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Le manovre dei generali

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Academic year: 2021

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Capitolo quarto

Le manovre dei generali

Le Commissioni d’inchiesta

Subito dopo la pubblicazione dei primi articoli de «L’Espresso», nel maggio del 1967, il ministro del Partito socialista unificato, Roberto Tremelloni, decise di affidare un’inchiesta riservata al generale Ciglieri, comandante generale dell’Arma dei carabinieri, con lo scopo di accertare la reale portata delle rivelazioni del settimanale romano e di scoprire i nomi degli ufficiali che avevano fornito le informazioni. Così, nel settembre seguente, il ministro poté esporre i risultati dell’indagine, durante una seduta della Commissione difesa del Senato. Egli, negando con decisione che nel corso degli accertamenti fossero emerse circostanze gravi o eccezionali, concluse con tono rassicurante che «l’attività svolta dal comando generale era stata sempre utilizzata per il compito istituzionale di fronteggiare eventuali turbamenti dell’ordine pubblico».1 Tuttavia, le affermazioni del ministro furono sconfessate dalle rivelazioni che, con ritmo incalzante, si succedevano nel corso del primo processo De Lorenzo-«L’Espresso». Durante uno dei primi interrogatori, infatti, il giornalista Lino Jannuzzi precisò che «tutto quanto da me scritto, e che forma oggetto delle querele in questa causa, è stato puntualmente confermato da un’inchiesta svolta per ordine del ministero della Difesa, personalmente dal generale Giorgio Manes, vicecomandante generale dell’Arma».2

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Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.43.

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A sua volta, Giorgio Manes confermò che nel maggio 1967 aveva svolto un’indagine, per ordine del comandante dell’Arma dei carabinieri, generale Ciglieri, al fine di individuare gli ufficiali che potevano aver trasmesso le notizie ai giornalisti de «L’Espresso». Per questo egli aveva interrogato i militari che, per i posti ricoperti nel 1964, avrebbero potuto fornire tali informazioni e aveva redatto dei verbali per alcuni di questi incontri. L’indagine, che si era conclusa in giugno, non aveva portato all’identificazione degli ufficiali responsabili, ma aveva appurato due circostanze anomale verificatesi durante la crisi del giugno-luglio 1964. In primo luogo, era stato accertato l’intervento di elementi del Sifar, che avevano provveduto a consegnare ai comandi dell’Arma liste di persone da arrestare. In secondo luogo, era emerso che tali iniziative erano avvenute all’insaputa degli organi di pubblica sicurezza, responsabili per legge dell’ordine pubblico. Alla richiesta del tribunale di ricevere copia del rapporto Manes, seguì, tra incredibili difficoltà,3 la lettura del documento, insieme alle dichiarazioni allegate: i fogli giunti in aula, però, risultarono limitati da ben 72 omissis.4 Le polemiche

3

Il rapporto Manes, nella sua versione integrale, arrivò al tribunale in un plico sigillato il 22 dicembre 1967 e venne affidato all’usciere per la riproduzione in fotocopia. Alcune complicazioni burocratiche fecero slittare la fotocopiatura al giorno dopo. Il comando generale dell’Arma dei carabinieri ebbe così il tempo di far pervenire ai giudici una lettera con la quale, invocando un presunto segreto politico-militare, pregò il tribunale di «voler cortesemente considerare la possibilità di evitare di rendere pubblici» gli atti. Il documento tornò così in aula, ma limitato in molte sue parti. Cfr. Ivi, p.141.

4

Il rapporto Manes e gli allegati, nella versione resa pubblica dal tribunale, si trovano in Renzo Martinelli, op.cit., pp.164-166 e pp.173-181. Successivamente, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul 1964 riuscì a consultare solo un testo parzialmente integrato degli allegati, in cui venne cancellata più della metà degli originali omissis. Cfr. Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del

giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, pp.179-180, 186-194, 206-224. Il testo integrale

degli allegati è stato reso pubblico solo nel 1991 in: Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione

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provocate da queste ulteriori rivelazioni e dal comportamento reticente del ministro, indussero lo stesso Tremelloni a istituire, il 12 gennaio del 1968, una nuova Commissione d’inchiesta, presieduta dal generale Luigi Lombardi. Questa volta la Commissione ricevette un mandato piuttosto ampio: «accertare se nell’ambito delle forze armate erano state assunte, in relazione agli eventi politici della primavera-estate 1964, iniziative o attività illegittime o comunque eccedenti la competenza degli organi che le avevano disposte, ed individuarne le eventuali responsabilità di ogni ordine, amministrativo, disciplinare o penale».5

La Commissione Lombardi concluse i suoi lavori il 21 giugno del 1968, mentre la relazione finale fu portata a conoscenza dei membri del Parlamento il successivo 22 luglio, dopo le elezioni politiche e il passaggio di consegne al ministero della Difesa fra Tremelloni e Luigi Gui.6

Nella relazione finale, la Commissione affermò che «dall’esame degli atti raccolti durante le indagini ritiene di poter escludere che le predisposizioni e le iniziative assunte nella primavera-estate 1964 avessero il fine e l’attitudine dell’effettuazione di un colpo di stato».7 Nello stesso tempo, essa contestò al generale De Lorenzo di aver assunto «in una delicata situazione politica, che precedette ed accompagnò la grave crisi di governo dell’estate 1964, iniziative eccedenti la sua competenza di comandante generale dei

5

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.51.

6

Gli allegati alla relazione Lombardi furono trasmessi, pur con l’apposizione di numerosi omissis, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul 1964. La trascrizione completa degli allegati e il testo degli interrogatori sono stati pubblicati, ancora una volta, nel 1991 in: Atti Parlamentari, Commissione stragi,

Relazione sull’inchiesta Sifar, volume III, pp.73-916; volume IV, pp.7-745; volume V, pp.7-887.

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carabinieri facendo elaborare un piano per la tutela dell’ordine pubblico basato sull’impiego delle sole forze dell’Arma, senza tener conto delle altre forze dell’ordine, come previsto dai vari piani regolamentari esistenti».8

Mentre la Commissione Lombardi procedeva nei suoi accertamenti, le vicende del Sifar e del presunto colpo di stato del giugno-luglio 1964 assunsero un ruolo centrale nel dibattito politico, divenuto particolarmente aspro in prossimità delle elezioni del maggio 1968. Sulla scia della sentenza di condanna emessa dal tribunale di Roma il 1° marzo, i giornalisti Scalfari e Jannuzzi furono candidati, e poi eletti, rispettivamente come deputato e senatore nelle fila del Psu. Anche il generale De Lorenzo fu candidato e divenne deputato sotto le insegne monarchiche.9 Immediatamente prima dello scioglimento delle Camere, di fronte all’ennesimo rifiuto della maggioranza di avviare un’indagine parlamentare, il senatore del Psiup Emilio Lussu ribadì la scelta delle forze di opposizione di sinistra a favore di una Commissione parlamentare d’inchiesta: «in uno stato di diritto, quale l’onorevole presidente del Consiglio definisce frequentemente il

8

Ivi, p.69. Tra gli obiettivi della pianificazione predisposta da De Lorenzo, la Commissione ha individuato anche quello di «creare nell’ambiente politico un particolare stato psicologico atto a favorire una rapida soluzione della crisi». Cfr. Ivi, p.33. Il generale Lombardi ha precisato meglio il senso di questa affermazione durante le udienze della Commissione parlamentare d’inchiesta: «si potevano attribuire a De Lorenzo delle possibilità, poteva far sorgere l’idea che avesse in mano qualcosa di robusto, di preparato, che potesse avere una consistenza. Noi che ci siamo entrati dentro sappiamo che non avevano questa consistenza, ma dall’interno (dall’esterno) si poteva benissimo pensare il contrario». Subito dopo, alla domanda del presidente tendente a sapere se il “Piano Solo” poteva essere considerato come una messa in scena, rispose: «una messa in scena ed un elemento di pressione. La parola sarebbe brutta: si tratta di un bluff». Cfr. Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli

eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.881.

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Nel maggio del 1971, all’indomani della conclusione dei lavori della Commissione Alessi e del dibattito sul Sifar che portò alla solenne censura sul suo operato, il generale De Lorenzo passò al Movimento sociale italiano.

