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2.1Leproprietàfisiche Ilperossidod’idrogeno

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Academic year: 2021

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Il perossido d’idrogeno

Il perossido d’idrogeno è un composto chimico che ha trovato numerose applicazioni da quando è stato scoperto quasi 200 anni fa: attualmente è impiegato come agente sbiancante, nella sintesi chimica, nel trattamento delle acque, nella bonifica del suolo, per il trattamento superficiale dei metalli, nell’elettronica e nella disinfezione. Nell’industria aerospaziale è impiegato ad elevate concentrazioni (High Test Peroxide, HTP) come propellente liquido.

Nel presente capitolo si esaminano le proprietà fisiche e chimiche del perossido d’idrogeno più significative per gli scopi propulsivi: per le altre proprietà si rimanda all’appendice A. Si affrontano successivamente i problemi connessi con lo immagazzinamento e la manipolazione, al fine di individuare delle linee guida utili per il progetto di un impianto opportunamente equipag-giato e per la individuazione di procedure che consentano di maneggiare il perossido d’idrogeno con un sufficiente grado di sicurezza. Si dà una breve descrizione del perossido d’idrogeno scelto per gli esperimenti e si conclude il capitolo con una breve storia sulle applicazioni propulsive del perossido d’idrogeno.

2.1

Le proprietà fisiche

Il perossido d’idrogeno, noto anche come acqua ossigenata, si presenta come un liquido limpido ed incolore. Risulta inodore alle basse concentrazioni e presenta un odore leggermente pungente ad alte concentrazioni. Alla vista è simile all’acqua e con essa è miscibile in tutte le proporzioni. La somiglianza con l’acqua non si ferma alla sola apparenza perchè si estende anche ad altre proprietà fisiche, come riportato nella tabella 2.1. Le principali differenze con l’ acqua consistono

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in una maggiore densità ed in una minore pressione di vapore del perossido d’idrogeno. La tabella 2.1 mette anche in luce la variazione delle proprietà fisiche del perossido d’idrogeno al variare della sua concentrazione.

Tabella 2.1: Confronto di alcune proprietà fisiche del perossido d’idrogeno, a diverse concentrazioni, con l’acqua. H2O2 [%] Densità [g/cm3] Punto di congelamento [◦C] Punto di ebollizione [◦C] Viscosità [mPa · s] 35 1.132 -33 108 1.11 50 1.196 -52 114 1.17 70 1.288 -40 126 1.23 90 1.387 -12 141 1.26 100 1.5 -0.4 150 1.25 Acqua 1.0 0 100 1.00 2.1.1 La densità

Il perossido d’idrogeno è un liquido ad elevata densità. Nella figura 2.1 è riportata la sua densità al variare della concentrazione in peso per differenti valori della temperatura.

Figura 2.1: La densità del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione in peso per diverse temperature. (da M. F. Easton, A. G. Mitchell e W. F. K. Wynne-Jones [16].)

Il perossido d’idrogeno ha una densità confrontabile con quella dell’acido nitrico e del tetros-sido d’azoto e maggiore rispetto all’ossigeno liquido, come illustrato nella figura 2.2.

Un’elevata densità consente di sistemare un peso maggiore di propellente a parità di volume del serbatoio: questo permette di usare serbatoi più piccoli e di ottenere una densità di impulso specifico elevata. Il perossido d’idrogeno risulta quindi attraente per quei sistemi che abbiano perdite di resistenza aerodinamica o che debbano essere progettati a limite di volume.

2.1.2 I punti di congelamento e di ebollizione

Il perossido d’idrogeno è allo stato liquido a pressione e temperatura ambiente, come illustrato nella figura 2.3. Non essendo criogenico, il perossido d’idrogeno può essere immagazzinato per

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Figura 2.2: Confronto tra le densità dei propellenti liquidi in funzione della temperatura. (da G. P. Sutton [17].)

Figura 2.3: I punti di congelamento e di ebollizione del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione. (da G. Scatchard, G. M. Kavanagh e L. B. Ticknor [18].)

lunghi periodi di tempo in serbatoi opportunamente progettati, senza o con un piccolo sistema di controllo termico. Questo aspetto lo rende attraente per quei sistemi che debbano rimanere nello spazio per lunghi periodi e per gli stadi superiori dei razzi, dove i motori devono essere accessi dopo un periodo di inattività.

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2.1.3 La pressione di vapore

Il perossido d’idrogeno ha una pressione di vapore relativamente bassa, fino a uno o due ordini di grandezza più bassa se confrontata con quella di altri propellenti liquidi, come indicato nella figura 2.4. Questo permette alle turbomacchine, se presenti nel sistema, di operare a pressioni

Figura 2.4: Confronto tra le pressioni di vapore dei propellenti liquidi in funzione della temperatura. (da G. P. Sutton [17].)

più basse senza incorrere nella cavitazione e, come ulteriore conseguenza, permette di utilizzare serbatoi più leggeri.

Facendo riferimento alla figura 2.5, la pressione totale di vapore, indicata con linea nera, aumenta all’aumentare della temperatura e diminuisce all’aumentare della concentrazione. La pressione parziale, indicata con linea azzurra, aumenta all’aumentare della temperatura e della concentrazione.

2.1.4 I diagrammi di fase

A seconda della temperatura e della pressione, la composizione della fase vapore su soluzioni concentrate di perossido d’idrogeno può raggiungere valori tali da propagare una locale decom-posizione spontanea. I vapori di perossido d’idrogeno possono decomporsi in maniera esplosiva ad una pressione atmosferica se la concentrazione nella fase vapore raggiunge il valore del 40% in peso: questa esplosione può anche essere promossa da una fonte di energia o dal contatto con materiale cataliticamente attivo. Questi valori della concentrazione della fase vapore possono raggiungersi a pressione ambiente e per concentrazioni di perossido d’idrogeno nella soluzione acquosa uguali o superiori al 74%, come riportato nella figura 2.6. All’aumentare della pres-sione il valore della concentrazione critica si abbassa; diminuendo la prespres-sione, il valore critico aumenta.

