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3 Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

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CFD per Sistemi Reagenti

1.1

Introduzione

Per fluidodinamica computazionale (CFD) si intende l’analisi numerica di sistemi che coinvolgono moto di fluidi, scambio termico e fenomeni connessi come le reazioni chimiche. La CFD permette di risolvere, con l’ausilio di codici di calcolo, le equazioni di Navier-Stokes in un dominio di interesse, per il quale siano state definite le condizioni al contorno ed iniziali.

L’importanza della CFD è aumentata notevolmente negli ultimi anni, di pari passo con il miglioramento delle prestazioni dei computer.

La CFD offre notevoli vantaggi quali:

− minori costi in termini di tempo e risorse rispetto a campagne sperimentali − possibilità di simulare condizioni pericolose difficili da riprodurre in laboratorio − possibilità di simulare apparecchiature nelle loro dimensioni reali e quindi

evitare problemi di scale-up.

Tuttavia, ad oggi, l’utilizzo del CFD come tutti i metodi di simulazione numerica non può sostituire per intero la sperimentazione. Infatti la CFD si basa su modelli ed assunzioni, che devono essere verificati caso per caso e comunque comportano approssimazioni ed errori che possono risultare anche consistenti.

La fluidodinamica computazionale è potenzialmente applicabile allo studio di tutti i fenomeni fisici e chimico-fisici che caratterizzano il moto di fluidi. Alcuni tra i principali campi d’impiego della Fluidodinamica Computazionale sono:

 ingegneria chimica per lo studio di processi di cristallizzazione, scambio di calore, miscelamento;

 il campo medico per lo studio del flusso di sangue nelle arterie e nelle vene;  studio dei motori a combustione interna;

 l’aereodinamica per la progettazione dei veicoli;

 il settore meteorologico per lo studio della formazione degli uragani;  nel campo oceanografico per lo studio delle correnti;

(3)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

1.2

Equazioni di Navier-Stokes

Il moto di fluidi e lo scambio termico sono regolati dai principi di conservazione della massa, conservazione della quantità di moto e dell’energia, espressi da un punto di vista matematico da un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali che, utilizzando l’ipotesi del continuo1, permettono di rappresentare il comportamento per un volume infinitesimo del fluido.

In presenza di reazioni chimiche sono richieste alcune equazioni aggiuntive che descrivono i bilanci sulla massa delle singole specie.

Le equazioni di conservazione per flussi reagenti si possono esprimere, considerando un sistema di riferimento di tipo cartesiano ed utilizzando la notazione di sommatoria, nel modo seguente:

 Equazione di conservazione della massa totale:

0 i i u t x ρ ρ ∂ ∂ + = ∂ ∂ (1.1)

 Equazione di conservazione della massa delle singole specie chimiche: k k k i i k i i Y Y u J w t x x ρ ρ ∂ ∂ ∂ + = − + ∂ ∂ ∂  k=1, 2,....,NC (1.2)  Equazione di conservazione della quantità di moto:

j i j ij j i j i u u u p F t x x x ρ ρ τ ∂ ∂ ∂ ∂ + = − + + ∂ ∂ ∂ ∂ j=1, 2, 3 (1.3)

 Equazione di conservazione dell’entalpia specifica: . j i i ij rad i i i u hu q h p Q t x x t x ρ ρ ∂ ∂ τ ∂ ∂ ∂ + = − + + + ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ (1.4)

I vari simboli presenti nelle precedenti equazioni rappresentano :

 Indice i una componente di un vettore tridimensionale (i=1, 2,3);  Indice k una specie chimica (k =1, 2,...,NC);

 ρ la densità del fluido;  u la velocità del fluido (

1 2 3

u = + +u u u );

(4)

 Y il vettore delle frazioni massiche delle specie chimiche;

 h l’entalpia specifica del fluido;  NC il numero di specie chimiche;  p la pressione statica del fluido;

 Fjgi una forza di volume per unità di massa;  τ il tensore degli sforzi viscosi;

 k

J il flusso diffusivo della specie chimica k;

 q il flusso diffusivo di calore;

 wk la velocità di reazione massica del generico componente k;  Q.rad il flusso di calore radiante;

Le relazioni illustrate in precedenza definiscono un sistema di equazioni alle derivate parziali accoppiate tra di loro e non lineari che presentano un numero di incognite superiore alle equazioni utilizzabili.

La soluzione analitica del sistema è sconosciuta almeno nei casi di interesse pratico.Vi è quindi la necessità di definire delle relazioni che consentono di esprimere p, τ ,Jke q in

funzione di parametri noti.

Per quanto riguarda la pressione statica del fluido p nella maggior parte dei processi di combustione è possibile assumere lo stato di gas perfetti e quindi, applicando la Legge di Dalton, si ottiene: 1 1 C C N N k k k k p p c RT cRT = = =

=

= (1.5)

dove R è la costante universale dei gas perfetti, T è la temperatura del sistema e , k

c c rappresentano rispettivamente la concentrazione della miscela gassosa e della specie k. In gran parte delle situazioni di interesse i fluidi possono essere assunti come Newtoniani, quindi il tensore degli sforzi viscosi si può esprimere utilizzando la legge di Newton: 2 3 j j i ij ij j i i u u u x x x τ =µ∂ +∂ − µδ ∂      (1.6)

(5)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

Il termine Jk che rappresenta il flusso di materia per la specie k si esprime attraverso la Legge di Fick: k k i k i Y J Sc x µ ∂ = − ∂ (1.7)

dove il termine Sck rappresenta il numero di Schmidt2 per la specie k definito come:

k k Sc D µ ρ = (1.8)

con Dk diffusività della specie k all’interno della miscela.

L’utilizzo della Legge di Fick semplifica molto la risoluzione delle equazioni di bilancio ma comporta che la somma delle frazioni massiche Yk presenti nella miscela, sia diversa da 1.

Per risolvere questo inconveniente si sostituisce l’equazione di bilancio di un componente, solitamente è N2 con l’equazione:

2 1 1 1 C N N k k Y Y − = = −

(1.9)

Espressioni più complesse possono essere usate per descrivere la diffusione molecolare multi-specie anche se nella maggior parte dei casi, sia la diffusione delle specie dovuta ai gradienti di temperatura (Effetto Soret3), sia il trasporto molecolare dovuto ai gradienti di pressione possono essere trascurati.

La definizione del flusso termico q si esprime, in accordo con la Legge di Fourier,

come: 1 Pr 1 Pr C N k i k k i k i Y h q h x Sc x µ = ∂   ∂  = −  +  −    

 (1.10)

dove il termine Pr rappresenta il numero di Prandtl4 che può essere espresso in funzione della conducibilità termica della miscela λ e del calore specifico a pressione costante C : p Pr Cpµ λ = (1.11) 2

Rappresenta il rapporto fra la viscosità cinematica (indice della velocità di penetrazione della quantità di moto) e la diffusità (indice della velocità di penetrazione della specie chimica)

3

Tale effetto consiste in un flusso di materia causato da un gradiente termico.

(6)

Si può adesso introdurre il numero di Lewis5, Le , per la specie k definito come il k

rapporto tra il trasporto diffusivo di calore e di materia:

Pr k k p k Sc Le C D λ ρ     =  =    (1.12)

In molti modelli di combustione si assume che la diffusione di materia e calore siano uguali. Sulla base di tale ipotesi si ha che l’equazione (1.10) diviene:

Pr i i h q x µ  ∂  = − ∂   (1.13)

Nel caso in cui sia possibile trascurare le variazioni di pressione, p

t

∂ , l’effetto sia delle

forze viscose che di volume e considerare infine .

