• Non ci sono risultati.

2.2.1. IN MEDIA RES: analisi dei découpages attraverso la realizzazione dei film

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2.2.1. IN MEDIA RES: analisi dei découpages attraverso la realizzazione dei film"

Copied!
56
0
0

Testo completo

(1)

2.2.1.

IN MEDIA RES: analisi dei découpages attraverso la

realizzazione dei film

Se la scrittura di un découpage per gli Straub avviene sempre grazie al materiale delle opere di vari autori e con un attenzione particolare, necessaria al loro metodo di costruzione filmica, che riguarda le possibili scelte da operare con essa, e per quanto il testo letterario possa essere ridotto, in tutti i loro film non viene alterata questa materia, può venire scelta o lasciata “fuori campo” o “montata”, ma resta ciò che è, e si ripresenta con un lungo lavoro di messa in scena dal vero, per essere propriamente ripresa cinematograficamente1; questo comporta che essa agisca all’interno della struttura stessa del film, fin dalla costruzione del découpage, venendo quindi ad essere il terreno di confronto continuo con l’esigenza della sua messa in scena e con le scelte tecniche del film. Come abbiamo già detto, nei loro film i romanzi sono i più ridotti, quindi, per quanto la selezione che essi vanno ad operare sul testo possa essere grande, è sempre attraverso intere porzioni di testo, anche piccole, che la scrittura delle opere resta “integra”, e infatti non c’è film loro in cui le scelte tecniche e la stessa lavorazione del testo non siano relazionate attraverso un prolungato contatto con essa, che quindi, non solo non è mai riscritta, ma diventa motore della stessa ricerca che gli consentirà di avere una sua ricaduta sulla realtà stessa che verrà ripresa direttamente nel film: cercheremo di vedere quindi come il portare fuori la costellazione filmica sia un susseguirsi di idee, di verifiche e di scelte tecniche su queste, e dove gli elementi costitutivi del film si affiancano progressivamente in una precisa struttura organica.

Il testo “letterario” del découpage diSicilia!, per esempio, è costituito completamente da una parte preponderante dei dialoghi diretti del libroConversazione in Sicilia di Elio Vittorini, suddivisi nel film in cinque sequenze: la selezione effettuata elimina quindi tutta la parte iniziale del romanzo in cui il personaggio-narratore descrive i suoi “astratti furori” e le motivazioni che lo spingono al viaggio, e da questa per tutto l’intero libro, tutta la conversazione interiore monologica in prima persona del protagonista, che dall’inizio si sviluppa e accompagna tutto il suo svolgimento, non sarà mai messa in scena. Nelle cinque sequenze cinematografiche diSicilia! abbiamo cinque strutture di dialogo diretto che nel film, come nel libro, nascono dai diversi incontri che fa il protagonista nel suo viaggio in Sicilia, al porto, sul treno, in casa della madre e in piazza al paese.

Se il lavoro degli Straub è quindi un tentativo, il più possibile esatto nella riduzione progressiva di scelte tecniche attraverso il loro metodo realizzativo, affinché quella scrittura sia “propriamente” messa in scena, si deve ricordare ancora che molti film loro sono trasposizioni

1

A parte le eccezioni che alcune parti di discorso indiretto portato a diretto dal romanzo al dècoupage possono rappresentare, e il raro spostamento di piccole porzioni di testo, il lavoro di riduzione come selezione diretta di materiale è quello che fonda la trasposizione della materia letteraria nel cinema.

(2)

integrali di opere: questa è una differenza importante nella relazione che si può creare, insieme alla natura del linguaggio, tra queste stesse opere di partenza e i loro découpages, che sono il luogo di un loro comune fondamento per la stessa forma cinematografica a venire.Operai, contadini dei tre film che analizzeremo è il solo che potrà rappresentare questa continuità della scrittura (anche se è un caso molto particolare, un cambiamento di modo e di registro di scrittura per un tratto continuo precisamente delimitato all’interno del romanzo Le donne di Messina) e una qualità diversa nella forma del racconto letterario, e quindi anche in quello cinematografico, rispetto agli altri due film (anche se vi sono comunque differenze forti e importanti da approfondire anche tra Sicilia! e

Umiliati).

L’applicazione di un metodo di lavorazione filmico, come quello degli Straub sul testo letterario, è così un’indagine anche sulle differenze fra i singoli testi: la profondità di osservazione e ascolto nella preparazione arriva sulla sintassi stessa del discorso, e lentamentre, soprattutto nel corso della lavorazione con il corpo attoriale, sulla stessa morfologia della parola: è quindi anche la costituzione del linguaggio stesso ad essere in scena, “in diretta”, e necessariamente passano in secondo piano, quando non sono espunte direttamente dal découpage, le costituzioni soggettive più nettamente stilistiche del romanzo, la parte più discorsiva della sua lingua letteraria, la quale passa nel film più l’unicità della sua forma “bassa”, di prima necessità se vogliamo, indispensabile all’uso stesso del linguaggio, e che non può essere mai secondaria nella struttura stessa dell’opera: per questo diviene quindi spesso intoccabile in un’operazione di riduzione selettiva sul testo, o mette di fronte ad una scelta di inclusione o di esclusione completa di alcune sue parti, per quello che ognuna di queste comporta nell’unità del lavoro e nella condensazione che, a parte il metodo loro, ogni realizzazione cinematografica si trova a fare almeno della parte descrittiva della scrittura romanzesca.

Un esempio di queste differenze sta proprio nel lavoro per i due film tratti dallo stesso romanzo di Vittorini, con da una parte quel blocco integro di narrazioni “semi-dialogiche”, ma attraverso brani separati scritti in prima persona, che costituisce tutto il testo diOperai, contadini, e che è ripreso completamente nel film: piccoli e meno piccoli paragrafi di dodici persone che si intrecciano ripetutamente in un grande racconto comune, un vero testamento di vita sociale che nasce dall’individualità di ognuno ma che è anche una continua uscita dal sé del soggetto “parlante” verso la terza persona con la quale costruisce la sua forma discorsiva mentre parla e dialoga nel suo racconto con questi altri, che nel loro insieme creano una continua relazione narrativa dentro e fuori a quella “particolare forma di riunione” la quale dall’intero testo letterario passa direttamente alla rappresentazione del film. Diviene un vero corpo sociale di persone fisiche immerse nella natura questa prosa di Vittorini che condensa e brucia via tutte le tinte romanzesche del libro, ma che

(3)

sviluppa al contrario, dentro questi stessi racconti di “vita pratica nel sentimento”, valori poetici molto forti ma sempre sulla soglia del racconto del reale stesso: una forma davvero particolare di scrittura anche per l’opera dello stesso scrittore, e in riferimento alla quale, come testi per i personaggi del film, Straub stesso ha ricordato le piccole prose di Mallarmé2. Al contrario appunto di ciò che succede per Operai, contadini, quaranta pagine consecutive estratte direttamente dalla prima parte del romanzo che divengono un film di centoventitré minuti, l’intera parte a seguire di

Le donne di Messina, che riprende le forme narrative del libro precedenti a questo “blocco di

arresto”, può dar vita a diciotto pagine di découpage cinematografico sulle quasi duecento pagine di romanzo restanti, che fanno diUmiliati un film di quaranta minuti circa dove si riprende la forma del dialogo diretto, anche se non completamente, e nello stesso modo come di Sicilia!, fra diversi personaggi (undici del film precedente e cinque nuovi) in quattro diverse situazioni per i quattro movimenti del film (vedremo poi cosa può rappresentare la sequenza diIl ritorno del figlio prodigo costituita con materiale originario dello stesso Operai, contadini ad eccezione di una inquadratura, che precede la prima versione montata costituendo un dittico filmico di poco più di un’ora). Rimandando dunque ad una riflessione più analitica mi sembra comunque importante già notare come a fronte di una durata così diversa il numero di inquadrature dei due film non cambi molto: sessantanove per il primo e sessanta per il secondo, e sia quindi anche la loro frequenza ad essere molto diversa all’interno della durata del singolo film, che per Umiliati è quindi quasi triplicata rispetto ad Operai, contadini, e questo ci può ancora una volta dare l’idea di come il ritmo di un film si costituisca appunto anche per la forma letteraria, sulla quale la costruzione di un film va ad esercitarsi direttamente.

