cantieri navali, mentre quella meridionale è adibita al traffico commerciale. I fondali hanno profondità mediamente comprese tra i 3 e i 5 metri in tutto il bacino portuale, la cui entrata ed uscita può essere resa molto difficoltosa da venti del terzo quadrante

(http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Viareggio,

http://www.nauticaversilia.com/portale_nautica_versilia/porto_spa.asp).

Fig. 2.5: Localizzazione delle due zone di campionamento all’interno del porto di Viareggio.

La freccia 1 indica la Darsena della Madonnina, mentre la 2 indica la cima di ormeggio dove sono stati prelevati i serpulidi.

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Il campione è stato prelevato in due diverse zone, circa 60 balani e 70 ascidie sono stati raccolti sui pontili riservati alle imbarcazioni da diporto della Darsena della Madonnina (coordinate: 43° 51' 43.89"N; 10° 14' 25.21"E), prima delle tre darsene interne parallele al Canale Burlamacca, con fondali medi di 4.5 m, mentre i 50 serpulidi sono stati campionati su una cima nei pressi di un cantiere navale (coordinate: 43° 51' 37.93"N ;10° 14' 30.73"E).

Porto di Livorno

Il porto di Livorno (Fig. 2.6) si affaccia sul Mar Ligure. È il principale porto della Toscana ed uno dei più importanti tra i porti italiani e dell'intero Mar Mediterraneo. È principalmente interno alla linea di costa e ben protetto dai venti del quadrante sud ed ovest. Notevoli sono le opere di protezione foranea: la diga di Vegliaia, la diga Curvilinea e la diga della Meloria. Il porto è distinto in Porto Vecchio a Sud, Porto Nuovo e Canale Industriale a Nord, e si compone di quattro bacini: Avamporto e Porto Mediceo che caratterizzano il Porto Vecchio, Bacino S. Stefano e Porto Industriale che fanno parte del Porto Nuovo.

Il porto è uno scalo polivalente, dotato cioè di infrastrutture e mezzi che consentono di accogliere qualsiasi tipo di nave e di movimentare qualsiasi categoria merceologica ed ogni tipologia di traffico (rinfuse liquide e solide, crociere, traghetti, prodotti forestali, macchinari, ecc.). La dotazione infrastrutturale del porto permette la connessione alle principali arterie stradali e ferroviarie nazionali ed alle zone aeroportuali di Pisa e Firenze. Grazie al suo hinterland piuttosto ampio, formato principalmente da Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche, molto attivo dal punto di vista imprenditoriale ed industriale, il porto di Livorno movimenta un elevato quantitativo di merci. Al porto si può accedere attraverso due imboccature: la Bocca Nord compresa fra l’estremità Ovest della diga del Marzocco e la diga della Meloria, e la Bocca Sud compresa tra l’estremità Sud della diga Curvilinea e l’estremità Ovest della diga della Vegliaia

(http://www.porto.livorno.it/Info_porto.shtm, http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Livorno).

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Fig. 2.6: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Livorno.

Il campionamento è stato effettuato nel porto Mediceo, che costituisce l’area più vasta del Porto Vecchio, ed a cui si accede attraverso una bocca di accesso orientata a ovest, larga circa 100 m, con profondità massima pari a 12 m, su un pontile galleggiante del Club Nautico di Livorno (coordinate: 43° 32' 55.47"N; 10° 17' 50.85"E). Gli individui (circa 100 balani, 40 serpulidi e 35 ascidie) erano insediati sulle cime di ormeggio e sulla parte immersa del molo.

Porto di Portoferraio

Il porto di Portoferraio (Fig. 2.7) è il principale approdo dell'Isola d'Elba. È stato frequentato dai più antichi popoli mediterranei: Etruschi, Greci, Liguri, Romani, Pisani, e perfino dai Barbareschi. Questo porto è costituito da una darsena completamente banchinata e ad ovest da tre pontili che sono però riservati al traffico commerciale. Inoltre vi è un intenso traffico di traghetti ed aliscafi. Le banchine hanno un fondale che varia da 1 a 6 metri. I natanti da diporto possono ormeggiare a tre banchine: quella della Calata Mazzini, quella della Calata Matteotti e quella della calata Buccari (http://www.marinadiportoferraio.it/,

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Fig. 2.7: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Portoferraio.

Il campionamento è stato effettuato sulla banchina della Calata Matteotti (coordinate: 42° 48' 48.64"N; 10° 19' 53.34"E). I circa 80 individui di H.

elegans ed i 30 di S. plicata sono stati prelevati dalle cime di ormeggio

mentre i circa 50 individui di A. amphitrite sono stati prelevati mediante raschiatura della banchina.

Porto di Civitavecchia

Il porto di Civitavecchia (Fig. 2.8) è conosciuto fin dai tempi antichi come Porto di Roma, fatto costruire da Traiano tra il 103 e 110 D.C. come porto merci. Al giorno d’oggi risulta un importante terminal passeggeri, soprattutto per i collegamenti con Sardegna e Sicilia, ma anche per le cosiddette “Autostrade del mare” che lo collegano a Barcellona, Tunisi, Tolone, Malta e la Corsica. Non a caso è il primo porto in Italia per il traffico dei traghetti (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Civitavecchia).

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Fig. 2.8: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Civitavecchia.

I campioni, 70 individui di A. amphitrite e circa 60 sia di H. elegans che di

S. plicata, sono stati prelevati dalle cime di ormeggio e dalle banchine nei pressi

di un cantiere navale (coordinate: 42° 5' 36.88"N; 11° 47' 12.03"E).

Porto di Olbia

Il porto di Olbia (Fig. 2.9) è il principale scalo marittimo della Sardegna, grazie alla sua posizione geografica vicina alla penisola ed alla sua conformazione naturale, che lo pone all’interno di un profondo golfo protetto da venti e mareggiate. Il porto veniva già utilizzato nel III secolo A.C. dai Romani. La sua attività risulta prevalentemente commerciale con maggiore predisposizione per il traffico di passeggeri, auto e merci tra l’isola ed il continente italiano. Il porto risulta suddiviso in quattro zone:

1. Porto interno: è il porto vecchio utilizzato per grosse imbarcazioni da diporto e piccole navi da crociera;

2. Isola Bianca: costituito da un lungo braccio artificiale in mezzo al mare dove attraccano i traghetti passeggeri e merci e le grandi navi da crociera;

3. Porto Cocciani: situato a nord, vi si ritrovano banchine utilizzate per il solo traffico delle merci;

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4. Porto Palmera: staccato dal porto commerciale, è utilizzato interamente dall’industria per la trasformazione del tonno

(http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Olbia).

Fig. 2.9: Localizzazione dei due siti di campionamento all’interno del porto di di Olbia. La freccia 1 indica il sito di campionamento dell’Isola Bianca, mentre la 2 il sito di campionamento dei balani.

I campioni, sono stati prelevati in due diversi siti. Nel primo (coordinate: 40° 55' 21.60"N; 9° 30' 20.87"E) sono stati campionati circa 55 individui di H.

elegans e di S. plicata, prelevati raschiando la banchina. Visto che A. amphitrite

in questa zona non era presente ci siamo spostati nel sito 2 (coordinate: 40° 55' 3.16"N; 9° 30' 15.26"E), una zona con acque basse protette da un piccolo molo in muratura, dove sono stati prelevati 60 balani.