0

rad

Q = , le equazioni (1.2) e (1.4) risultano formalmente identiche.

1.2.1

Equazioni di Navier-Stokes mediate secondo Favre

Un flusso turbolento risulta un processo di carattere caotico e quindi difficilmente descrivibile in termini di grandezze globali. La risoluzione completa e diretta delle equazioni istantanee di bilancio (nota come Direct Numerical Simulation, DNS) non è possibile per la maggior parte delle applicazioni ingegneristiche.

Per numeri di Reynolds tipici dei casi reali queste equazioni presentano delle soluzioni molto complesse ed è quindi necessario effettuare delle semplificazioni e modellazioni.

Inoltre, nel caso che sia possibile risolvere tali equazioni, il dettaglio spaziale e temporale dei risultati è raramente utilizzabile nelle applicazioni pratiche ingegneristiche dove l’interesse è rivolto ai valori medi delle grandezze in gioco.Le equazioni di conservazione vengono quindi mediate utilizzando la descrizione statistica del flusso turbolento (Pope, 2001).

Considerando la variabile dipendente Φ è possibile definire due differenti tipologie di media: la media secondo Reynolds e la media secondo Favre

La media secondo Reynolds decompone la generica variabile Φ variabile nel tempo in una componente fluttuante Φ′ ed una componente media Φ definite come:

( )

1 T t dt T Φ ≡

Φ e Φ ≡ Φ + Φ ′ (1.14) 5

Rappresenta il rapporto fra la diffusività termica (indice della velocità di penetrazione dell’energia termica) e la diffusività (indice della velocità di penetrazione della specie chimica)

(7)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

dove T è il tempo di integrazione che deve essere sufficientemente grande rispetto alle scale temporali turbolente, ma nello stesso tempo sufficientemente piccolo in modo da non perdere informazioni riguardanti il moto medio del fluido nel tempo.

Dalle relazioni descritte sopra risulta che Φ =′ 0

La definizione (1.14) è conosciuta come decomposizione di Reynolds ed è impiegata prevalentemente nell’analisi fluidodinamica di sistemi non reagenti per derivare le equazioni di trasporto delle quantità medie, note come equazioni di Navier-Stokes mediate secondo Reynolds (RANS6)

La media secondo Favre decompone la variabile Φ in una componente fluttuante Φ ′′ ed una componente media Φ pesate secondo la densità, come :

( ) ( )

( )

T T t t dt t dt ρ ρ ρ ρ Φ Φ Φ ≡

(1.15) ′′ Φ ≡ Φ + Φ (1.16)

Questo tipo di media viene utilizzato nell’analisi di flussi reagenti, come nei processi di combustione, i quali sono caratterizzati da forti variazioni di densità.

Dall’equazione (1.16) moltiplicando per la densità e mediando si ha:

(

)

ρΦ ≡ρ Φ + Φ = Φ + Φ = Φ + Φ′′ ρ ρ ′′ ρ ρ ′′ (1.17) Dalla definizione (1.15) si ottiene:

0

ρ ′′Φ = (1.18)

Adesso è possibile applicare la relazione (1.15) alle equazioni di conservazione (1.1)-(1.4) e mediando nel tempo si ottiene:

 Equazione di conservazione della massa totale: 0 i i u t x ρ ρ ∂ ∂ + = ∂ ∂ (1.19)

 Equazione di conservazione della massa delle singole specie chimiche:

k k k i k i i k i i i Y Y u Y u J w t x x x ρ ρ ρ ′′ ∂ += −∂ ′′ + ∂ ∂ ∂ ∂  k =1, 2,....,NC (1.20)

(8)

 Equazione di conservazione della quantità di moto: i j j j i ij j i i j i u u u u u p F t x x x x ρ ρ ρ ∂ ′′ ′′ τ ∂ ∂ ∂ ∂ + = − + + ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ j=1, 2, 3 (1.21)

 Equazione di conservazione dell’entalpia specifica:

. k i i i j ij rad i i i i h u h h u J p u Q t x x x t x ρ ρ ρ τ ′′ ′′ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ + = − − + + + ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ (1.22)

Tali equazioni (1.19)-(1.22) prendono il nome di Navier-Stokes mediate secondo Favre (FANS7) e sono formalmente identiche alle RANS. E’ possibile passare da una rappresentazione all’altra, per la generica variabile Φ, sfruttando la seguente relazione che intercorre tra i due tipi di medie

(

)

(

)

ρ ρ ρ ρ ρ ρ ρ ρ Φ ′ ′ Φ = = + Φ + Φ = Φ + Φ (1.23)

Tuttavia per passare da una rappresentazione all’altra è necessario conoscere le fluttuazioni della densità.

Nel presente lavoro di tesi si utilizzano le equazioni mediate secondo Favre (FANS) in quanto più adatte alla trattazione di flussi reagenti turbolenti.

Le espressioni (1.19)-(1.22) sono risolvibili nelle variabili medie di Favre eccetto che per i termini

 u ui′′ ′′j denominati Stress di Reynolds,

 I flussi turbolenti di calore h u ′′′′ i , di materia Yk′′ ′′ ui  I flussi molecolari di materia, Jk e di calore q.

 La velocità di reazione delle specie chimiche w . k

 Il flusso di calore radiante .

rad

Q .

Questi termini rappresentano delle nuove incognite per il sistema di equazioni che per essere risolto necessita dunque di ulteriori espressioni dette appunto equazioni di chiusura.

7

(9)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

Per quanto riguarda i termini del calore radiante .

rad

Q e della velocità di reazione delle specie chimiche w , sono valutabili rispettivamente attraverso modelli di radiazione e di k

combustione.

Per elevati numeri di Reynolds i termini per il flusso di materiaJk e per quello di calore q sono trascurabili rispetto a quelli di trasporto turbolento.

I flussi turbolenti di materia Yk′′ ′′ e di calore ui h u ′′′′ i possono essere modellati

utilizzando l’ipotesi del trasporto del gradiente8:

k t k i kt i Y Y u Sc x µ ρ ′′ ′′ = − ∂ ∂ (1.24) Pr t i t i h h u x µ ρ ′′ ′′ = − ∂ ∂ (1.25)

dove µt rappresenta la viscosità turbolenta valutata attraverso il modello di turbolenza , mentre Sckt e Prt rappresentano rispettivamente il numero di Schmidt per la specie k ed il

numero di Prandtl turbolento.

Il termine u ui′′ ′′j (Stress di Reynolds) può essere espresso utilizzando modelli di

turbolenza.

Per quanto riguarda la descrizione dettagliata dei modelli di turbolenza e di radiazione necessari ad esprimere rispettivamente il tensore degli sforzi di Reynolds u ui′′ ′′j in funzione

delle variabili mediate nel tempo, ed il flusso di calore radiante .

rad

Q assorbito ed emesso da una fiamma si faccia riferimento a Pope (2001) e Poinsot e Veynante (2001).

Prima di analizzare la struttura del codice di calcolo CFX utilizzato nel presente lavoro di tesi si forniscono alcuni dettagli sulla struttura di un codice di calcolo CFD.