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nostro stato repubblicano, l’aver negato la Commissione parlamentare d’inchiesta è tale affronto alla democrazia che il Senato chiude la legislatura discutendo una mozione su questo losco affare. Il quale sarà il primo problema che dovrà risollevare la prossima legislatura... Dirò, anzi, che la futura legislatura proprio su questo punto definirà se stessa, su questo punto che è fondamentale e l’annunzio della sua vita. Come affronterà e risolverà il problema della Commissione parlamentare d’inchiesta? La mozione che discutiamo oggi e il voto che la concluderà non costituiscono l’affossamento della Commissione d’inchiesta, ma l’ultima denuncia di questo Senato e un appello, per quanto modesto, al paese e alla nazione. Questa è l’eredità che noi lasciamo ai parlamentari che verranno dopo di noi».10

Puntualmente, dopo l’intermezzo delle elezioni, le opposizioni di sinistra ripresentarono la richiesta e la maggioranza di centro-sinistra non oppose più un rifiuto precostituito. In questa scelta influì, senza ombra di dubbio, il mutato atteggiamento dei socialisti, ma un ruolo importante fu comunque svolto dalla conoscenza dei risultati dell’inchiesta Lombardi che, pur escludendo la tesi del colpo di stato, aveva confermato la consistenza delle iniziative illegittime di De Lorenzo. Già nelle dichiarazioni programmatiche del suo primo governo, Rumor dovette recepire questa apertura, dichiarando l’impegno della maggioranza a favore di «una nuova iniziativa parlamentare per la costituzione di una Commissione di inchiesta avente lo scopo di accertare, secondo le indicazioni contenute nella relazione della Commissione ministeriale di inchiesta nominata con decreto ministeriale 12 gennaio 1968 e presieduta dal generale

10

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.78.

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Lombardi, le iniziative prese e le misure adottate nell’ambito degli organi competenti in materia di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, in relazione agli eventi del giugno e del luglio 1964».11 Il dibattito tra le forze politiche si concentrò, allora, sui limiti d’indagine da assegnare alla Commissione. Contro le indicazioni delle opposizioni di sinistra tendenti ad ampliare la ricerca all’intera attività svolta dal Sifar, la maggioranza circoscrisse l’iniziativa esclusivamente agli avvenimenti dell’estate del 1964.

Su queste basi venne quindi approvata la legge del 31 marzo 1969, che istituiva la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964.12 La Commissione, che avviò subito i suoi lavori, fu presieduta dal deputato democristiano Giuseppe Alessi e composta da venti parlamentari. Il 15 dicembre del 1970, dopo oltre un anno e mezzo di attività, fu presentata la relazione finale, approvata dai soli parlamentari della maggioranza. Gli altri gruppi elaborarono quattro contributi autonomi, che furono votati rispettivamente dalle opposizioni di sinistra (Pci, Psiup e indipendenti di sinistra), dal rappresentante liberale, da quello monarchico e da quello missino.

Nelle conclusioni, la relazione di maggioranza si limitò a prendere atto degli episodi e delle iniziative di incontestabile evidenza, inserendo gli uni e le altre in una prospettiva fortemente minimizzante. Così, essa constatò la gravità dei progetti predisposti all’interno dell’Arma dei carabinieri e del Sifar, ma sottolineò anche i riscontri negativi raggiunti in ordine alle varie ipotesi formulate, dal colpo di stato di stampo militare, al

11

Ivi, p.108.

12

In Parlamento, la proposta di legge presentata da Zanibelli-Orlandi-La Malfa fu votata da Dc, Pri e Psi-Psdi unificati; parere contrario venne espresso dalla sinistra indipendente, dal Psiup, dal Pli, dall’Msi e dal Pdium, mentre il Pci si astenne.

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colpo di stato predisposto con l’impiego di mezzi formalmente legali, alla simulazione di un complotto. «Non esistono prove né indizi - ha scritto - per affermare che nel giugno-luglio 1964 sia stato tentato, ordito o quanto meno ipotizzato un colpo di stato contro le istituzioni della Repubblica democratica. È stato anche dimostrato che non esistono prove né indizi che nel giugno-luglio 1964 sia stata progettata la eventualità di iniziative politiche (governo “forte” ed elezioni anticipate) congiunte a predisposizioni militari, queste ultime quale deterrente destinato a creare un clima di pressione idoneo a modificare, in sede elettorale, l’equilibrio delle forze politiche operanti nel nostro paese. È stato, infine, dimostrato che non esistono prove né indizi che nel giugno-luglio 1964 sia stato messo in atto un colpo di forza e, cioè, che siano state predisposte misure minacciose, intese a forzare la volontà politica di alcuni partiti per indurli a rinunciare ai loro programmi, determinando la perdita della loro capacità contrattuale nella formazione di un governo».13

Posta di fronte all’esigenza di fornire comunque una spiegazione alle manovre individuate, la relazione parlamentare di maggioranza finì per addossare le «deplorevoli iniziative prese e le inammissibili predisposizioni adottate... alla responsabilità primaria» del generale De Lorenzo.14 In seconda battuta censurò il comportamento del generale Viggiani, capo del Sifar, e, in forma assai più sfumata, del generale Rossi, capo di stato maggiore della difesa. «Cosa, dunque, è accaduto? - si è chiesta, rispondendo subito dopo - È avvenuto che, nella primavera-estate 1964, il generale De Lorenzo, quale comandante generale dell’Arma dei carabinieri, al di fuori di ordini o direttive o di

13

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.1289.

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semplici sollecitazioni provenienti dall’autorità politica... e senza nemmeno darne loro notizia, ideò e promosse l’elaborazione di piani straordinari da parte delle tre divisioni dell’Arma operanti nel territorio nazionale. Tutto ciò nella previsione che l’impossibilità di ricostituire un governo di centro-sinistra avrebbe portato a un brusco mutamento dell’indirizzo politico tale da creare gravi tensioni e contrasti determinando una situazione di emergenza speciale».15

Secondo la tesi dei commissari di maggioranza, dunque, tutta l’operazione “Piano Solo” era dovuta a una estemporanea manovra di preparazione disposta a livello militare, senza il coinvolgimento della sfera politica. Tale impostazione, tesa a circoscrivere gli avvenimenti e ad ignorare ogni riferimento al ruolo dei politici, diventa ancora più marcata nelle righe in cui si denunciava il potenziale pericolo insito nella pianificazione. Questo pericolo, infatti, può concretizzarsi solo attraverso un processo spontaneo, superiore alla volontà dei singoli e, in definitiva, del tutto spersonalizzato: «la Commissione a tal proposito non esita ad esprimere la propria convinzione che le iniziative menzionate si rivelino obiettivamente pericolose per la possibilità che esse offrono - indipendentemente dallo scopo e dalle intenzioni degli operatori - di trasformarsi, per una specie di fatale consequenzialità fisico-materiale superiore alla volontà dei singoli, in apprestamenti che, procedendo per nuove ed incalzanti necessità, possono pervenire a conseguenze che diremo da prima contra od ultra intentionem, ma in seguito produttive di imprevedibili alterazioni dell’equilibrio politico nazionale ed eventualmente persino di modificazioni dell’ordinamento costituzionale».16

15

Ivi, pp.1289-1290.

16

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In opposizione a queste tesi, la relazione dei rappresentanti di Pci, Psiup e indipendenti di sinistra partì dalla negazione dell’ipotesi di un colpo di stato puramente militare: «tutto il complesso di predisposizioni - hanno scritto - è improntato infatti più che per un’azione autonoma dell’Arma dei carabinieri che si sovrapponesse alle forze politiche e alle istituzioni, per la creazione di uno strumento idoneo ad attuare un intervento che, nel corso e nell’ambito di una situazione politica di crisi, avrebbe potuto determinare spostamenti di equilibri politici, incidere nei rapporti tra le forze politiche, e alterare, attraverso la menomazione dei diritti costituzionalmente protetti delle forze di una parte dello schieramento politico, la reale fisionomia politica del paese».17 Poco più avanti, in forme più esplicite, la relazione ribadì che le misure predisposte dai comandi dell’Arma dei carabinieri e dai servizi di sicurezza «erano state determinate, organizzate, apprestate come uno strumento idoneo a determinare con un colpo di forza, una alterazione dell’equilibrio politico, a modificare i rapporti tra le forze politiche, a colpire e in ogni caso a mettere in grave difficoltà tutto lo schieramento. Ciò al fine di ricostituire una situazione politica quale era auspicata dai gruppi della destra economica e da forze all’interno e all’esterno della maggioranza: e che desse maggiori garanzie anche ai gruppi dirigenti di paesi legati da alleanze militari».18

Le concrete modalità di attuazione della pianificazione non andavano in un’unica direzione e anzi esse testimoniavano la duttilità del progetto, pensato in funzione di soluzioni diverse: «in funzione cioè di un’azione politica decisa in tutti i modi a raggiungere l’obiettivo di dare una sterzata netta alla situazione politica ed economica

17

Ivi, Relazione di minoranza delle forze di sinistra, volume II, p.278.