Se per Sicilia! è stata espunta per il film tutta la parte del romanzo “interiorizzata” dal narratore-protagonista, e il film è la messa in scena in situ dei diversi dialoghi scelti dal romanzo che compongono le cinque sequenza del film, per Operai, contadini la scrittura di Vittorini viene ripresa invece in questo continuum “a parte” dal romanzo stesso, che è una sospensione della sua rappresentazione fino a quel momento e un cambiamento completo del punto di vista nel suo intreccio e dell’uso della prosa letteraria che con un livello così diverso del racconto entra solo dentro a quello della vita degli abitanti del villaggio in costruzione, attraverso le loro stesse voci eparole. In questa rappresentazione di vita comunitaria, rispetto alla possibile necessità di una messa in scena, non corrisponde quasi nessuna indicazione “scenica” dal testo: da questo sappiamo solo di un arresto dell’attività del villaggio a causa della neve dell’inverno per quattro mesi, e che “le cose che vi accaddero, fino a febbraio e da febbraio a maggio, sono i suoi stessi abitanti che le raccontano, nelle notti dell’estate che è ricominciata, per rinfrescarsene la memoria, o per

2

(4)

informarne, un po’ l’uno e un po’ l’altro, un amico o un nuovo conoscente che lo chieda loro. Raccontano:”3, e da questi due punti i dodici personaggi, ripresi direttamente nella stessa continuità del loro testo dal film, si passeranno la parola fra di loro per quarantotto volte, corrispondenti ai quarantotto paragrafi del romanzo, nei quali, all’inizio di ognuno è riportato il nome della persona a cui il testo è riferito; questo trova la sua realizzazione filmica in tre grandi sequenze per sessantasette inquadrature4a cui vanno aggiunte le due panoramiche di apertura e chiusura del film. Nel corso di questa parte del libro Le donne di Messina, Vittorini nei pochi altri interventi di qualche frase tra i paragrafi, continua a sottolineare solo che essi ricordano e raccontano, e la possibile interlocuzione loro con qualcuno che non era con loro durante l’inverno, ma scrive anche “E certo ognuno potrebbe raccontare in un cerchio che gli fosse appropriato”5. La figura del cerchio rimanda sia all’idea della riunione ma anche ad una particolarità di questa attraverso l’individualità di ognuno per ciò che appunto gli è appropriato di questo stesso cerchio. La messa in scena del film che fa vedere tutti questi dodici personaggi, suddivisi sempre per gruppi di tre in tre diverse situazioni dove sono diverse sia la distribuzione dei personaggi che alcune modalità di ripresa, non è propriamente un cerchio, ma ha la presenza di tratti circolari nelle forme della ripresa cinematografica che, anche se, in questo caso, non in modo risolutivo rispetto ad una possibile ricostruzione spaziale completa, li mette comunque in relazione gli uni agli altri in uno spazio naturale unico per tutti in modo equidistante dall’intero, ma non fra di loro, nel risultante montaggio: questa riunione di operai e contadini si svolge infatti tutta all’aperto in un bosco attraversato da un rio, in tre suoi luoghi diversi e, come vedremo raggiunge una forma di messa in scena difficilmente riconducibile a quelle conosciute finora, nella particolare unione della scrittura di Vittorini e della forma cinematografica che hanno cercato di appropriargli con un film Danièle Huillet e Jean-Marie Straub.

Il metodo di lavorazione permette che la presenza della scrittura riportata alla sua vita orale attraverso il corpo dell’attore trovi per ogni singolo progetto, per ogni film, una rappresentazione unica nella forma filmica stessa, e se ogni film loro mantiene visibili, percepibili all’esterno tutte le scelte che fanno la costruzione filmica stessa, tutti questi suoi elementi creano relazioni intertestuali sia fra i testi che fra la tecnica diretta di riprenderlo da un film all’altro, relazioni che grazi anche ad un metodo si sviluppano nel corso di tutta la produzione di Straub-Huillet. Il rapporto del testo filmico con il testo linguistico è quindi uno dei punti di lavorazione dei film più importanti, e

3

Elio Vittorini, “Le donne di Messina”, Mondatori, Milano, 1987, pag. 146. 4

Esistono le divisioni in capitoli del romanzo che proseguono anche durante tutti questi testi scritti in prima persona e che vanno dal XLIV al XLVII, quattro capitoli che corrispondono nel dècoupage finale del film a tre, ma erano stati inizialmente suddivisi in quattro secondo gli stessi capitoli del libro. Cfr. Note al materiale di Operai,contadini, in Appendice a pag.

(5)

costituisce nel loro cinema una vera uscita dal procedimento naturalistico del cinema, comprendendo in questo anche il superamento della stessa bipartizione di materia documentaria e di finzione attraverso una rappresentazione di fatti, riportando ogni volta l’attenzione sulle particolarità e l’uso specifico del linguaggio stesso e l’uso dello strumento cinematografico in una così molto più ampia produzione di materia filmica diversa che riesce ad aprire un arco molto più ampio tra i particolari e gli universali delle sue forme; ciò va anche al di là del film in questione, coinvolgendo delle riflessioni più ampie sul cinema in generale. Per esempio per Roland Barthes “il linguaggio articolato impone una sola linea di esposizione; quando si scrive una storia non si possono rendere simultanei gli elementi di questa storia; (…) Al cinema questa linearità può essere in parte trasgredita dal fatto che in una scena filmata ci può essere l’espressione simultanea di un certo numero di informazioni, se non altro per i rapporti fra la scenografia e l’azione dei personaggi; inversamente, sembra che il potere di dilatazione della sequenza sia molto più grande nella scrittura che al cinema”6: se è vero che il cinema che, forse paradossalmente, chiamiamo narrativo, ci ha abituato a questa visione che porta verso una doppia considerazione fra il linguaggio articolato (e la scrittura) da una parte, e la rappresentazione filmica come azione sempre inserita dentro a situazioni narrative sempre più ampie dall’altra, e che sembrano trascendere l’uso del linguaggio come possibile azione in sè, il cinema di Huillet-Straub, segna progressivamente la messa in relazione proprio di questi elementi in un solo fatto filmico, il linguaggio articolato della scrittura riportata ad un’operazione orale e la “sua” rappresentazione filmica nella “sua”scenografia in un’ unica azione complessiva della rappresentazione del film; tutti elementi che sono presenti ed evidenti però anche nella loro autonomia, nel loro naturale funzionamento contemporaneo, per tratti parificati, o meno, che si avvicendano all’interno del film stesso con un uso del linguaggio articolato che è azione all’interno del film stesso, non inibendo e non si rimuove mai questo fatto (come sembra trapelare invece parzialmente anche dalla riflessione di Barthes). L’azione rappresentata attraverso lo strumento cinematografico sta appunto piuttosto nella più grande sfera dei fatti, del possibile a cui danno luogo, del compimento di questi da vero, uno dopo l’altro e uno nell’altro, in un film che, in un certo senso, è come anche nella vita perché è veramente una sua forma di rappresentazione organica. Questa è forse una delle “storie” più intense che tutto il loro cinema ci racconta attraverso il loro metodo di costruzione filmica, nelle particolarità uniche di ogni film e nell’insieme di temi, lingue, forme e registri linguistici che hanno reinventato, nelle materie dell’arte, un mondo, e nel mondo sono tornati anche come materia filmica e ricostituendosi in tutte le diverse scelte e progressivamente in tutto l’insieme della produzione cinematografica “straubiana”.

6

(6)

Questo potenziale, dato dal rapporto fra la scrittura nella sua rilavorazione orale con il corpo degli attori e le forme che nella messa in scena si creano, va quindi ad essere esplorato nuovamente, anche se con metodo, per ogni film: seSicilia! prende anche elementi dall’ambientazione stessa del romanzo, “scenografici” (ma sempre reali), e Operai, contadini crea una forma alla messa in scena tuttaen plain air per il racconto dei dodici protagonisti del film (che nella loro particolare forma di dialogo ne chiamano anche tanti altri nelle loro stesse vicende collettive), Umiliati, che viene preceduto comunque da una sequenza rimontata di dodici inquadrature di Operai, contadini intitolata Il ritorno del figlio prodigo, è di nuovo una grande riduzione del romanzo di Vittorini attraverso la sola seconda parte, che è suddivisa nel découpage in quattro movimenti-sequenze, in quattro luoghi diversi, di cui i primi tre ancora all’aperto in una parte percorribile a margine del bosco diOperai, contadini lungo il piccolo rio che lo attraversa, e l’ultimo situato in quello che si potrebbe definire un interno-esterno, per la presenza della soglia di casa sia in apertura che in chiusura di questo quarto ed ultimo movimento. La particolarità di questi film nella lavorazione del loro testo ci mostra quanto l’esecuzione orale in presa diretta crei differenze anche enormi tra un film e l’altro, e non solo per come il testo, sia come struttura linguistica che nella sua rappresentazione, entri nell’azione del film stesso, ma anche perché nella stessa contiguità di ogni film, che può essere il seguito di un altro come in questo caso, si può riconoscere con il lavoro degli Straub, appunto sempre un grado di relazione diretta e di continua parziale differenziazione con gli altri film, data dalla genesi stessa della forme della materia, proprio per il metodo di base, il gioco comune del loro metodo di lavorazione; vedremo più dettagliatamente come questo vale particolarmente per Umiliati, sia per il rapporto con il testo stesso di Vittorini, sia per le scelte complessive della sua messa in scena che in questo film possono seguire solo in parte quelle che dà il romanzo ma ne trasformano anche altre rispetto alla rappresentazione romanzesca, e creano quindi un legame anche con le scelte realizzative di Operai, contadini, portandone avanti lo sviluppo in una direzione nuova, frutto del confronto diretto con le esigenze nuove di un film che può essere “seguito” e avere comunque la sua autonomia. E tutto questo diviene con il lavoro degli Straub anche un intervento di confronto dialettico in “diretta” tra le strutture e contenuti della rappresentazione stessa, in questo caso quelle del cinema su quelle del romanzo.

