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Academic year: 2021

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(1)

CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

1.1

GENERALIT À

1.1.1

I nanocompositi:

I nanocompositi polimerici rappresentano una nuova classe di materiali in qualche modo alternativa ai materiali compositi tradizionali [1-7].

Sono caratterizzati dalla presenza di cariche inorganiche, aventi almeno una dimensione dell’ordine del nanometro, disperse all’interno della matrice polimerica. Le dimensioni e l’elevata anisometria della fase dispersa permettono di ottenere una elevata superficie di interazione interfacciale polimero-filler anche per piccole quantità di carica. Ciò consente di ottenere un consistente miglioramento delle proprietà del composito quali: incremento della resistenza meccanica , riduzione della conducibilità elettrica e della permeabilità ai gas come ossigeno e vapor d’acqua, resistenza alla fiamma, etc. Questo miglioramento avviene con piccole percentuali di filler (3-5%), mentre per ottenere buone proprietà termiche e meccaniche in un composito tradizionale era necessario usare quantità della fase dispersa superiori al 30% .

1.1.2

Morfologia dell’argilla:

I silicati lamellari sono le nanocariche comunemente usate; appartengono alla famiglia strutturale dei fillosilicati e tra questi possiamo citare la montmorillonite, la ectorite e la saponite.

La struttura cristallina è costituita da due strati di silice (SiO44-) coordinata tetraedricamente, fusi su uno strato centrale di ossido di alluminio (Al3+) o magnesio coordinato ottraedricamente come si può chiaramente vedere in Figura 1.

I tre strati costituiscono una lamella che ha uno spessore di circa 1 nm, mentre le dimensioni laterali possono variare da 300 angstrom a diversi micron a seconda del silicato.

(2)

From Giannelis et al., Adv. Polym. Sci. 118 (1999) From Giannelis et al., Adv. Polym. Sci. 118 (1999)

Figura 1

Struttura atomica della montmorillonite.

Le diverse lamelle si organizzano a formare pacchetti con un regolare interspazio chiamato “galleria” e la somma dell’altezza della galleria e dello spessore della lamella è detta “distanza basale” ed è indicata con d. I pacchetti di lamelle, detti “cristalliti” o “particelle primarie” o “tattoidi”, che hanno spessore di qualche decina di nm, si uniscono per dare origine ad “aggregati” come si può chiaramente vedere dalla Figura 2.

100 – 800 nm

~1 nm

cations (Na+, K+,…)

Lamella primary particle aggregate

(1 nm) (8-10 nm) (0.1-10µm)

Microstructure

100 – 800 nm

~1 nm

cations (Na+, K+,…)

Lamella primary particle aggregate

(1 nm) (8-10 nm) (0.1-10µm) 100 – 800 nm ~1 nm 100 – 800 nm ~1 nm 100 – 800 nm ~1 nm cations (Na+, K+,…)

Lamella primary particle aggregate

(1 nm) (8-10 nm) (0.1-10µm)

Microstructure

Figura 2

(3)

All’interno delle lamelle sono presenti dei cationi, vedi Figura 3, che servono a controbilanciare la carica negativa della superficie delle lamelle, originata dalla sostituzione di alcuni atomi di silicio (Si4+) con atomi di alluminio (Al3+) negli strati ottaedrici. Tali cationi, a più bassa valenza, sono generalmente rappresentati da ioni di Na+, talvolta sostituiti da ioni K+, Ca2+, Ma 2+ etc.

Figura 3

Struttura di una lamella di argilla.

La concentrazioni di questi ioni positivi, che possono essere scambiati con altri ioni contenuti nel mezzo col quale l’argilla può essere messa in contatto, si misura in milliequivalenti per unità di peso dell’argilla (ad esempio per 100g) ed è indicata come CEC (cation exchange capacity).

Il silicato lamellare più comunemente usato è la montmorillonite perché rispetto alle altre argille, come ad esempio la saponite e la hectorite, ha un elevato CEC e una elevata distanza basale. TIPOLOGIA ARGILLA CEC (meq/100g) LUNGHEZZA DELLE PARTICELLE DISPERSE (Å) Hectorite 55 460 Saponite 100 1650 Montmorillonite 119 2180 Mica sintetica Na+ 119 12300

(4)

1.1.3

Modifica dell’argilla:

L’argilla sodica è idrofila (si rigonfia in acqua) e poco compatibile con la maggior parte dei polimeri organici e, in particolare, con le poliolefine che sono invece altamente idrofobe. Tuttavia è possibile modificare la superficie dell’argilla (vedi schema esemplificativo in Figura 4) sostituendo gli ioni Na+, mediante scambio ionico con un adatto tensioattivo organico, ad esempio con ioni ammonio quaternari, contenenti una o più catene idrocarburiche lunghe, per renderla idrofoba.

Come abbiamo detto, ogni argilla è caratterizzata da una capacità di scambio cationico (CEC) che esprime la quantità di cationi che può essere sostituita.