18

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italiana, anche a costo di avventure e di lacerazioni profonde nel paese e anche a costo di colpirne le stesse strutture democratiche. Ma anche la stessa minaccia dell’intervento, che poteva essere effettuato da un momento all’altro, poteva costituire, come costituì effettivamente uno strumento per ottenere determinati risultati politici... Vi furono certo coloro che intendevano patrocinare in tutti i suoi aspetti un certo tipo di operazioni, coloro che le prevedevano soltanto come eventualità e chi infine riteneva di potersene servire come strumento di una certa manovra politica non solo nei rapporti tra partiti ma all’interno dei singoli partiti, e soprattutto all’interno della Dc e del Psi per piegare la resistenza di forze contrarie a certe soluzioni».19

In questo quadro, la relazione delle forze di sinistra insistette sulle pesanti responsabilità del generale De Lorenzo e sul comportamento censurabile del generale Rossi, ma denunciò soprattutto la persistenza all’interno dell’Arma dei carabinieri e delle forze armate «di una mentalità antidemocratica, di una concezione per cui a molti poté apparire come operazione lecita l’arresto di migliaia di persone, appartenenti ad organizzazioni politiche di sinistra, la loro deportazione, l’occupazione delle sedi dei partiti e dei giornali di sinistra».20 Anche per quanto riguarda il livello politico, i commissari affermarono che «per diversi profili, il comportamento tenuto nel corso della vicenda dal capo dello stato non può non suscitare perplessità e preoccupazione»,21 ma evidenziarono anche che le responsabilità andavano allargate fino a investire «quegli uomini e quei settori del partito di maggioranza relativa da cui, quale che fosse la

19 Ivi, p.298. 20 Ivi, p.318. 21 Ivi, p.328.

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posizione e la funzione pubblica o meno rivestita, sono emerse soluzioni politiche tendenti ad una determinata svolta politica».22 Più in generale, essi osservarono che gli eventi del giugno-luglio 1964 non si erano determinati per una serie di circostanze contingenti, ma erano «la conseguenza di una politica attuata per tanti anni, che ha creato le radici di quello che è stato definito “un bubbone” che poteva infettare la vita del paese… la mancata democratizzazione dell’apparato statuale e militare; la conservazione o la promozione di una mentalità antipopolare; e più ancora i legami corporativi costituitisi tra gruppi dirigenti dell’apparato e la classe politica di governo, la compenetrazione con i gruppi economicamente più attivi ed aggressivi, i legami derivati dai rapporti internazionali: ecco i motivi di un continuo deterioramento dell’apparato dello stato».23

Gli altri tre elaborati conclusivi espressero un giudizio decisamente più riduttivo. La relazione del Partito liberale, redatta dal commissario Alfredo Biondi, affermò che «il colpo di stato non fu tentato e neppure concepito» e che , tuttavia, il generale De Lorenzo assunse «per suo conto, l’iniziativa di trasformare quelli che erano studi di carattere generale in apprestamenti specifici, passando dal terreno della teoria a quello delle predisposizioni operative proprio nel momento, politicamente delicatissimo, della crisi del governo Moro del 1964».24 Per conto del partito monarchico, il deputato Alfredo Covelli negò ogni addebito, scrivendo che «si può serenamente concludere che non vi fu nulla di illegittimo nel periodo su menzionato: soltanto una preoccupazione

22 Ivi, p.333. 23 Ivi, p.340. 24

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responsabile per la situazione dell’ordine pubblico da parte delle autorità competenti».25 Una conclusione simile fu tratta dal Movimento sociale, che nella relazione del suo rappresentante, Enea Franza, precisò: «non sussistono responsabilità per violazione di legge da parte del comandante generale dell’Arma dei carabinieri e del capo di stato maggiore della difesa in carica nel giugno-luglio 1964».26

Nella sua indagine, la Commissione parlamentare d’inchiesta ha vagliato un’imponente mole di materiale, che era emerso negli anni passati attraverso gli articoli della stampa, le testimonianze di politici e militari, le risultanze delle Commissioni amministrative. Essa, invece, non riuscì ad acquisire la conoscenza completa degli atti e dei documenti, e questa lacuna fu la principale debolezza del lavoro svolto in sede politica. I parlamentari, infatti, non poterono consultare né i testi integrali delle Commissioni Beolchini, Ciglieri-Manes, Lombardi, né i documenti allegati. Inoltre, le quattro minute di piani, indicate globalmente come “Piano Solo”, furono assoggettate a imponenti censure che ne diminuirono fortemente ogni possibile comprensione.27 Addirittura, la lista degli enucleandi non è stata mai consegnata e il presidente del Consiglio, già con la nota del 26 novembre 1969, dichiarò di non poter fornire alcuna notizia al riguardo. Altri documenti furono negati dal ministero della Difesa: delle presunte veline Rei-Sifar, che, secondo De

25

Ivi, Relazione di minoranza del Pdium, volume II, p.425.

26

Ivi, Relazione di minoranza del Movimento sociale italiano, volume II, p.565.

27

Le copie fotostatiche del “Piano Solo”, così come pervennero alla Commissione parlamentare, sono state riprodotte in: Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, pp.625-701. Il testo integrale, invece, è stato reso pubblico in: Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione sull’inchiesta Sifar, volume I, pp.15-126. La consistenza degli

omissis impedì la sia pur minima lettura: delle 100 pagine manoscritte o dattiloscritte ne vennero

pubblicate integralmente 12 (metà delle quali erano pagine di titolazione) e parzialmente o gravemente mutilate 23. Le pagine negate furono 65.

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Lorenzo, erano state inviate al presidente della Repubblica nel giugno-luglio 1964, non fu confermata né smentita l’esistenza. Venne, infine, considerato segreto anche il nastro contenente il colloquio del 14 aprile 1967 tra De Lorenzo e il consigliere di stato, Andrea Lugo, in cui quest’ultimo avrebbe offerto al generale un’ambasciata in cambio delle dimissioni da capo di stato maggiore dell’esercito.28 La documentazione concernente gli omissis dell’inchiesta sul Sifar e sugli avvenimenti dell’estate del 1964 è stata resa pubblica alla fine del 1990. Sono così diventati consultabili, con la sola esclusione dei riferimenti di carattere privato o familiare, i documenti indicati complessivamente come “Piano Solo”, il rapporto Manes con gli allegati, la relazione e gli allegati della Commissione Beolchini, il colloquio De Lorenzo-Lugo, gli atti completi dell’inchiesta Lombardi. Al contrario, tra le carte inviate dal governo alla Commissione parlamentare presieduta da Libero Gualtieri mancava la lista degli enucleandi.

Il “Piano Solo” e le liste degli enucleandi

I lavori della Commissione parlamentare focalizzarono tre aspetti principali che erano emersi dall’esame dei fatti del giugno-luglio 1964, incentrati rispettivamente sul gruppo di potere Sifar-Arma dei carabinieri, sul “Piano Solo” e sulle liste per l’enucleazione. Riguardo al primo tema, che costituiva l’humus su cui erano state costruite le iniziative dell’estate 1964, la Commissione si limitò ad approfondire i punti fermi già indicati dalle relazioni Beolchini e Lombardi.

28

Il colloquio è stato poi riprodotto in: Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione sull’inchiesta

Sifar, volume II, pp.753-840. Nel discorso Lugo parlò effettivamente di incarichi diplomatici da

assegnare, in seguito, a De Lorenzo, mentre il generale con un linguaggio allusivo chiamò in causa le responsabilità dei politici nelle degenerazioni del Sifar.