Sembrano quindi esistere tre livelli contemporanei di “scelte della realtà” da mettere in relazione fra loro mentre entrano in un découpage di lavorazione per un film: la realtà del testo-opera (o di più), la realtà che si può incontrare, lasciandola com’è, aggiungendo elementi o modificandone alcuni, e la realtà nello spazio e nel tempo storico delle riprese; e tutto questo “necessariamente” per la stessa messa in scena, e scoprendolo progressivamente, dall’inizio fino alla fine della realizzazione. Ad ognuno di questi livelli corrisponde una certa possibilità di scelta

(7)

nella lavorazione ed un limite di manipolazione (difficilmente quantificabile, ma che qualitativamente si situa tra un principio di non trasgressione a delle regole, e che non esclude la possibilità di trovare una sua eccezione a quelle stesse): è, come già detto, un insieme di avvicendamenti nel gioco filmico in cui la creazione è anche verifica oggettiva ad un’abilità, come residuo soggettivo del gioco, nel quale tutti e tutto divengono parte della costruzione del film stesso; in altre parole, in questo si costituisce ciò che del metodo Straub-Huillet dona le possibilità di riuscire a servire, con una messa in scena attraverso gli strumenti del cinematografo, ogni progetto, per trovare, tratto per tratto, una risoluzione unica (assoluta ma sempre “in relazione” anche all’esterno, come nella realtà stessa, e relativa quindi ad essa) al “problema” pratico di ogni scelta, e che porta la necessaria unità del film ad una nuova “apertura” del suo gioco direttamente alla fruizione dello spettatore, nel tentativo del loro metodo di non divenire mai un insieme precettistico e determinativo per un film-sistema isolato dalla percezione del reale stesso, ma che proprio nell’intera storia del cinema va ad essere piuttosto l’estrema antitesi di questo, nel rinnovamento radicale della costruzione filmica.

Cercheremo di illustrare attraversando i film se si può raccontare tutto ciò in modo più esplicito e quanto questo possa essere preciso attraverso la lunga serie di combinazioni e variabili del loro lavoro che qui sono date dalle scelte che hanno portato alle messe in scena di Danièle e Jean-Marie Straub per questi film attraverso la materia letteraria di Elio Vittorini, e questo senza trascurare gli altri film loro, i diversi punti di contatto che il loro lavoro mantiene rispetto ad altre opere ed autori della cinematografia, ed anche alcune motivazioni “più personali” dei due cineasti testimoniate sia nella pubblicazione di interviste che dall’ascolto diretto durante la lavorazione dei film ed i dibattiti pubblici che hanno seguito la realizzazione di questi, e naturalmente hanno già contribuito alla riflessione di queste stesse pagine.

2.2.2.

L’unico dei tre découpages che porta la data della sua stesura è quello diSicilia!, indicando un periodo di cinque anni, dal 1992 al 1997: la data, non molto importante per sé, ci indica piuttosto ancora una volta la loro esigenza di “trovare” la soluzione sul terreno stesso del film e della vita, nel senso di poter cercare e incontrare le idee e le forme del film nella realtà sorgenti anche da un incontro diretto, “prendendosi il proprio tempo”, senza ripiegare sui mezzi e le possibilità di ricostruzione e di facile manipolazione che la cinematografia può dare7; inoltre il mantenere sempre

7

Questo è valido per tutti gli aspetti della produzione dei film, persone e luoghi, ad esempio l’unico loro lavoro completamente ricostruito scenograficamente con le caratteristiche di un ambiente,“come in uno studio”, ma in realtà

(8)

la produzione in piena autonomia permette di scegliere liberamente gli interpreti e i tecnici della troupe8, e in questa altrettanto piena solitudine, di non subire pressioni nello sviluppo del progetto per la realizzazione del film. L’incontro con l’idea e la visione di un’opera nell’ipotizzarne una regia cinematografica va dunque a richiedere il rincontro, nello sviluppo della produzione, di tutti gli elementi da inserire nella configurazione di quella stessa idea per la messa in scena: la costellazione che ogni loro film è, sembra quindi arrivare gradatamente già nella lavorazione della stesura di un découpage attraverso una lunga serie di segnali sul “campo”, con i quali poter compiere progressivamente le diverse scelte rispetto a tutte le esigenze tecniche della realizzazione stessa. Ogni film diviene retrospettivamente anche un percorso molto preciso di tutto ciò, che resta appunto “percepibile” attraverso il lavoro compiuto; la stessa nascita di un metodo permette di vedere l’intero lavoro con il cinematografo di Straub-Huillet, un film dopo l’altro, anche nella continuazione unitaria, per tratti ben precisi, di queste produzioni e di alcune nette intersecazioni fra tutti questi stessi percorsi “filmici”9. Sembra dunque imprescindibile per i loro film che sia dentro al rapporto tra la vita e il mestiere che si verifichino i segni che portano via via ad una serie di scelte consecutive, le quali progressivamente sono forze reali di supporto e di contrasto in un film che così cercherà sempre di non essere mai in nessuno dei suoi aspetti, come vedremo più dettagliatamente durante le procedure della lavorazione, una veloce operazione per applicare attraverso il potenziale della materia dell’opera di partenza alla costruzione cinematografica stessa. Per lo stesso Sicilia! alla domanda su che cosa avesse provocato il film essi risposero che era per aver visto distruggere nell’abbandono tonnellate di arance che avrebbero rovinato il prezzo di mercato dei grandi distributori: le esigenze che gli Straub portano nel loro cinema ruotano interamente sulla presenza di tratti lampanti di idee attraverso le quali non si possono mai compiere operazioni risolutive sul reale stesso ma costellarlo attraverso fatti oggettivi, filmici e non; così come la materia cinematografica dei film loro non partecipa al tentativo di riduzione ad una proiezione mentale e soggettiva della realtà stessa, per quanto inventiva questa materia possa essere, ma è attraverso queste stesse idee, che danno i particolari e gli universali anche ad un’opera filmica, e che così la possono innestare in

dentro ad un teatro, è un living room borghese, necessario per la messa in scena di un’opera musicale di Schönberg

Dall’oggi all’indomani da cui gli Straub hanno fatto un film nel 1996.

8

Questo non significa che non esistano difficoltà finanziarie, che spesso si sono intrecciati con dei tentativi di controllo sul progetto da parte di produzioni cinematografiche, disponibili solo interagendo nelle scelte realizzative stesse: un lato della disponibilità finanziaria si associa sempre anche ad un ricatto sull’autonomia del lavoro, sui modi e sui mezzi stessi del progetto produttivo. Questo è già è successo agli Straub che per poter mantenere Gustav Leonhard come interprete da loro scelto per il film su Bach per cui hanno rinunciato alle pressioni e al danaro, e, guardando questo dal punto di vista complementare, cioè dall’esclusione occorsa al loro lavoro, ricordando che comunque il rifiuto del doppiaggio di ogni loro film gli è costato l’esclusione pressoché continua dal circuito distributivo e commerciale, c’è anche il caso del “giudizio” da parte della commissione museale della Gare D’Orsay che tuttavia gli aveva proposto e prodotto il loro primo film su Cézanne, forse perché troppo poco autobiografico e “pittoresco” e naturalmente etereogeneo nella materia filmica, che, in tutto il loro lavoro, non è mai l’illustrazione di qualcos’altro.

9

(9)

diversi aspetti rendendola manifesta con rapporti dialettici fra più elementi, spesso anche contraddittori, che lavorano quindi su piani diversi all’interno di un’unica realtà ma che per divenire materia filmica deve poter essere vera e “messa all’esterno”, per potervi essere poi riportata dal film stesso, quando essa è di nuovo “ripresa”, e così direttamente rifruita, personalmente, dallo spettatore nella proiezione.

Questo tipo di “aggancio filmico” all’idea, di un suo lampo diretto ed unico per un posto preciso, o un corpo, una voce, non esclude certo lunghe ricerche successive e lavorazioni, in particolare, riguardo al luogo la suddivisione dello stesso come spazio per le riprese10, la quale operazione, nella riuscita della “messa in inquadratura”, sembra essere per il loro metodo la base stessa della relazione funzionale che lo strumento cinematografico stabilisce con le esigenze della messa in scena nello spazio reale indispensabile alla ripresa cinematografica. Gli Straub, prima di

Sicilia!, avevano già girato in questa regione tre film, La morte di Empedocle, Peccato nero e Antigone (nel teatro di Segesta), la stesura dell’inizio del découpage è successiva di un anno alla

realizzazione diAntigone, ma si può ipotizzare anche che avessero già incontrato la Conversazione

in Sicilia di Vittorini prima, e che i viaggi precedenti in Sicilia avessero quindi già acceso qualche

idea11.