Na

+

N

+

R

R

R

N

+

R

R

R

d’ (d’>d)

d

H2O, ∆∆∆∆T With d : basal spacing

Na

+

N

+

R

R

R

N

+

R

R

R

d’ (d’>d)

d

H2O, ∆∆∆∆T With d : basal spacing

Figura 4

Meccanismo di alterazione della superficie dell’argilla.

I gruppi polari (NR3+) vengono attratti e si sostituiscono agli ioni presenti nelle gallerie.

L’argilla così modificata può essere intercalata da una matrice polimerica apolare.

Le catene idrocarburiche del sale di alchilammonio si dispongono all’interno delle gallerie del silicato in vari modi a seconda della densità di carica dell’argilla e della natura del sale stesso come mostrato in Figura 5.

Figura 5

Le strutture mostrano un certo ordine orientazionale.

(5)

L’introduzione degli ioni di ammonio quaternario, molto più voluminosi degli ioni Na+ porta ad un forte aumento della distanza tra le lamelle e la presenza di lunghe catene alchiliche diminuisce la polarità dell’argilla rendendola così più compatibile con i polimeri organici.

In generale quanto più il radicale alchilico è lungo ed elevata è la densità di carica dell’argilla, tanto maggiore risulta la distanza tra le lamelle. Allo stesso modo si può agire sulla struttura del polimero per renderlo più polare aggraffando sulla catena gruppi funzionali come ad esempio anidride maleica e acido acrilico.

La miscelazione ottimale del polimero con l’argilla infatti è possibile solo se la matrice polimerica, che normalmente è poco polare, riesce a penetrare all’interno degli spazi interlamellari dell’argilla, e ciò è possibile solo se la polarità della superficie di questa ultima è stata sufficientemente ridotta attraverso lo scambio ionico con tensioattivi organici.

1.1.4

Struttura dei nanocompositi:

Un silicato lamellare, come già detto, è costituito da lamelle dello spessore di circa 1 nm e con un elevato rapporto di forma (10-1000). Piccole percentuali in peso di silicato lamellare adeguatamente disperso nella matrice polimerica consentono di ottenere un’area superficiale di interazione polimero-filler molto più grande rispetto a quella ottenibile con i tradizionali filler.

In base alla forza delle interazioni interfacciali tra la matrice polimerica ed il silicato lamellare (modificato o no) possiamo ottenere, come mostrato in Figura 6, due tipi di nanocompositi: i) intercalati ed ii) esfoliati. Nei primi le singole molecole di polimero si insinuano tra i piani cristallini del fillosilicato; gli strati del filler vengono allontanati (generalmente 1-4 nm), ma il silicato mantiene la sua struttura a strati.

La morfologia finale è quella di un composito in cui la struttura cristallina dell’argilla è sempre presente e la carica non è completamente dispersa nella matrice polimerica.

Nei nanocompositi esfoliati invece la penetrazione delle molecole di polimero è molto più estesa: la distanza tra le lamelle aumenta con conseguente annullamento delle interazioni che porta ad un elevato grado di delaminazione con conseguente completa dispersione delle singole lamelle all’interno della matrice polimerica.

(6)

Tale morfologia, che si realizza quando esiste una buona compatibilità tra polimero e argilla e , di conseguenza, una buona adesione interfacciale, è quella che garantisce il massimo incremento prestazionale.

Figura 6

Le tre possibili strutture che si possono ottenere.

La Figura 6 mostra le possibili strutture di nanocomposito che si possono ottenere e si nota chiaramente come il grado di delaminazione delle lamelle dell’argilla all’interno della matrice polimerica aumenti nel passare da una fase separata ad una struttura intercalata ed esfoliata. La fase separata è caratteristica di un composito tradizionale, mentre le seconde di un nanocomposito.

1.1.5 Metodi di preparazione:

Esistono diverse metodologie per preparare nanocompositi polimero/silicato lamellare; attualmente le tecniche più usate sono:

1. Intercalazione del polimero da soluzione: 2. Polimerizzazione in situ

(7)

La prima tecnica consiste nel disperdere l’argilla organomodificata in un solvente nel quale anche il polimero sia solubile come schematizzato in Figura 7. La soluzione viene agitata per un tempo sufficientemente lungo (in genere ore) e quindi il solvente viene rimosso per evaporazione sotto vuoto, ottenendo il materiale nanocomposito con la nanocarica esfoliata.

Da un punto di vista termodinamico si verifica una diminuzione dell’entropia dovuta al confinamento del polimero tra le lamine. Diminuzione che è ampiamente compensata dal guadagno entropico causato dal desorbimento di un grande numero di molecole di solvente che sono state precedentemente adsorbite.

+

N H3 + N H3 + N H 3 + N H3 + N H3 + N H3 + N H 3 + N H 3 + N H3 + Argilla organofila solvatata Polimero

solvatato Intercalazione Esfoliazione sotto vuoto

Figura 7

Schema della preparazione di un nanocomposito mediante intercalazione del polimero da soluzione. I puntini neri rappresentano le molecole di solvente.