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La relazione Beolchini aveva denunciato le deviazioni, divenute progressivamente sempre più gravi, delle attività informative che avevano caratterizzato il Sifar durante la gestione De Lorenzo. Assunta la carica di comandante generale dell’Arma, egli aveva mantenuto la sua diretta influenza sul servizio segreto, affidato incarichi di rilievo agli uomini che lo avevano seguito dal servizio segreto, incorporato gli abituali metodi di spionaggio del servizio. Nelle conclusioni, il generale Beolchini sottolineò che «praticamente il Sifar aveva creato un vero e proprio gruppo di potere, in quanto, attraverso occulte compiacenze in tutti i posti-chiave del ministero e degli stati maggiori della difesa e dell’esercito, otteneva il risultato che non fossero mai frapposte difficoltà od ostacoli a quanto veniva attuato nell’interno... Tale stato di cose, creato poco alla volta dal 1956 ed affermatosi dal 1959 in poi, è continuato anche dopo il passaggio del generale De Lorenzo al comando generale dei carabinieri, in quanto è documentata la sua influenza diretta sui successori generale Viggiani e generale Allavena; anzi il campo d’azione del gruppo di potere si era ampliato e rafforzato con la diretta partecipazione dell’Arma dei carabinieri, docile e fedele strumento nelle abili mani del suo comandante».29

Dalle testimonianze di numerosi militari era emerso il clima di sospetto introdotto nelle due istituzioni: il generale, infatti, «era molto sensibile alle informazioni, non sempre veritiere e quasi sempre interessate, che gli venivano fornite da questi ufficiali, ed anche dai centri C.S. con i quali egli continuava a tenere stretti contatti. Tali notizie, quasi sempre incontrollate, originavano, di frequente, decisioni draconiane come improvvisi trasferimenti e sostituzioni negli incarichi, il che creava fra i quadri

29

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un’atmosfera di timore e di diffidenza reciproca, assai deleteria per il morale e la serenità degli animi».30

Le inchieste Beolchini e Lombardi ricostruirono le fondamenta su cui poggiava il potere di De Lorenzo: l’occupazione degli incarichi-chiave, il controllo delle carriere, l’uso disinvolto dei fondi a disposizione. La relazione Beolchini riportò la convinzione che «molte deviazioni del Sifar e taluni veri e propri abusi siano stati facilitati dalla eccessiva permanenza delle stesse persone nei vari incarichi chiave».31 L’affermazione aveva un primo riscontro nella stessa carriera di De Lorenzo, che, a capo del Sifar per quasi sette anni, poteva vantare la guida di gran lunga più estesa del servizio segreto italiano durante il periodo repubblicano. Considerazioni analoghe valevano per i suoi successori, Viggiani e Allavena, le cui carriere presentavano «diverse singolari agevolazioni od arbitrii veri e propri». La relazione Lombardi annotò che entrambi «avevano verso di lui fondati motivi di riconoscenza, perché a lui dovevano la lunga permanenza nel servizio ed i posti sempre più importanti che vi avevano ricoperto. La loro ascesa nei gradi inoltre... era stata caldeggiata dal generale De Lorenzo, sicché essi, anche per questo motivo, difficilmente avrebbero potuto sottrarsi alla sua influenza personale».32 Le anomalie divenivano stridenti nel caso del generale Allavena: «in particolare per il generale Allavena, è apparsa sorprendente, oltre la rapidità della carriera pur rimanendo nello stesso incarico, anche l’abbinamento per circa tre anni, di due

30

Ivi, volume III, p.63.

31

Ivi, volume II, p.81.

32

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incarichi importanti e tra loro incompatibili di capo Ufficio “D” e di comandante del raggruppamento centri C.S. Roma (controllore che controlla se stesso)».33

Il controllo sulla gestione economica del Sifar e dell’Arma si rivelò impossibile, come aveva già indicato l’inchiesta Beolchini, anche se diverse testimonianze indicarono che sotto il comando di De Lorenzo le disponibilità finanziarie erano aumentate sensibilmente e che si era creato un promiscuo uso dei fondi tra le due strutture. La relazione Lombardi, comunque, sottolineò l’ambiguità del ruolo ricoperto da Tagliamonti: «è da segnalare il caso particolare del colonnello d’amministrazione Tagliamonti, al quale fu affidato l’incarico di capo ufficio programmazione finanziaria presso l’Arma, continuando a mantenere quella di direttore amministrativo del Sifar, abbinamento questo che fece sorgere in molti il sospetto di una promiscua utilizzazione dei fondi del Sifar e dell’Arma».34

Era questo, secondo la Commissione Alessi, il contesto al cui interno si innestarono i preparativi più strettamente connessi alla crisi del 1964, che riguardarono tanto i piani di intervento pubblico riservati alla sola Arma dei carabinieri, quanto la distribuzione di liste di persone da arrestare. Le due iniziative risultarono intimamente legate, come affermò la relazione di maggioranza della Commissione, «non soltanto per motivi di connessione operativa e di struttura, ma, soprattutto, perché la loro ideazione e la successiva predisposizione si resero possibili in quanto scaturirono dal “gruppo di potere” venutosi a formare nell’asse Sifar-comando dei carabinieri».35 Era inoltre del

33

Ivi, volume II, p.74.

34

Ivi, volume III, pp.64-65

35

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.1279.

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tutto evidente l’interazione con la situazione politica: «la prima distribuzione delle liste avviene agli inizi del mese di aprile, cioè contemporaneamente alla originaria elaborazione dei piani divisionali, al delinearsi della crisi governativa. La seconda distribuzione avviene nel mese di giugno, appena la crisi è scoppiata. Perciò piani e distribuzione delle liste sono un tutt’uno, costituiscono iniziative e predisposizioni correlative a situazioni politiche particolari; le une e le altre vengono abbandonate allorquando cessa la ragione che le aveva determinate».36

La gestazione dei piani ebbe origine all’inizio del 1964, quasi in contemporanea con la formazione del primo governo organico di centro-sinistra, quando De Lorenzo prospettò al generale Cento, comandante della divisione carabinieri di Roma, l’opportunità di studiare le modalità di intervento in zone particolarmente sensibili dal punto di vista dell’ordine pubblico, avvalendosi delle sole forze dell’Arma.37 Nonostante lo scetticismo manifestato dal suo interlocutore, De Lorenzo impartì l’ordine di predisporre uno studio in tal senso ai capi di stato maggiore delle divisioni di Milano, Roma e Napoli, riuniti al comando generale dell’Arma il giorno 25 marzo. Nella prima metà del mese seguente, i comandi delle tre divisioni fecero pervenire i progetti al comando generale. Una prima verifica, tuttavia, consentì di appurare l’incongruenza degli elaborati, che risultarono «assolutamente generici ed insufficienti, oltre che

36

Ivi, p.1318.

37

Come abbiamo visto, secondo Taviani una spinta a migliorare l’organizzazione militare in caso d’insurrezione armata dei comunisti era venuta dopo il viaggio effettuato in Francia, nel mese di febbraio, dal presidente Segni.

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contraddittori».38 Il comando generale decise, quindi, di restituire gli studi, consegnando una “traccia”, cioè una direttiva-guida per svolgere al meglio il tema.39 Sulla base di queste indicazioni, vennero predisposti dei nuovi progetti, che furono trasmessi al comando generale entro la prima metà di maggio. Gli elaborati finirono, poi, nella cassaforte del comando generale, «senza essere più consultati, revisionati, approvati, o disapprovati».40

La distribuzione delle liste ricevette i primi input operativi a pochi giorni di distanza dall’avvio dell’operazione “Piano Solo”. Il 13 aprile, infatti, il Sifar consegnò una serie di liste nelle sedi delle divisioni dell’Arma, ma i comandanti di Milano, Roma e Napoli le rinchiusero in cassaforte senza dare ulteriore seguito all’iniziativa. In questa fase De Lorenzo si adoperò per contattare i capi di stato maggiore della marina, ammiraglio Ernesto Giurati, e dell’aereonautica, generale Aldo Remondino. Con i due alti ufficiali, il comandante dei carabinieri concertò la disponibilità relativa alla concessione e all’impiego dei mezzi navali e aerei occorrenti per il trasporto nelle località di concentramento degli elementi segnalati nelle liste.