Il porto di Messina è un luogo di transito obbligatorio per arrivare sull’isola ed è lì al primo attracco del molo, dalla parte della stazione, che la prima sequenza chiamata “Le arance” nel découpage si svolge, con Silvestro/Gianni Buscarino seduto sull’ormeggio e l’Uomo dalle arance/Carmelo Maddio e la sua Donna (Angela Durantini) con il loro cesto di arance, all’ombra di un muro di un piccolo deposito, sulla stessa banchina. La mdp, che in questo film montava una serie di ottiche fisse e non uno zoom a focale variabile, viene individuata per questo primo dialogo attraverso due posizioni diverse, e molto ben descritte nel dècoupage12, probabilmente dopo uno o più precisi sopralluoghi, ed è da queste due posizioni che vediamo tutto questo primo incontro fra il protagonista (sempre indicato nel découpage come Lui) e l’Uomo delle arance con la sua Donna e il loro cesto. Per la posizione che gli Straub hanno dato ai tre nello spazio, e l’individuazione di due posizioni di macchina, gli Straub hanno quindi scelto di non riprenderli mai assieme, infatti non vi sarà mai un’inquadratura unica di tutti e tre: Lui ha il suo quadro (per tre volte nelle otto inquadrature che compongono questa sequenza), dove sta di spalle alla mdp (traducendo dal francese la doppia indicazione che spesso gli Straub danno al campo o piano della ripresa nei

10

Gli autori hanno rilasciato spesso dichiarazioni che riguardano lo “spaccarsi la testa” per individuare i punti giusti di ripresa rispetto agli elementi e ai personaggi del film nella creazione dello spazio filmico.

11

Nel film di Pedro Costa sui due cineasti, Daniele Huillet parla di un loro primo viaggio in Sicilia nel 1972 quando cercavano un luogo per girare all’aperto ilMosè e Aronne. P. Costa, “Où git votre sourire enfoui?”, Portogallo-Francia, 2001.

12

La descrizione riguarda queste inquadrature che hanno dei riferimenti precisi rispetto alla posizione della mdp nei confronti dei personaggi di questo dialogo. Cfr. Appendice, pag.

(10)

découpages, la sua ampiezza sta tra un piano ravvicinato/semi-ravvicinato13); appare in una silhouette molto scura (soprattutto nella prima inquadratura) che nel forte controluce quasi ritaglia la sua figura dallo sfondo (egli è frontale all’asse della mdp), la quale è quindi solo un’ombra nel resto dell’immagine: il molo del porto in lungo che corre verso sinistra, qualche barca, il mare sotto e sulla sua destra dove si trova un’altra banchina del molo, e all’orizzonte una parte della città di Messina e della terra dell’isola, cielo e piccole nuvole, il Nord. La posizione della macchina mantiene quasi in parallelo le due parti del dialogo, dopo che Lui, mentre mangia, inizia a parlare del formaggio, vediamo l’Uomo dalle arance e la sua Donna seduti a terra con il loro cesto nel mezzo, essi vengono inquadrati in un campo semi-ravvicinato in cui si vedono solo il muro a cui sono appoggiati e che fa loro ombra e il lastricato della banchina per terra: capiamo allora dal salto in avanti che con lo stacco di montaggio il quadro va a compiere che essi sono alla sua sinistra. L’Uomo delle arance non lo guarda subito mentre gli parla, lo guarda mentre gli spiega che un siciliano non mangia mai la mattina e mentre gli dice questo e gli chiede se è americano si alza e la sua parte alta del corpo, dal petto in su esce dal quadro di ripresa che rimane fermo, per poi tornare su Lui nello stesso modo di prima; l’Uomo delle arance (solo in questo caso) è in voce off nel breve scambio di battute sull’America, poi la mdp torna su quest’ultimo, ora in piedi, con un primo piano (Plan rapproché/Gros Plan) fatto dalla stessa postazione di prima, dove egli è ripreso dal petto in su con il busto della sua figura che occupa quasi tutta l’altezza del quadro, apparendovi quindi in modo slanciato, essendo la mdp un poco più in basso di lui (nel découpage è riportato che è alla sinistra di Lui seduto e supera in altezza la sua spalla sinistra) e così resta nel corso di tutta la discussione a venire, dove Lui rimane sempre fuori dal campo con la sua voce in off: argomentano vivacemente di problemi di lavoro, danaro e di cibo, parlando insieme, ma noi vediamo sempre solo il venditore d’arance. La mdp torna poi nel “piano d’insieme” con cui lo ha già ripreso insieme alla sua Donna, con la sua testa tagliata fuori e le mani in tasca; in questo quadro egli si abbassa entrando in campo, porge a lei un’arancia che ella rifiuta seccamente con uno gesto e uno sguardo senza parole, allora lui si rialza: la mdp è quindi di nuovo in primo piano sull’Uomo dalle arance, anche se è Lui che inizia a parlare fuori campo, e resta così nel corso di tutta la discussione che ne segue, modi di mangiare per Lui, e modi per mangiaretout court per l’Uomo che deve riuscire a vendere le arance per questo; poi la mdp ritorna per l’ultima volta su di Lui che quasi in un’imprecazione mista a rimprovero gli chiede “Ma perché? È così difficile vendere le arance?”. Lo stacco successivo sull’Uomo delle arance risolve la sequenza sempre sul suo primo piano, mentre deve spiegare che oltre a non vendere le arance subisce il ricatto del padrone che lo paga con la stessa materia che è

13

(11)

costretto a vendere, e della sua maledizione di venditore di arance che al mondo sembrano avvelenate.

Rispetto al romanzo, gli Straub ambientano questo incontro al porto e non sul battello, asciugano il dialogo dalle sue parti più didascaliche del romanzo, alcuni gesti non entrano nel film, come l’Uomo delle arance che ne mangia con rabbia un paio: la “fisicità” del cinema straubiano non passa per l’espressività del grande gesto e dell’azione, ma attraverso le stesse emozioni del corpo dell’attore-interprete-citatore, il gesto, se vi è, è un materiale di lavoro già nella preparazione, in continuità con l’esecuzione intera: è veramente un ritmo globale ininterrotto quello che porta la lavorazione del metodo straubiano e che la presa diretta di immagine e suono va a restituire nella stessa integrità della continuità del reale della ripresa stessa. Per mantenere questo le inquadrature sono montate, ma non “raccordate”, attraverso il riconoscimento di una prospettiva unica nello spazio di ripresa e un unico punto di vista in ognuna di esse (ma non necessariamente ribilanciato nel centro di questa): ogni inquadratura mantiene così anche la sua autonomia, entrando nel montaggio sempre per salti, per stacchi immediati (sono in effetti solo i loro primi film ad avere qualche dissolvenza incrociata). Quando si passa alla successiva sequenza del treno vi si arriva dunque direttamente. Nel loro cinema mancano completamente le funzioni didascaliche alla colonna visiva e sonora dell’immagine filmica, la creazione illusoria di uno spazio moltiplicato in diversi punti di vista, e il naturalismo dell’azione nella rappresentazione: questo rende il loro cinema un fatto filmico fisico.

Anche il testo, e la sua lavorazione partecipano a questo; ci sono infatti nel testo di questa prima sequenza anche piccole variazioni: “Ma siete siciliano voi?” diventa “Non siete siciliano voi”, e appunto, mancano i saluti di Lui mentre l’uomo delle arance continua a maledire le sue arance: quello che si rileva dalla visualizzazione di un film degli Straub può essere, a fronte di una riduzione molto precisa di scelte tecniche, la possibilità di una sua descrizione attraverso tantissimi particolari, tanto forte è l’evidenza dell’immagine che viene rinforzata nello sguardo posato e stabile della macchina: è la sua costruzione precisa che nasce progressivamente in una messa in scena il più possibile “organica” ripresa in modo diretto dagli strumenti del cinematografo a rendere possibile questa esplorazione nella sua audiovisione. Anche la possibilità che dà il ritornare sullo stesso quadro più volte durante lo svolgimento del film diventa così un riconoscimento grazie proprio ad una scelta precisa delle sue forme, di cui è parte anche il testo del film che si snoda attivamente nella struttura, e anche per la sua lunga preparazione “misurata” con il lavoro degli attori: tutto questo crea una messa in scena che va sempre verso l’esterno, a partire proprio dal rapporto con lo spazio delle inquadrature, le quali non sono mai chiuse nella centratura prospettica che tuttavia la “camera ottica” della mdp consente. Nel cinema degli Straub il gioco della visione