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Figura 2.5: La pressione di vapore del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione. (da [19].)

Figura 2.6: I diagrammi di fase liquido-vapore e solido-liquido per il sistema acqua e perossido d’ idrogeno. (da N. Nimmerfroh e E. Walzer [20].)

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2.1.5 Il calore specifico

Il perossido d’idrogeno ha un calore specifico molto alto, confrontabile con quello dell’ acqua. Questa caratteristica gli permette di poter essere usato come liquido refrigerante in sistemi raf-freddati rigenerativamente. Le sue capacità di raffreddamento, risultando migliori rispetto a quelle di altri propellenti liquidi, possono permettere una semplificazione dell’intero progetto di raffreddamento.

All’aumentare della concentrazione si ha una diminuzione del calore specifico, come indicato nella figura 2.7.

Figura 2.7: Il calore specifico a pressione costante del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione ad una temperatura di 20◦C. (da M. Kroutil e M. Vender [22].)

2.2

Le proprietà chimiche

Il perossido di idrogeno è il più semplice dei perossidi. La sua formula chimica è H2O2 ed il suo peso molecolare è 34.016. La sua molecola non è planare ed i due legami O−H formano tra loro un angolo diedro di 120◦± 3◦. Nella figura 2.8 si riportano la formula di struttura ed il modello molecolare del perossido d’idrogeno.

Figura 2.8: Formula di struttura e modello molecolare del perossido d’idrogeno.

L’ossigeno del gruppo perossido presenta grado di ossidazione -1 e quindi il perossido d’ idro-geno può comportarsi come ossidante o reagente a seconda dell’elemento con cui reagisce: gene-ralmente si comporta come un potente ossidante. I prodotti della reazione sono acqua (grado di ossidazione -2) e ossigeno (grado di ossidazione 0).

Il perossido d’idrogeno è una sostanza estremamente reattiva e può dar luogo a differenti tipi di reazione basati sui seguenti meccanismi.

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• Decomposizione. Il perossido d’idrogeno può decomporsi in modo spontaneo in ossigeno e acqua, liberando energia. La reazione esotermica è

H2O2(l) −−→ H2O(l) +12O2(g) + 98 kJ/g · mol di H2O2

• Reazione di ossido-riduzione. Il perossido d’idrogeno ha un alto potenziale di ossidazione e può agire come un potente ossidante, come per esempio nella reazione col solfuro di idrogeno. Sotto certe condizioni può agire anche come riducente, come per esempio nella reazione col permanganato di potassio.

• Reazione con sostanze organiche. Il perossido d’idrogeno agisce generalmente come agente ossidante nel degradare molti composti organici. Per concentrazioni molto basse, queste reazioni sono lente e non comportano pericoli. In concentrazioni inferiori al 30% il perossido d’idrogeno, venendo a contatto con altri agenti chimici, può formare sostanze pericolose come i composti perossidati organici. In concentrazioni superiori al 30%, miscele omogenee di perossido d’idrogeno e solventi organici possono risultare esplosive.

2.2.1 La decomposizione del perossido d’idrogeno

La decomposizione del perossido d’idrogeno può distinguersi in tre tipi.

1. Decomposizione fotochimica. Il perossido d’idrogeno, assorbendo radiazioni in un ampio spettro continuo, può decomporsi se esposto a lungo alla luce solare diretta.

2. Decomposizione omogenea. Quando il perossido d’idrogeno viene a contatto con sostanze solubili incompatibili può aversi una decomposizione accelerata nota come decomposizione omogenea. Tale decomposizione si verifica con un’ampia gamma di sostanze (in particolare sali di rame, cromo, ferro, vanadio, tungsteno, manganese, molibdeno e platino) e può essere causata anche da livelli estremamente bassi di contaminante, per esempio poche parti per milione. Inoltre, piccole quantità di contaminante possono produrre una decomposizione del perossido d’idrogeno su larga scala, essendo la decomposizione una reazione a catena nella quale gli ioni metallici sono successivamente ossidati e ridotti.

3. Decomposizione eterogenea. Si tratta di una veloce decomposizione che ha luogo quan-do il perossiquan-do d’idrogeno entra in contatto con solidi insolubili. In realtà, il perossiquan-do d’ idrogeno si decompone entrando in contatto con quasi tutti i materiali, sebbene la ve-locità di decomposizione vari enormemente con la natura e lo stato della superficie di contatto.

La decomposizione del perossido d’idrogeno è influenzata principalmente dalla presenza di agenti contaminanti, dal calore e dal livello di pH, come di seguito brevemente spiegato.

• Effetto dei contaminanti. La presenza dei contaminanti provoca un aumento della velocità di decomposizione. La legge cinetica è

d

dt[H2O2] = −k · [H2O2] dove la costante cinetica k può porsi nella forma:

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avendo indicato con T la temperatura. Il coefficiente kf tiene conto dell’effetto dei

con-taminanti: vale 1 in caso di perossido d’ idrogeno puro ed aumenta con la concentrazione dei contaminanti.

• Effetto del calore. Un innalzamento della temperatura causato da fonti di calore esterne può aumentare la velocità di decomposizione del perossido d’idrogeno. Qualitativamente, per ogni 10◦ di innalzamento della temperatura la velocità di decomposizione può più che raddoppiare nella decomposizione omogenea e può aumentare di una o due volte nella decomposizione eterogenea.