Si concluse, così, la prima fase dei preparativi, precedente lo scoppio della crisi politica: le direttive, emanate dal centro, si riferivano a progetti di carattere nazionale e non contenevano impulsi di particolare urgenza. Con le dimissioni del governo e in parallelo con l’aggravamento del quadro politico, tutta l’attività organizzativa subì una forte accelerazione. Durante questo periodo le direttive centrali giunsero, seguendo la scala

38

Ivi, p.1131. Di questa prima stesura non è rimasto alcun riscontro nella documentazione del comando generale o delle divisioni periferiche.

39

Il testo della “traccia” comune è stato riprodotto in: Ivi, pp.707-711.

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gerarchica dell’Arma, fino al livello locale e assunsero un criterio marcatamente operativo. Dopo la formazione del secondo governo Moro, gli apprestamenti caddero inspiegabilmente in un irreversibile letargo, scosso solo, ad anni di distanza, dai primi accertamenti delle Commissioni d’inchiesta.

Un nuovo richiamo alla predisposizione dei piani di intervento partì il 15 giugno dal generale De Lorenzo, al termine di una riunione che aveva seguito i festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Arma. Nei giorni successivi gli ordini approdarono a livello divisionale, dove furono accolti in maniera diversa. Il comandante della divisione Pastrengo di Milano, Adamo Markert, seguì scrupolosamente le indicazioni e già il 19 giugno convocò la prima riunione. Egli chiese verbalmente ai comandanti delle brigate di Torino, Tomaso Ciravegna, e di Milano, Remo Aurigo, oltre a quelli delle legioni di Genova, Giovan Battista Palumbo, e di Milano, Cosimo Zinza, di compilare i progetti di dettaglio per le rispettive città. Una bozza dei piani venne compilata per le città di Milano, Torino e Genova, anche se nessuna delle tre fu poi inoltrata al comando di divisione. Sulla riunione del 19, il generale Aurigo fece alcune dichiarazioni di estrema gravità, smentite però dagli altri ufficiali presenti. Egli affermò, infatti, che il generale Markert, «dopo aver prospettato la gravità della situazione politica che si stava delineando ed aver fatto presente che, perdurando tale situazione, poteva rendersi necessaria l’adozione di provvedimenti di carattere eccezionale, fece distribuire la compilazione di un piano, non meglio indicato. Preciso che, allorquando il comandante della divisione indicò gli obiettivi da occupare includendovi “le prefetture” ed aggiunse che se il prefetto avesse opposto resistenza lo si doveva sequestrare, se necessario pistola alla mano, tutti noi rimanemmo sconcertati e ci dicemmo a vicenda “ma allora dobbiamo

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fare un colpo di Stato?”».41 In un successivo interrogatorio precisò gli obiettivi da occupare, oltre le prefetture: la centrale telefonica; le sedi del Pci, Psi, Psiup; la sede della redazione e della tipografia del quotidiano comunista «L’Unità».42

Alla divisione Podgora di Roma, il comandante Cento convocò, tra la fine di giugno e i primi di luglio, i comandanti delle legioni Roma, Lazio e allievi. Lo scopo era quello di approntare un piano dettagliato per la capitale, che comportava la suddivisione della città in tre settori. La pubblicazione da parte della Commissione Gualtieri dei manoscritti che si riferiscono a tale progettazione permette, oggi, di rilevare la consistenza dei riferimenti politici a base della pianificazione. Accanto agli obiettivi da difendere con ogni mezzo, cioè Quirinale e Palazzo Chigi, e a quelli da presidiare fin dall’inizio dell’emergenza - il carcere di Regina Coeli, le centrali telefoniche e telegrafiche, le trasmittenti Rai-Tv - erano indicati gli «obiettivi da occupare di sorpresa il mattino del giorno X per disarticolare l’organizzazione sovversiva»: la sede centrale del Pci, le tipografie dei giornali «L’Unità», «Paese» e «Paese sera», la sede dell’Anpi.43

Le dimissioni del governo provocarono un’improvvisa accelerazione anche per ciò che concerneva le liste degli enucleandi, dopo mesi di completa inattività. Il 27 giugno, De Lorenzo, il capo di stato maggiore dell’Arma, Franco Picchiotti, e l’ufficiale del Sifar, Amedeo Bianchi, presenziarono a un incontro con i capi di stato maggiore delle tre divisioni. A Mingarelli, Bittoni e Dalla Chiesa venne comunicato l’imminente invio delle

41

Ivi, p.743.

42

Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione sull’inchiesta Sifar, volume III, p.219. Alcuni righi sotto, Aurigo annotò che l’occupazione della Rai-Tv e dei relativi impianti era stata affidata al battaglione mobile di Milano.

43

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liste da parte del Sifar, quelle stesse già spedite, senza alcun esito, in aprile. Raccomandando loro particolare segretezza, Bianchi si soffermò sull’opportunità di mettere a punto le predisposizioni di carattere logistico e asserì che, in caso di attuazione del progetto, le persone comprese nelle liste dovevano essere neutralizzate con il fermo. L’indomani mattina gli ordini partiti dal centro trovarono immediato riscontro a livello periferico, soprattutto all’interno della divisione Pastrengo, che si dimostrò, come era già accaduto per la compilazione dei piani, particolarmente solerte. Qui, la riunione fu dedicata alla definizione dei passaggi esecutivi delle previste enucleazioni. Secondo la testimonianza di Giuseppe Palumbo, capo del controspionaggio di Milano, le disposizioni stabilirono le «modalità di prelevamento di dette persone con elementi scelti e di provata capacità: operazione da effettuarsi prima dell’alba; di avviare con automezzi i fermati - sotto scorta - il più rapidamente possibile a basi aeree, scegliendo itinerari che assicurassero maggiore speditezza e sicurezza al movimento stesso; di aggiornare i progetti di difesa delle caserme. Per quanto si riferisce al prelevamento delle persone, fu prospettata da qualcuno dei presenti la difficoltà che sarebbe sorta nel caso di persone abitanti in stabili sprovvisti di portineria. E, pertanto, venne deciso - seduta stante - che, al termine dei sopralluoghi da effettuarsi, il comandante della legione di Milano avrebbe segnalato a me, che disponevo di personale tecnico, quegli stabili sprovvisti di portineria, perché provvedessi alla fabbricazione di chiavi false da fornire, poi, agli elementi operanti… Aggiungo, infine, che - per quanto riguarda la città di Milano - avrei dovuto - come rappresentante del Sifar - fornire elementi specializzati in grado di assicurare il

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regolare funzionamento degli apparati della locale stazione Rai-Tv, qualora si fosse verificata la particolare temuta emergenza».44

Da parte sua, il generale Zinza, uno degli ufficiali che si erano esposti durante il processo De Lorenzo-«L’Espresso», dichiarò di aver ricevuto dal generale Markert un opuscolo dalla copertina azzurra, contenente l’elenco di 44 persone da fermare a seguito di specifico ordine. Il comandante della legione di Milano passò in rassegna gli ordini ricevuti: «questi signori dovevano essere prelevati nottetempo, in seguito ad un certo ordine, avviati all’aeroporto civile di Linate, in un determinato ambiente che doveva essere scelto anticipatamente e, quindi, dovevano essere convogliati agli aerei pronti per il trasporto in Sardegna. Questo per Milano. Per Genova, Torino, Alessandria, i fermati dovevano essere convogliati a La Spezia e, con natanti, trasferiti in Sardegna».45 A sua volta, Zinza si era rivolto ai collaboratori per predisporre le operazioni fin nei minimi particolari: «al termine della riunione mi recai nel mio ufficio e convocai il capo dell’ufficio operazioni della legione, tenente colonnello Oreste Tangini al quale consegnai il fascicolo ed impartii il seguente ordine esecutivo: dividere, cioè, i settori, le zone, in cui abitavano le persone da fermare, affidare ogni settore a squadre formate da sottufficiali e comandate da un provetto sottufficiale, maresciallo o brigadiere; effettuare la ricognizione dei portoni d’ingresso delle abitazioni, al fine di stabilire se esistevano portieri, perché in caso contrario ci si sarebbe dovuti rivolgere all’organizzazione tecnica del Sifar, per l’adozione di particolari mezzi per aprire i portoni e penetrare nell’interno delle abitazioni. Il tenente colonnello Bruno Sarti, comandante del gruppo interno di

44

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, pp.953-954.