1.3

Componenti di un codice di calcolo CFD

Le unità principali che compongono un codice di calcolo CFD sono:  Il modello matematico

 Il dominio di calcolo

(10)

 Il metodo di discretizzazione  L’algoritmo di risoluzione  I criteri di convergenza

1.3.1

Il modello matematico

Il modello matematico è l’insieme delle equazioni differenziali (trasporto, di quantità di moto, di materia e di energia ) e dei modelli che rappresentano il sistema fisico considerato.

Non esiste un modello universale che possa essere utilizzato per ogni tipo di simulazione ma esistono più modelli semplificati che variano in base al problema analizzato. Ad esempio sono stati formulati più modelli per la rappresentazione della turbolenza, della chimica di un sistema così come diverse rappresentazioni analitiche delle caratteristiche fisiche come densità, viscosità, conducibilità termica, diffusività, calore specifico, ecc. Applicando un modello però si hanno inevitabilmente delle approssimazioni in quanto non si considerano tutti i fenomeni fisici presenti nel sistema ma solo quelli che sono maggiormente rilevanti nei confronti della dinamica del sistema.

Generalmente tali modelli sono stati verificati per particolari condizioni e configurazioni, tuttavia occorre accertarsi dell’applicabilità e adeguatezza del modello alla specifica situazione da simulare.

1.3.2

Il dominio di calcolo

Una volta scelto il modello matematico da utilizzare occorre definire il dominio di calcolo. Le equazioni differenziali vengono risolte per via numerica utilizzando il concetto della discretizzazione che consiste nel suddividere il dominio in una serie di volumetti o celle caratterizzati da dei punti, nodi, nei quali sono valutate ad ogni iterazione le grandezze incognite.

Utilizzando un maggior numero di nodi (maggiore discretizzazione) si ha un’accuratezza del calcolo superiore che comporta però, tempi di elaborazione più lunghi.

La definizione del dominio di calcolo e discretizzazione è di fondamentale importanza per la buona riuscita di una simulazione.

Utilizzare una griglia troppo larga può portare ad approssimazioni troppo grandi con gradienti elevati, al contrario una griglia troppo fine, può portare a problemi numerici di convergenza.

(11)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

È necessario trovare quindi un buon compromesso per sfruttare efficacemente le risorse computazionali ed è inoltre importante che il risultato di una simulazione sia indipendente dal livello di discretizzazione.

1.3.3

Il metodo di discretizzazione

La discretizzazione, ha come scopo quello di approssimare le equazioni differenziali che rappresentano il sistema, ad equazioni algebriche.

Gli approcci maggiormente utilizzati sono :  Metodo delle differenze finite;  Metodo degli elementi finiti;  Metodo dei volumi finiti (FVM).

Il codice CFX utilizza il metodo FVM, per i dettagli riguardanti tale metodo si faccia riferimento al lavoro di Tesi (Parente, Anno Accademico 2003-2004)

Tutti e tre le procedure presentano un elevato grado di discretizzazione del dominio di calcolo, ovvero griglie molto fini, ciò nonostante al variare del problema fisico che si presenta si differenziano tra di loro in base alla velocità e convergenza di calcolo.

1.3.4

Algoritmo di risoluzione

L’algoritmo di risoluzione numerica è lo schema iterativo che il codice utilizza per giungere alla soluzione del problema partendo dalle condizioni iniziali.

Trasformando le equazioni differenziali (ad esempio le FANS) dalla forma continua a quella discreta si ottiene come risultato un sistema di equazioni algebriche che può essere espresso come Aϕ = dove A è la matrice dei coefficienti, b è il vettore dei termini noti, b ϕ

è il vettore delle incognite.

Il sistema di equazioni può essere risolto utilizzando due approcci differenti:

 Soluzione sequenziale. Ciascuna equazione viene risolta separatamente

come se contenesse un’unica variabile incognita e le altre fossero note. Ogni equazione richiede per convergere un certo numero di iterazioni (iterazioni interne), per ottenere la convergenza contemporanea di tutte le equazioni è necessario effettuare le cosiddette iterazioni esterne al termine della risoluzione sequenziale.

(12)

 Soluzione simultanea. Le equazioni discretizzate vengono considerate

apparteneti ad un unico sistema e sono risolte contemporaneamente.

1.3.5

I criteri di convergenza

L’algoritmo di risoluzione numerica è un processo iterativo e richiede quindi la definizione di criteri che ne garantiscono la validità e la possibilità di del raggiungimento di una soluzione ammissibile numericamente.

Un metodo utilizzato per valutare la convergenza di una simulazione numerica è quello di studiare l’andamento dei residui delle equazioni normalizzati:

n n p r r a ϕ = ∆  (1.26)

dove a è coefficiente caratteristico del volume di controllo considerato, p ∆ è ϕ l’intervallo di variabilità di ϕ nel dominio ed r definito come n rn = −b Aϕn è la definizione del residuo.

Dal punto di vista ingegneristico una soluzione è considerata convergente se le componenti del vettore r risultano inferiori a n 1 10−5

⋅ .

1.4

Struttura del codice CFX della Ansys Inc.

Nel presente lavoro per affrontare lo studio di sistemi complessi dal punto di vista termofluidodinamico si utilizza il codice di calcolo CFX 5.7 che unisce un solver di tipo avanzato con un potente pre e post processore.

Esso è formato da 4 moduli software i quali sono connessi dal flusso di informazioni richieste per compiere un’analisi CFD:

Figura 1.1- Moduli che compongono il codice CFX

ICEM-CFX è il pacchetto software che permette di creare la griglia di calcolo. Tale griglia viene quindi esportata a CFX-Pre nel quale vengono specificati i fluidi, i modelli fisici, i tipi di flusso, le condizioni al contorno, i valori iniziali, ecc. In altre parole nel CFX-Pre

(13)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

vengono forniti tutti i dati necessari alla risoluzione del problema, (per una descrizione dettagliata dei parametri che possono essere specificati nel CFX-Pre si veda Tesi di Parente 2003-2004). Il problema definito viene quindi inviato al risolutore vero e proprio CFX-Solver. Infine il blocco CFX-Post effettua il post-processamento dei risultati, che possono essere esportati sottoforma di files di testo, oppure rappresentati in grafici (ad es. mappe colorate e vettori), filmati, ecc.

Tra i blocchi precedenti, riveste particolare importanza per questo lavoro di Tesi il blocco CFX-Solver. CFX utilizza la strategia di risoluzione coupled nella quale sono risolte le equazioni fluidodinamiche (per la pressione e le componenti della velocità) come se appartenessero ad un sistema unico.

Questo tipo di approccio utilizza la discretizzazione implicita completa di equazioni ad ogni time step. Nei casi di sistemi allo stazionario il time-step funziona da “parametro di accelerazione” nel condurre la soluzione approssimata alla soluzione di stazionario, riducendo quindi il numero di iterazioni richieste per arrivare alla convergenza o per calcolare la soluzione per ogni time step nell’analisi dipendente dal tempo.

(14)

Lo schema seguente illustra la procedura generale di risoluzione delle equazioni algebriche :

(15)

Capitolo 1-CFD per Sistemi Reagenti

La soluzione di ogni set di equazioni mostrata nella Figura 1.2 è effettuata mediante due operazioni numeriche :

 Le equazioni non lineari sono linearizzate e riunite nella matrice delle soluzioni.

 Le equazioni linearizzate sono risolte utilizzando un metodo algebrico di tipo Multigrid.

La tecnica multigrid implica che le equazioni siano risolte inizialmente su una griglia più fine ed, al crescere del numero di iterazioni, su griglie sempre più grossolane vedi Figura 1.3.