Porto di Napoli

Il porto di Napoli (Fig. 2.10) è uno dei più importanti porti d'Europa, occupa l’insenatura naturale più a nord del Golfo di Napoli e si estende per alcuni chilometri dal centro della città verso la sua parte orientale. La maggior parte dei traffici si svolge lungo i due moli più importanti e centrali: il Molo Angioino, destinato all'approdo delle navi da crociera, con la famosa Stazione Marittima (la più vasta del globo con i suoi 12 km quadrati di superficie e i dieci approdi per navi di grande e medio tonnellaggio) e il Molo Beverello, dove attraccano i traghetti e gli aliscafi che collegano Napoli con le isole del Golfo (Capri, Ischia, Procida). Questo è uno dei principali porti al mondo per quanto riguarda lo scalo passeggeri, che si dividono in passeggeri diretti alle isole ed alle località del Golfo di Napoli, di Salerno e le isole pontine, e traffico

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crocieristico. Negli ultimi due anni il traffico passeggeri è sempre stato in crescita, raggiungendo i 6.226.078 di passeggeri transitati nel 2010 (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Napoli#Dati_sul_traffico_passeggeri.5B2.5 D).

Per quanto riguarda la movimentazione delle merci il traffico si articola in rinfuse solide e liquide, container, merci varie e traffico ro-ro, afferente al settore del cabotaggio. Per il 2010 il movimento commerciale nel porto è stato di circa 22 milioni di tonnellate, e la consistenza in percentuale dei diversi tipi di traffico evidenzia il peso che ogni voce ha all'interno del porto, soprattutto conferma la vitalità dello scalo in ogni settore commerciale

(http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Napoli#Dati_sul_traffico_passeggeri.5B2.5 D,

http://www.porto.napoli.it/it/settori/stazioneMarittima.php).

Fig. 2.10: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Napoli.

Il campione (circa 60 individui di H. elegans) è stato prelevato da una cima di ormeggio (coordinate: 40° 50' 37.45"N; 14° 16' 29.01"E). Nonostante le protratte ricerche nell’area ed in tutte le banchine accessibili non è stato possibile reperire individui di A. amphitrite o di S. plicata.

Porto di Siracusa

Il porto di Siracusa (Fig. 2.11) è adibito al commercio, al trasporto di passeggeri, al turismo ed alla pesca. Situato nel Mar Ionio meridionale è costituito da due approdi marittimi, uno a nord e uno a sud che sono considerati tra i più antichi scali del Mediterraneo.

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73 1. Porto Piccolo a nord di Ortigia;

2. Porto Grande posto a sud della città di Siracusa.

Il porto in tempi recenti si è ridotto sempre più ad uno scalo secondario, sottoutilizzato, nonostante le sue potenzialità. È in progetto la costruzione di un nuovo porto turistico (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Siracusa).

Fig. 2.11: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Siracusa.

Il campionamento di circa 50 balani, circa 20 serpulidi e di 9 ascidie è stato effettuato sulle cime di ormeggio e sulle banchine del Porto Piccolo (coordinate: 37° 4' 2.51"N; 15° 17' 23.48"E).

Porto di Taranto

Il porto di Taranto (Fig. 2.12), secondo in Italia per il traffico di merci, è situato sulla costa settentrionale dell’omonimo golfo e riveste un ruolo importante sia dal punto di vista commerciale che da quello strategico. L'installazione più recente è costituita dal terminal container ubicato sul molo polisettoriale, una struttura modernissima completa di sistemi telematici e torre di controllo, con una capacità di stoccaggio e movimentazione merci di circa 2.000.000 di TEU/anno. Esiste inoltre un impianto per il trasporto del petrolio greggio destinato ad alimentare la raffineria attraverso alcune condotte sottomarine. Il porto turistico è situato sulle aree del Molo Sant'Eligio (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Taranto).

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Fig. 2.12: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Taranto.

I campioni (40 individui per specie) sono stati prelevati dalle cime di ormeggio delle imbarcazioni presenti su dei moletti adiacenti al terminal container (coordinate: 40° 28' 49.85"N; 17° 13' 33.07"E).

Porto di Manfredonia

Il porto di Manfredonia (Fig. 2.13) è protetto da due moli a gomito: il Molo di Ponente, orientato verso sud-est, tutto banchinato è riservato al traffico commerciale; ed il Molo di Levante orientato a sud che è riservato all'ormeggio dei pescherecci. Vi sono inoltre il Molo Trapezoidale, orientato verso est-nord-est, a circa 120 m dalla radice del Molo di Ponente, riservato dal lato sud alle navi passeggeri che svolgono servizio per le Isole Tremiti, e la Banchina di Tramontana che si estende parallela alla città ed è destinata ai natanti da pesca, alle imbarcazioni di servizio della Capitaneria di Porto. Vi è inoltre un’altra struttura esterna al porto vecchio: il bacino alti fondali (porto industriale). Quest’ultimo è un porto isola difeso a levante da un muro sopraflutto a gomito ed a ponente da un muro sottoflutto. Il fondale minimo del

bacino portuale e di 9.9 m

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Fig. 2.13: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Manfredonia.

I campioni (circa 30 serpulidi e circa 60 ascidie) sono stati prelevati dalle cime di ormeggio delle imbarcazioni presenti su dei moletti galleggianti situati nel tratto di mare compreso fra la Banchina di Tramontana ed il Molo di Levante (coordinate: 41° 37' 40.50"N; 15° 55' 10.40"E). Nonostante le protratte ricerche nell’area ed in tutte le banchine accessibili non è stato possibile reperire individui di A. amphitrite.

Porto di Ancona

Il porto di Ancona (Fig. 2.14) è uno dei primi dell’Adriatico per numero di imbarchi, per le merci e per la pesca. È protetto da due grandi moli e internamente presenta numerose banchine, di cui una destinata alla pesca, mentre le altre sono riservate al traffico commerciale. I pescherecci vengono inoltre ormeggiati nei pontili presso la Mole Vanvitelliana. Dall'estate 2005 in questo porto fanno scalo anche alcune navi da crociera, e nell’ultimo anno il traffico crocieristico ha avuto un incremento dell’80% rispetto all'anno precedente. Nell’ultimo anno il traffico di merci ha riscontrato un calo anche se minimo (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Ancona).

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Fig. 2.14: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Ancona.

Il campionamento è stato effettuato nei pressi della Mole Vanvitelliana. Gli individui (circa 50 per specie), sono stati prelevati dalle cime di ormeggio di alcune imbarcazioni attraccate ai moletti in metallo fissati alle opere in muratura (coordinate: 43° 36' 47.71"N; 13° 30' 14.69"E).

Porto di Ravenna

Il porto di Ravenna (Fig. 2.15) è diventato un grande porto di rilevanza economica internazionale nell'ultimo dopoguerra, in coincidenza con l'insediamento sulle sponde del porto canale di raffinerie e del petrolchimico, legato alla scoperta di estesi giacimenti di metano nelle acque antistanti la città. Con la crisi petrolifera degli anni '70 si sono accentuate le caratteristiche commerciali dello scalo ed, a quelli già avviati, si sono aggiunti nuovi terminal specializzati nella movimentazione di rinfuse, merci e container. Attualmente il porto di Ravenna è una grande struttura in grado di offrire la più completa gamma di servizi ad ogni tipo di merce, ed è uno dei maggiori in Italia per quanto riguarda le rinfuse solide. È leader nello sbarco delle materie prime per l'industria della ceramica, dei cereali, dei fertilizzanti e degli sfarinati ed è inoltre un importante scalo per merci varie, come il legname ed i prodotti metallurgici. In virtù della sua strategica posizione geografica, il porto di Ravenna si

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caratterizza come leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati del Mediterraneo orientale e del Mar Nero (circa il 30% del totale nazionale ad esclusione dei prodotti petroliferi) e svolge una funzione importante per quelli con il Medio e l'Estremo Oriente. Il Terminal Traghetti e Passeggeri occupa un'area di 125.000 m2 e dispone di due ormeggi per navi traghetto e di un ormeggio per navi da crociera con un fondale di 10,5 m. Al Terminal fanno capo i traghetti della linea Ravenna-Catania ed il crescente traffico crocieristico

(http://www.port.ravenna.it/).