(12)

che ogni sequenza crea è quindi fermo e stabile ma la sua costruzione in ogni inquadratura porta ad uscire dallo “sguardo in cornice” della mdp stessa, rimandando con queste inquadrature dall’apertura del spazio filmico all’apertura dello spazio reale. Le scelte per ogni sequenza si danno per una loro combinazione unica, una soluzione nella costruzione del film che richiede la verifica personale ed attiva dello spettatore che è sempre libero di esplorare con l’attenzione e l’abbandono che risultano dalla stessa materia filmica questa infinità di particolari nel presente continuo del “reale diretto” del film, e non con un’induzione percettiva data attraverso un uso visivo e sonoro molto suggestivo del mezzo cinematografico. In questo primo movimento lo spettatore non potrà per esempio vedere i tre insieme, non avrà mai l’impressione di una visione convergente tra le due posizioni della mdp, che sono quasi parallele: ciò che viene deciso sullo spazio dà la possibilità di approfondire in una direzione precisa la messa in scena, e la scelta “di regia” sembra basata sulla possibilità di avere effettuato proprio questo preciso percorso, nella sua stessa riuscita, data dall’avere trovato la realizzazione dell’idea che ha sentito e visto e che va a configurare così esplicitamente per lo spettatore con la massima evidenza. Le scelte sono nette e percepibili perchè la realtà abbia così i suoi effetti, anche al cinema, forse per questo il cinema di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub mantiene nel loro metodo questo lato di gioco che è anche di vera sfida per il suo spettatore

La mdp si sposta solo se ce n’è bisogno, si può dire forse anche così, ma in modo riduttivo rispetto alla varietà di combinazioni che l’attualizzazione filmica di un’opera consente e che comunque non esaurisce certo tutte le possibilità: il primo dialogo della seconda sequenza per esempio ci fa vedere di spalle i due poliziotti “in licenza” che parlano sul treno, in un’inquadratura unica mentre sono davanti al finestrino del corridoio, il mare e un po’ di riva scorrono di fronte a loro e alla mdp che mentre parlano tiene la distanza di un piano ravvicinato dall’inizio alla fine, e li ascolta nelle loro contorte riflessioni. Questo costituisce un primo segmento della sequenza sul treno; non abbiamo nel film nessuna possibilità per ora di rintracciare il protagonista del romanzo, la materia letteraria è fatta film solo dalla sua trasformazione in “blocchi” di realtà, non c’è qui nessuna cognizione o riflessione omodiegetica del Vittorini-Lui del libro; dal dialogo al finestrino di Coi baffi e Senza baffi (Simone Nucatola e Ignazio Trombello) vengono espunte, rispetto al romanzo, solo le considerazioni esclamative sul mare e le piante di arancio e alcune ripetizioni, per il resto è identico, anche nella posizione dei due che ci è descritta nel libro da Silvestro-Lui. Improvvisamente appare un primissimo piano del Gran Lombardo siamo dentro il compartimento: egli si alza, esce di campo, la mdp non si muove, sentiamo lo sbattere della porta scorrevole, rientra in campo, riprende la sua posizione lanciando una domanda “Non sentiva la puzza?”: vediamo allora Lui di faccia per la prima volta, in un piano ravvicinato che ci fa vedere anche i sedili liberi

(13)

attorno, tutto questo è notato accuratamente nel découpage che indica la posizione della mdp “seduta” rispettivamente sui due primi sedili del compartimento vicini al corridoio del treno, ed è lì infatti che Willy Lubtchansky teneva a spalla la mdp. Questa scelta avvicina gli sguardi della mdp a quella dei protagonisti del dialogo, che sono seduti entrambi al centro delle due file di sedili, ma mai fino ad una costruzione della visione che ci possa mettere, come spettatori, in una loro personale soggettiva visiva (che forse in tutti questi tre film potremmo rintracciare solo una volta); le posizioni per le inquadrature saranno sempre fatte da qui e sveleranno accanto al Gran Lombardo (Giovanni Interlandi), il Catanese (Giuseppe Bontà) alla sua destra, ripreso una sola volta da solo quando spiega a Lui da dove veniva la “puzza”, e un Vecchietto (Marietto Baschieri) alla sua sinistra, che sogghigna ilare un paio di volte nel corso del dialogo. Essi sono ripresi sempre insieme al Gran Lombardo nei loro interventi della messa in scena, e una volta, dopo il monologo-dialogico del Gran Lombardo, anche con una veloce panoramica a spalla che va dal Catanese insieme al Gran Lombardo al Vecchietto sempre insieme a quest’ultimo. È di nuovo con il gros plan (quel primo piano stretto che abbiamo già visto, e che non è molto diffuso nel cinema degli Straub) che il Gran Lombardo parla nella sua inquadratura più lunga, dove a tratti monologa con parole e con uno sguardo che rimangono senza fondo di fuoco nel visibile mentre impongono una condizione al presente del suo discorso, rivolto al possibile esterno che scorre incessante oltre il finestrino nello stesso movimento del reale nel chiaroscuro estremo di un’immagine che non dà sfondo al suo personaggio. Da questa escono fuori dai suoi ¾ animaleschi del suo viso (che sono anche nella descrizione del libro di Vittorini) un colpo di occhi e di idee, con la tesa del copricapo allineata a marcare questo taglio verso sinistra della sua posizione, mentre trascende con il pensiero delle sue parole la possibilità di una visione che abbia un fuoco visivo nitido su cui i suoi occhi si possano fermare in quel momento, ma che viene restituita dal film da una vibrazione di pensiero e sguardo che si manifesta nel percettibile microsobbalzo della mdp con la gravità “sospesa in movimento” attraverso il corpo dello “chef”. Una melanconia attiva di un profondo intento di rinnovamento spirituale e sociale emerge con il suo lungo discorso sugli altri doveri per una nuova coscienza dell’uomo, e sull’insoddisfazione micidiale per sé e per il mondo quando questa relazione resta fondata nel solo possesso e nello svolgimento di compiti senza reale partecipazione; ed egli non dimentica di dire anche tutto ciò che possiede ed il piacere che ne trae, ma è della sua voglia di dare via tutto per una pace con gli uomini in una vita di comune libertà reciproca che parla. Una reale contraddizione in queste parole, vero ritratto della commistione di poesia e politica di Elio Vittorini, anima la via verso Utopia nella corsa di un treno e di un film che è anch’esso un ”treno nella notte”, ancora attraverso il confine sempre esplorato dagli Straub del vero con l’immaginario e delle sue vicendevoli trasformazioni con l’”arma di puisia” come canta sul nero dei titoli di testa la Angela

(14)

Nugara/Sig.ra Concezione, con un’attitudine metamorfica alla stessa realtà fatta film attraverso il divenire incessante nel movimento tra il dentro e il fuori della materia della rappresentazione stessa, proprio come da questo sguardo che esce improvvisamente, e discontinuamente non guarda più, ma ad occhi aperti solo vede, e stacca così il presente stesso nel reale raggio d’azione di visione e pensiero insieme, verso il nuovo orizzonte immaginario ma vero di un non ancora che tuttavia è già là, nel profilo di sinistra del viso di un uomo, che corre stando completamente fermo. Giovanni Interlandi, il Gran Lombardo questa inquadratura 17 l’ha battuta diciassette volte e non ha mai sbagliato, Jean-Marie diceva sempre che a teatro durante le prove imparava per piccoli pezzi “come un bambino”, sbagliando anche spesso (come durante la rappresentazione teatrale a Buti nella cui registrazione il Giovanni/Gran Lombardo si dimentica una parte della battuta e si sente Straub che gliela corregge aggiungendo la frase direttamente dalla sala): tutta questa incertezza naturale nella preparazione del testo, che non è per niente ritrosia personale, permette all’equilibrio del testo di uscire di nuovo come ricreato attimo per attimo, libero, non c’è preponderanza fra emozione e pensiero ma ne è la sua forma nascente ogni volta, non c’è né inflessione personale né forzatura nell’esecuzione, ma c’è l’azione del testo che mostra il suo sbocciare per la prima volta sull’organicità del suo terreno lentamente coltivato; ma a questo punto, si potrebbe dire che sembra anche esserci una sorta di “recitazione” del testo sul suo interprete stesso, e di questo accadimento, più che probabile nel metodo di lavorazione degli Straub, andremo poi a tornare.

Questa seconda parte (B, come segnata nel découpage) della seconda sequenza del film presenta delle parti del libro che sono state cambiate nella forma linguistica per poter divenire un dialogo diretto (anche se monologico) nella messa in scena: per il discorso del Gran Lombardo l’inizio del suo testo per l’inquadratura 17 passa dalla forma di narrazione indiretta del romanzo a quella diretta in prima persona, e nel corso del paragrafo vengono eliminate anche alcune frasi didascaliche: il film porta l’evidenza e l’asciuttezza della situazione e come d’abitudine per il loro cinema, nessun naturalismo; Lui “scompare” quasi di fronte ai tre siciliani, come nel libro d’altronde, dopo alcune sue piccole osservazioni tenute in voce off dal film, non c’è nello svolgimento della sequenza nessuna sua manifestazione orale o visiva, e naturalmente tutto questo lo si sente. Bisogna notare comunque che il film è girato in una delle ultime carrozze di prima classe con l’interno ancora di tessuto e non di plastica, mentre nel romanzo l’ambientazione è in un compartimento di terza classe, che non “esiste” più: si passa insomma direttamente alla prima saltando la presunta inconsistenza, anche filmica, della seconda.