La polimerizazione in situ prevede invece l’adsorbimento del monomero liquido o di una soluzione del monomero negli spazi interlamellari dell’argilla, come mostrato in Figura 8, in modo tale che la polimerizzazione avvenga direttamente tra le lamelle intercalate. . La reazione può essere attivata sia con il calore che con la diffusione di un opportuno iniziatore organico o di un catalizzatore fissato per scambio ionico all’interno dell’interstrato prima del processo di adsorbimento del monomero.

È il monomero stesso a distanziare le lamelle del silicato la cui distanza aumenta all’aumentare della conversione sino ad ottenere un sistema completamente esfoliato.

(8)

N H3 + N H3 + N H3 +

+

N H3 + N H3 + N H3 + N H 3 + N H3 + N H3 + Argilla organicamente modificata Monomero Rigonfiamento Polimerizzazione Figura 8

Schema della preparazione di un nanocomposito mediante polimerizzazione in situ.

La terza e ultima tecnica implica la ricottura, statica o sotto shear, di una miscela di polimero e argilla modificata ad una temperatura superiore al punto di rammollimento o di fusione del polimero.

Questo metodo presenta il vantaggio, rispetto alle due tecniche sopra descritte, di non richiedere l’uso di solventi (vedi schema di preparazione in Figura 9) e di essere compatibile con processi industriali comunemente utilizzati come ad esempio l’estrusione e lo stampaggio ad iniezione. N H3 + N H3 + N H 3 +

+

N H 3 + N H3 + N H3 + Argilla organicamente modificata Polimero termoplastico Intercalazione Miscelazione e riscaldamento Figura 9

Schema della preparazione di un nanocomposito tramite intercalazione diretta del polimero fuso

(9)

1.1.6 Tecniche di caratterizzazione dei nanocompositi:

Per caratterizzare la morfologia dei materiali nanocompositi vengono utilizzate due tecniche complementari quali: l’analisi WAXD e la microscopia elettronica a trasmissione (TEM). L’analisi WAXD permette di determinare la struttura del nanocomposito (intercalato o esfoliato) andando a monitorare la posizione del picco di diffrazione basale del silicato, la sua forma e la sua intensità.

In generale l’intercalazione di un polimero nelle gallerie dell’argilla comporta un aumento della spaziatura “d”, rilevato attraverso lo spostamento del picco di diffrazione basale del silicato a valori dell’angolo “θ” più bassi (vedi Figura 10).

d

θ

d

θ

Figura 10

Angolo e spazio fra gli strati sono legati attraverso la legge di Bragg λ =2d sinθ.

λ corrisponde alla lunghezza d’onda della radiazione X usata nell’esperimento di diffrazione,

d è lo spazio fra i piani diffrazionali del reticolo e θ è l’angolo di diffrazione misurato.

Figura 11

(10)

La completa delaminazione del silicato comporta invece la scomparsa del picco di diffrazione come mostrato in Figura 11. La forma e l’intensità del picco possono fornire ulteriori informazioni sia sul grado di ordine e regolarità nella spaziatura delle lamelle, la prima, sia sul grado di intercalazione ed esfoliazione, la seconda.

Nonostante la potenzialità di questa tecnica, l’analisi WAXD non è in grado di fornire informazioni relative alla distribuzione spaziale del silicato nella matrice polimerica o alla morfologia di strutture ibride (intercalate ed esfoliate). L’analisi morfologica può essere completata utilizzando la microscopia TEM che consente di ottenere informazioni visuali dirette sulla morfologia, sull’arrangiamento atomico, sulla distribuzione spaziale delle varie fasi e sulla presenza di difetti strutturali. In Figura 12 riportiamo due micrografie che mostrano un nacomposito intercalato ed uno esfoliato.

Figura 12

Micrografie TEM di un nanocomposito intercalato (foto a sinistra) ed uno esfoliato (foto a destra).

(11)

1.2

NANOCOMPOSITI A MATRICE POLIETILENICA

1.2.1 Generalità:

L’interesse per i nanocompositi a base poliolefinica sta emergendo per le promettenti proprietà dei materiali da essi ottenibili, in particolare per impieghi nel settore dei film per imballaggi e dei prodotti stampati ed estrusi.

Rispetto ad altri materiali polimerici, il polietilene è stato sviluppato industrialmente piuttosto tardi; infatti, il primo brevetto relativo alla sua produzione è del 1936. Tuttavia, oggi, la produzione di polietilene (oltre 45 Mt/a) supera quella di tutti gli altri polimeri. Malgrado la semplicità della struttura del monomero, il polietilene (PE) può essere prodotto attraverso tecniche di polimerizzazione diverse e può dar luogo a materiali con uno spettro di proprietà e di applicazioni piuttosto ampio. I tipi più importanti di PE sono quello a bassa densità (LDPE), quello ad alta densità (HDPE) e quello a bassa densità lineare (LLDPE). La struttura chimica delle catene di questi tre tipi di PE è schematizzata nella Figura 13.