Fig. 2.15: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Ravenna.

Il campione è stato prelevato sulla banchina di ormeggio dei pescherecci (coordinate: 44° 29' 30.21"N; 12° 16' 51.53"E). Da questo porto sono stati prelevati circa 100 individui di A. amphitrite, circa 50 di S. plicata e 10 di H.

elegans. L’esiguo numero di individui ottenuti per H. elegans è dovuto al fatto

che la maggior parte dei tubi di serpulidi prelevati non contenevano più l’animale.

Porto Marghera

La laguna di Venezia è una delle più grandi in Europa e la più grande in Italia. È collegata al mare Adriatico da tre aperture, che consentono la suddivisione della laguna in tre sottobacini separati da due spartiacque. Parte della laguna è utilizzata per l’acquacoltura. Una rilevante fonte di inquinamento per il bacino è rappresentata dal sito industriale di Porto Marghera (Fig. 2.16), dove sono presenti cantieri navali e attività di rimessaggio, responsabili degli scarichi industriali direttamente versati in laguna. Da tempo è stata riscontrata

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contaminazione delle falde acquifere presenti in zona, ed in parte si stanno compiendo opere di bonifica. Si sta inoltre procedendo con la messa in sicurezza dell'area attraverso la realizzazione delle opere di marginamento delle sponde (http://www.coses.it/news/marghera.html;

http://www.dsa.unipr.it/lagunet/infosheet/01-venice.pdf).

Fig. 2.16: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Porto Marghera.

Il campionamento è stato effettuato sull’argine del canale che porta nei pressi della dogana (coordinate: 45° 28' 27.59"N; 12° 14' 19.69"E) da cui sono stati prelevati circa 100 balani. Nonostante le protratte ricerche nell’area ed in tutte le banchine accessibili non è stato possibile reperire individui di H. elegans e S. plicata.

Porto di Trieste

Il porto di Trieste (Fig. 2.17) si divide in cinque parti: tre (il porto vecchio, il porto nuovo ed il terminal del legname) sono adibite a fini commerciali, le restanti due sono utilizzate a scopo industriale e petrolifero. Questo porto è inoltre caratterizzato dalla presenza di fondali profondi (18m), di un’eccellente accessibilità nautica e di ottimi raccordi ferroviari e stradali. Tali caratteristiche rendono questo porto ideale sia alla movimentazione di merci che al traffico passeggeri, con traghetti e crociere. Situato al centro dell’Europa, Trieste fa da punto di snodo internazionale per i flussi d’interscambio terra-mare del mercato del Centro ed Est Europa. Questo porto svolge un ruolo decisivo sia nei collegamenti marittimi intercontinentali a lungo raggio (Cina, India ed Estremo Oriente) che nelle relazioni a corto-medio raggio intra-mediterranee. Queste

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caratteristiche hanno quindi favorito lo sviluppo del porto che attualmente, dopo una crisi verificatasi nel 2008, registra un aumento costante dei traffici soprattutto per quanto riguarda la movimentazione delle merci

(http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Trieste, http://www.itccarli.it/italiano/cmtsport.htm, http://www.porto.trieste.it/).

Fig. 2.17: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Trieste.

I campionamenti sono stati effettuati nella zona del Porto Vecchio in prossimità di alcuni moletti galleggianti (coordinate: 45° 38' 52.06"N; 13° 45' 41.24"E). Le ascidie (circa 30) sono state prelevate dalle cime di ormeggio, mentre i balani (circa un centinaio di individui) ed i policheti (10 individui) sono stati prelevati raschiando le banchine su cui si erano insediati. L’esiguo numero di H. elegans campionato è dovuto al fatto che, dall’analisi al microscopio, dei molti serpulidi campionati la gran parte è risultato appartenere alla specie

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2.1.2 Raccolta dei campioni

I campioni sono stati prelevati da terra, dalle banchine e dalle cime di ormeggio delle barche. Il prelievo è avvenuto in due diversi modi: manualmente per quanto riguarda Styela plicata e Hydroides elegans quando presenti sulle cime di ormeggio e mediante uno strumento costruito ad hoc (Fig. 2.18) per gli organismi insediati sulle pareti delle banchine (Amphibalanus amphitrite, Styela

plicata e Hydroides elegans).

Fig. 2.18: Strumento utilizzato per il prelievo degli organismi dalle pareti delle banchine portuali.

Tale strumento, realizzato in acciaio, consiste in un cestello di forma rettangolare (dimensioni 10x5x8 cm) con il manico estendibile fino ad una lunghezza di circa quattro metri. Il cestello, dotato di un lato affilato, viene appoggiato alla murata della banchina e tirato verso l’alto in modo da raschiare dal substrato gli organismi e farli cadere all’interno del cestello il cui fondo è costituito da una fitta rete in plastica che permette la fuoriuscita dell’acqua ed il facile recupero degli animali.

Da ciascun porto campionato sono stati raccolti almeno 35 esemplari di ciascuna specie, da un’area di estensione limitata (pochi metri). Nel porto di La Spezia si è inoltre deciso di replicare il campionamento in due siti (distanti fra loro 0.63 miglia nautiche minime) per consentire di indagare la variabilità genetica su piccola scala spaziale.

Al momento del prelievo i campioni sono stati fissati in etanolo al 96%. Una volta giunti in laboratorio, e comunque nel minor tempo possibile, gli organismi sono stati nuovamente controllati tramite una seconda identificazione più accurata, ripuliti e ove necessario fissati in nuovo etanolo al 96% per consentire una migliore conservazione dei tessuti. La base calcarea di A.

(22)

81

amphitrite è stata forata immediatamente dopo il prelievo, mediante l’utilizzo di

una spatola, per consentire l’ingresso dell’etanolo all’interno della cavità del mantello e la fissazione dei tessuti molli dell’animale. In laboratorio si è inoltre provveduto a rimuovere dal guscio eventuali incrostazioni e depositi di sedimento per facilitare il riconoscimento della specie, verificando la presenza dei caratteri specie-specifici che permettono di distinguere A. amphitrite da altre specie di cirripedi (Tab. 2.1).

Tab. 2.1: Scheda tecnica per il riconoscimento delle specie di cirripedi presenti negli ambienti

portuali italiani.

Amphibalanus

amphitrite

Guscio liscio poco spesso di forma conica, placche bianche con strie rosate. L'apertura opercolare è ampia e di forma romboidale. Gli scuta hanno una colorazione scura sulla quale spicca una fascia chiara. Terga e scuta non sono molto infossati nell'apertura opercolare. Diametro basale massimo nei mari italiani di 18-20 mm.

Balanus

perforatus

Guscio massiccio di forma marcatamente conica e di colore rosato. L'apertura opercolare è piccola e dotata di uno sperone molto lungo. I terga e gli scuta sono inoltre abbastanza affossati nell'apertura opercolare. Le membrane tergoscutali sono di colore rosso scuro e cioccolato macchiate di blu turchese o meno di frequente di bianco. Il diametro basale puòarrivare a 30 mm.

Balanus

improvisus

Guscio liscio di colore bianco di forma solitamente conica. Apertura opercolare romboidale abbastanza piccola. Bordo superiore dei radi liscio ed assai obliquo. Membrane tergoscutali macchiate di bianco. Il diametro rostro-carenale massimo in Italia raggiunge gli 11 mm.