Gli Straub staccano dopo un’ultima replica del Gran Lombardo al Catanese che lo pensa professore, e al nonnino dal sogghigno-risolino secco, “senza corpo di voce” come scrive Vittorini per quest’ultimo: gli Straub stessi hanno infatti, azzeccando la scelta, penato abbastanza mentre si

(15)

girava sul treno per ottenere un’uscita sonora dal corpo di Mario Baschieri, considerando anche che i tempi e i luoghi di percorrenza di un treno non sono riproducibili e le giornate di lavorazione passano con un viaggio di andata e di ritorno (si viaggiava infatti tutti i giorni con la carrozza riservata da Messina in coda al treno di linea per Siracusa, ci staccavano a Catania, se ce n’era bisogno, o comunque a Siracusa, dove dopo qualche ora ci riattaccavano sul treno di ritorno verso Messina). Dopo che il suo discorso si chiude gli Straub indugiano ancora più di qualche secondo sul primo piano di Giovanni/Gran Lombardo a contrasti forti, un film loro è fatto anche di contemplazione, mentre l’ombra della tesa del cappello scende sui suoi occhi che mantengono nella penombra lo scintillio del suo sguardo acceso ma ancora in linea con qualcos’altro, ma che non sembra agganciarsi alle sue stesse idee e visioni nelle possibilità date dal presente, delle quali probabilmente lì non trova nessuna forma che possa essere a queste contingente: forse è ciò che dal testo dà forma e pensiero anche alla sua immagine nella struttura del film, in questo limite dell’Impossibile tra l’interno e l’esterno del suo vedere e pensare, mostrando il corpo come un luogo di passaggio che può essere l’azione del film stesso; ed è così che lo lasciamo. Siamo a Catania, stazione di cambio di cui vediamo il cartello ferroviario, un campo totale perpendicolare ai binari con dei piccioni che si alzano in volo davanti all’orizzonte del mare e a tanto cielo. Inizia la terza sequenza di nuovo sul treno nella linea che da Catania porta a Siracusa, un’inquadratura dal finestrino dalla parte della terraferma contraria alla direzione di marcia ci mostra lo scorrimento del paesaggio che si apre davanti, le linee degli elementi di questo nei loro diversi piani di distanza che scorrono a velocità diverse, l’Etna guida dall’alto, quasi immobile, questa avvolgenza semovente della terra siciliana e della linea quasi continua delle sue costruzioni urbane moderne che sembrano provare a dividerla, con un’autostrada e le sue macchine che sfrecciano aumentando questa linea di taglio e i suoi punti di velocità relativa nel movimento complessivo dell’immagine, e, ancora sotto a questo, nella parte più bassa dell’inquadratura, che viaggiando diventa panoramica da cinema muto, accade ancora che dietro al binario dove tutto è più vicino e si muove più velocemente, l’otturatore della mdp non possa far tenere il fuoco a tutta l’immagine e che qui una porzione di essa magmatica variabile inizi a creare il suo movimento astratto-figurativo che impressiona così la stessa pellicola che scorre sul limite stesso della visibilità ottico-meccanica del mezzo cinematografico. In questa inquadratura non riconducibile più, nel film, direttamente al viaggio del suo protagonista, ma che non si distacca nemmeno particolarmente dalla possibilità di una sua “soggettiva”, mentre l’occhio “fisico” del cinema viene messo alla prova, e non sarà l’unica volta, su questa terra siciliana, si può pensare che un film con un testo letterario corrisponde bene anche all’idea dello stesso Vittorini di una letteratura vivente contro l’invecchiamento del mondo, mentre abbiamo questa visione in

(16)

comune con questa “presenza” che continua a viaggiare in questa terra magnifica e che ci fa andare oltre il problema identitario ed identificativo “solo umano”.

Inizia con questa ripresa la terza sequenza del film, vediamo quindi la fila di sedili, ora liberi, in cui stavano prima davanti a Lui i tre siciliani; improvvisamente entra e siede guardando di fronte a sé e chiedendo poi permesso Con i baffi che prima parlava al finestrino con il collega: il dialogo che segue mantiene una polarità tra i due un po’ da interrogatorio (e che è forse particolarmente connaturata a questo film), in cui si alternano domande dell’uno e risposte “parate” dall’altro, vicendevolmente in campo l’uno con l’altro in voce off, e solo in un paio di momenti in un “botta e risposta” diretto fra i due campi di ripresa. Lui nel momento in cui “pizzica” Con i baffi chiedendogli se non sapeva della sua voce da baritono viene ripreso in un primo piano stretto, lo stesso usato anche quando gli rimprovera che cantare per le strade è sempre meglio di fare “l’impiegato”: è questo il primo piano più stretto di tutto il film per lui insieme ad un paio, molto brevi come questo, con l’Arrotino nell’ultima sequenza, mentre tutto il resto del dialogo si svolge con piani ravvicinati fino al busto su entrambi. Essi non sono mai ripresi insieme, e meno confidenzialmente rispetto al romanzo dove parlano di più mangiando insieme il pesceduovo di Con i baffi; sull’ultimo piano ravvicinato (senza i saluti del romanzo) in cui quest’ultimo insiste nel chiedere a Lui che va a fare a Siracusa e dal quale non ottiene risposta questa parte del treno va a chiudersi, non prima di staccare su un’ultima inquadratura. È fatta dal treno, dalla parte del mare dove in un campo totale stanno la costa rocciosa prima di Siracusa, il mare e il cielo, due navi all’orizzonte che sembrano vicine, ma poi una si stacca muovendosi più velocemente dell’altra verso il margine del quadro da cui usciranno poi entrambe, e, mentre il treno prosegue la sua corsa, improvvisamente il suono non c’è più, l’inquadratura diviene una muta panoramica a basso volo, cingendo la costa frastagliata che prende il sopravvento nella resa figurativa dell’immagine, prima con le sue rocce chiare, basse e sconnesse, poi con i suoi tratti pietrosi scuri ancor più frastagliati, sembra guidarla un raggio diretto invisibile di rotazione che dall’orizzonte distende le circolarità delle stessa terra sull’immagine mostrandoci la sua stessa materia, mentre il movimento sembra piano piano decellerare, aumentandone il suo rilascio, ancora una volta la mdp nella vicinanza di quella terra di roccia perde la profondità di campo e la possibilità di renderla completamente nitida nel suo scorrimento che diviene di nuovo il magma di un’onda rocciosa nella trasformazione della sua forma che si muove incontrollabilmente sotto la sua stessa apparenza lineare del’orizzonte. L’incontro dei movimenti fa sì che la cinetica geologica e quella cinematografica si possano muovere insieme toccando i limiti di una loro comune forma di rappresentazione.

(17)

Da questo totale movimento della muta Terra14 ci troviamo improvvisamente a strapiombo sul digradare di montagne dell’entroterra siciliano: il découpage riporta tra la fine della terza e prima della quarta sequenza “Grammichele – situazione”, ed è qui che ci troviamo in una panoramica ripetuta nello stesso modo due volte ad orari diversi, che inizia appunto con l’apertura dall’alto sulle montagne siciliane al fondo delle quali a sinistra intravvediamo l’Etna e che lentamente spostandosi verso destra ci mostrano il digradare delle loro ampie valli e degli insiemi collinari che le attraversano, accompagnando lentamente la risalita della montagna verso l’altipiano di Grammichele che vediamo stagliato nel profilo della sua lunghezza; la mdp non si ferma e continua, ci mostra di nuovo il digradare della terra che si alza ed entra in campo sempre più vicina, verso l’asse dell’inquadratura stessa, con alberi, pali della luce e un grande cimitero, prosegue avvicinandosi ancora alla strada che gli passa davanti fino ad arrivare ad un grande albero, lì si ferma un momento e retrocede sullo stesso percorso con lo stesso quadro, fino alla città di Grammichele sulla montagna, dove si arresta. Di nuovo sullo stesso strapiombo sulle montagne della Sicilia come all’inizio della precedente inquadratura, esse sono infatti uguali, ma la luce è ora altissima e l’Etna non si vede nella calura, le forme date dalla luce trasformano lo stesso paesaggio che abbiamo già visto: il découpage prevedeva solo una panoramica e ne sono state girate di più, una nel pomeriggio (la seconda che vediamo) e una all’alba che è quella in cui si vede l’Etna15. Questo montaggio può essere messo in relazione con il viaggio di Silvestro, il Lui del film, nel suo percorso per raggiungere casa a Grammichele: dalla sua partenza da Siracusa, dove lo abbiamo lasciato, al suo arrivo nel paese della madre nell’entroterra siciliano; ma ciò non è risolutivo per il film, se inteso anche come trama, ci sono infatti sempre questi rilanci di idee nel cinema di Straub-Huillet in cui un paesaggio resta aldilà di ogni racconto, di ogni film e si potrebbe dire, di noi stessi, il rapporto dei due autori con il paesaggio sta al centro della loro opera, queste riflessioni ci potrebbero portare molto lontano dentro e fuori dal loro stesso lavoro, meglio restare sulla costruzione del film e quindi anche sull’opera di Vittorini che scrive come voce interiore del “suo” protagonista della Conversazione dopo che questo ha letto la lettera del padre prima dell’inizio del suo viaggio: “pensai Sicilia, montagne in essa”16.