I risultati sono poi inviati dalle mesh grossolane alle mesh iniziali più fini. L’approccio

multigrid offre il vantaggio di ridurre in modo rilevante la velocità di convergenza ed il tempo di elaborazione della CPU in quanto la discretizzazione delle equazioni non-lineari viene effettuata solamente una volta ed all’interno delle griglie fini.

(16)

1

CFD per Sistemi Reagenti

4

1.1

Introduzione

4

1.2

Equazioni di Navier-Stokes

5

1.2.1 Equazioni di Navier-Stokes mediate secondo Favre 8

1.3

Componenti di un codice di calcolo CFD

11

1.3.1 Il modello matematico 12

1.3.2 Il dominio di calcolo 12

1.3.3 Il metodo di discretizzazione 13

1.3.4 Algoritmo di risoluzione 13

1.3.5 I criteri di convergenza 14

(17)
(18)

2

Eddy Dissipation Concept

2.1

Introduzione

L’Eddy Dissipation Concept (EDC), sviluppato dal prof. B.F. Magnussen (Magnussen e Hjertager 1976, Magnussen 1981, Magnussen 1989, Magnussen 2005), fornisce un concetto per trattare l’interazione tra turbolenza e chimica nelle fiamme. In particolare,l’ EDC può essere applicato sia per l’analisi di fiamme premiscelate che diffusive per lo studio di processi di combustione controllati sia dal mixing che dalla cinetica chimica.

La grande varietà di condizioni per le quali il modello sembra funzionare ha attirato l’attenzione su di esso, tanto che l’EDC è stato implementato in alcuni codici di calcolo commerciali. Tuttavia lo stesso Magnussen sostiene che l’implementazione del modello non è stata fatta sempre nel migliore dei modi (Magnussen 2005). Alla base dell’EDC vi è l’ipotesi che le reazioni chimiche avvengono solo in regioni dove la dissipazione dell’energia turbolenta è significativa. È quindi importante capire come l’EDC “interpreta “ la turbolenza. La visualizzazione classica della turbolenza consiste in un campo di vortici annidati di dimensioni decrescenti dove l’energia cinetica della turbolenza viene trasportata, con una dissipazione trascurabile, dai vortici più grandi (energy containing eddies) a quelli via via più piccoli fino alla scala di Kolmogorov, dove la viscosità, non più trascurabile, attenua le fluttuazioni turbolente (vedi schema Figura 2.1).

(19)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

2.1.1

CASCATA DI ENERGIA TURBOLENTA

In generale, flussi turbolenti con elevati numeri di Reynolds sono costituiti da una gamma di vortici di differenti dimensioni.

L’energia meccanica è trasferita principalmente tra strutture vorticose vicine come mostrato in Figura 2.2 .

Figura 2.2 – Schema del trasferimento dell’energia meccanica

Per la stessa ragione la produzione di energia cinetica turbolenta è data dall’interazione tra vortici grandi ed il mean flow. La dissipazione di energia cinetica in calore, dovuta alle forze molecolari,avviene quindi nei vortici più piccoli.

Caratteristiche importanti per flussi turbolenti possono, nel caso di turbolenza prossima all’isotropia, essere relazionati alla velocità turbolenta u′, ed alla dimensione della macroscala L′.

Queste quantità sono collegate a ciascuna delle altre attraverso la viscosità turbolenta del vortice, espressa come:

L u

vt = *′ ′ (2.1)

Tale teoria, sviluppata da Kolmogorov, è valida sotto le ipotesi di omogeneità tridimensionale ed isotropia locale della turbolenza.

Tuttavia, ad elevati numeri di Reynolds, il campo di turbolenza presenta ampie regioni di flusso quasi inerziale con dissipazione viscosa trascurabile e regioni relativamente piccole, dette fine structures, in cui avviene la dissipazione; la disuniformità spaziale della dissipazione viscosa è detta intermittenza.

(20)

2.1.2

MODELLAZIONE “DISCRETA”DELLA CASCATA DI

ENERGIA TURBOLENTA

Il collegamento tra il comportamento delle strutture fini e le caratteristiche di larga scala della turbolenza come l’energia cinetica turbolenta, k, ed il suo tasso di dissipazione ε , è basato nello schema EDC, sul modello della cascata dell’energia turbolenta proposto per la prima volta nel 1975 da Magnussen.

La Figura 2.3seguente illustra schematicamente il trasferimento in cascata dell’energia meccanica dal mean flow ai vortici macroscopici fino alle scale microscopiche (u

,

L

)

Figura 2.3 – Schema del trasferimento in cascata dell’energia con indicati i vari parametri caratteristici

Per una turbolenza prossima all’isotropia,l’energia fornita a ciascun livello energetico viene parzialmente dissipata in calore ed una parte trasformata come energia meccanica al livello di turbolenza successivo.

Il primo livello della struttura della turbolenza è costituito dai vortici più grandi, aventi

L′ come dimensione caratteristica e u′come velocità caratteristica.

Sulla base dell’ipotesi d’isotropia della turbolenza è possibile ricavare la seguente espressione per u′: 1 2 2 3 u′ =  k  

(

)

2 2 2 1 2 3 2 2 2 2 1 2 3 1 1 3 2 2 u u u dove k= u′ +u′ +u′ → ∗′= ′ = ′ u′ 3 2 2 ku′  ⇒ =  (2.2) con k energia turbolenta.

(21)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

Si può definire una velocità di deformazione caratteristica:

L u ′ ′ = ′ ω (2.3)

Il primo livello rappresenta inoltre l’intero spettro della turbolenza poiché contiene gli effetti dei livelli successivi. Il secondo livello rappresenta la parte dello spettro avente velocità

u′′e dimensione L ′′ e velocità di deformazione caratteristica:

ω

ω ′′ 2= ′ (2.4)

Analogamente a quanto fatto per il primo, si assume che il secondo livello contenga gli effetti di quelli successivi ed, in generale, tale ipotesi viene estesa a tutti i livelli dello spettro.

Il livello n-esimo di strutture è caratterizzato da una velocità turbolenta u , dimensione n

n

L ,energia meccanica trasferita al livello n+1 w e vorticità o velocità di deformazione n 1 2 n n ω ω − = ∗ (2.5)

Il modello a cascata di Magnussen si può quindi considerare un modello “a gradini”, che non presenta un range continuo di dimensioni dei vortici ma discreto.

Altri modelli di cascata di energia turbolenta a gradini (“Stepwise Cascade Model”) sono stati proposti in passato (Onsager 1945).

Nelle fine structures le grandezze w , n u , n L sono dell’ordine delle scale di n

Kolmogorov. Il trasferimento di energia dal primo al secondo livello w′′ è dato dalla somma della dissipazione in corrispondenza di tutti i livelli successivi, di conseguenza si ha che :

q w

ε = +′ ′′ (2.6)

L’energia trasferita dal mean flow al primo livello, chiamata produzione w′ ,viene espressa come il prodotto di uno sforzo turbolento ( 2

2 3

u′′ dimensionalmente pari al quadrato

della velocità caratteristica del primo livello u′ ) per una velocità di deformazione del flusso medio. Su questa base, il trasferimento di energia meccanica w” al secondo livello è

modellato come : 2 1 3 2 2 D w′′= C u ω′′ ′ (2.7)

Dall’ equazione (2.4) sostituendo risulta che: 2 1 3 2 D

w′′= C u ω′′ ′′ (2.8) La dissipazione viscosa al primo livello,q′,è modellata, analogamente al termine di dissipazione nell’equazione dell’energia meccanica:

(22)

2 2 D

q′=C νω′ (2.9)

Si assume che il trasferimento di energia da un livello a quello successivo possa essere definito utilizzando lo stesso modello.