Balanus

eburneus

Guscio di color bianco crema di forma conica negli individui isolati mentre in quelli concresciuti è cilindrica o caliciforme. Apertura opercolare subtriangolare con bordo irregolare e crenulato. Terga e scuta non molto infossati nell'apertura opercolare. Membrane tergo-scutali bianco crema con macchie marroni. Gli individui che vivono in acque salate non superano i 15-18 mm di diametro basale, mentre quelli lagunari arrivano a 30 mm anche in altezza oltre che in diametro.

(23)

82

Balanus

trigonus

Guscio di color rosa o rosso lilla, con pareti percorse da coste in rilievo, biancastre e convergenti in alto. Apertura opercolare triangolare, gli scuta sono percorsi sulla faccia esterna da una o sei serie di fossette formate dall'incrocio delle costate longitudinali e trasversali, queste fossette a volte possono essere poco evidenti o completamente assenti. I terga hanno uno sperone corto e largo, privo di solco. Dimensioni basali massime del diametro di 18 mm.

Successivamente al prelievo, gli individui di Styela plicata sono stati lavati in laboratorio in acqua di mare e da essi sono stati rimossi manualmente gli organismi epibionti, come ad esempio briozoi, altre ascidie coloniali ed alghe.

Una volta giunti in laboratorio i serpulidi sono stati estratti dai tubi calcarei in cui vivono, con l’ausilio di apposite pinzette. Successivamente l’osservazione al microscopio della forma dell’opercolo, preventivamente ripulito con un pennellino, ha reso possibile la determinazione della specie.

I campioni così trattati sono stati inseriti in contenitori contenenti nuovo etanolo al 96% e riportanti il nome della specie, il porto ed il sito, nel caso in cui siano state campionate più zone all’interno dello stesso porto, e la data di campionamento. I campioni sono stati quindi riposti in freezer a -20 °C fino al loro utilizzo nelle analisi genetiche.

2.2 Protocollo di estrazione del DNA

Per ciascuna delle specie oggetto di studio è stato ottimizzato un diverso protocollo di estrazione del DNA, che ci ha permesso di ottenere da ciascuna di esse DNA di buona qualità utile per l’amplificazione tramite PCR.

2.2.1 Estrazione del DNA da A. amphitrite

Per Amphibalanus amphitrite è stato utilizzato il protocollo di estrazione fenolo-cloroformio (Sambrook et al., 1989), a cui sono state apportate alcune modifiche (Fé, 2004). Da ogni animale analizzato sono stati prelevati soltanto i filamenti di tessuto muscolare (almeno 30-40) dei grandi muscoli opercolari e di quelli mandibolari (Fig. 2.19a e b). Il prelievo dei tessuti ha richiesto l’utilizzo di un binoculare dotato di fibre ottiche con cui effettuare l’operazione. Per evitare

(24)

83

la degradazione del DNA durante il prelievo dei fasci, gli individui sono stati posti in piccole piastre Petri contenenti etanolo al 70%. L’isolamento dei tessuti è stato portato a termine utilizzando delle pinzette a punta ricurva ed altre a punta affilata. Subito dopo il prelievo le fibre muscolari sono state immerse nella soluzione di lisi TNES (Tris-NaCl-EDTA-SDS) (vedi Appendice I per le ricette delle soluzioni tampone) e si è proceduto con il protocollo di estrazione del DNA.

Il protocollo di estrazione del DNA ha previsto le seguenti fasi:

1. aggiunta al tessuto di 270 μl di soluzione di lisi TNES (Tris-NaCl-EDTA-SDS) e 30 μl di proteinasi K [10 mg/ml] (pK), incubazione a 55° C per la notte;

2. aggiunta di 100 μl di fenolo cloroformio isoamilalcool [25:24:1] e miscelazione nel rotore per 10 minuti, successivo posizionamento in freezer a -20° C per 30 minuti e in seguito centrifugazione per 10 minuti a 13000 rpm (rotazioni per minuto);

Fig. 2.19b: Muscoli mandibolari di A. amphitrite: p=palpo,

md=mandibola, md1=muscolo dorsale della mandibola, md2=muscolo laterale della mandibola, md3 e md4=muscoli depressori della mandibola; mp=muscolo del palpo (da Stubbings, 1975).

Fig. 2.19a: Muscoli opercolari di A. amphitrite: t=terga;

sc=scuta; dt=detrattore dei terga; dscr=detrattore degli scuta rostrali; dscl=detrattore degli scuta laterali; adsc=adduttori scutali (da Stubbings, 1975).

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84

3. trasferimento del surnatante in nuove provette facendo attenzione a non toccare l’interfaccia con la miscela sottostante;

4. aggiunta al surnatante di 100 μl di cloroformio isoamilalcool [24:1], miscelazione nel rotore per 10 minuti quindi centrifugazione per 10 minuti alla massima velocità (13000 rpm);

5. trasferimento del surnatante in nuove provette facendo attenzione a non toccare l’interfaccia con la miscela sottostante;

6. aggiunta al surnatante di 300 μl di etanolo assoluto e 3 μl di NaCl 3 M (per creare un ambiente ionico più favorevole alla precipitazione del DNA), miscelazione nel rotore per qualche minuto ed incubazione a –20° C per almeno 2 ore (o per la notte); 7. centrifugazione per 15 minuti alla massima velocità ed

eliminazione, tramite pipettatura, della componente liquida, facendo attenzione a non perdere il pellet;

8. lavaggio del pellet con 300 μl di etanolo al 70% (costituito da etanolo al 95% diluito con acqua milliQ autoclavata), agitazione manuale e centrifugazione per 5 minuti a 13000 rpm;

9. rimozione dell’etanolo tramite pipettatura, facendo attenzione a non perdere il pellet e ripetizione del lavaggio con etanolo al 70% almeno un’altra volta;

10. asciugatura del pellet all’aria o nel blocco termostato a 37 °C lasciando aperto il coperchio della provetta (non lasciare troppo a lungo nel blocco perché il DNA potrebbe degradarsi);

11. risospensione del pellet in 30 μl di soluzione TE (Tris-EDTA), agitazione veloce e centrifugazione breve (meglio conservare il pellet così risospeso a 4°C per una notte per facilitarne la dissoluzione prima di effettuare la corsa elettroforetica di verifica); 12. conservazione a lungo termine del DNA in soluzione a –20° C.

Utilizzando questo protocollo di estrazione si è ottenuto un DNA abbondante e di ottima qualità (Fig. 2.20).

(26)

85

Fig. 2.20: Esempio di DNA estratto da Amphibalanus amphitrite con il metodo

fenolo-cloroformio.

In Tab. 2.2 è riportato il numero di individui di A. amphitrite da cui è stato estratto il DNA e la località di provenienza.

Tab. 2.2: La tabella riporta il numero di individui di Amphibalanus amphitrite da cui è stato

estratto il DNA e la località di provenienza.

LOCALITA' N°

INDIVIDUI LOCALITA'

N° INDIVIDUI

Montecarlo 26 Siracusa 14

La Spezia (sito 2) 30 Taranto 30

Viareggio 30 Ravenna 27

Portoferraio 21 Trieste 21

Olbia 30

I campioni provenienti dai siti di Genova, La Spezia sito 1, Livorno, Civitavecchia, Ancona e Porto Marghera, provengono da studi precedenti (Fé, 2004; Montani-Fargna, 2007) ed il DNA utilizzato era stato precedentemente estratto.

2.2.2 Estrazione del DNA da H. elegans

L’estrazione del DNA genomico da Hydroides elegans è stata effettuata utilizzando il tessuto molle dell’intero animale privato del tubo calcareo e dell’opercolo (Fig. 2.21).