Figura 13

(12)

Il primo tipo di PE introdotto sul mercato nella prima metà del secolo scorso è LDPE. Esso è prodotto a pressioni elevate (fino a 2000 atm) per polimerizzazione radicalica e per questa ragione le sue macromolecole contengono un elevato numero di ramificazioni lunghe, originate dai processi di trasferimento di catena che sono particolarmente frequenti nei processi radicalici. L’LDPE, che rappresenta ancora oggi il tipo di PE prodotto in maggior quantità (circa 18 Mt/a) è usato principalmente (oltre il 70%) per la produzione di film. La tecnica di polimerizzazione radicalica usata per la produzione di LDPE si presta anche per la preparazione di copolimeri dell’etilene con monomeri polari come l’acetato di vinile (VA), l’acido acrilico (AA) o metacrilico (MAA), gli esteri di questi acidi (acrilati o metacrilati), ecc. Si ottengono così dei materiali di notevole interesse industriale come EVA (copolimero vinilacetato), EAA o EMAA (copolimeri AA o etilene-MAA), ecc., i quali hanno una architettura molecolare simile a quella di LDPE. La tecnica di polimerizzazione radicalica non si presta invece alla produzione di copolimeri dell’etilene con altre olefine, perché le reazioni di trasferimento di catena avvengono in modo talmente facile da impedire l’ottenimento di prodotti con elevato peso molecolare. La presenza di un elevato numero di ramificazioni nell’LDPE e nei copolimeri prodotti con la stessa tecnica di polimerizzazione, è responsabile del grado di cristallinità relativamente basso (40-60%) di questi materiali e, di conseguenza, della loro bassa densità (910-930 Kg/m3). Si noti che la densità calcolata per il PE completamente amorfo è di 880 Kg/m3, mentre quella del PE 100% cristallino è di 1000 Kg/m3.

Il polietilene ad alta densità HDPE è stato prodotto industrialmente nella seconda metà del secolo scorso a seguito della scoperta, da parte di Ziegler e Natta (premi Nobel per la chimica nel 1963), che l’uso di catalizzatori eterogenei consente di realizzare la polimerizzazione stereo-ordinata di olefine, e in particolare di etilene, a bassa pressione. Come mostrato nello schema di Figura 13, le catene del HDPE sono praticamente prive delle ramificazioni che, nell’LDPE rendevano più difficile il processo di cristallizzazione. In conseguenza di ciò, l’HDPE può raggiungere gradi di cristallinità anche maggiori del 95% e densità corrispondentemente elevate. Commercialmente, sono classificati come HDPE i gradi di PE con densità superiore a 940 Kg/m3. L’HDPE, proprio in virtù dell’alto grado di cristallinità, è un materiale più rigido dell’LDPE e si presta per la produzione di oggetti stampati (circa 36% per blow molding e 21% per injection molding) o estrusi (circa 10% per tubi), mentre solo un quarto circa è usato per produrre film. La produzione mondiale di HDPE (circa 17 Mt/a) è molto vicina a quella di LDPE.

(13)

La tecnica di polimerizzazione a bassa pressione con i catalizzatori Ziegler-Natta non si presta alla preparazione di copolimeri dell’etilene con monomeri polari perché questi interagiscono con i siti attivi dei catalizzatori disattivandoli. Si presta invece alla copolimerizzazione dell’etilene con altre olefine come propilene, butene-1, ecc., ed ha permesso di mettere sul mercato tutta una serie di materiali con proprietà variabili da quelle dell’HDPE a quelle di elastomeri praticamente amorfi. Infatti, all’aumentare del contenuto di comonomero, aumenta la concentrazione di ramificazioni corte nelle macromolecole lineari dell’HDPE, con la conseguenza che il grado di cristallinità, e quindi la densità, possono essere ridotte a piacere.

Lo sviluppo di queste tecniche di copolimerizzazione ha portato in particolare alla produzione del terzo tipo di PE, l’LLDPE, che ha proprietà simili a quelle dell’LDPE e trova anch’esso applicazione prevalente nel settore dei film per imballaggio. Esistono diversi tipi di LLDPE, a seconda del tipo di comonomero adoperato e della sua concentrazione (il comonomero più usato è il butene-1, ma si usano talvolta anche esene-1 o ottene-1). La densità dell’LLDPE è normalmente compresa nello stesso intervallo di quella dell’LDPE (910-930 Kg/m3), ma esistono anche gradi con densità ancora minore, noti come polietilene lineare con densità molto bassa (VLDPE) o ultra-bassa (ULDPE). Tutti i diversi gradi di PE hanno bassissima polarità e non sono quindi compatibili né con i polimeri polari, come le poliammidi ed i poliesteri, né con le altre sostanze polari, tra le quali le argille, che potrebbero essere prese in considerazione come agenti rinforzanti per la produzione di materiali compositi a matrice polietilenica. Anche la maggior parte delle argille organicamente modificate con ioni ammonio quaternari disponibili in commercio non subiscono intercalazione apprezzabile da parte delle catene di PE, in particolare se la preparazione del composito è eseguita per semplice miscelazione nel fuso. L’elevata incompatibilità delle più comuni argille organofile con il PE può essere fatta risalire ad una insufficiente concentrazione di ioni ammonio quaternari nelle gallerie dell’argilla, eventualmente accoppiata ad una struttura chimica non ottimale di tali ioni, e/o alla presenza di gruppi ossidrilici liberi, sui bordi delle lamelle di silicato, che conferiscono alle particelle elementari una polarità superficiale troppo elevata. Il risultato che nella maggior parte dei casi si ottiene per miscelazione nel fuso di una argilla ed una poliolefina è un “microcomposito” convenzionale caratterizzato da una dispersione di cristalliti di argilla non intercalata, con dimensioni dell’ordine dei micrometri, nella matrice polimerica. Tali microcompositi hanno proprietà non troppo diverse da quelle dei normali compositi con

(14)

filler inorganici in precedenza noti e non presentano i vantaggi dei nanocompositi con elevato grado di intercalazione e/o esfoliazione che caratterizzano ad esempio le miscele di argille organofile con le poliammidi.