45

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Milano, fu incaricato dal tenente colonnello Tangini di reperire i locali all’aeroporto di Linate, dove concentrare i fermati».46

All’interno della divisione romana Podgora, il comandante, dopo aver trattato il tema del concentramento e del trasporto delle persone segnalate nelle liste, delegò tutta l’attività di preparazione ai propri subordinati. Il capo di stato maggiore Bittoni ricordò in particolare una riunione successiva, tenuta nei primi giorni di luglio, durante la quale venne distribuita una cartina dell’Italia dove erano segnalati con degli ovuli alcuni porti e aeroporti. In caso di intervento dell’Arma, le persone inserite nelle liste dovevano essere concentrate nelle località indicate, dove era stata organizzata tutta la parte logistica, che riguardava, per esempio, le modalità di trasporto e di vettovagliamento.47

A Napoli, la situazione si mantenne più tranquilla. Una prima riunione fu tenuta al comando della divisione Ogaden il 28 giugno, nonostante l’assenza del comandante Giovanni Celi. Il capo di stato maggiore, Romolo Dalla Chiesa, si preoccupò solo di riferire gli ordini impartiti dal comando generale e di impostare i preparativi, in modo da potere operare gli eventuali arresti nel più breve tempo possibile. Il compito di approntare i progetti per l’enucleazione fu affidato, invece, al colonnello Barbato, capo dell’ufficio operazioni della divisione. Egli si limitò a scrivere degli appunti, che però rimasero allo stato di traccia, a controllare gli indirizzi dei soggetti da fermare e a individuare i luoghi per l’eventuale concentrazione.

In definitiva, i documenti indicati complessivamente come “Piano Solo” erano quattro minute di piani. La prima, costituita da un quaderno manoscritto a penna di 17 pagine,

46

Ivi, pp.954-955.

47

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venne redatta nel comando della divisione Pastrengo e fu intestata «Pianificazione riservatissima-progetto generale». La seconda e la terza erano state compilate all’interno della divisione Podgora ed esclusivamente nella loro titolazione compariva il nome “Piano Solo”. Una, infatti, formata dalla fotocopia di 19 fogli manoscritti, si intitolava «Piano Solo del comando II divisione carabinieri Podgora»; l’altra, che conteneva una bozza di pianificazione per la sola città di Roma e che comprendeva 28 fogli manoscritti a lapis, recava la denominazione «Traccia per la compilazione del progetto Solo». Infine, la quarta, composta da 32 fogli dattiloscritti, venne stesa all’interno della divisione Ogaden con l’intestazione «Piano per il mantenimento dell’ordine costituito nel territorio dello stato». L’intera pianificazione mirava ad assicurare il possesso delle aree vitali della penisola, cioè tutte quelle zone la cui caduta poteva comportare «conseguenze di rilievo ai fini del mantenimento dell’ordine costituito nel territorio dello stato».48 In particolare, la progettazione si soffermò sulle aree vitali di primo grado, che comprendevano i «gangli vitali ed essenziali»49 del paese e che, in pratica, riguardavano le principali città (il piano della divisione Pastrengo, per esempio, considerava Milano, Torino e Genova). Per raggiungere gli scopi prefissati erano previsti sia provvedimenti di carattere difensivo, a tutela dell’organizzazione militare dell’Arma, sia offensivo nei confronti del probabile avversario. Con quest’ultima previsione si indicava l’occupazione degli spazi Rai-Tv, delle centrali telefoniche, delle sedi dei partiti e dei giornali, oltre al fermo degli avversari più in vista.50 L’ultimo punto si riferiva, con tutta evidenza, alle liste per

48

Ivi, p.707.

49

Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione sull’inchiesta Sifar, volume I, p.21.

50

La relazione parlamentare di maggioranza ha affermato che il termine “occupare”, come appare negli elaborati del “Piano Solo”, era sinonimo di presidiare, riferito quindi ad un compito difensivo. La

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l’enucleazione distribuite dal Sifar. Le forze a disposizione vennero suddivise in forze di primo tempo - i reparti territoriali della divisione, i reparti allievi sottufficiali e carabinieri, i nuclei autocarrati - e in forze di secondo tempo, costituite dalle unità di previsto richiamo in caso di mobilitazione. Quest’ultimo punto chiamava direttamente in causa l’“Esigenza Sigma”.

La relazione di maggioranza della Commissione parlamentare pose l’accento sulle potenzialità operative dei piani. Secondo il suo giudizio si trattava «non di “un piano”, ma di “tre piani” certamente completi, conclusi e tali che per la loro applicazione manca soltanto l’ordine di esecuzione... i tre elaborati costituiscono un piano generale, o nazionale che si voglia dire, solo in un senso: nel senso cioè della loro concreta genesi... i piani risultano definiti in ogni loro parte, articolati nelle ipotesi e nelle fasi successive di intervento, studiati nei particolari di impiego e persino nelle manovre operative... Una ulteriore conferma che si tratta di “piani definiti”e potenzialmente esecutivi, viene dal fatto che, almeno presso una divisione - la Pastrengo di Milano - il piano elaborato dal tenente colonnello Mingarelli diede luogo ad una riunione plenaria, alla quale

relazione di minoranza delle sinistre ha aspramente criticato una simile interpretazione. Cfr. Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, pp.1146-1152; Relazione di minoranza delle forze di sinistra, volume II, pp.241-242. Giuseppe De Lutiis, storico dei servizi segreti e per diversi anni consulente della Commissione stragi, ha citato alcuni passaggi della premessa alla pianificazione predisposta all’interno della divisione Pastrengo, in cui si afferma che «il successo dell’azione è condizionato - fra l’altro - dai seguenti fattori: ordini chiari, precisi, inequivocabili; atteggiamento improntato alla massima decisione ed energia, scevro da qualsiasi dubbio o tentennamento; galvanizzazione degli uomini, “caricandoli di mordente”». A suo parere, queste frasi mostrano «modalità appropriate per il passaggio alla fase esecutiva di un golpe, mentre sembrano adattarsi con molta difficoltà ad un piano preventivo antiinsurrezionale». Cfr. Giuseppe De Lutiis, Il generale De Lorenzo e il “Piano Solo”, Contributo ai lavori della Commissione Stragi, depositato il 30 maggio 1995, p.21.

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parteciparono i generali di brigata ed i comandati delle legioni di tutta l’Italia settentrionale... Il piano divisionale ha avuto, perciò, ulteriori sviluppi ed ha dettato norme ai piani provinciali, dei quali alla Commissione consta qualche specifica compilazione, come per la città di Torino (generale Ciravegna), per la città di Genova (generale Palumbo) e forse per la città di Milano (generale Aurigo): fatti, questi, che confermano il carattere concreto del piano, la sua potenzialità operativa, essendosi già realizzato in piani particolari».51

L’illegittimità dei piani discendeva da due considerazioni. In primo luogo, essi operavano delle scelte «il cui contenuto è essenzialmente politico, e non soltanto tecnico, e perciò la loro compilazione esorbita dalla competenza sia dei comandi divisionali dell’Arma, sia del comando generale».52 In secondo luogo l’intervento era affidato alle sole forze dell’Arma: «una tale scelta, che può essere tecnicamente apprezzabile in determinate contingenze, implica una selezione di compiti e di forze, la quale appartiene ad un giudizio rigorosamente politico».53

51

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, pp.1296-1299.

52

Ivi, p.1299.

53

Ivi, p.1300. Su questo punto, la relazione di minoranza delle forze di sinistra è andata molto oltre, scrivendo a proposito del “Piano Solo” che «venne predisposto ed elaborato in vista di un intervento a brevissima scadenza della sola Arma dei carabinieri con la collaborazione del Sifar, sui centri più sensibili della vita civile, politica, economica e istituzionale del paese; intervento da effettuare mediante l’occupazione dei detti centri e con contemporanee misure offensive che dovevano consentire non solo l’occupazione di sedi di partiti e di giornali di sinistra, ritenuti centri logistici da cui avrebbe potuto muovere una reazione di forze “avversarie”; ma con l’arresto e la deportazione di cittadini appartenenti a queste forze avversarie e perciò all’apparato di detti partiti». Cfr. Ivi, Relazione di minoranza delle forze di sinistra, volume II, p.271.