Per il livello n-esimo ottengo, quindi, le seguenti equazioni:

2 1 2 3 n n D n C u w = ω e 2 2 n D n q =C νω (2.10)

Il bilancio energetico per il livello n-esimo è

1 n n n

w = +q w+ (2.11)

L’ultimo livello risulta essere quello equivalente alle strutture fini (n=∗) e per il quale si ottengono le seguenti relazioni:

2 1 2 3 = C u w Dω (2.12) 2 2 D q∗=C νω∗ (2.13)

Con l’ipotesi di stato quasi-stazionario ed effettuando il bilancio energetico, si ottiene : ∗

=q

w (2.14)

La dissipazione di energia meccanica in calore ,ε, può essere espressa come somma della dissipazione a ciascun livello:

( ) 2 2 2 2 2 1 2 2 2 1 ... ... ... ... νω νω νω νω ε =+ ∗− + + + +=+ ∗− + + + +D n D D D n q C C C C q q q (2.15) da cui ∗ ∞ = ∗ ∗ ∗ ∗ + + + = = =C C C q

q k k D D D 3 4 2 1 ... 4 1 2 1 0 2 2 2 2 2 2 2νω ν ω ν ω ε (2.16) essendo 2 1 ∗ − ∗ =ω ω .

Sostituendo nella precedente espressione l’equazione (2.13) si ottiene: 2 2 3 4 = νω ε CD (2.17) Sapendo che ∗ ∗ = L u ω si ottiene : 2 2 2 3 4 ∗ ∗ = L u CDν ε (2.18)

Sostituendo l’equazioni (2.14) e (2.16) nella (2.18) si ha : 3 2 2 1 1 1 4 3 2 2 3 2 D D D u u C u C u C L L ε ω∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ = = = ⇒ 3 0, 267u L ε ∗ ∗ = (2.19)

(23)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

Dalle equazioni (2.18) e (2.19) è possibile ricavare le grandezze caratteristiche per le fine structures, L∗ e u∗: 3 3 1 2C uD 0, 267u L ε ε ∗ ∗ ∗ = = (2.20)

Sostituendo la (2.20) nella (2.18) si ottiene :

6 2 1 2 2 2 4 3 4 ∗ ∗ = u C u C D D ε ν ε (2.21)

da cui semplificando e ricavando u∗ si ottiene un’espressione di u che è funzione delle grandezze relative al flusso macroscopico :

( )

14 4 1 2 1 2 4 1 2 1 2 3 3 νε νε       =       = ∗ D D D D C C C C u (2.22)

Sostituendo la (2.22) nella (2.20) si ottiene un’espressione analoga per L∗:

( )

34 4 3 2 1 2 1 3 2 νε ε      = ∗ D D D C C C L ⇒ 4 1 3 4 3 2 1 2 1 4 1 1 4 3 3 4 3 2 1 2 1 3 2 3 2             = ⇒             − ε ν ε ε ν ε D D D D D D C C C L C C C 1 1 3 3 4 3 4 4 2 1 2 4 1 3 2 1, 43 3 D D C L L C ν ν ε ε=    =       (2.23)

Tali grandezze sono dell’ordine delle scale di Kolmogorov.

Dall’equazione (2.18) ed (2.19) si ottiene l’espressione del numero di Reynolds:

2 3 1 2 2 1 2 4 2 2 Re 2, 5 3 3 D D D D C u u u L C C L L C ν ν ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ = ∗ ⇒ = = = (2.24)

Per valori di Reynolds moderati e superiori, la dissipazione ai primi stadi della cascata (n piccoli) risulta trascurabile. Quindi qn << wn e wnwn+1 da cui risulta ad esempio che, per n= : 2 2 2 1 1 3 3 2 D 2 D w′′≅w′′′⇒ C u′′ ′′ω ≈ C u′′′ ′′′ω (2.25)

Dall' equazione (2.5) si ha che ω ′′′ 2= ∗ω′′ da cui

ω ω′′ ′′′ ′′ ′′ 2 2 3 2 3 2 1 2 1u C u CD D (2.26)

(24)

Semplificando si ottiene : 2 2 2 2 1 2 2

u′′ ≈ u′′′ ⇒u′′′ ≈ u′′

In termini generali è possibile assumere che : 2 1 2 2 1 − ≈ n n u u (2.27)

Sulla base di tale ipotesi e dall’equazione (2.2) si ottiene: ω′

≅ ′′ C k

w D1 (2.28)

Il modello di combustione turbolenta di Magnussen utilizza come valori per le costanti del modello di cascata dell’energia CD1 =0.135 e CD2 =0.5 (Ertesvag).

Questi coefficienti sono assunti uguali e costanti per ciascun livello della cascata e sono calibrati sulla base del tipo di flusso e della loro relazione con le costanti del modello di turbolenza utilizzato.

Il valore di CD1 =0.135 è stato scelto adottando l’approssimazione che ε ≈w′′ quindi 0

≅ ′

q da cui risulta quindi che :

ω ε ′′= ′2 ′ 1 2 3 u C w D (2.29)

Sostituendo nella (2.29) la relazione (2.3) si ottiene

L u C w D ′ ′ = ′′ ≈ 1 3 2 3 ε (2.30)

La viscosità turbolenta vt =u′*L′ può essere espressa, quindi, come: ε ε 2 1 4 1 3 2 2 3 k C u C vt D = D ′ = (2.31) Il termine 1 3 2 D

C corrisponde pertanto alla costante Cµ =0.09 usata nel modello di turbolenza kε standard (Launder e Spalding 1974).

Si ottiene quindi 1 3 0.135 2

D

(25)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

2.2

STRUTTURE FINI

2.2.1

Modellazione delle strutture fini

La tendenza ad avere elevata disuniformità nella dissipazione turbolenta per elevati numeri di Reynolds è stata scoperta da Batchelor and Townsend (1947) e studiata sotto due punti di vista:

 differenti modelli statistici per il modello di cascata di energia partendo da un’ipotesi di invarianza locale o somiglianza tra il movimento di scale differenti

 considerando la produzione di vorticità idrodinamica dovuta allo stiramento dei vortici.

Si può concludere che le strutture delle piccole scale, che sono responsabili per la maggior parte della dissipazione di energia, sono generate in maniera localizzata. Si assume che queste strutture siano composte tipicamente da larghi e sottili strati vorticosi, striscie di vorticità o vortici a forma di tubo ripiegati di estensione casuale o raggomitolati nel flusso come schematizzato nella seguente figura:

Figura 2.4 – Illustrazione schematica delle strutture fini

Le strutture fini (fine structures) sono localizzate in regioni ad energia costante, dette fine structure regions, le cui dimensioni lineari sono notevolmente maggiori rispetto a quelle delle strutture fini interne(L∗).

Le fine structures sono posizionate principalmente nelle regioni altamente deformate tra i vortici larghi ricchi di energia.

(26)

Le reazioni chimiche avvengono quando i reagenti sono miscelati a livello delle scale molecolari ad una temperatura sufficientemente alta (Magnussen 1981).

I processi che avvengono al livello delle microscale, che sono decisivi per il mescolamento a livello molecolare, così come la dissipazione di energia turbolenta in calore, sono rigorosamente intermittenti; cioè sono concentrati in regioni isolate il cui volume è solo una piccola frazione del volume del fluido.