Molte argille organofile sono oggi disponibili commercialmente e sono vendute in tutte le parti del mondo. Le industrie produttrici più importanti sono la Southern Clay Products Inc., negli USA, la Süd Chemie in Europa, la Laviosa in Italia. Alcune industrie, inoltre, come ad es. la PolyOne, USA, commercializzano master concentrati, col 35-40% in peso di argilla da miscelare direttamente con diversi polimeri. La maggior parte delle argille organofile commercialmente disponibili sono prodotte mediante scambio cationico, realizzato in sospensione acquosa o in soluzioni alcool-acqua, con tensioattivi costituiti da alogenuri di ammonio quaternario. Una notevole varietà di tali tensioattivi è ad esempio prodotta industrialmente dalla Akzo-Nobel con il nome generico Arquad. Molti di essi contengono gruppi alchilici derivati da grassi naturali come olio di cocco e lardo.

La struttura e le caratteristiche di alcune delle più comuni argille organofile commercialmente disponibili sono riportate nella Tabella 1. La struttura dello ione ammonio impiegato per la modifica mediante scambio degli ioni Na+ dell’argilla sodica è indicata schematicamente nella Tabella, con riferimento alla seguente formula generica del tensioattivo,

N

R

1

R

2

R

3

R

4

Cl

con sigle nelle quali H rappresenta un atomo di idrogeno, M rappresenta un gruppo metilico, T un gruppo alchilico parzialmente insaturo derivato dal lardo (con composizione approssimata 65% C18; 30% C16; 5% C14), HT un gruppo T saturato per idrogenazione, HE un gruppo 2-idrossietilico. Ad esempio, nel tensioattivo usato per la preparazione della Cloisite® 6A, i gruppi R1-R4 sono rappresentati da due gruppi metilici e due gruppi alchilici di lardo idrogenato.

(15)

Tabella 1

Esempi di argille organofile commerciali.

Nome commerciale (Produttore) Struttura del tensioattivo MER (meq/g) Contenuto di organico (%) d001 (nm)

Cloisite® 6A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 1.40 45.2 3.48 Cloisite® 15A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 1.25 42.4 3.24 Cloisite® 20A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 0.95 38.5 2.42 Cloisite® 93A (South. Clay Prod.) MH(HT)2 0.90 36.0 2.47 Cloisite® 30B (South. Clay Prod.) M(HE)2T 0.90 30.0 1.87

Nanofil® SE3000 (Süd Chemie) - - 54.5 3.60

Nanofil® 848 (Süd Chemie) H3C18 - 25.4 1.84

Il MER indica la quantità di tensioattivo impiegato per la modifica dell’argilla sodica ed è espresso in milliequivalenti per grammo. Dato che tutte le Cloisiti indicate nella Tabella sono state preparate a partire dalla Cloisite® Na+ che ha un contenuto di ioni sodio (CEC) pari a 0,926 meq/g, si deduce che le Cloisiti 20A, 93A e 30B sono state modificate usando quantità praticamente stechiometriche di tensioattivo, mentre le Cloisiti 6A e 15A sono state trattate con un eccesso di tensioattivo che resta adsorbito nelle gallerie dell’argilla, col risultato che l’altezza di tali gallerie, rappresentata dalla spaziatura d001 misurabile mediante diffrazione dei raggi-X, risulta tanto maggiore quanto più alto è l’eccesso di tensioattivo impiegato.

I compositi di PE con argille erano stati studiati per la prima volta da Gaylord circa 25 anni fa [8-10]. Tuttavia, è stato solo dopo la scoperta che l'aggiunta di piccole quantità di argilla può portare a miglioramenti molto forti delle caratteristiche dei polimeri, purché sia possibile ottenere livelli di esfoliazione o, almeno, di intercalazione sufficientemente elevati, che i tentativi di preparare nanocompositi a matrice poliolefinica e, in particolare, polietilenica sono stati ripresi in tutte le parti del mondo. Tuttavia, come già accennato in precedenza, nella maggior parte dei lavori reperibili nella letteratura scientifica è stato dimostrato che la semplice miscelazione nel fuso di PE con una delle normali argille organofile commerciali consente di ottenere soltanto un convenzionale microcomposito

(16)

anziché ad un nanocomposito esfoliato o intercalato. Un lavoro nel quale sono descritti nanocompositi intercalati preparati per miscelazione nel fuso di LLPDE di diverso peso molecolare con la Cloisite® 20A è quello di Wang e coll. [11]. Gli spettri di diffrazione r-X dei compositi LLDPE/20A registrati da questi autori, riportati in Figura 14, mostrano un riflesso a 2θ=2,2-2,3°, corrispondente ad una distanza interlamellare pari a d001=3,8-4,0 nm; l'intercalazione avrebbe dunque portato ad una espansione piuttosto forte (circa 1,5 nm) dei pacchetti di lamine di alluminosilicato.