(27)

86

Fig. 2.21: Opercolo di Hydroides elegans con verticillo inferiore e superiore.

Per arrivare ad un protocollo di estrazione del DNA ottimizzato sono stati effettuati diversi tentativi di amplificazione, condotti facendo riferimento al protocollo Salting Out standard (Aljanabi & Martinez, 1997) ed al protocollo fenolo cloroformio utilizzato per A. amphitrite (vedi paragrafo precedente). Nel corso del processo di ottimizzazione sono stati variati alcuni reagenti per composizione e concentrazione fino al raggiungimento di risultati soddisfacenti. Di seguito viene riportato il protocollo Salting Out ottimizzato per H. elegans dal quale si è ottenuto una banda ben definita di DNA ad alto peso molecolare ed una scarsa quantità di residui (Fig. 2.22).

Fig. 2.22: DNA estratto da Hydroides elegans visualizzato su gel di agarosio al 1%, ogni banda

rappresenta il DNA estratto da un diverso individuo.

Il protocollo di estrazione ha previsto i seguenti passaggi:

1. risospensione del tessuto dell’intero individuo, privato dell’opercolo (conservato dopo la dissezione in etanolo al 96% a -20 °C per eventuale analisi tassonomica successiva) in una provetta da 1.7 ml con 270 μl di una soluzione contenente: TNE (Tris-NaCl-EDTA) 0.6% di SDS (Sodio-Dodecil-Solfato) e con 30 μl di Proteinasi K [10mg/ml];

2. agitazione veloce e centrifugazione breve; 3. incubazione per 2-3 ore a 55 °C;

(28)

87

4. aggiunta di 100 μl di NaCl 6M (per creare un ambiente ionico più favorevole alla precipitazione del DNA);

5. agitazione veloce per 15 sec;

6. centrifugazione per 18 min a 1300 rpm (rotazioni per minuto); 7. preparazione di un nuovo set di provette da 1.5 ml in cui inserire 2

volumi (800 μl) di etanolo assoluto;

8. rimozione della soluzione dal primo set (circa 300 μl) prestando attenzione a non prelevare l’eventuale schiuma presente sulla superficie e a non toccare il pellet bianco sul fondo della provetta; 9. addizione della soluzione rimossa al set di provette contenenti

etanolo assoluto ed agitazione manuale;

10. mantenimento della soluzione a –20 °C per almeno 2 ore; 11. centrifugazione per 15 min alla massima velocità (1300 rpm); 12. rimozione dell’etanolo assoluto (versandolo o pipettandolo),

risospensione del pellet in 300 μl di etanolo al 70% (costituito da etanolo al 95% diluito con acqua milliQ autoclavata), agitazione veloce e centrifugazione per 5 min a 1300 rpm (rimozione dell’etanolo assoluto e ripetizione dell’operazione per 2-3 volte); 13. asciugatura del pellet all’aria o nel blocco termostatato a 37°C

lasciando aperto il coperchio della provetta;

14. risospenzione dell pellet in 30 μl di TE (Tris-EDTA) buffer. Agitazione veloce e centrifugazione breve. Conservazione del pellet risospeso a 4 °C per una notte per facilitarne la dissoluzione;

15. mantenimento del DNA in soluzione in freezer a –20 °C.

Il numero di individui per località di campionamento dai quali è stato estratto il DNA è riportato in Tab. 2.3.

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88

Tab. 2.3: La tabella riporta il numero di individui di H. elegans da cui è stato estratto il DNA e la

località di provenienza. LOCALITA' N° INDIVIDUI LOCALITA' N° INDIVIDUI Montecarlo 10 Olbia 37 Genova 31 Napoli 31

La Spezia (sito 1) 30 Siracusa 10

La Spezia (sito 2) 30 Taranto 30

Viareggio 30 Manfredonia 30

Livorno 30 Ancona 31

Portoferraio 32 Ravenna 9

Civitavecchia 30 Trieste 10

2.2.3 Estrazione del DNA da S. plicata

Per Styela plicata si è provato ad estrarre il DNA da tre diversi tessuti: una porzione di cestello branchiale (Fig. 2.23a) ripulita dalle particelle di cibo presenti al momento della fissazione in etanolo al 96%; un lembo di tessuto muscolare (un quadrato di circa 5 mm di lato) di uno dei due sifoni (Fig. 2.23b) ed infine parte del tessuto gonadico (Fig. 2.23c).

Fig. 2.23: Tessuti utilizzati per l’estrazione del DNA da Styela plicata: a) cestello branchiale; b)

sifone e c) gonadi.

Sono stati effettuati diversi tentativi di amplificazione, condotti facendo riferimento al protocollo Salting Out standard (Aljanabi & Martinez, 1997), ed al protocollo fenolo cloroformio utilizzato per A. amphitrite. Nel corso dei tentativi fatti utilizzando questi due protocolli, sono stati variati il tipo di tessuto utilizzato

(30)

89

e la composizione e la concentrazione di alcuni reagenti al fine di ottenere risultati soddisfacenti. Avendo appurato che il DNA estratto con i due protocolli testati, e modificati, anche dopo digestione con RNasi, non forniva risultati utili all’amplificazione del DNA, si è provato ad estrarre il DNA mediante colonnine Sigma (Sigma-Aldrich: GenElute Mammalian Genomic DNA Miniprep Kit) dal tessuto delle gonadi. Con questo protocollo di estrazione è stato ottenuto un DNA abbondante e di buona qualità (Fig. 2.25).

Fig. 2.25: DNA estratto da Styela plicata mediante SIGMA GenElute Mammalian Genomic DNA

Miniprep Kit.

Il protocollo finale ha previsto che, dopo il prelievo, circa 25 mg di tessuto venissero inseriti in una provetta Eppendorf da 1.5 ml e fatti asciugare completamente nel Termoblock a circa 50°C per 1 minuto, lasciando la provetta aperta in modo da favorire l’evaporazione dell’etanolo residuo. Una volta portata a termine questa operazione sono stati effettuati i passaggi di seguito riportati e tratti dal manuale di istruzioni SIGMA del GenElute Mammalian Genomic DNA Miniprep Kit (Fig. 2.24):

1. aggiunta di 180 μl di Lisi T e 20 μl di Proteinasi K, incubazione a 55°C fino a quando il tessuto non è completamente lisato (2-4 ore) agitando i campioni circa ogni 30 minuti;

2. aggiunta di 200 μl di Lisi C, agitazione per 15 secondi ed incubazione a 70°C per 10 minuti;

3. preparazione delle colonnine tramite inserimento di 500 μl di Column Preparation Solution e centrifugazione a 13000 rpm per 1 minuto, eliminazione del liquido dalla provetta serbatoio sottostante;

(31)

90

4. aggiunta di 200 μl di etanolo al lisato nella provetta Eppendorf ed agitazione per 5-10 minuti fino a rendere la soluzione omogenea; 5. trasferimento dell’intero contenuto della provetta all’interno della

colonnina e centrifugazione a 9500 rpm per 1 minuto. Rimozione della provetta serbatoio sottostante ed utilizzo di una nuova provetta serbatoio;

6. aggiunta di 500 μl di soluzione di risciacquo concentrata e centrifugazione per 1 minuto a 9500 rpm. Rimozione della provetta serbatoio sottostante ed utilizzo di una nuova provetta serbatoio; 7. aggiunta di 500 μl di soluzione di risciacquo concentrata e

centrifugazione per 3 minuti a 13000 rpm. Rimozione della provetta serbatoio sottostante ed utilizzo di una provetta Eppendorf da 1.5 ml;

8. aggiunta di 100 μl di soluzione di eluizione direttamente al centro della membrana, incubazione per 10 minuti e centrifugazione per 1 minuto a 9500 rpm; conservazione a -20°C dei 100 μl di soluzione di DNA contenuti nella provetta Eppendorf;

9. ripetizione del passaggio precedente con una nuova provetta Eppendorf da 1.5 ml e conservazione a -20°C dei 100 μl di soluzione di DNA contenuti nella provetta Eppendorf.