Queste regioni sono occupate da strutture fini le cui dimensioni caratteristiche sono dello stesso ordine di grandezza delle microscale di Kolmogorov o più piccole.

Le strutture fini sono responsabili sia della dissipazione dell’energia turbolenta in calore sia del mescolamento a livello molecolare.

Le fine structures regions di conseguenza creano lo spazio di reazione per reagenti non uniformemente distribuiti così come per i reagenti mescolati omogeneamente nei flussi turbolenti.

La non omogeneità dello spazio di reazione è stato dimostrato mediante misure ottenute utilizzando laser-sheet fluorescence.

Alcuni studi volti a modellare le fine structures si basano sulla produzione idrodinamica di vorticità dovuta a stiramento dei vortici; le fine structures si creano, cioè, in regioni fortemente deformate dai macrovortici e le loro dimensioni caratteristiche sono dell’ordine della microscala soltanto in una o due dimensioni.

Secondo Corrsin (1962) le strutture dissipative consistono in “fogli” di spessore dell’ordine della scala di Kolmogorov η che circondano macrovortici di dimensione L; (Figura 2.5), esse occupano una frazione volumetrica pari a :

L L L η η = 3 2 (2.32) Assumendo che l’energia cinetica turbolenta locale posseduta dalle fine structures sia proporzionale ad u′2, la velocità di dissipazione locale nelle fine structures è stimata come :

2 2

η

νu′ (2.33)

dove ν è la viscosità cinematica.

La media volumetrica della velocità di dissipazione, sarà quindi: 2 1/ 2 2 2 Re u λ η ε ν η λ − ′ = (2.34)

sfruttando le identità valide con l’approssimazione di equilibrio locale (produzione=dissipazione ovvero energia cinetica turbolenta costante):

(27)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept λ λ =Re L (2.35) 2 / 1 Reλ η = L (2.36) dove: ν λ λ u′ =

Re con λ microscala di Taylor.

La velocità di dissipazione media nei flussi turbolenti è scritta come:

2 2 3 λ ν ε u L u ′ = ′ = (2.37)

Si può osservare come le relazioni differiscano per il termine Re1λ/2.

No reaction

No reaction

mixing yk, hk mixing yk, hk

No reaction

No reaction

mixing yk, hk mixing yk, hk

L’

L*

L’

L’

L*

L’

Figura 2.5 Modello di Corrsin

Secondo Tennekes (1968) le strutture dissipative consistono in tubi di vorticità di diametro η deformati da vortici di dimensione λ

.

Assumendo che in un volume λ3 la lunghezza dei tubi di vorticità sia proporzionale a

λ (microscala di Taylor) essi occupano una frazione volumetrica pari a: 2 2 3 2 λ η λ λ η = (2.38)

In altre parole secondo il modello di Tennekes la deformazione prodotta ai macrovortici crea regioni di vorticità di dimensione λ .

(28)

Queste a loro volta producono tubi di vorticità di diametro η (microscala di Kolmogorov).

La media volumetrica della velocità di dissipazione, sarà quindi:

2 2 2 2 2 2 λ ν λ η η ν ε = u′ = u′ (2.39)

Anche nel modello di Tennekes, (Figura 2.6) si assume che l’energia cinetica turbolenta locale posseduta dai vortici dissipativi, relativa alla rotazione attorno al proprio asse, sia proporzionale ad 2

u′ . L’energia dei tubi di vorticità, mediata sul volume complessivo, risulta essere proporzionale al quadrato della velocità di Kolmogorov; quest’ultima rappresenta quindi una velocità caratteristica dei vortici dissipativi mediata sul volume.

Questo suggerisce che la velocità di Kolmogorov risulta piccola non perché i vortici dissipativi siano deboli, ma perché la dissipazione è localizzata in regioni molto piccole del volume complessivo.

Le fine structures sono di fondamentale importanza nei processi di miscelazione

molecolare e nel modello EDC di Magnussen si assume quindi che le reazioni siano localizzate proprio all’interno delle fine structures.

Figura 2.6 Vorticità secondo il modello di Tennekes

Il comportamento turbolento dei sistemi inerziali ad ogni livello nel continuo spazio-tempo sembra mostrare caratteristiche simili, come la struttura dei vortici e non omogeneità strutturali.

Di conseguenza si può immaginare che l’interazione tra la turbolenza nel flusso del fluido a differenti scale può essere modellata con lo stesso concetto ad ogni livello strutturale.

Il modello EDC di Magnussen sfrutta il modello di Tennekes per descrivere il trasferimento di materia alle fine structures ed il modello di Corrsin per definire la frazione volumetrica delle fine structures.

(29)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

Questa concezione ha fornito le basi per derivare il modello di trasferimento in cascata dell’energia ed il modello delle strutture fini nell’EDC.

2.2.2

Modellazione del mixing molecolare

Un’ importante assunzione effettuata nell’EDC è quella secondo la quale le reazioni avvengono nelle strutture fini. Effettuando l’assunzione di chimica veloce (Fast chemistry), lo stato nelle fine structures, è considerato di equilibrio.

Nelle valutazioni per la chimica dettagliata (Finite Rate chemistry) le regioni di strutture fini sono invece trattate come reattori Perfect Stirred Reactor (PFR).

Per essere in grado di trattare le reazioni all’interno di questa regione è necessario conoscere la frazione di massa di reazione e la velocità di trasferimento di materia tra regioni di strutture fini e fluido circostante.

Nelle prime versioni dell’EDC (Magnussen, 1978) la frazione di massa occupata dalle fine structures regions era definita come:

3 ' u u γ∗ =   ∗   (2.40) da cui si ottiene :

( )

3 3 3 4 4 2 4 2 2 1 9 3 4 D D C C k γ∗ =   νε         da cui 3 3 4 4 2 2 2 1 3 4 D D C C k νε γ∗ =           (2.41)

Assumendo che le fine structures sono localizzate in regioni ad energia approssimativamente costante e che l’energia cinetica turbolenta può essere caratterizzata da

2 '

u (quadrato della velocità turbolenta), l’equazione sopra si può scrivere come 2 ' u u λ γ∗ =γ  ∗    (2.42) Di conseguenza il termine ' u u λ

γ = ∗ rappresenta la frazione di fluido occupata dalle fine structures regions, ovvero la frazione delle regioni che contengono le strutture fini ed il fluido circostante con il quale scambiano materia (avendo assunto che le fine structures scambiano materia solo con una parte del fluido circostante), in altre parole, le strutture fini tendono ad agglomerarsi in regioni ad energia costante e scambiano materia con le fine structures

regions.

(30)

2 ' u u γ∗ =   ∗   (2.43)

E’ possibile definire per ciascuna grandezza un valore medio tra fine structures e fluido circostante :

( )

1

γ∗ ∗ γ∗ ∗

Ψ = Ψ + − Ψ (2.44)

La dissipazione in calore risulta non omogenea ed avviene principalmente nelle fine

structures regions in quanto, indicando la dissipazione di energia meccanica media con come

( )

1

ε γ ε= ∗ ∗+ −γ ε∗ ∗ (2.45)

Dall’equazione (2.16)è possibile concludere che solo 1 4

≈ della dissipazione totale avviene all’esterno delle strutture fini, quindi il secondo termine della relazione (2.45) può essere trascurato: ε ε γ ε ε γ ∗ ∗ ∗ ∗ ≈ ⇒ ∝   (2.46)

Di conseguenza è possibile caratterizzare le fine structure interne sulla base delle caratteristiche del flusso principale k edε .