• Effetto del livello di pH. Un aumento del pH ed in misura minore anche una sua riduzione possono avere un effetto negativo sulla stabilità del perossido d’idrogeno. In particolare, se il pH del perossido d’idrogeno è innalzato, per esempio perchè è stato miscelato con alcali, può aversi un significativo aumento della velocità di decomposizione.

2.2.1.1 Gli effetti della decomposizione

A seguito della decomposizione, possono verificarsi i seguenti fenomeni che, se non controllati, possono avere pericolose conseguenze.

• Aumento della pressione. Il perossido d’idrogeno si decompone con continuità in acqua ed ossigeno: tale decomposizione naturale può essere facilmente gestita evitando di conservare il perossido d’idrogeno in contenitori ermeticamente chiusi, al fine di evitare un pericoloso aumento della pressione.

• Decomposizione autoaccelerata. Il perossido d’idrogeno è un composto fondamentalmente instabile, che si decompone continuamente rilasciando calore. Se il calore così generato non è efficacemente scambiato con l’ambiente esterno e quindi se la produzione di calore è mag-giore della quantità di calore smaltita, la temperatura del perossido d’idrogeno aumenta, provocando così un aumento della velocita di decomposizione e quindi del calore prodotto. Si innesca allora una reazione di decomposizione autoaccelerata. Si definisce la temperatura di decomposizione autoaccelerante o S.A.D.T. (Self Accelerating Decomposition Tempera-ture) la temperatura dell’ambiente sopra la quale il perossido d’idrogeno, contenuto in un recipiente di dimensioni e forma assegnate, sviluppa una reazione autoaccelerata. La presenza di agenti contaminanti nel perossido d’idrogeno, che ne degradano la stabilità, può abbassare la S.A.D.T; la presenza di elementi stabilizzanti provoca l’effetto opposto. All’aumentare delle dimensioni del recipiente, si riduce la quantità di agenti contaminanti che possono essere presenti prima del raggiungimento della S.A.D.T. Fissata la geometria del recipiente, un aumento delle sue dimensioni e proporzionalmente l’aumento di peros-sido d’idrogeno contenuto riducono la S.A.D.T. Anche una variazione della geometria del recipiente, che abbassi il rapporto tra la superficie di scambio termico del recipiente ed il volume di perossido d’idrogeno contenuto, riduce la S.A.D.T. Da quanto detto, può affer-marsi che, nota la temperatura dell’ambiente circostante, esiste una dimensione massima del recipiente che può essere riempita con perossido d’idrogeno senza innescare una decom-posizione autoaccelerata. Analogamente, fissate la dimensione e la geometria del recipiente e nota la temperatura dell’ambiente circostante, esiste una temperatura massima per il perossido d’idrogeno stoccato. Tipicamente, la scelta delle dimensioni del recipiente non

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sono influenzate dalle suddette considerazioni sulla S.A.D.T.: ad esempio, la S.A.D.T. per un recipiente ISO di 17.5 ton riempito con perossido d’idrogeno all’86% è di 68 ◦C.

• Vapore surriscaldato. La temperatura finale raggiunta nella decomposizione totale di soluzioni contenenti fino al 64% di perossido d’idrogeno non può superare il punto di ebol-lizione dell’acqua poichè questa è ancora presente allo stato liquido. Per soluzioni con concentrazione superiore al 64% ed in condizioni adiabatiche si ha lo sviluppo di calore sufficiente a far evaporare tutta l’acqua ed a surriscaldare il vapore così prodotto. Come risulta dalla figura 2.9, un volume di perossido d’idrogeno al 70%, decomposto totalmente in condizioni adiabatiche ed alla pressione atmosferica, produce circa 2500 volumi di gas.

Figura 2.9: La curva di espansione del volume del liquido in decomposizione adiabatica totale a pressione costante e a temperatura iniziale di 20◦C. (da [25].)

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2.2.2 La stabilizzazione del perossido d’idrogeno

Le soluzioni acquose di perossido d’idrogeno esibiscono sempre un certo grado di instabilità. Indipendentemente dalla concentrazione, il perossido d’idrogeno si decompone continuamente ed il grado di decomposizione è influenzato da numerosi fattori, come precedentemente illustrato. Tipicamente, in appropriate condizioni d’immagazzinamento, le soluzioni acquose di perossido d’ idrogeno perdono valori compresi tra 0.5%-2% della concentrazione iniziale all’anno: maggiore è il rapporto tra la superficie del contenitore ed il volume del perossido d’idrogeno contenuto, maggiore è la perdita di concentrazione.

Risulta dunque necessaria una stabilizzazione del perossido d’idrogeno e differenti elementi stabilizzanti sono aggiunti: la loro natura e la loro quantità dipendono dal particolare uso del perossido d’idrogeno. La stabilità è raggiunta aggiungendo alla soluzione acquosa non un singolo elemento ma un insieme di più elementi.

Il principale stabilizzante del perossido d’idrogeno è lo stagno, presente sotto forma di stanna-to che forma particelle colloidali di ossido stannico ( SnO2 ). Normalmente lo stagno è aggiunto sotto forma di stannato di metalli alcalini. L’aggiunta di ioni positivi, come calcio, magnesio e alluminio, tendono a coagulare il sol (cioè il sistema colloidale sotto forma liquida) e a rimuovere lo stagno per sedimentazione o filtraggio. L’aggiunta di ioni negativi, come i pirofosfati o fosfati, promuovono la peptizzazione (processo diretto a trasformare un sistema colloidale dallo stato di gel a quello di sol o ad operare la dispersione di particelle solide in un mezzo disperdente) e quindi sono aggiunti per migliorare la stabilità degli ossidi stannici colloidali.