Figura 14

XRD di nanocompositi di LLDPE puro e Cloisite® 20A con diversi pesi molecolari: a) 15.000, b) 53.000, c) 103.000, d) 129.000, e) 180.000.

L’intercalazione invece non si verifica con l'argilla modificata con esadecilammina (H3C16) e si verifica solo in parte con quella modificata con ottadecilammina (H3C18): nel primo caso, il picco dell'argilla, corrispondente a d001=1,8 nm, non subisce spostamenti per miscelazione con LLDPE; nel secondo, si ha un doppio picco (d001=1,85 e 2,10 nm) a fronte di quello singolo dell'argilla a d001=1,85 nm. Il diverso comportamento di queste argille, rispetto a quello della Cloisite® 20A, è interpretato da Wang e coll. come il risultato della minore distanza interlamellare dell'argilla. La presenza di un eccesso di

(17)

tensioattivo nell'argilla H3C18 porta ad un forte aumento della spaziatura dell'argilla (d001=3,27 nm), ma dopo miscelazione con LLDPE la spaziatura diminuisce leggermente anziché aumentare (d001=3,0 nm), pur rimanendo nettamente maggiore di quella (bimodale) che si aveva con l'argilla modificata con la quantità stechiometrica di tensioattivo. Questo comportamento è spiegato ammettendo che il tensioattivo non chimicamente legato fuoriesca in parte dalle gallerie dell'argilla durante la miscelazione con LLDPE.

Gli studi di Wang sembrano dunque dimostrare che l'intercalazione di argille organofile, in particolare quella modificata con ioni M2(HT)2, come la Cloisite® 20A, possa effettivamente avvenire per semplice miscelazione nel fuso con LLDPE.

Tuttavia, altri autori [12], pur lavorando anch'essi con LLDPE e Cloisite® 20A, non hanno potuto confermare tali risultati ed hanno tratto la conclusione che i prodotti ottenibili per semplice miscelazione di LLDPE con argille organofile, in assenza di compatibilizzanti, sono dei microcompositi convenzionali.

.

Figura 15

Spettri XRD della montmorillonite sodica (e), dell’argilla M3C18 (d) e dei compositi di HDPE con:

(18)

In un articolo recente di Zhai e coll. [13] è descritta la preparazione, mediante miscelazione nel fuso, di nanocompositi a partire sia da HDPE puro che da un copolimero HDPE-g-MA appositamente sintetizzato, con un’argilla modificata con ioni ammonio quaternari del tipo M3C18. Gli spettri r-X dei compositi HDPE/M3C18 con 1, 3 e 5% di argilla sono mostrati in Figura 15, insieme con quello della argilla organofila usata e della montmorillonite sodica, e le spaziature corrispondenti sono riportate nella Tabella 2.

Tabella 2

Dati XRD per i compositi HDPE/ M3C18.

Campione 2θ (gradi) d001 (nm) Differenza M3C18 HDPE/ M3C18 1% HDPE/ M3C18 3% HDPE/ M3C18 5% 2,36 1,58 2,22 2,20 3,74 5,59 3,98 4,01 - 1,85 0,24 0,27

La spaziatura piuttosto grande dell’argilla organofila (3,74 nm) sembra indicare che la modifica sia stata eseguita con un eccesso di tensioattivo M3C18. Infatti, i valori riportati in letteratura per argille con questo modificante organico variano tra circa 2 e circa 4 nm, ma i valori più bassi sono quelli certamente più verosimili per una argilla contenente la quantità stechiometrica di modificante. La spaziatura rilevata per il composito con l’1% di argilla sembra un po’ dubbia, considerando la scarsa risoluzione dello spettro. Inoltre essa implicherebbe una forte variazione di spaziatura al variare della concentrazione di argilla, mentre dalla maggior parte dei lavori reperibili in letteratura si ricava che la spaziatura dei nanocompositi intercalati non dipende dalla concentrazione. Infine, le differenze di altezza delle gallerie ricavate per i compositi col 3 e 5% di argilla sembrano troppo piccole per essere attribuite ad intercalazione. La micrografia TEM del composito col 3% di argilla mostrata in Figura 16 sembra confermare che si tratta in realtà di un microcomposito.

(19)

Figura 16

Micrografia TEM del composito HDPE/M3C18 3%.

Nel tentativo di migliorare la compatibilità tra le poliolefine, in particolare PE, e le argille ed ottenere nanocompositi esfoliati o intercalati, sono state attuate una o più delle seguenti strategie:

1) miscelazione in soluzione; 2) polimerizzazione in situ;

3) modificazione non convenzionale dell'argilla; 4) impiego di compatibilizzanti.