Si vuole studiare in maniera approfondita le strutture fini e si fa quindi riferimento ad

ε .

Sostituendo nelle equazioni precedentemente ricavate i valori delle costanti 135 . 0 1 = D C e CD2 =0.5 si ottiene :

( )

( )

1 4 1 1 2 4 4 2 1 1, 75 3 D D C u C νε νε ∗ = =   (2.47) Definendo

( )

1 4 1, 75

u∗∗ = νε∗ andando a sostituire la ε∗, dall’equazione sopra si ottiene:

( )

1 4 1 4 1 1, 75 u νε γ ∗∗ ∗   =    ⇒ 1 4 1 u u γ ∗∗ =(2.48)

Per L∗∗, dall’equazione (2.23) si ottiene:

( )

( )

( )

1 3 4 4 3 3 4 4 1 1 1 4 4 4 1 1, 43 1, 43 1, 43 L ν ν ν γ ε ε ε γ ∗ ∗∗ ∗ ∗           = = =           ⇒ L∗∗ =L∗ ∗γ 14 (2.49)

(31)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

Assumendo una turbolenza prossima all’isotropia ed introducendo l’energia cinetica turbolenta ed il suo tasso di dissipazione, si ottiene la seguente espressione per la frazione di massa occupata dalle fine structure regions in termini di ε ,k,ν :

( )

(

14

)

2

( )

1 1 2 2 2 2 2 1 2 1, 75 4, 6 4, 6 ' 2 3 u u k k k νε νε νε γ∗ = ∗ γ∗ = = =                (2.50)

Il flusso massivo tra fine structures e fluido circostante per unità di fluido ed unità di tempo può essere espresso come relazione tra il flusso di massa fuori dallo strato limite delle scale piccole e la loro massa.

Si assume che le fine structures abbiano struttura cilindrica come illustrato in Figura 2.7:

L*

L*

m

m

**

h

h

m

m

**

L*

L*

m

m

**

h

h

m

m

**

Figura 2.7 – Schema della geometria cilindrica Sezione della sezione

Si assume che il flusso di massa abbia velocità u∗ fuori dal vortice di forma cilindrica con diametro L∗ ed altezza h.

Il volume della fine structure è dato da :

2 2

4

D

V=πr h=π h (2.51)

Dove D=L∗ che risulta essere la dimensione caratteristica. Quindi 2 4 L V π h ∗ ∗= (2.52)

(32)

(

)

1 2 2 Area Laterale Lh A πDh π ∗ − ∗ = = (2.53)

Il flusso di massa uscente dalle fine structures attraverso il contorno del cilindro è dato da: 2 L M ρ u A ρ u π h ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ = =  [kg s / ] (2.54)

La massa del cilindro è data da:

2 4 L m ρV π hρ ∗ ∗ ∗ ∗ = = [kg ] (2.55)

La relazione tra il flusso di massa attraverso lo strato limite delle fine structures e la loro massa è dato da : 0.5 2 2 2 2.5 [1/ ] 4 L u h M u m s L V L h π ρ ε ρ πρ ν ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗   = = = =       (2.56)

Lo scambio di materia tra le strutture fini ed il fluido esterno è dato da

( )

0.25 0.25 2 2 3 1 2 2 1 1 3 12 3 4 D D D C m m m m C C k k λ γ γ γ νε ε γ γ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗     = = = =             (2.57) Il termine λ γ γ ∗

rappresenta il rapporto tra massa delle strutture fini e massa delle regioni di strutture fini e questo porta a concludere che le strutture fini scambiano materia con le fine structure regions.

Il tempo di residenza nelle fine structures dall’ equazione (2.56) è dato da : 0.5 1 0.41 [ ]s m ν τ ε ∗ ∗   = =      (2.58)

Risulta quindi che nello scambio di massa tra fine structures e fine structures regions, la velocità di trasferimento della massa stessa deve essere modellata come

2 γ τ∗ .

2.2.3

Modellazione dei processi di mixing molecolare

La velocità del mescolamento a livello molecolare è determinata dalla velocità del trasferimento di massa tra fine structures regions ed il fluido circostante.

(33)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

Le varie specie partecipanti alle reazioni sono assunte mescolate omogeneamente all’interno delle fine structures regions.

Per effettuare la modellazione delle strutture fini è necessario definire l’espressione che fornisce la velocità di reazione per la specie k .

Le fine structure nel dominio osservato sono considerate come dei reattori PSR. La rappresentazione di una singola cella è illustrata nella seguente figura:

Figura 2.8

Il flusso di massa in ingresso ed uscita è dato rispettivamente da Min ed Mout, la massa all’interno della cella è data da MFS.

I simboli o e * ,che contrassegnano le grandezze, indicano rispettivamente fuori e dentro la cella.

Effettuando il bilancio di massa per la specie k nel reattore stazionario si ottiene :

o FS in k out k k M M Y M Y R ρ ∗ ∗ ∗ − = −   (2.59)

dove Rk∗ risulta essere il consumo della specie k per unità di tempo e volume. I termini Yko ed Yk

rappresentano la frazione massiva della specie k rispettivamente nel fluido esterno e interno alle strutture fini.

Quando il reattore opera in regime stazionario allora: in out

M =M =M (2.60)

Sapendo che dall’equazione (2.56),m ,risulta essere il flusso di massa verso le fine ∗ structures diviso la massa nelle fine structures

FS

M M

⇒  (2.61

Dall’equazione di bilancio, dividendo entrambi i membri per MFS ,si ottiene :

(

o

)

M Y Y R ρ∗ = − ∗  da cui ⇒ R= −m∗ ∗ρ

(

YoY

)

(2.62)

(34)

Questa risulta essere la massa reagita della specie k in funzione del tempo ed unità di volume nelle fine structures e quindi la velocità di reazione.

Dalla relazione precedente è possibile sviluppare un’espressione per la velocità media

di reazione estendendo il volume di interesse al fluido circostante (surroundings):

(

o

)

k k k

R = −ρ χm YY∗ (2.63)

dove R risulta essere la massa reagita della specie k in funzione del tempo e dell’unità k

di volume del fluido (reattore e surroundings).

Il termine χ rappresenta la frazione reattiva delle fine structure regions

(

0≤ ≤ χ 1

)

Dalle simulazioni effettuate utilizzando i vari tipi di programmi di calcolo si ottengono i valori medi delle frazioni massive delle specie chimiche che prendono parte alle reazioni

(

0

)

, k k

Y Y∗ ; è necessario quindi trovare una relazione per il trasferimento di massa tra surrounding e fine structures che tenga conto dei valori medi delle grandezze che caratterizzano le due regioni.

Questa può essere ottenuta andando a studiare in maniera approfondita una regione al cui interno è presente sia reazione chimica sia turbolenza.

Avendo definito γ∗ come la frazione di massa occupata dalle fine structure regions, il termine χγ∗ risulta essere la massa di struttura fine che reagisce rapportata alla massa totale.

Questa risulta essere la parte attiva del reattore.

Il volume a cui si fa riferimento in questo momento ha massa MTOT e volume VTOT.

La densità media è definita come: TOT TOT

M V

ρ = (2.64)

L’ area locale è divisa quindi in parte attiva delle fine structures e fluido circostante (surroundings).