Si aggiungono numerosi acidi organici contenenti fluoro, che agiscono impedendo ai metalli liberi presenti di catalizzare o promuovere la decomposizione del perossido d’ idrogeno.

Si aggiungono anche inibitori della corrosione, permettendo al perossido d’idrogeno di essere stoccato in contenitori metallici. Da questo punto di vista, i più importanti elementi sono i nitrati ed i pirofosfati.

2.3

Le proprietà tossicologiche

La definizione di propellente verde e non tossico attribuita al perossido d’idrogeno può essere fuorviante: infatti, l’esame delle informazioni contenute in un tipico Material Safety Data Sheets (MSDS) suggerisce che il perossido d’idrogeno può essere estremamente tossico, cioè può essere capace di produrre seri danni qualora entri in contatto col corpo umano.

Il perossido d’idrogeno è introdotto nell’ambiente in modo naturale per mezzo di reazioni fotochimiche che si realizzano sulla superficie dei fiumi e dei mari o nell’atmosfera. E’ prodotto naturalmente da alcune piante ed animali, che lo decompongono per mezzo di catalizzatori come la catalase o la perossidase, ed anche l’uomo lo produce e lo introduce nell’atmosfera col respiro. Le proprietà tossicologiche e gli effetti sulla salute umana del perossido d’idrogeno sono descritti nel MSDS e di seguito brevemente riportati.

• Effetti dell’inalazione. L’inalazione dei vapori di perossido d’idrogeno può causare irri-tazione ed infiammazione delle vie respiratorie. L’irriirri-tazione dipende dalla concentrazione del perossido d’idrogeno ed anche, in misura minore ed entro certi limiti (tra 5 minuti e 4 ore), dalla durata di esposizione. Il limite di esposizione per i lavoratori è di 1 ppm (1.4 mg di H2O2 per m3 di aria) per un normale periodo lavorativo di 8 ore al giorno e 40 ore la settimana.

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• Effetti sulla pelle. Il principale effetto del contatto del perossido d’idrogeno con la pelle è una locale irritazione accompagnata da una macchia bianca dovuta allo scolorimento. Concentrazioni di perossido d’idrogeno superiori al 50% sono considerate corrosive per la pelle.

• Effetti sugli occhi. Per concentrazioni fino a 0.5% non si registra nessun effetto dannoso; concentrazioni fino al 6% possono produrre irritazione e concentrazioni superiori possono produrre seri danni ed anche la cecità.

• Effetti dell’ingestione. I sintomi più comuni dell’ingestione di perossido d’idrogeno sono nausea, vomito, difficoltà respiratorie e distensione degli organi interni. L’ingestione di concentrazioni superiori al 30%-40% può provocare la morte: la causa è l’ attacco corrosivo al tratto gastrointestinale e la generazione di grandi volumi di gas che producono gravissimi danni interni.

2.4

L’immagazzinamento

Esistono regolamenti ed accordi internazionali che pongono delle limitazioni sul modo di confezionare, trasportare e manipolare il perossido d’idrogeno. La consegna può avvenire via rotaia, autocisterna o in container-cisterne ISO in piccoli imballi, in cisternette (Intermediate Bulk Containers, IBC) oppure sfuso.

Per ridurre al minimo i rischi legati alle operazioni d’immagazzinamento e manipolazione del perossido d’idrogeno, è opportuno individuare ed utilizzare tutti gli strumenti di preven-zione per impedire pericolose conseguenze legate ad una sua decomposipreven-zione violenta o ad una sua fuoriuscita dal serbatoio. In aggiunta, è necessario riconoscere che questi strumenti di pre-venzione potrebbero non essere sempre sufficienti e quindi è consigliabile inserire nell’impianto d’immagazzinamento anche misure efficaci di controllo o limitazione del danno.

Nella figura 2.10 è riportato lo schema di un’installazione per l’immagazzinamento del peros-sido d’ idrogeno dotata degli equipaggiamenti necessari e di quelli facoltativi.

Per tutti i componenti dell’impianto d’immagazzinamento, è necessario attenersi alle seguenti indicazioni.

• I componenti devono essere realizzati con materiali compatibili. In caso di dubbio sulla compatibilità è necessario testare il componente prima dell’uso. I principali materiali com-patibili sono gli acciai inossidabili austenitici (in particolare gli acciai 304L e 316L), l’ allu-minio con le sue leghe ed alcune gomme e plastiche fluorate come il politetrafluoroetilene (PTFE). E’ invece da evitare l’uso degli acciai non austenitici, del ferro, del rame, dell’ ot-tone e di gran parte dei lubrificanti. Per una lista dettagliata dei materiali compatibili e incompatibili si può fare riferimento all’appendice C.

• Bisogna porre particolare attenzione alle finiture ed al trattamento delle superfici. E’ importante la qualità della saldatura, che dovrebbe essere effettuata con procedimenti a gas inerte schermato per evitare la presenza di impurità nel metallo. In particolare per i trattamenti superficiali da applicare ai componenti in acciaio ed in plastica può farsi riferimento all’appendice C.

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Figura 2.10: Le carattaristiche di un impianto d’immagazzinamento del perossido d’idrogeno. (da [19].)

• Dopo ogni eventuale manutenzione e riparazione, tutti i materiali necessitano di un’ ade-guata pulizia ed i materiali metallici richiedono un nuovo trattamento superficiale di deca-paggio e di passivazione.

• Considerate le specifiche richieste sui materiali da costruzione e sulle tecniche di fabbri-cazione, è necessario porre grande cura nelle riparazioni ed in una qualunque altra

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ope-razione di manutenzione. Nella sostituzione di un componente, ed in particolare delle guarnizioni, è necessario sostituire un elemento alla volta, dopo aver svuotato e risciacquato con abbondante acqua l’impianto.