Fig. 2.24: Protocollo di estrazione tramite colonnine SIGMA del GenElute Mammalian Genomic

DNA Miniprep Kit.

In Tab. 2.4 vengono riportati il numero di individui di S. plicata per località di campionamento dai quali è stato estratto il DNA.

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91

Tab. 2.4: La tabella riporta il numero di individui di S. plicata da cui è stato estratto il DNA e la

località di provenienza. LOCALITA' N° INDIVIDUI LOCALITA' N° INDIVIDUI Montecarlo 10 Olbia 10 Genova 10 Siracusa 9

La Spezia (sito 1) 10 Taranto 10

La Spezia (sito 2) 10 Manfredonia 10

Viareggio 10 Ancona 10

Livorno 10 Ravenna 10

Portoferraio 10 Trieste 10

Civitavecchia 10

2.2.4

Verifica

quali/quantitativa

del

DNA

tramite

elettroforesi e diluizioni

Il DNA estratto dalle tre specie è stato visualizzato su gel di agarosio all’1% (1 g di agarosio, 100 ml di TBE 1x (Tris-acido borico-EDTA) e 0.8 μl (0.64 10-5 μg) di etidio bromuro) per stabilirne la concentrazione (Fig. 2.20, Fig. 2.22 e Fig. 2.25). I campioni per la corsa elettroforetica sono stati preparati unendo 5 μl di DNA a 2 μl di tampone di caricamento (Orange G) e caricati nei pozzetti del gel in cui viene caricato anche un marcatore di corsa (100 bp ladder, NewEngland BioLabs). I campioni sono stati quindi sottoposti a corsa elettroforetica a 100 V per circa 30 minuti. Tramite il confronto visivo della luminescenza dei frammenti di DNA con l’intensità delle bande della 100 bp ladder è stato possibile stabilire la concentrazione del DNA di ciascun campione. Ciò è servito per diluire un’aliquota dello stock del campione in modo da ottenere una concentrazione di 30mg/μl da utilizzare nella PCR.

2.3 Primer ISSR utilizzati e protocollo di amplificazione del DNA

Per quanto riguarda Hydroides elegans e Styela plicata, non sono stati trovati studi pregressi che impiegano gli ISSR come marcatori molecolari. Si è quindi deciso di testare dapprima i primer che hanno fornito ottimi risultati in studi su altre specie (Casu et al., 2005, 2006; Maltagliati et al., 2006; Pannacciulli et al., 2009; Fernández et al., 2011a) per poi estendere il lavoro anche ad altri primer. I primer saggiati, le loro sequenze e le temperature di melting (Tm) sono riportati in Tab. 2.5.

(33)

92 Tab. 2.5: primer ISSR testati.

Primer Sequenza Tm

IT1 (CA)8GT 53.7°C

IT2 5’-(CA)8AC-3’ 54.3°C

IT3 5’-(CA)8AG-3’ 54.5°C

PT1 (GT)8C 54.3°C SAS1 5’-(GTG)4GC-3’ 57.3°C SAS2 (CTC)4GC 54.2°C SAS3 5’-(GAG)4C-3’ 46.8°C SAS4 (CAC)4GC 58.9°C SAS5 5’-(GT)8C-3’ 50.3°C SAS6 (AT)8G 36.0°C UBC809 5’-(AG)8G-3’ 46.6°C UBC811 5’-(GA)8C-3’ 43.3°C UBC827 5’-(AC)8G-3’ 54.9°C

Le reazioni di PCR sono state effettuate utilizzando un termociclatore Applied Biosystems GeneAmp PCR system 2700. Il ciclo della PCR utilizzato è identico per tutti i primer in tutte e tre le specie ed è riassunto in Tab. 2.6 nella quale non è specificata la temperatura di appaiamento, poiché varia da un primer all’altro e verrà quindi specificata di volta in volta.

Tab. 2.6: Ciclo di PCR per ISSR.

Denaturazione 94°C 3min

Denaturazione 94°C 40 sec

45 volte

Appaiamento TA°C 45 sec

Estensione 72°C 1 min e 40 sec

Estensione 72°C 5 min

Il Master Mix varia a seconda della specie e del primer utilizzato e verrà quindi riportato di volta in volta nei paragrafi seguenti. Inoltre in tale Mix è stato

(34)

93

impiegato il BSA (Bovine Serum Albumin), un reagente ampiamente utilizzato per ridurre gli effetti inibenti sulla PCR di alcuni fattori, quali ad esempio, una grande varietà di reazioni enzimatiche (Kreader, 1996). Tale aggiunta ci ha permesso, in alcuni casi, di aumentare la resa della reazione di PCR.

Le concentrazioni iniziali del Master Mix sono tali da creare condizioni di bassa stringenza così da facilitare l’attacco dei primer. Queste concentrazioni durante il processo di ottimizzazione sono state modificate per migliorare la resa della reazione su ognuna delle specie analizzate.

2.3.1 Verifica del funzionamento degli ISSR già ottimizzati

su A. amphitrite

Per quanto riguarda Amphibalanus amphitrite sono stati saggiati tre primer ISSR, in passato già utilizzati su questa specie con ottimi risultati (Montani-Fargna, 2007). Tali primer sono SAS5, UBC811 e UBC827 (Tab. 2.5). Per le analisi molecolari su Amphibalanus amphitrite la Master Mix utilizzata è riportata nella Tabella 2.7 e tutte le reazioni sono state effettuate in un volume finale di 10 μl.

Tab. 2.7: Master Mix per A. Amphitrite.

 Tampone 1μl (1X)  MgCl2 0.4μl (1mM)

 dNTPs 0.8μl (200μM)  Primer 1 μl (10μM)  BSA in quantità variabile

 Taq Polimerasi 0.1μl (0.05U/μl)  DNA 1μl (~30ng)

 H2O per portare a volume

Per quanto riguarda le temperature di annealing utilizzate ci si è attenuti a quelle impiegate nello studio precedente (Montani-Fargna, 2007) che erano di 49°C per il primer SAS5, di 50°C per l’UBC811 e di 54°C per l'UBC827.

Nella prima fase dello studio le analisi sono state condotte sugli stessi campioni analizzati da Montani-Fargna (2007). L’intento era quello di riprodurre i risultati ottenuti precedentemente ed in seguito estendere le analisi agli

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94

individui provenienti dagli altri 9 porti campionati. Purtroppo, anche con l’impiego del BSA in quantitativi crescenti da 0.4 μl (0.8 μg/μl) a 1 μl (2 μg/μl), non siamo stati in grado di riprodurre i pattern di bandeggio ottenuti nello studio precedente e solo in rari casi è stato ottenuto un amplificato.

In tutto sono state effettuate 25 prove utilizzando il primer SAS5, 21 con l’UBC811 e 50 con l’UBC827, di queste prove vengono riportati alcuni esempi (Tab. 2.8, 2.9 e 2.10).

Tab. 2.8: prove SAS5 su A. amphitrite.

Prova Data corsa T appaiamento [MgCl2] [Primer] [Taq] BSA Commenti

1 10/01/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl poche bande chiare 2 11/01/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl nessun risultato 10 16/03/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl 0.4μl nessun risultato 11 16/03/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl 0.6μl nessun risultato 15 23/03/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl 0.8μl nessun risultato 16 23/03/2011 49°C 25mM 10μM 5U/μl 1μl nessun risultato

Tab. 2.9: prove UBC811 su A. amphitrite.