1.2.2 Preparazione di nanocompositi PE/argilla in soluzione.

In uno dei primi lavori relativi ad un nanocomposito HDPE/argilla [14] la preparazione è stata fatta miscelando l'HDPE con un'argilla modificata con ottadecilammina (H3C18), nel rapporto 4:1, in una soluzione di xilene e benzonitrile (80/20) a 130°C, e precipitando il composito in THF. L'analisi r-X e TEM di campioni essiccati e stampati per fusione ha mostrato che la spaziatura dell'argilla è aumentata di circa 0,1 nm (da d001=1,65 a d001=1,77) e che le lamelle cristalline dell'HDPE sono parallele ai pacchetti di lamine di silicato e mostrano piegature piuttosto acute allorché si allontanano da essi. Tuttavia, a parte quest’ultima osservazione circa l'orientazione delle lamelle di HDPE rispetto alle particelle di argilla, l'espansione di solo 0,12 nm dei pacchetti di argilla è certamente

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troppo piccola perché si possa parlare di morfologia intercalata. Probabilmente, come suggerito da Dubois e coll. [15], tale modesto aumento di spaziatura può essere piuttosto spiegato attraverso una riorganizzazione dell'impacchettamento delle lamine di silicato a seguito dei trattamenti termici subiti.

La preparazione di nanocompositi LLDPE/argilla mediante la tecnica di intercalazione in soluzione è stata anche descritta in un lavoro recente di Qiu e coll. [16]. La quantità desiderata di una argilla organofila, preparata per scambio ionico da una montmorillonite sodica ed esadeciltrimetilammonio bromuro (M3C16), è stata dapprima sciolta in xilene a riflusso per 12 h; alla sospensione sono stati quindi aggiunti 2 g di LLDPE e, dopo ulteriore riflusso sotto agitazione per 6 h, la miscela è stata versata in 300 ml di etanolo. Il precipitato è stato filtrato e seccato sotto vuoto a 100°C per 2 giorni.

Figura 17

XRD di nanocompositi di LLDPE puro con concentrazioni diverse (2,5, 5 e 10%) di argilla organofila M3C16 (OMT), preparati in soluzione.

Come mostrato nella Figura 17, l’analisi r-X del nanocomposito contenente il 10% di argilla organofila (MMTNC10) presenta un riflesso nettamente spostato verso i bassi angoli, rispetto a quello dell’argilla organofila (OMT), con una espansione dello spazio interlamellare di quasi 1 nm. Per concentrazioni di argilla minori, il riflesso si sposta ulteriormente verso angoli minori e diventa più debole ed allargato. Ciò è stato interpretato

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dagli autori come indice di una morfologia mista esfoliato/intercalata, con prevalenza della esfoliazione quando il contenuto di argilla è basso.

L’analisi delle micrografie TEM del nanocomposito LLDPE/OMT col 10% di OMT, mostrate nella Figura 18 per due diversi ingrandimenti, dimostra, secondo questi autori, che sono presenti pacchetti di 10-50 lamine di silicato approssimativamente parallele tra loro, con spaziatura interlamellare di circa 5-10 nm.

Figura 18

TEM a basso (a) e ad alto (b) ingrandimento del nanocomposito di LLDPE col 10% di OMT.

Secondo gli autori, sono anche visibili lamine singole esfoliate, in vicinanza dei bordi dei tattoidi, delle quali sono stati anche misurati lo spessore (circa 1 nm) e le dimensioni laterali (150-300 nm).

1.2.3 Preparazione di nanocompositi PE/argilla per polimerizzazione in situ.

La tecnica di preparazione di nanocompositi basata sulla impregnazione dell'argilla con un monomero e sulla successiva polimerizzazione di quest'ultimo è stata largamente applicata, ad esempio per la produzione di nanocompositi a matrice poliammidica. Questa tecnica è stata applicata per la prima volta alla preparazione di compositi con PE da parte di Bergman et al. [17]. Questi autori trattarono dapprima con un complesso del Pd una fluoroectorite modificata con ioni tetradecilammonio ed osservarono ai r-X un aumento

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della spaziatura basale, a conferma della penetrazione del complesso catalitico nelle gallerie dell'argilla; successivamente esposero l'argilla ad etilene in fase gas e seguirono mediante diffrattometria r-X le variazioni di spaziatura causate dalla polimerizzazione dell'etilene tra le lamine di silicato, fino alla scomparsa completa del riflesso dopo 24 h. Anche Mülhaupt e coll. [18] hanno preparato nanocompositi esfoliati per polimerizzazione in situ di etilene usando una ectorite sintetica ed una bentonite organicamente modificate contenenti un catalizzatore. Tuttavia un confronto delle proprietà meccaniche di questi nanocompositi con quelle dei compositi preparati per miscelazione nel fuso non ha portato ai risultati che si sarebbero potuti attendere sulla base della differenza di morfologia. Jin et al. [19] hanno ottenuto nanocompositi esfoliati per polimerizzazione di etilene su argille organofile trattate con catalizzatori Ziegler-Natta a base di Ti.