• I componenti dell’impianto dovrebbero essere posizionati in modo da: non essere facilmente danneggiati; impedire ogni contatto di perossido d’idrogeno con materiale non compatibile; essere facilmente raggiungibili per eseguire le operazioni di manutenzione e regolari ispezioni visive per controllare eventuali perdite o spillamenti.

• Un buon progetto dell’impianto d’immagazzinamento dovrebbe evitare zone in cui il peros-sido d’ idrogeno possa restare intrappolato. Il perosperos-sido d’idrogeno si decompone natural-mente in acqua ed ossigeno gassoso ad una velocità nominale di 0.5%-2% l’anno. L’ossigeno gassoso, se intrappolato, può aumentare la pressione nelle tubazioni ed anche piccoli volu-mi di gas possono risultare in una rottura esplosiva di una parte o di tutto l’impianto. Si dovrebbero quindi prevedere dei meccanismi di sfiato e si dovrebbe utilizzare un numero quanto più piccolo possibile di valvole e collegamenti. In ogni caso bisogna evitare di la-sciare intrappolato il perossido d’idrogeno per lunghi periodi. I dispositivi di sfiato devono consentire lo sfiato verso l’esterno del sistema e non verso il serbatoio d’immagazzinamento o in un qualunque altro punto interno al sistema.

• L’impianto dovrebbe essere collocato in zone dedicate, ventilate, libere da materiali incom-patibili e da fonti di calore ed il cui accesso è consentito solo a personale autorizzato. • L’impianto dovrebbe essere regolarmente ispezionato alla ricerca di perdite o spillamenti. 2.4.1 Il serbatoio

Il serbatoio, da collocarsi sempre all’aperto, deve possedere caratteristiche meccaniche e di compatibilità adeguate per l’immagazzinamento di una sostanza chimicamente aggressiva come il perossido d’idrogeno.

Il serbatoio deve essere dotato di una termocoppia per poter monitorare continuamente la temperatura ed impostare un allarme. La temperatura, infatti, può considerarsi il miglior parametro per individuare la decomposizione del perossido d’idrogeno ed analizzarne l’ evoluzione temporale. Il numero di termocoppie necessarie dipende dalle dimensioni del serbatoio: indica-tivamente, è sufficiente una termocoppia per un volume di 100 m3, 2 termocoppie per volumi inferiori ai 500 m3 e 3 per volumi fino a 1000 m3.

Il serbatoio deve essere dotato di uno sfiato d’emergenza non ostruito per garantire il rilascio dei gas prodotti in caso di decomposizione. La soluzione migliore è installare un passo d’uomo, che si apre per piccole sovrappressioni: il passo d’uomo dovrebbe essere corredato di una griglia in materiale compatibile per impedire la caduta di oggetti nel serbatoio. La presenza del solo passo d’uomo, tuttavia, non costituisce una garanzia di sicurezza e pertanto è necessario prevedere altri dispositivi di sicurezza. Un’ apertura di aerazione deve essere predisposta così da prevenire un’eventuale sovrappressione o depressione e dovrebbe essere dotata di un apposito filtro per ridurre il rischio di contaminazione con le particelle presenti nell’aria.

Onde evitare ogni contaminazione con l’ambiente e col personale in seguito ad una perdita, il serbatoio dovrebbe essere collocato in una vasca di contenimento di adeguata capacità: questa vasca dovrebbe avere un volume pari almeno al 110% del volume del serbatoio.

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Il serbatoio dovrebbe presentare un indicatore di livello con allarme così da prevenire un eventuale traboccamento del perossido d’idrogeno. Conviene installare anche un tubo di troppo pieno, diretto verso una postazione sicura, come una vasca di contenimento.

Per proteggere il serbatoio dai rischi connessi con la sovrappressione, dovrebbe disporsi uno scarico d’emergenza in modo da svuotare velocemente il serbatoio nella vasca di contenimento. Lo scarico d’emergenza dovrebbe potersi azionare da una postazione remota, riducendo così i rischi del personale. Lo scarico dovrebbe preferibilmente effettuarsi con una pompa centrifuga ma è accettabile anche l’uso di aria secca priva di olio o di azoto: in questo caso si deve dotare il sistema adibito allo scarico di un filtro, di un regolatore, di un indicatore di pressione e di una valvola di sicurezza.

Dovrebbero prevedersi tubi dai quali far arrivare l’acqua, possibilmente demineralizzata o deionizzata, necessaria al raffreddamento del serbatoio ed al suo allagamento in caso di decom-posizione del perossido d’idrogeno. La massa d’acqua necessaria dipende dalle dimensioni del serbatoio e dalla presenza degli altri dispositivi di sicurezza.

Una doccia ed un bagno devono essere installati nelle immediate vicinanze e devono essere periodicamente testati. Deve inoltre essere disponibile una sorgente d’acqua da utilizzare per diluire eventuali fuoriuscite o perdite di perossido d’idrogeno.

2.4.2 Le tubazioni, i collegamenti e le guarnizioni

Le tubazioni devono essere dedicate al solo uso col perossido d’idrogeno. Devono essere protette da eventuali contaminazioni, chiudendole quando non sono utilizzate. Devono essere facilmente drenabili e devono essere evitate linee morte o stagnanti al fine di impedire l’accumulo di impurità. Le tubazioni devono essere progettate evitando che il perossido d’idrogeno possa percorrerle in direzione opposta a quella di normale funzionamento per effetto sifone o a causa di un qualunque altro mezzo: se si ritiene possibile un simile evento, è necessario usare tutti gli accorgimenti come per esempio un rompisifone.