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Accanto al “Piano Solo” furono rinvenuti presso il comando generale dell’Arma, altri due piani che prevedevano l’impiego delle sole forze dei carabinieri per la difesa di particolari obiettivi: uno riguardava l’area della Rai-Tv e l’altro, il “Piano D/K”, prevedeva la difesa del Quirinale.54

Inoltre, venne accertato che il comando generale dell’Arma aveva predisposto uno studio, denominato “Esigenza Sigma”, per regolamentare il richiamo del personale dell’Arma in congedo. Tale studio era probabilmente nato tra luglio e agosto del 1963, quando il generale De Lorenzo aveva incaricato il generale Domenico Javarone di verificare se l’Arma era in grado di assolvere tutti i compiti che le erano demandati dai vari piani e progetti. Nonostante la risposta rassicurante di Javarone, il generale De Lorenzo non si fermò e, anzi, il 9 luglio del 1964, in uno dei momenti più critici della crisi ministeriale, inviò una formale richiesta al ministero della Difesa per sollecitare l’autorizzazione a disporre il richiamo annuale di una certa quota di militari, sottufficiali e ufficiali dell’Arma in caso di esigenze eccezionali. La richiesta fu accolta diversi mesi dopo lo sblocco della crisi, nel febbraio del 1965, e fu soltanto a seguito di questa autorizzazione che il comandante generale dell’Arma poté diramare la relativa circolare. Secondo la relazione di maggioranza della Commissione, tuttavia, «il problema del richiamo per speciali esigenze, posto allo studio dei comandi dell’Arma ad ogni livello nei primi mesi del 1964 per ordine del generale De Lorenzo, non poté non esercitare la sua influenza sul colonnello Tuccari, nel corso della compilazione della “traccia comune”, e sui capi di stato maggiore delle divisioni, contemporaneamente impegnati

54

La relazione di maggioranza ha identificato nei due piani una specifica competenza assegnata dal ministero dell’Interno all’Arma dei carabinieri, mentre la relazione di minoranza della sinistra ha contestato l’approvazione ministeriale. Cfr. Ivi, pp.94-96.

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nella stesura degli elaborati del cosiddetto “Piano Solo”; il riferimento alle “unità di previsto richiamo” che si rileva sia nella “traccia comune” che negli elaborati divisionali del “Piano Solo”, quando si elencano le “forze a disposizione di secondo tempo”, non trova altro riscontro, né può avere altra spiegazione. Tale considerazione è maggiormente valida se si tiene conto che, dato l’avvio contemporaneo dei due studi, era assai logico che, quanto al richiamo di militari dal congedo, nella “traccia comune” e nel “Piano Solo” si rinviasse allo studio predisposto per far fronte ad esigenze speciali».55 La relazione ha tuttavia concluso che «nessuna prova è emersa dalla quale possa dedursi che nel giugno-luglio 1964 fosse in atto o in preparazione il richiamo clandestino e illegale di carabinieri in congedo. Le risultanze degli atti, anzi, lo escludono».56

Le liste per la enucleazione furono invece tratte da una vecchia rubrica del Sifar, denominata rubrica “E”, che fu istituita nel 1952 e che comprendeva gli elementi ritenuti capaci di predisporre, individualmente o inquadrati in organizzazioni paramilitari, atti di sabotaggio, attività di guerriglia, azioni di disturbo contro le forze armate. Il presupposto che aveva portato alla nascita della rubrica fu riferito dal generale Allavena, secondo cui essa «derivava dalla circostanza che si era costituito presso il ministero dell’Interno un comitato anticomunista».57 Altre due rubriche concorsero alla formazione delle liste, la “M” e la “PP”. Secondo la versione ufficiale recepita dalla relazione di maggioranza, queste rubriche riguardavano elenchi di transizione, le cui parti ancora attuali erano state riprodotte nella rubrica “E”. Le liste, così come erano state distribuite dal Sifar nella

55

Ivi, Relazione di maggioranza, volume I, p.1159.

56

Ivi, p.1170.

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primavera e poi nell’estate del 1964, comprendevano 731 nominativi.58 Secondo la relazione di maggioranza, tra di essi non vi erano personalità politiche di rilievo, ma solo sabotatori ed eversori. La loro distribuzione, pertanto, non aveva risposto a esigenze di natura politica, anche se forte era il legame con la crisi politica: «la distribuzione delle liste non seguì ad una direttiva di carattere generale organizzativo del servizio, ma ubbidì a motivi occasionali, che vanno ricercati nella situazione del momento, superato il quale - nelle sue difficoltà o nella sua pericolosità - l’operazione non aveva più ragione di essere».59

Le conclusioni delle forze di sinistra, al contrario, ritennero che le liste comprendevano quelle persone definite efficacemente come “eversivi dormienti”,60 ossia coloro che svolgevano una normale attività politica, ma che, soprattutto per la posizione organizzativa rivestita nell’ambito delle organizzazioni di opposizione, potevano assumere, in certe evenienze, un ruolo di grande rilievo. A supporto di questa affermazione vi erano diversi elementi. In primo luogo, i riferimenti fatti da alcuni militari coinvolti nelle operazioni a quattro nominativi che, inseriti nelle liste, all’epoca avevano attirato la loro attenzione. Il generale Zinza fece i nomi dell’onorevole

58

La relazione di minoranza dei partiti di sinistra ha contestato aspramente questo conteggio, ritenendo che le liste consegnate il 28 giugno contenessero in realtà non meno di 1100-1200 nominativi. Tale valutazione venne effettuata sulla base di una prima dichiarazione del colonnello Bittoni al tribunale di Roma, secondo cui solo per la sua divisione erano stati segnalati 300 o 350 nominativi, e sulla deposizione di Dalla Chiesa al generale Manes che riepilogava in circa 300 uomini le segnalazioni per la divisione di Napoli. Cfr. Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio

1964, Relazione di minoranza delle forze di sinistra, volume II, pp.146-147.

59

Ivi, Relazione di maggioranza, volume I, pp.1306-1307.

60

La definizione era dell’ufficiale del Sifar, Amedeo Bianchi. Cfr. Ivi, Relazione di minoranza delle forze di sinistra, volume II, p.145.

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Alberganti, ex segretario della Camera del lavoro di Milano e dirigente del Pci, e dell’onorevole Malagugini, appartenente al Psi; il colonnello Bittoni e il generale Azzari ricordarono di essersi soffermati sul nome del generale Zani, membro del Consiglio dei partigiani della pace e consigliere comunale di Bologna, e del signor Bonazzi, segretario della federazione del Psi di Bologna e consigliere comunale della stessa città. Gli allegati della Commissione Lombardi contenevano, poi, il testo di un dialogo svoltosi tra lo stesso presidente e il tenente Barbato, ufficiale della divisione Ogaden, in cui si citava la presenza all’interno delle liste dei nominativi di “parlamentari robusti”, la cui segnalazione, tuttavia, non era partita dal centro, ma dal livello periferico.61 L’ultimo elemento derivava dalle dichiarazioni rese da Zinza, Azzari e Dalla Chiesa a proposito dell’ispirazione anticomunista che animava l’iniziativa di De Lorenzo. Secondo Dalla Chiesa, era stato proprio il comandante dei carabinieri a richiamare più volte l’attenzione sulla situazione del momento e a porre l’accento sul «pericolo del Pci che richiedeva conseguenti misure».62 Zinza, chiamato a deporre davanti alla Commissione Lombardi, rivelò a proposito delle liste di aver notato che «in gran parte appartenevano all’apparato comunista».63 Azzari e Dalla Chiesa non solo confermarono questa indicazione, ma nelle dichiarazioni sottoscritte davanti a Manes ne circostanziarono i riferimenti. Il primo

61

Il resoconto esatto del dialogo è il seguente. Lombardi: «li avevate dei gnocchi, che non era mica facile avevate dei parlamentari robusti, in quelle liste». Barbato: «ricordo, eccellenza si... gli elenchi dei nominativi». E Lombardi di nuovo: «nomi che poi erano stati aggiunti a Napoli. Non era che erano partiti da qua. La lista che è partita di qua era una lista leggiadra, giù invece il capo ha portato, hanno portato, no perché sono stati invitati ad aggiornarle». Atti Parlamentari, Commissione stragi, Relazione

sull’inchiesta Sifar, volume V, p.597.