Prova Data

corsa T appaiamento [MgCl2] [Primer] [Taq] BSA Commenti

1 02/02/2011 50°C 25mM 10μM 5U/μl Nessun risultato 4 08/02/2011 50°C 25mM 10μM 5U/μl 2 bande a

campione

6 15/03/2011 50°C 25mM 10μM 5U/μl

poche bande nei campioni e 2 bande

nel negativo

10 15/03/2011 50°C 25mM 10μM 5U/μl 1μl

poche bande nei campioni e 2 bande

nel negativo

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95 Tab. 2.10: prove UBC827 su A. amphitrite.

Prova Data corsa T appaiamento [MgCl2] [Primer] [Taq] BSA Commenti

13 07/12/2010 54°C 25mM 10μM 5U/μl 1 o nessuna banda per campione

18 20/12/2010 54°C 25mM 10μM 5U/μl poche bande 30 04/03/2011 54°C 25mM 10μM 5U/μl 0.8μl nessun risultato 31 04/03/2011 54°C 25mM 10μM 5U/μl 1μl nessun risultato 47 05/05/2011 54°C 25mM 10μM 5U/μl 0.6μl 2 banda anche nel

negativo

2.3.2 Ottimizzazione degli ISSR su H. elegans

Nel corso dell’ottimizzazione della reazione per i vari primer utilizzati sono state variate le concentrazioni di alcuni reagenti del Master Mix.

Nel Master Mix di Hydroides elegans sono stati utilizzati: 1 μl (1X) di tampone, 0.8 μl (200 μM) di dNTPs, 1 μl di DNA in un volume finale di reazione di 10 μl. Le concentrazioni degli altri reagenti sono state variate durante il processo di ottimizzazione: per quanto riguarda i quantitativi di cloruro di magnesio utilizzati essi risultano compresi fra 0.3 μl [0.75 mM] e 0.6 μ [1.5 mM], quelli dei primer fra 1 μl [1 μM] e 2 μl [2 μM] ed infine la Taq Polimerasi è stata utilizzata in quantitativi compresi fra 0.1 μl [0.05 U/μl] e 0.5 μl [0.25 U/μl]. In alcune prove è stato aggiunto al Master Mix del BSA in quantitativi variabili fra 0.4 μl [0.8 μg/μl] a 1 μl [2 μg/μl].

Le temperature di annealing utilizzate sono risultate comprese fra i 40 ed i 60°C.

2.3.3 Ottimizzazione degli ISSR su S. plicata

Nel corso dell’ottimizzazione della reazione in Styela plicata, per i vari primer utilizzati sono state variate le concentrazioni di alcuni dei reagenti del Master Mix. Nel Master Mix sono stati utilizzati: 1 μl (1X) di tampone, 0.8 μl (200 μM) di dNTPs, 2 μl (2 μM) di primer, 1 μl di DNA ed H2O per portare ad un

volume finale di 10 μl. Le concentrazioni degli altri reagenti sono state modificate durante il processo di ottimizzazione: il cloruro di magnesio é variato fra 0.2 μl [0.50 mM] e 0.6 μl [1.5 mM] mentre la Taq polimerasi è stata utilizzata in quantitativi compresi fra 0.1 μl [0.05 U/μl] e 0.2 μl [0.1 U/μl]. Anche in questo

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caso in alcune prove si é aggiunto al Master Mix del BSA in quantitativi variabili fra 0.4 μl [0.8 μg/μl] e 1 μl [2 μg/μl].

Le temperature di annealing utilizzate sono risultate comprese fra i 40°C ed i 60°C.

2.4 Ottimizzazione della COI

Per l’amplificazione della sequenza bersaglio della COI inizialmente si è utilizzata in tutte e tre le specie la coppia di primer universali disegnati da Folmer (Folmer et al., 1994) (Tab. 2.11), che amplifica una regione di circa 710 bp localizzata all'interno del gene COI (Fig. 2.26). Successivamente si è proceduto allo sviluppo, in Amphibalanus amphitrite ed in Styela plicata, di primer specie specifici.

Tab. 2.11: Primer universali di Folmer (Folmer et al., 1994) utilizzati, relative sequenze e

temperature di denaturazione (Tm).

Primer Sequenza Tm °C

LCO1490 5’-GGTCAACAAATCATAAAGATATTGG-3’ 61.1 HCO2198 5’-TAAACTTCAGGGTGACCAAAAAATCA-3’ 69.9

Fig. 2.26: Rappresentazione schematica dei siti di attacco della coppia di primer Folmer per la COI. COIf = LCO1490 e COIr = HCO2198.

Il medesimo Master Mix è stato inizialmente utilizzato in tutte e tre le specie, nel corso dell’ottimizzazione sono state poi apportate modifiche che hanno permesso l’amplificazione della regione di interesse. Le reazioni di PCR sono state effettuate in un volume finale di 20 μl utilizzando un termociclatore Applied Biosystems GeneAmp PCR System 2700. I cicli di PCR utilizzati sono stati molto diversi fra loro, soprattutto durante il processo di ottimizzazione, e vengono quindi riportati separatamente per ogni specie. La corretta

(38)

97

amplificazione del prodotto è stata verificata tramite corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% utilizzando 5 μl di amplificato.

2.4.1 Ottimizzazione della COI su A. amphitrite

Per quanto riguarda Amphibalanus amphitrite, durante il processo di ottimizzazione della reazione si sono utilizzate concentrazioni di cloruro di magnesio comprese fra 1.5 mM (0.6 μl) e 3.5 mM (1.4 μl in 20 μl di soluzione finale) e concentrazioni di primer variabili tra 0.5 μM (1 μl in 20 μl di soluzione finale) a 1 μM (2 μl in 20 μl di soluzione finale). Per migliorare la resa della reazione si è inoltre provato ad aggiungere nel Master Mix BSA a due diverse concentrazioni: 0.8 μg/μl (0.8 μl in 20 μl di soluzione finale) e 1.2 μg/μl (1.2 μl in 20 μl di soluzione finale). Inoltre sono state testate diverse temperature di annealing comprese fra 46.3°C ed 50°C. Il protocollo ottimizzato ha previsto l’utilizzo del ciclo di PCR riportato in Tab. 2.12, che include una fase di estensione di 2 minuti per consentire la sintesi di un frammento di circa 700 bp. Il Master Mix utilizzato è riportato in Tab. 2.13.

Tab. 2.12: Ciclo di PCR ottimizzato per A. amphitrite con la coppia di primer Folmer.

Denaturazione 95°C 2min Denaturazione 92°C 2min 45 volte Appaiamento 46.3°C 2min Estensione 72°C 3 min Estensione 72°C 10 min

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98

Tab. 2.13: Master Mix ottimizzato per A. amphitrite con i primer Folmer. Volume finale di 20 μl.

 Tampone 2μl (1X)  MgCl2 0.6μl (1.5mM)  dNTPs 1.6μl (200μM)  Primer f 1μl (0.5μM)  Primer r 1μl (0.5μM)  BSA 0.8μ (0.8μg/μl)

 Taq Polimerasi 0.2μl (0.05U/μl)  DNA 2μl (30ng)

 H2O per portare a volume

A seguire l’ottimizzazione con i primer di Folmer (Folmer et al., 1994), sono state fatte alcune amplificazioni che hanno permesso di ottenere in più individui, provenienti da porti diversi, un frammento di 700 bp che è stato utilizzato per il sequenziamento di un tratto di Citocromo Ossidasi I. Le sequenze così ottenute sono state allineate fra loro, mediante il software ClustalX (Thompson et al., 1997), ed utilizzate per disegnare un primer reverse interno specie specifico. Ciò è stato fatto allo scopo di ottenere un miglior prodotto amplificato e di conseguenza un miglioramento nella qualità della sequenza. La coppia di primer utilizzata per l’analisi dei campioni risulta quindi composta da LCO1490 e dal reverse specie specifico COI AA r (Tab. 2.14).