Le tubazioni dovrebbero essere collegate con saldature di testa o con flange; i collegamenti filettati dovrebbero essere usati solo quando strettamente necessario, per esempio per gli stru-menti di misurazione e in zone abitualmente non bagnate. I collegastru-menti non devono presentare olio o grasso.

Le linee sotto pressione dovrebbero essere dotate di schermi di protezione, soprattutto nel caso di collegamenti con flange a faccia rialzata, per prevenire ogni eventuale fuoriuscita del perossido d’idrogeno.

I tubi flessibili dovrebbere essere ridotti al minimo come numero e come lunghezza e preferi-bilmente dovrebbe essere usati per le operazioni di breve durata. Conviene, quando possi-bile, sostituirli con tubi rigidi. In generale anche per i tubi flessibili valgono le considerazioni precedentemente svolte per le tubazioni.

Le guarnizioni dovrebbero essere in PTFE o in un altro materiale compatibile.

2.4.3 Le valvole

In generale le valvole dovrebbero soddisfare i seguenti requisiti: non trattenere il perossido d’idrogeno in una qualunque loro parte; non necessitare di lubrificazione; essere realizzate con materiali compatibili. In particolare, poichè una valvola è composta da più elementi (stelo,

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O-Ring, tenute, cuscinetti, sedi, ...) è necessario verificare che almeno le parti a diretto contatto col perossido d’idrogeno siano di materiale compatibile.

Le valvole di sicurezza devono consentire il rilascio dei gas prodotti dalla normale decompo-sizione del perossido d’idrogeno non contaminato e lo scarico dei gas dovrebbe avvenire in un luogo sicuro. Salvo casi particolari, come tubazioni di grosso diametro e/o molto lunghe, una comune valvola di sicurezza è sufficiente allo scopo.

Le valvole a sfera devono essere dotate di un foro praticato nella sfera in modo da mettere in comunicazione questo piccolo canale con il lato di chiusura in pressione più alta. Più in generale, è richiesto un meccanismo di sfiato che consenta il rilascio del potenziale accumulo di pressione dovuto alla decomposizione del perossido d’idrogeno eventualmente rimasto intrappolato nella valvola. Questo tipo di valvola è normalmente usata per diametri nominali inferiori ai 150 mm; per diametri superiori sono da preferirsi le valvole a farfalla.

Le valvole a diaframma sono sconsigliate ma, se risultano necessarie, deve essere praticato un foro di sfiato sul coperchio per evitare che il perossido d’idrogeno, insinuatosi tra il diaframma ed il coperchio stesso, possa pericolosamente decomporsi in questa zona altrimenti chiusa. 2.4.4 Le pompe

Possono utilizzarsi pompe centrifughe e volumetriche. Dovrebbero essere arrestate in caso di emergenza da una postazione remota e dovrebbe essere evitata la possibilità di pompare perossido d’idrogeno in linee morte.

2.4.5 Gli strumenti di misurazione

Gli strumenti di misurazione non dovrebbero presentare zone in cui il perossido d’ idrogeno possa restare intrappolato. Se negli strumenti viene fatto uso, per il loro corretto funzionamento, di fluidi, è necessario accertarsi che questi fluidi siano compatibili col perossido d’idrogeno.

2.5

La manipolazione

Qualunque soluzione di perossido d’idrogeno richiede una speciale attenzione nel maneggiarla e l’importanza di corrette procedure di manipolazione cresce all’aumentare della concentrazione. Di seguito si riportano alcune linee guida da seguire durante le operazioni di manipolazione.

• Il perossido d’idrogeno deve essere manipolato solo da personale addestrato, ben consape-vole dei rischi che esso comporta e delle necessarie precauzioni.

• Tutte le operazioni di manipolazione dovrebbero essere condotte in ambienti dedicati, ven-tilati e puliti, lontano da materiali incompatibili e da fonti di calore e dovrebbero es-sere condotte secondo le procedure e le norme di sicurezza precedentemente stabilite ed approvate.

• Le cisterne e le piccole confezioni devono essere mantenute in posizione verticale durante i trasferimenti e non devono subire forti scosse, pena la fuoriuscita di perossido d’idrogeno con i rischi annessi.

• Il perossido d’idrogeno non deve essere assolutamente contaminato ed è richiesta la più scrupolosa pulizia nel manipolarlo. La sua diluizione può avere pericolose conseguenze

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sulla sua stabilità, perchè la diluizione riduce la concentrazione e l’efficacia degli stabiliz-zanti. Inoltre, la presenza di piccole tracce di contaminanti, inevitabilmente presenti nel-l’ acqua, potrebbe provocare un’ indesiderata decomposizione. Proprio la contaminazione del perossido d’idrogeno è la causa principale di incidenti.

• Nelle operazioni di riempimento dell’impianto d’immagazzinamento dovrebbe essere asso-lutamente evitato versare il perossido d’idrogeno in punti diversi dal serbatoio, riempirlo per mezzo di tubazioni non dedicate e riempirlo troppo.

• Il perossido d’idrogeno non deve essere reintrodotto nel suo contenitore originale, una volta prelevato, perchè potrebbe essersi contaminato.

• E’ necessario porre particolare attenzione nella prevenzione di perdite o spillamenti del perossido d’idrogeno e nell’impedire ogni suo contatto con materiale incompatibile. Se si verifica una perdita, questa deve essere immediatamente diluita con acqua deionizzata o demineralizzata ed interamente ripulita.