La sequenza che segue, la più lunga del film, il suo “interno” a casa della madre, nell’incontro e nel lungo dialogo con lei, non è stata girata in Sicilia ma vicino a Buti, in una casa vicino al bosco alle pendici dei monti Pisani, lo stesso luogo in cui verranno girati anche Operai,

14

Il tratto ferroviario di questa inquadratura è stato girato non dalla carrozza ma con una piccola litorina semiscoperta: quel tratto ferroviario è ora chiuso, i lavori di costruzione della linea nuova che passa ora più nell’interno e lontano dalla costa, terminavano proprio in quei giorni di lavorazione.

15

Quest’inquadratura la ritroveremo una terza volta, ed è probabile che siano state girate anche in tre momenti diversi, la terza nel découpage pubblicato in Francia infatti riporta tra parentasi unhigh noon. Cfr. Appendice, pag

16

(18)

contadini, Umiliati e Quei loro incontri. L’inquadratura dell’arrivo del figlio dalla madre in esterno

ci fa vedere una parte della bianca facciata della casa, la porta, una finestra. La realtà del documento filmico attraverso gli elementi della ripresa “fa i conti” con la finzione della messa in scena nei film degli Straub, piuttosto che il contrario, o meglio crea sempre una dialettica tra questi poli, ma mai si subordina completamente la realtà stessa per una messa in scena, si ricerca in essa fino a fare dell’idea dell’opera di partenza sempre un attraversamento del realtà nel presente attraverso il cinematografo: per esempio da una parte abbiamo questa casa abbastanza moderna, con il suo incasso di vetro nella porta di ingresso, la precisione dei suoi infissi in legno, dall’altra questa semplice inquadratura di un incontro sulla soglia di casa è ripresa in un modo epico del far cinema, dato anche dall’uso del bianco e nero della pellicola, essa infatti sembra uscita da qualche ripresa di

Arsenal di Dovzenko, e anche le inquadrature del treno di questo film portano in parte sulle tracce

di quel film, ed in particolare proprio verso questo regista russo, la cui influenza a me sembra tra le più grandi in assoluto sul loro cinema attraverso le sue composizioni figurative per quadri cinematografici e il lirismo della materia filmica e del suo montaggio. Infatti nel lavoro degli Straub sembra il sonoro in presa diretta che va a rinnovare prima di ogni altra cosa lo sviluppo del cinematografo da allora (senza dimenticare una versatilità maggiore dell’attrezzatura, e della pellicola, con un sistema ottico di ripresa più raffinato) o comunque il loro cinema riconosce come già complete le applicazioni dello strumento filmico fatte dal cinema muto; e attraverso questa enorme nuova possibilità che il sonoro in presa diretta consente, essi continuano da quelle stesse basi a coltivare le forme della visione e dell’ascolto, come idee da vedere e raccontare, approfondendo l’esplorazione della materia filmica.

Tutta la quarta sequenza del film si svolge dentro quest’interno tranne l’apertura appunto sulla soglia di casa, con il saluto e l’abbraccio tra la madre (Lei, Concezione/Angela Nugara) e figlio (Lui) con il loro ingresso in casa; questa sequenza è composta a sua volta di sei movimenti (di cui il sesto individuato in ulteriori tre segmenti) e corrisponde rispetto al romanzo ai dialoghi diretti tra il figlio e la madre di tutta la sua seconda parte, dalla quale vengono eliminate, come altrove nella trasposizione del découpage, le ripetizioni, le informazioni più didascaliche e di circostanza molto personale nelle sfaccettature degli stessi personaggi, che seppur importanti rispetto alla loro costruzione narrativa nel romanzo, nel film non trovano presenza e sviluppo (per esempio il compleanno della madre che va a coincidere con il viaggio, l’intreccio che Lei fa quasi confondendole tra le figure di suo padre, cioè il nonno di Lui e di suo marito, il padre di Lui, mentre quest’ultimo paragona e cerca un Gran Lombardo dentro a queste figure maschili della sua famiglia).

(19)

Tutta la serie di inquadrature in un unico ambiente di tutta questa sequenza che segue è stata girata passando la tarda mattina e il primo pomeriggio del primo giorno di riprese a trovare il punto di posizione giusto per la mdp che consentisse di girare dalla stessa posizione tutti i piani di ripresa, variando le sole distanze focali degli obbiettivi fotografici (con un’intera serie di focali fisse e non con uno zoom variabile, seppur con l’aggiunta di un 100 mm., come per Operai, contadini e

Umiliati): questa ricerca è documentata anche dal film-video di Jean-Charles Fitoussi17 sulla realizzazione dello stesso Sicilia!, e mette in parallelo, accostando nel suo montaggio a questa “scoperta” per poter iniziare a girare attraverso un’unica posizione di macchina, un estratto di un’intervista a Robert Bresson sull’”occhio unico” come fondamento dello “spirito unico” che preferibilmente deve presiedere alla realizzazione di tutte le inquadrature di ogni singolo film nella giusta posizione, rispetto al lato destro e sinistro e dell’altezza di ognuna di queste. Dopo questo Fitoussi con un cartello in didascalia mette in relazione il punto di vista e la prospettiva uniche della mdp degli Straub e l’occhio unico di Bresson, ma che forse bisognerebbe considerare questo procedimento in relazione allo spazio stesso come elemento autonomo con cui la struttura visiva del film si relaziona e di cui un punto di vista unico e una prospettiva unica della ripresa non rappresentano la soluzione, ma il limite preciso su cui le scelte delle inquadrature si dovranno realizzare: infatti se sottolineare il punto di vista unico della ripresa (che non nega la costruzione a sé di ogni inquadratura ma la consente dentro un procedimento) attraverso un’unica prospettiva (che nell’inquadratura è un elemento con cui lavorare mentre la si costruisce) possono forse consentire di avere un occhio unico, o il ritrovamento di uno spirito unico, non possono invece spiegare la relazione di un film degli Straub con lo spazio, che nasce dal rapporto tra le varie inquadrature nell’esigenza della messa in scena in reale rapporto all’unicità dello spazio in sé. Questa costruzione non si spiega quindi verso la regia e la sua visione per quanto “giusta”, ma partendo proprio dal rapporto della costruzione filmica necessaria con lo spazio, andando quindi già verso la sua visione da parte dello spettatore che troverà nelle scelte compiute dei punti di riferimento allo spazio reale: forse allora si tratta di lasciare aperto lo spazio nella costruzione di ogni inquadratura verso le altre, e di rispettarlo nella posizione (o nelle posizioni) che la macchina da presa prende al suo interno, per cui la visione di questi quadri attraverso una scelta precisa messa sempre in relazione a tutto il loro insieme nello spazio di una sequenza, diviene per lo spettatore, vero occhio “unico” dell’esperienza filmica, la possibilità di riconoscere con continuità il rapporto delle inquadrature del film con l’intero spazio di ripresa, non distruggendo così spazialmente anche l’unicità del mondo, che tale resta, anche al cinema. La posizione unica della mdp trovata e che permette senza spostarla

17

J. C. Fitoussi, “Sicilia si gira”, Francia, 2001. Fitoussi era assistente per il film assieme a Arnaud Maillet, al sottoscritto e a Andreas Teuchert che ha girato un altro film-video sullo lavorazione di questo film dal titolo “La musica siete voi, amici!”(Germania, 1999).

(20)

tutte le inquadrature e il movimento dei personaggi nell’ambiente di ripresa, riunifica la presenza dello spazio nella visione del film permettendo comunque di lavorare differenziando le inquadrature o di mantenerle identiche per la necessità della messa in scena, giocando, con regole stabilite dalla posizione della mdp, nella costruzione attraverso punti di vista unici e che lavorano con la prospettiva del quadro ottico ma senza centralizzarla sempre, permettendo allo spettatore di vedere l’intero procedimento della costruzione dello spazio in una rappresentazione vera di esso e che cerca anche così di intrigarlo nel gioco della messa in scena, quasi chiedendogli ragione del suo percorso.