Tab. 2.14: Primer universale di Folmer (Folmer et al., 1994) e primer specie specifico per A. amphitrite, relative sequenze e temperature di denaturazione (Tm).

Primer Sequenza Tm °C

LCO1490 5’-GGTCAACAAATCATAAAGATATTGG-3’ 61.1

COI AA r 5’-GATTGGATCTCCACCTCCTG-3’ 63.5

La reazione di PCR è stata nuovamente ottimizzata per questa coppia di primer, variando diversi parametri fra cui la concentrazione del cloruro di magnesio e quella dei primer. Questi cambiamenti non hanno però portato miglioramenti nel prodotto di reazione e perciò si è continuato ad utilizzare il Master Mix riportato in Tab. 2.13. Un altro parametro variato, questa volta con successo, è stata la temperatura di annealing. Sono state infatti provate tre diverse temperature (46,3 °C, 47 °C e 48 °C) e si è osservato un miglioramento

(40)

99

del prodotto a 47 °C. Usando questa nuova coppia di primer ed una temperatura di ancoraggio di 47°C sono stati quindi amplificati e sequenziati 10 individui per ciascuno dei 15 siti in cui era stata campionata la specie. In Fig. 2.27 è visibile un gel elettroforetico che mostra il prodotto amplificato della COI, di circa 700 bp, in diversi individui.

Fig. 2.27: Elettroforesi su gel d'agarosio al 2% di 5.0 μl dell'amplificato ottenuto da A. amphitrite. La foto riporta la banda della porzione di COI amplificata in 6 individui (1-6), la banda

del primer-dimer e il marcatore di corsa (Ld) che presenta tacche ogni 100 bp. In figura è riportato anche il controllo negativo (7).

2.4.2 Ottimizzazione della COI su H. elegans

Per il processo di ottimizzazione della COI in H. elegans sono stati utilizzati quattro diversi protocolli di PCR. Quello utilizzato su Amphibalanus

amphitrite (Tab. 2.12), un ciclo che aveva dato buoni risultati su altri policheti

(Carr, 2010), il ciclo utilizzato da Folmer et al.(1994) per amplificare la COI da diverse specie di invertebrati ed infine un ciclo che era precedentemente stato testato su Styela plicata (Pérez-Portela et al., 2009) (appendice II).

Per ottimizzare la reazione, con ognuno dei cicli sopra elencati, sono state saggiate concentrazioni di cloruro di magnesio comprese fra 1.5 mM (1.4 μl in 20 μl di soluzione finale) e 4.5 mM (1.8 μl in 20 μl di soluzione finale) e due diverse concentrazioni di Taq polimerasi: 0.025U/μl (0.1 μl in 20 μl di soluzione finale) e 0.05U/μl (0.2 μl in 20 μl di soluzione finale). Sono state testate inoltre due concentrazioni di BSA: 0.8 μg/μl (0.8 μl in 20 μl di soluzione finale) e 1.2

(41)

100

μg/μl (1.2 μl in 20 μl di soluzione finale). Inoltre sono state modificate sia la temperatura di annealing, variandola fra i 40 °C ed i 71 °C, che la durata della fase di appaiamento: da 40 secondi a 2 minuti. I numerosi tentativi fatti non hanno però portato ad alcun prodotto amplificato, rendendo l’indagine della COI non effettuabile in questa specie.

2.4.3 Ottimizzazione della COI su S. plicata

Per il processo di ottimizzazione della reazione su Styela picata, sono stati saggiati tre dei protocolli di PCR utilizzati in precedenza: quello utilizzato su Amphibalanus amphitrite (Tab. 2.42), il ciclo di Carr (2010) ed il ciclo che era precedentemente stato testato su Styela plicata da Pérez-Portela et al. (2009).

Per ottimizzare la reazione, con ognuno dei cicli sopra riportati, sono state saggiate concentrazioni di cloruro di magnesio comprese fra 1.5 mM (0.6 μl in 20 μl di soluzione finale) e 3.5 mM (1.4 μl in 20 μl di soluzione finale) e 5 diverse concentrazioni di Taq polimerasi comprese fra 0.05 U/μl (0.2 μl in 20 μl di soluzione finale) e 0.25 U/μl (1 μl in 20 μl di soluzione finale). In alcuni casi si sono aggiunte al Master Mix anche tre diverse concentrazioni di BSA: 0.8 μg/μl (0.8 μl in 20 μl di soluzione finale), 1.2 μg/μl (1.2 μl in 20 μl di soluzione finale) e 1.6 μg/μl (1.6 μl in 20 μl di soluzione finale). Inoltre sono state modificate sia la temperatura di annealing, variandola fra 40 e 60 °C, sia la durata della fase di appaiamento: da 40 secondi a 2 minuti. Il protocollo ottimizzato ha previsto quindi l’utilizzo del ciclo di PCR riportato in Tab. 2.15. Il Master Mix utilizzato è riportato in Tab. 2.16.

Tab. 2.15: Ciclo di PCR ottimizzato per Styela plicata con la coppia di primer Folmer.

Denaturazione 95°C 2min Denaturazione 92°C 2 min 45 volte Appaiamento 46°C 2 min Estensione 72°C 3min Estensione 72°C 10 min

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101

Tab. 2.16: Master Mix ottimizzato per Styela plicata. Volume finale di 20 μl.

 Tampone 2μl (1X)  MgCl2 0.6μl (1.5mM)  dNTPs 1.6μl (200μM)  Primer f 1μl (0.5μM)  Primer r 1μl (0.5μM)  BSA 0.8μ (0.8μg/μl)

 Taq Polimerasi 0.2μl (0.05U/μl)  DNA 2μl (30ng)

 H2O per portare a volume

A seguire l’ottimizzazione con i primer di Folmer, sono state fatte alcune amplificazioni che hanno permesso di ottenere in più individui, provenienti da porti diversi, il sequenziamento di un tratto di Citocromo Ossidasi I lungo circa 600 bp. Le sequenze ottenute sono state quindi allineate ed hanno consentito di disegnare un primer reverse interno specie specifico. La coppia di primer utilizzata nello studio è risultata quindi composta da LCO1490 e dal reverse specie specifico COI SP r (Tab. 2.17).

Tab. 2.17: Primer universale di Folmer (Folmer et al., 1994) e primer specie specifico per S. plicata utilizzati, relative sequenze e temperature di denaturazione (Tm).

Primer Sequenza Tm °C

LCO1490 5’-GGTCAACAAATCATAAAGATATTGG-3’ 61.1 COI SP r 5’-TGCTGATATAAAACAGGATCCCTAC-3’ 63.0

L’impiego del protocollo già ottimizzato per la coppia di primer Folmer ha fornito risultati soddisfacenti ed è quindi stato deciso di non modificare i parametri della reazione e di procedere all’amplificazione ed al sequenziamento di 10 individui per ognuno dei 15 siti in cui era stata campionata la specie. Di seguito è riportato uno dei gel su cui sono stati caricati i prodotti dell’amplificazione (Fig. 2.28).

Figura

Fig. 2.3: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Genova.
Fig. 2.7: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Portoferraio
Fig. 2.8: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Civitavecchia
Fig. 2.10: Localizzazione del sito di campionamento all’interno del porto di Napoli.
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