• L’equipaggiamento minimo richiesto per il personale è costituito da guanti in plastica con avambraccio lungo ed occhiali per proteggere gli occhi. Se esiste la possibilità di spruzzi o di esposizione ai vapori, risultano necessarie una maschera per la protezione del viso con l’apposito filtro, una tuta protettiva completa e degli stivali. Gli equipaggiamenti devono essere in PVC, in gomma, in Gore-Tex o in un altro materiale compatibile: sono assolutamente da escludersi guanti e stivali in cuoio. Tutti gli equipaggiamenti devono essere testati prima del loro uso e devono essere risciacquati al termine di ogni operazione di manipolazione.

• Lo smaltimento del perossido d’idrogeno è regolato da disposizioni legislative. Le soluzioni con concentrazione inferiore allo 0.1%, se prive di componenti organici, possono scaricarsi direttamente nel sistema fognario.

2.6

Gli incidenti e le procedure di emergenza e di primo soccorso

Gli incidenti più ricorrenti sono dovuti al non rispetto delle linee guida sull’immagazzinamento e sulla manipolazione precedentemente esposte ed al fatto che il perossido d’idrogeno possa apparire innocuo e sicuro.

• Perdite dai contenitori e dalle cisterne. E’ necessario flussare le perdite con abbondante acqua e consentire la decomposizione in un’area di contenimento all’aria aperta. Non si deve cercare di assorbire le perdite o di recuperare il perossido d’ idrogeno, ormai contaminato, riponendolo nel suo contenitore originale.

• Rigonfiamento dei contenitori. E’ dovuto ad una valvola di sfogo ostruita o ad una de-composizione troppo veloce. Si tratta di una situazione che deve essere fronteggiata con estrema cautela da personale competente e debitamente protetto poichè è potenzialmente molto pericolosa: il rischio ultimo è l’esplosione del contenitore con il getto del liquido su un vasto raggio.

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• Decomposizione. Può avvenire molto lentamente nei primi stadi per poi divenire sempre più veloce, riscaldando notevolmente il serbatoio e producendo grandi volumi di gas e vapore. Questa situazione è resa inoltre incerta dalla dinamica di questo processo autoaccelerato, che è estremamente variabile a seconda della natura dell’agente contaminante. Infatti, non appena si individua la decomposizione non si può esser certi di quanto tempo sarà necessario prima di raggiungere la massima velocità di decomposizione. Questa situazione può fronteggiarsi monitorando costantemente la temperatura e dotando l’impianto di un adeguato sistema di sfiato; come ulteriore procedura di sicurezza può attivarsi l’allagamento con acqua o lo scarico del perossido d’idrogeno da una postazione remota.

• Scoppi nelle valvole. Possono verificarsi se il perossido d’idrogeno resta intrappolato tra due valvole chiuse o se la valvola non è dotata di sfera con foro di sfiato. Il problema può prevenirsi usando sfoghi, valvole di regolazione di pressione o aprendo le valvole nelle immediate vicinanze.

• Incendi. Devono essere estinti con acqua.

Per le procedure di primo soccorso, si ricorda la necessità di porre docce e bagni oculari nelle immediate vicinanze delle zone d’immagazzinamento e manipolazione. In caso di incidente dovrebbero applicarsi le seguenti indicazioni:

• Contatto con la pelle: sciacquare la zona con abbondante acqua fredda; rimuovere imme-diatamente tutti gli equipaggiamenti; coprire la zona con garza sterile.

• Contatto con gli occhi : sciacquare immediatamente con acqua per almeno 15 minuti. • Ingestione: non indurre il vomito; sciacquare la bocca e far bere a piccoli sorsi dell’acqua

solo in caso di infortunato completamente cosciente.

• Inalazione: portare immediatamente l’infortunato all’aria aperta. In ogni caso è necessario consultare immediatamente un dottore.

2.7

Il propellente utilizzato negli esperimenti

Il propellente scelto per alimentare i prototipi è un tipo di perossido d’idrogeno ad elevata concentrazione prodotto dalla Degussa: il suo nome commerciale è PROPULSE(T M ) 875 HTP. Si tratta di una soluzione acquosa con una concentrazione pari all’87.5%, con un contenuto estremamente basso di impurità e di stabilizzanti, relativamente facile da maneggiare. Le sue principali caratteristiche fisiche sono riportate nella tabella 2.2. In appendice B, si riporta la scheda di sicurezza della PROPULSE(T M ) 875 HTP.

Il propellente è contenuto in bottiglie da 1.25 L, realizzate in alluminio con alto grado di purezza (figura 2.11). Queste bottiglie contengono 1 L di PROPULSE(T M ) 875 HTP. Per nor-mative concernenti il trasporto di sostanze pericolose, Degussa può fornire il propellente solo in piccoli quantitativi: al più quattro bottiglie per volta ad un costo complessivo di 5000 euro. Sono state acquistate otto bottiglie.

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Tabella 2.2: Caratteristiche chimico-fisiche della PROPULSE(T M )875 HTP. Stato liquido Colore incolore Odore pungente Concentrazione > 87% Peso molecolare, [g/mol] 34.02 Densità (20◦C), [g/cm3] 1.376 Punto di congelamento, [◦C] ca. -16 Punto di ebollizione, [◦C] ca. 139

Temperatura di infiammabilità non infiammabile pH (20◦C) < 1 Pressione di vapore (30◦C),

[Pa] 750

Viscosità dinamica (30◦C),

[mPa · s] ca. 1.9

Figura 2.11: Una bottiglia di PROPULSE(T M ) 875 HTP.