Il primo movimento di questa sequenza si svolge tra un’inquadratura, in apertura e in chiusura del camino con il paiolo appeso, nella prima di queste con la brace e un’aringa ad arrostire, le altre inquadrature vedono da una parte, il figlio rivolto alla madre in un piano semiravvicinato di spalle alla porta che se fosse fatto nel modo forzatamente equilibrato e centrato del cinema narrativo sarebbe stato un piano americano, essendo la mdp più in basso di Lui crea invece uno slancio verso l’alto della sua figura, mentre la luce radente il muro rende presente il fondo nella materia dello stesso muro e della cornice della sua porta dietro lui con un controluce forte sul suo viso dovuto alla luce che filtra dal vetro e che si fonde con il suo profilo cancellandone quasi i contorni. La madre invece ha diversi primi piani sempre molto stretti che la isolano di più dallo spazio, con il suo viso e l’attaccatura del collo fin verso le spalle sempre alla sinistra del quadro, voltata verso l’aringa all’inizio e subito dopo rivolta a Lui entrando anch’essa in un pieno controluce che la illumina; nelle altre inquadrature Lei tende piuttosto ad una frontalità verso la mdp: è seduta quasi di fronte ad essa, corrispondono in altezza in questa sua posizione seduta al bordo del camino, ne vediamo tutto il viso molto vicino. Le due inquadrature del dialogo sono giustapposte anche con un gioco, quasi sempre presente e fondato sul testo stesso nel cinema degli Straub, di voci off rispettivamente sull’uno o l’altro dei quadri, e tranne quando li vedremo inquadrati insieme questo continuerà lungo il corso della conversazione18ma variando molto le possibilità del suo uso nel montaggio. Solo qui, nell’inizio del secondo movimento, dopo un brevissimo stacco al nero dell’immagine senza suono che segue l’inquadratura della mano che leva l’aringa dal fuoco e la mette nel piatto, vediamo i due insieme per intero, a tavola già apparecchiata, ognuno al suo capo ma senza più l’aringa nei piatti; Lei nel fondo a favore della camera, Lui più vicino ma girato quasi di spalle in modo che la mdp non riesce a fornirci nemmeno l’intero profilo, ma abbastanza per vedere che si guardano, entrambi. Il découpage nota proprio la costruzione asimmetrica, ¾ viso e ¾ schiena per lei e per lui, il taglio

18

Diventa difficile seguire con una descrizione delle inquadrature anche il testo e la narrazione che esso crea, si tratta di ricordi nella prima parte, costituiti da molti particolari in variazioni improvvise, la vita e la conoscenza stessa fra madre e figlio, ora due persone entrambe adulte. Ma la conversazione cambierà nel corso del dialogo. Il découpage riprodotto

(21)

dell’immagine permette di vedere oltre all’insieme del tavolo e dei due corpi seduti sulle sedie, una parte del pavimento, e un angolo delle due pareti ravvicinate dalla striscia d’ombra lineare e continua, soffusa nel bordo senza un contrasto luminoso, che segue orizzontalmente tutto il margine superiore dell’inquadratura che è quasi sempre buio cancellando la presenza del muro. Il dialogo prosegue mentre continuano a parlare guardandosi in faccia, si alternano due volte due loro primi piani raccordati direttamente nell’asse della mdp, con l’altro che parla fuori campo: Lei ha il suo viso nella parte di centro, verso la destra del quadro, dietro vediamo lo schienale della sedia, e l’angolo del muro con una piccola ombra oblunga sospesa proprio nell’angolo dei muri (un piccolo mistero con una origine invisibile nel quadro, e che il film svelerà in un’altra ripresa); anche Lui occupa la parte verso destra del quadro, lo suo sguardo “parziale” che vediamo trova quindi spazio libero di fronte a lui, la sua testa lascia sul muro un’ombra nitida che lo retrocede, e sotto la sua nuca vediamo tutto il margine superiore dello schienale della sedia. Sul primo piano di Lei con il suo sguardo che resta lanciato oltre il margine destro del quadro, il film si stacca al nero per poi tornare nell’inizio del terzo movimento di questa quarta sequenza su di Lui: l’ottica è cambiata, vediamo dalla metà del tavolo fino a lui e alla sedia dove dietro si intravvede buia un’apertura, il braccio destro appoggiato al tavolo e quello sinistro a penzoloni ma in tensione sul bordo superiore della sedia, il suo corpo è più aperto nella postura a favore della mdp, ma il suo viso resta sulla madre con lo sguardo, l’ombra del suo corpo nitida sul muro ora lo precede e ne disegna cangievole il profilo, egli parla e la madre gli risponde fuori campo. Poi la situazione si ribalta, ma la proporzione dell’inquadratura resta, vediamo Lei fino alle ginocchia seduta sulla sedia e il tavolo fino alla bottiglia divisa a metà dall’immagine stessa (che è presente anche nel quadro con Lui nello stesso modo). Le inquadrature che seguono e in cui per una volta si rispondono direttamente con la giustapposizione diretta dei loro rispettivi piani, e in cui la madre è ripresa in un primo piano nell’asse della mdp, erano previste dal découpage con dei primi piani per entrambi ma che nel film su di lui non ci sono e viene invece mantenuta l’inquadratura ravvicinata; quando sua madre si alza e gli passa davanti con la sua ombra nitida al seguito per raggiungere la finestra e spiegargli la cavalcata, lui la segue con lo sguardo e si appoggia con il braccio al tavolo. Vediamo poi Lei, è alla finestra di spalle con un primo piano tagliato di tre quarti a favore della finestra, con la parte destra del viso che non arriva a formare il suo profilo, e dietro di Lei, più in basso l’ombra del suo profilo si disegna sul muro e parla insieme a lei, come è già successo nelle inquadrature precedenti, e vediamo l’incrocio dei due muri che è ora segnato verticalmente dalle differenze forti di luce: qando Lui fuori campo gli dice di ricordarsi e Lei girandosi gli risponde che egli aveva solo tre anni, abbiamo un suo primo piano di tre quarti della sua parte sinistra del corpo. Un lampo di nero di nuovo, siamo nel quarto movimento: in asse all’inquadratura precedente un campo più largo su Lei

(22)

nel suo lato di sinistra rispetto alla mdp e dentro la sinistra del campo dell’inquadratura stessa: parlano molto intimamente, quando il quadro torna su di Lui è con un primo piano stretto mentre guarda sua madre, si parlano vicendevolmente in campo e fuori campo in mod equilibrato, anche nelle inquadrature, quando si torna su Lei è con un primo piano, in asse al semiravvicinato precedente, dove Lei sta ancora alla sinistra del quadro, continuando a parlare del babbo: si parla della famiglia tra gli stessi parenti nei libri di Vittorini. Il movimento di questa sequenza lavorerà con questi due assi di ripresa raccordando piani ravvicinati e primi piani su entrambi, utilizzando meno dei movimenti precedenti le loro voci fuori campo, ma tenendo serratamente un dialogo diretto, visivo e sonoro insieme: l’argomento della conversazione riguarda infatti i ruoli e i comportamenti delle parti maschili e femminili in una coppia; in un campo semiravvicinato Lei chiude la discussione ed esce di campo verso destra. Da questo campo lasciato “vuoto” passiamo al piano ravvicinato “vuoto” del centro della tavola, sentiamo i passi di Lei che entra in campo solo con le braccia, posa un melone ed esce dallo stesso campo, parlano entrambi fuori campo del melone, poi Lui viene in avanti ed entra, con le sue mani ed il viso di profilo, gira il melone e lo annusa, per poi riuscire. Seguono quattro campi ravvicinati di loro due (Lui, Lei, Lui, Lei) in piedi agli opposti angoli della tavola, occupano rispettivamente la parte dal centro del quadro verso la direzione dell’altro, vicini ma non congiunti, in questi particolari “piani americani”: la mdp è più in basso di loro ed apre la prospettiva verso lo sfondo, dando slancio verso gli angoli di congiunzione dei muri con parti del mobilio della casa con le pareti illuminate per intero dietro le loro rispettive figure per la prima volta: vediamo l’apertura della porta in luce dietro di Lui, e una parte di un mobile basso, sul piano di Lei abbiamo oltre alla verticale dell’angolo dei muri con sopra la sua ombra fino al busto in tenuasilhouette l’estremo angolo destro della mensola del camino che entra in campo, in alto a sinistra del quadro, e resta così sospesa (vediamo così ora la causa dell’ombra misteriosa che compariva sospesa sul muro dietro la figura seduta).

Una breve interruzione, ancora con un tratto di film nero muto, ci porta nella quinta sequenza, di solo due inquadrature, il cui taglio è molto diverso: Lui ora è seduto e beve un bicchiere di vino, occupa con il profilo sinistro la porzione in basso a sinistra del quadro lasciando libero il muro dietro verso l’alto, la striscia di luce arriva poco sopra la sua testa e l’oscurità presente sulla parete è come discesa sulla sua figura, l’ombra della sua stessa testa sul muro rimane tagliata senza il suo profilo che esce di campo: la madre parla in voce off mentre Lui la “interroga” sulla fuga del padre da casa, poi Lui si appoggia sullo schienale della sedia occupando la parte in basso a destra del quadro, e quando vediamo Lei seduta al suo capo della tavola con la sedia, e una parte del tavolo, appoggiata al suo bordo con le braccia conserte, abbiamo un chiaroscuro sulla

Riferimenti

Documenti correlati