La massa attiva delle fine structures è data da :

R TOT

M =χγ∗M (2.65)

Il surroundings ha il resto della massa:

(

1

)

surr TOT

M = −χγ∗ M (2.66)

Per la variabile generica ϕ , è possibile definire la massa media come :

o surr R TOT TOT M M M M ϕ= ϕ∗+ ϕ (2.67)

(35)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept

(

1

)

o

ϕ γ χϕ= ∗ ∗+ −γ χ ϕ∗ (2.68)

È possibile applicare la relazione precedentemente ottenuta per la variabile generica ϕ, per definire la frazione massiva media della specie k :

(

1

)

o

k k k

Y =γ χ∗ Y∗+ −γ χ∗ Y (2.69)

Ricavandoci dall’equazione precedente la Yko e sostituendola nell’equazione (2.63) si ottiene la relazione:

(

)

1 k k k m R ρ χ Y Y γ χ ∗ ∗ = − −  Kg m s/ 3  (2.70)

Nell’equazione precedente le variabili Yk∗ e χ sono incognite.

In base all’ipotesi del perfetto miscelamento del reattore per le strutture fini, la velocità netta di consumo della specie k, è determinata dalla velocità di reazione prendendo in considerazione le specie chimiche più importanti, le loro interazioni chimiche e le condizioni locali all’interno del reattore.

Di conseguenza in aggiunta alla risoluzione delle equazioni necessarie per la chimica, si deve risolvere un’equazione addizionale per il bilancio di energia :

(

)

1 1 s k k N k k k m q ρ Y h Y h γ χ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ = = − −

   (2.71) dove hk e k

h sono le entalpie totali di ciascuna specie e q∗ risulta essere l’energia netta immagazzinata nelle fine structures o trasferita dalle fine structures al surrounding attraverso altri meccanismi come la radiazione.

La valutazione della frazione di massa Yk

può essere effettuata utilizzando due diversi approcci :

 si assume che la reazione sia infinitamente veloce (Fast chemistry limit)  calcolo dettagliato della cinetica chimica (Finite Rate chemistry approach)

In riferimento al fatto che la velocità di scambio di massa tra fine structures e fine structures regions è modellato come

2 γ

τ∗ si ottiene che la velocità di reazione media R k risulta:

(

)

2 0

k k k

R = −ρ γλ m∗χ Y Y∗ (2.72)

(36)

(

)

3 3

1 o

λ λ

ψ γ ψ χ =+ γ χ ψ (2.73)

da cui definendo la frazione massiva media risulta:

(

)

3 3 1 o k k k Yλ Y∗χ+ −γ χλ Y (2.74)

2.3

REAZIONI CHIMICHE

2.3.1

Fast chemistry

In un gran numero di casi di combustione trattare le reazioni considerandole infinitamente veloci risulta essere un’assunzione plausibile.

Nel Fast chemistry limit si assume che vi è sufficiente tempo per raggiungere l’equilibrio nelle strutture fini e questo si ottiene stabilendo le condizioni di combustione delle principali specie chimiche e ricercando il componente limitante principale.

Si assume inoltre che la reazione possa essere convenientemente rappresentata attraverso un singolo stadio illustrato di seguito:

1 kg fuel F ( ) + r kg oxidant OF ( )→ (1+rF) kg product P ( ) (2.75) Questo permette di supporre che uno dei principali componenti , ossigeno o fuel, sia completamente consumato nella zona dove avviene la reazione.

Per semplificare le equazioni del modello sono state introdotte le seguenti espressioni delle frazioni di massa:

ˆ 1 F F Y Y =  per il fuel ˆ O O F Y Y r =  per l’ossigeno ˆ 1 P P F Y Y r = +  per il prodotto e Yˆmin =minYˆF, YˆO

Magnussen (1989) propose un modello per determinare la frazione di strutture fini dove ha luogo la reazione.

In base al modello, χ è dato dal contributo di tre termini: 1 2 3

(37)

Capitolo 2-Eddy Dissipation Concept dove

(

)

(

)

(

)

2 min 1 1 1 1 P F P P F O F F Y Y r Y Y Y Y r r χ   +    +    =    + +     +  +          

rappresenta la possibilità di coesistenza dei

reagenti

(

)

(

)

2 min 1 1 min ,1 1 P F P F Y r Y Y r λ χ γ    +    = +   +      

esprime il grado di riscaldamento

(

)

min 3 min 1 1 min ,1 P F Y Y r Y λ λ γ χ γ     +   +      =        

 rappresenta il limite della reazione dovuto alla

mancanza di reagenti (concentrazione dei reagenti bassa).

Con le espressioni sopra elencate per χ ,il vincolo 0≤ ≤χ 1 risulta sempre soddisfatto. La velocità di reazione espressa dall’equazione (2.72) può essere espressa adesso come (Gran 1990): min 3 D1 3 1 Y 2C k 1 k R χ ε ρ γ χ   = − −    (2.77) dove il termine 13 1 γ χ   

  deriva dall’equazione (2.73) ed il cui valore risulta vicino all’unità.

L’ equazione (2.70) che fornisce l’espressione per la velocità media di reazione riferita al combustibile (fuel) diventa quindi:

min * 1 fuel m R ρ χ Y γ χ = − −    (2.78)

dove min min , O F F Y Y Y r   =     

Il termine Ymin si ottiene attraverso un bilancio di massa prendendo a riferimento la

reazione (2.75).

(38)

(

)

min R 1 p p q Y H T T C C m γ χ ρ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ − ∆ = +  −  (2.79)

e quella del fluido circostante:

min 1 o R p p Y H q T T C C m γ χ γ χ γ χ ρ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∆ = − + −   (2.80)

dove ∆ è il calore di reazione (KJ/Kg fuel) e HR Cp è il calore specifico locale (KJ/Kg K)

2.3.2

FINITE RATE CHEMISTRY (effetto della cinetica)

L’effetto della cinetica nelle reazioni di combustione è studiato considerando le fine structure come reattori omogenei a pressione costante.

Se il trasferimento di calore viene trascurato, il reattore può essere considerato adiabatico.

Le equazioni che regolano questo tipo di reattore sono :

( )

( )

(

)

( )

0 0 1,... k o k r k k s dh a dt dp b dt dY R Y Y k n c dt υ ∗ ∗ ∗  =    =    = + − =   (2.81)

dove l’esponente o è riferito al fluido entrante nel reattore, il termine υr risulta essere la velocità di miscelazione e Rk∗ il termine netto di produzione chimica calcolato attraverso le equazioni di Arrhenius.

L’equazione (c) nella parentesi viene integrata tra t= e 0 t= + ∆to t.

Il modello del reattore è fissato attraverso la scelta di υr e di t∆ nella equazione (2.81). Magnussen (1989) ha assunto la stazionarietà dei reattori con velocità di miscelazione 1

r

υ

τ∗

= .

Questo corrisponde ad avere reattori di tipo PSR con tempo di residenza τ∗.

La condizione di stato stazionario è ottenuta assumendo il limite ∆ → ∞ , il quale t

conduce alla seguente serie di equazioni per le frazioni di massa:

(

)

1

(

)

0 0 k o o k r k k k k k dY R Y Y R Y Y dt υ τ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ = + − = ⇒ + − = (2.82)

Figura

Figura 1.1- Moduli che compongono il codice CFX
Figura 1.2 – Sequenza operativa del CFX-solver per la risoluzione delle equazioni algebriche
Figura 1.3 – Schema della variazione delle dimensioni delle griglie nell’approccio Multigrid
Figura 2.1 – Schema della cascata di energia
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