2.8

Una breve storia del perossido d’idrogeno

Il perossido d’idrogeno fu scoperto da Louis-Jacques Thenard nel 1818. Altri chimici lo avevano prodotto negli stessi anni ma Thenard fu il primo ad identificarlo e a stabilire una procedura per la sua produzione. Dopo la sua scoperta, furono proposte diverse tecniche e

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processi per la sua produzione ed i tre più importanti, ancora oggi utilizzati, sono:

• il processo elettrolitico, nel quale si ottiene il perossido d’idrogeno per elettrolisi dell’acido solforico o del bisolfato di ammonio, seguito dall’idrolisi dello ione perossidisolfato che si viene a formare;

• l’ossidazione del propano e dei suoi derivati ;

• il processo dell’antrachinone, consistente in una reazione organica tra l’antrachinone e l’ idrogeno in presenza di un catalizzatore per produrre l’idrochinone che successivamente è ossidato in aria per dare il perossido d’idrogeno e per riformare l’ antrachinone.

Attualmente il perossido d’idrogeno è quasi interamente prodotto col processo dell’antrachinone. Tutti i processi illustrati producono perossido d’idrogeno fino ad una concentrazione del 30%. Per le applicazioni spaziali sono richieste un’ulteriore concentrazione e purificazione, che sono realizzate tramite processi di distillazione.

Fu Hellmuth Walter a riconoscere per primo le potenzialità propulsive del perossido d’ idro-geno, realizzando nel 1938 il sistema per il controllo assistito o ATO (Assisted Take-Off) per l’Heinkel He 176: tale sistema utilizzava la decomposizione del perossido d’idrogeno all’80% tramite l’iniezione liquida di sali di permanganato. Un’altra applicazione fu nei sottomarini tedeschi Type 18-X, che bruciavano perossido d’idrogeno con cherosene. Sempre in Germania si ebbe una delle applicazioni più importanti: la decomposizione del perossido d’idrogeno all’ 80% tramite l’iniezione liquida di permanganato di potassio era utilizzata come generatore di gas per azionare le turbopompe del missile V-2 (figura 2.12). Fu quest’applicazione che diffuse l’uso del perossido d’idrogeno nella propulsione dopo la seconda guerra mondiale.

Figura 2.12: Il missile V-2.

Tra gli anni compresi tra il 1950 ed il 1970, le principali applicazioni propulsive sono state sviluppate in Inghilterra e negli Stati Uniti.

Gli inglesi inizialmente utilizzarono perossido d’idrogeno all’80%, preso dalla Germania, ma ben presto svilupparono un perossido d’idrogeno più puro e concentrato (85%). Basandosi sui motori tedesci, svilupparono lo Sprite, un motore per il decollo assistito, e successivamente il motore Gamma 201, che costituì il motore principale del lanciatore monostadio Black Knight, che

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probabilmente costituisce il motore a perossido d’idrogeno dalle prestazioni migliori che sia mai stato realizzato (figura 2.13). Si utilizzava perossido d’idrogeno all’85% decomposto attraverso un letto catalitico a schermi di argento; i gas prodotti bruciavano con il kerosene con rapporto di miscelazione 8:1. L’aggiornamento del Gamma 201 fu il Gamma 301, utilizzato negli ultimi Black Knight e nella successiva generazione di lanciatori chiamati Black Arrow, che furono gli ultimi lanciatori inglesi a perossido d’idrogeno.

(a) (b)

Figura 2.13: Alcune delle principali applicazioni propulsive del perossido d’idrogeno in Inghilterra: (a) motore Gamma 201; (b) lanciatore monostadio Black Knight.

Negli Stati Uniti il perossido d’idrogeno fu utilizzato con successo come propellente per i siluri MK16 e negli aerei sperimentali della serie X (figura 2.14). L’aereo sperimentale X-1 l’ utilizzava per azionare le pompe del motore principale e per il controllo di reazione; l’aereo X-15 utilizzava ben otto propulsori monopropellenti a perossido d’idrogeno al 90% per il controllo d’assetto e un generatore di gas, sempre a perossido d’idrogeno al 90%, per azionare le turbopompe del motore principale. L’ aviazione statunitense iniziò lo sviluppo di una famiglia di motori, noti come AR, che utilizzavano perossido d’idrogeno per aumentare la spinta degli aerei militari. In generale, il perossido d’idrogeno trovò numerose applicazioni tra il 1950 ed il 1970.

(a) (b)

Figura 2.14: Alcune delle principali applicazioni propulsive del perossido d’idrogeno negli Stati Uniti: (a) aereo sperimentale X-1; (b) aereo sperimentale X-15.

Durante la guerra fredda e con la corsa spaziale verso la luna, si assistette ad un netto declino nell’uso del perossido d’idrogeno: la ricerca delle prestazioni diviene molto più importante degli

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aspetti legati ai costi, all’ambiente o alla tossicità. Così, il perossido d’ idrogeno fu sostituito dall’idrazina nei sistemi di reazione e controllo e nei generatori di gas, dall’ossigeno liquido nelle applicazioni bipropellente e dalla combinazione ipergolica di tetrossido d’azoto e idrazina nel campo dei razzi bipropellente non criogenici. Tra il 1985 ed il 1987 il perossido d’idrogeno non fu praticamente utilizzato come propellente negli Stati Uniti.

A partire dal 1990, il bisogno di propellenti non tossici, a basso costo e dal ridotto impatto ambientale ha riproposto il perossido d’idrogeno come propellente alternativo.

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Figura

Tabella 2.1: Confronto di alcune proprietà fisiche del perossido d’idrogeno, a diverse concentrazioni, con l’acqua
Figura 2.3: I punti di congelamento e di ebollizione del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione
Figura 2.4: Confronto tra le pressioni di vapore dei propellenti liquidi in funzione della temperatura
Figura 2.5: La pressione di vapore del perossido d’idrogeno in funzione della concentrazione
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