62

Ivi, p.141.

63

Atti Parlamentari, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, volume I, p.849.

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ricordò una riunione tenuta verso la fine di giugno del 1964 al comando della divisione romana: «fu Bittoni a proseguire nella trattazione dell’argomento che riguardava misure di sicurezza di emergenza; egli aveva già distribuito elenchi di persone appartenenti al Pci che, da quanto potei capire, dovevano essere stati dati dal Sifar... Gli elenchi che mi furono consegnati erano copie fotostatiche di quattro fogli divisi per provincia, contenenti una quarantina di persone appartenenti al Pci tutte delle Marche che avrebbero dovuto essere subito arrestate qualora fosse pervenuto ordine o del comandante generale De Lorenzo, o dal capo di S.M., generale Picchiotti, oppure dal sottocapo di S.M., colonnello De Julio. Gli arrestati avrebbero dovuto essere concentrati o all’aeroporto di Falconara, oppure nel porto di Ancona, per essere poi fatti proseguire via aerea o via mare per un’isola di cui fu fatto vago accenno e in ogni caso secondo istruzioni che sarebbero state date al momento dovuto».64

Il colonnello Romolo Dalla Chiesa citò una riunione tenuta al comando generale dell’Arma. In quel luogo, il tenente colonnello Tuccari aveva fornito dei chiarimenti ai tre capi di stato maggiore delle divisioni: «la convocazione traeva origine dalla particolare situazione del momento, che destava preoccupazione a causa delle frequenti agitazioni sindacali suscitate dal Pci, che avrebbero potuto sfociare in movimenti di piazza. Era quindi necessario rivolgere l’attenzione su questo partito e adottare adeguate misure. Ci preannunciò che avremmo avuto, a cura del Sifar, elenchi di persone del Pci (attivisti e sospetti di spionaggio) che, se fosse stato necessario, avremmo dovuto far arrestare... Le

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liste delle persone pericolose erano tre, comprendenti mi sembra, attivisti del Pci, persone molto pericolose e agenti di spionaggio. Ricordo che in tutto erano circa 300».65

Oltre al rilievo di queste testimonianze, sono significative le successive giustificazioni che i due testi addussero davanti al tribunale di Roma nel tentativo di circoscrivere la portata delle proprie dichiarazioni, precisando che i riferimenti al Pci erano derivati da una loro personale deduzione, mentre in realtà i loro interlocutori avevano parlato solamente di estremisti. Sarebbe davvero strano che due militari del calibro e dell’esperienza di Azzari e Dalla Chiesa avessero rivelato e poi sottoscritto frasi di una così evidente importanza sulla base di propri esclusivi convincimenti. E tuttavia, anche ammettendo per buona la loro versione, l’aspetto più grave è nell’attitudine ideologica insita nelle giustificazioni, secondo cui il semplice riferimento a generici estremisti richiamava immediatamente, nella loro personale traduzione, gli esponenti del Partito comunista. A tale proposito, è indicativo il tortuoso percorso mentale che compì, almeno a suo dire, il generale Azzari, quando Bittoni gli disse che le liste contenevano «elementi dirigenti dell’apparato». «Trattandosi di liste molto vecchie - disse - e mettendo io in relazione questo fatto con l’uso che di questo termine si era fatto molti anni addietro, particolarmente nel periodo dell’attentato all’onorevole Togliatti e forse, anzi, senz’altro ancor più nel periodo precedente a questo attentato, nonché alle notizie di stampa del periodo, circa l’esistenza di un apparato paramilitare del Pci e di un piano detto Kap per il sovvertimento violento delle istituzioni dello stato, che per mezzo di

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questo apparato il Pci doveva conseguire, non ebbi difficoltà a ricollegare la parola apparato a quello paramilitare del Pci».66

L’assenza delle liste costituisce la più grave lacuna nella documentazione sui fatti del giugno-luglio del 1964,67 e tuttavia alla fine del 1999 è stato probabilmente compiuto un decisivo passo in avanti per la conferma ufficiale che esse comprendevano nominativi di parlamentari. Il 27 ottobre di quell’anno si è svolta l’audizione dell’allora vice presidente del Consiglio, Sergio Mattarella, in Commissione Stragi, prima “visita ufficiale” di un esponente del governo in carica a quell’organismo. Al centro dell’incontro ci fu il tema dei dossier che erano già arrivati o stavano arrivando dagli archivi dei servizi segreti dell’Unione Sovietica, della Germania Orientale e della Cecoslovacchia, ma durante il colloquio furono anche ripercorsi diversi argomenti relativi alla storia recente italiana, tra cui il “Piano Solo”. In questo ambito, il presidente Pellegrino rivelò che nel 1991 il suo predecessore, Libero Gualtieri, aveva chiesto al governo dell’epoca notizie sulla lista degli enucleandi e l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, aveva confermato che essa era sparita. Il 4 dicembre del 1998, lo stesso Pellegrino aveva rinnovato quella richiesta all’allora capo dell’esecutivo, Massimo D’Alema. La risposta era arrivata due

66

R.Martinelli, op.cit., pp.243-244. Le intere deposizioni di Dalla Chiesa e di Azzari si trovano rispettivamente a pp.205-210 e 240-244.

67

Nella sua Proposta di relazione, il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino, ha affermato che questa assenza «lascia supporre che la lista stessa contenesse nomi di parlamentari e dirigenti politici, la cui pubblicazione renderebbe impraticabile ogni ipotesi tendente a presentare gli eventi del 1964 come atti cautelativi in previsione di possibili disordini». Cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica-Camera dei deputati, XII legislatura, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Il terrorismo, le

stragi ed il contesto storico-politico. Proposta di relazione redatta dal presidente della commissione, senatore Giovanni Pellegrino, Roma, 1995, p.89.

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giorni prima dell’audizione di Mattarella: la lista effettivamente non si trovava, ma erano state rinvenute due bozze di lettera, datate 1991 e firmate dall’allora ministro della Difesa, Virginio Rognoni, accompagnate da due spezzoni di elenchi nominativi. Il primo era un elenco di 11 nominativi, consegnato il 4 luglio del 1964 dalla questura di Bergamo al locale gruppo carabinieri; mentre il secondo era un elenco, senza data, di 44 nominativi inseriti nella rubrica “E”. Come si è visto, era proprio da quest’ultima rubrica che erano stati tratti i nomi per compilare le liste degli enucleandi. Tra i 44 nominativi vi erano compresi numerosi parlamentari, tra i quali i comunisti Giancarlo Pajetta, Luigi Longo, Arrigo Boldrini, Mauro Scoccimarro, oltre ad alcuni esponenti del Movimento sociale.68

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Questo resoconto sommario si basa su quanto scritto da Giovanni Maria Bellu, in un articolo dal titolo «Nel mirino del “Piano Solo” c’erano anche i politici», che è stato pubblicato sul quotidiano «la Repubblica» del 28 ottobre 1999, e dai parlamentari di centro-destra Vincenzo Ruggero Manca, Alfredo Mantica e Vincenzo Fragalà nell’elaborato dal titolo Il “Piano Solo” e la teoria del golpe negli anni Sessanta. Questi ultimi hanno anche notato che «il fatto che i nomi dei 731 “enucleandi” dovessero essere tratti in prevalenza tra gli iscritti nella rubrica “E” del Sifar non vuol dire, ovviamente, che il brandello di rubrica “E” trasmesso alla Commissione sia una parte della “lista degli enucleandi”». Cfr. Vincenzo Fragalà-Vincenzo Ruggero Manca-Alfredo Mantica, Il “Piano Solo” e la teoria del golpe negli anni Sessanta, in Atti Parlamentari, Commissione stragi, Elaborati presentati dai commissari, tomo II, p.6. Il tentativo di recuperare questa documentazione all’interno dell’Archivio storico del Senato, dove è confluito il materiale raccolto dalla Commissione stragi al termine di una serie di vicissitudini, si è rivelato infruttuoso. A questo proposito va rilevato con rammarico e preoccupazione che, a più di sette anni e mezzo dalla chiusura dei lavori della Commissione stragi e dalla decisione dei commissari di rendere pubblici “esclusivamente su supporto informatico” tutti i documenti del suo archivio, ovviamente con le opportune eccezioni, nemmeno un atto risulta accessibile al pubblico.

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