Essi hanno tuttavia dimostrato che un successivo trattamento di fusione porta alla formazione di pacchetti di argilla piuttosto spessi. Anche Dubois e coll [20] hanno prodotto nanocompositi per polimerizzazione in situ di etilene su argilla non organicamente modificata contenente un catalizzatore a base di Ti ed hanno confermato che la loro morfologia non è termodinamicamente stabile.

Altri studi relativi alla caratterizzazione di nanocompositi ottenuti mediante polimerizzazione in situ sono stati condotti da Kuo et al. [21] e da Xu e coll. [22].

1.2.4 Modificazione non convenzionale dell’argilla.

Come è già stato precedentemente illustrato, la modifica delle argille naturali, in particolare le montmorilloniti, per diminuirne la polarità e renderle compatibili con i polimeri organici, viene fatta mediante reazione di scambio ionico tra l’argilla sodica ed adatti tensioattivi, rappresentati, nel caso più generale, da alogenuri di ammonio quaternario. Alcuni di questi sali di ammonio sono commercialmente disponibili, e con essi si producono le argille organofile presenti sul mercato, alcune delle quali sono indicate nella Tabella 1.

Una tecnica non convenzionale di produzione di nanocompositi a matrice polietilenica è quella descritta nel lavoro di S. Wang et al. [23], realizzata mediante la diretta addizione di quantità variabili di un sale di ammonio quaternario (M3C16) alla miscela fusa di HDPE e montmorillonite sodica. Questa procedura era stata precedentemente proposta da Alexandre et al. [24] per la preparazione di nanocompositi a base di copolimero

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etilene-vinilacetato (EVA). Nella Figura 19 sono riportati gli spettri XRD di diffrazione dei diversi compositi ottenibili per aggiunta di diverse quantità di M3C16, e, per confronto, per aggiunta di un diverso sale di ammonio privo di lunghe catene alchiliche: il bromuro di tetrabutilammonio.

Figura 19

Spettri XRD dei compositi preparati per miscelazione diretta di HDPE col 5% di MMT sodica e: 1(a) 0%; 1(b) 2%; 1(c) 5% di M3C16; e, 1(e) 2% di bromuro di tetrabutilammonio.

Si nota che, in assenza di tensioattivi, la miscelazione di HDPE con l’argilla sodica fornisce un composito convenzionale, mentre già con l’1% di M3C16 si ha una forte riduzione del contenuto di argilla non intercalata, la quale scompare poi quasi del tutto nel composito col 2% di tensioattivo. L’intercalazione di HDPE sembra dimostrata dalla presenza dell’intenso riflesso a 2θ≅2,2°, corrispondente ad una spaziatura d001≅4 nm. Un aumento della quantità di tensioattivo fino al 5% non porta ad ulteriore aumento della spaziatura, indicando che esiste un limite alla intercalazione. L’aggiunta di un tensioattivo privo di lunghe code alchiliche comporta un’intercalazione dell’argilla da parte del tensioattivo stesso, ma non l’intercalazione di catene di HDPE.

Con l’eccezione degli esempi riportati sopra, dalla maggior parte dei lavori scientifici pubblicati fino ad oggi si deduce che le argille organofile convenzionali hanno ancora una compatibilità troppo bassa nei confronti delle poliolefine, in particolare del PE. La ragione

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di ciò può essere duplice. In primo luogo, è possibile che i gruppi organici contenuti nell’agente modificante impiegato per lo scambio ionico non siano abbastanza voluminosi da provocare una espansione delle gallerie dell’argilla sufficiente ai fini della penetrazione delle macromolecole del polimero, e/o che, per la loro struttura chimica, non abbiano essi stessi una sufficiente compatibilità con la matrice polimerica. La strategia impiegata per ovviare a tale eventualità è quella di ricorrere ad agenti modificanti non convenzionali, sintetizzati ad hoc.

La seconda possibile causa di inefficienza della convenzionale modifica mediante scambio ionico è che essa, pur riducendo la polarità della superficie degli strati di alluminosilicato, lascia inalterati i gruppi –OH presenti sui bordi delle lamine, col risultato che la superficie esterna dei tattoidi dell’argilla modificata conserva una polarità abbastanza elevata da ostacolare l’avvicinamento delle catene polimeriche e la loro successiva penetrazione negli spazi interlamellari. La strategia attuata da alcuni ricercatori per eliminare questo problema consiste nel trattare l’argilla, prima o dopo la consueta modifica per scambio ionico, con reagenti capaci di legarsi ai gruppi ossidrilici neutralizzandone la polarità.

Gli esempi di modifiche non convenzionali dell’argilla eseguite per scambio ionico con tensioattivi di sintesi sono assai numerosi nella letteratura scientifica. In particolare, in una serie di lavori di Wilkie e coll. [25-32], è descritta la preparazione di argille contenenti modificanti oligomerici con strutture chimiche diverse, le quali si prestano alla preparazione di nanocompositi con polimeri organici come polistirene, polipropilene e polietilene per diretta miscelazione nel fuso, in assenza di compatibilizzanti. Tuttavia, questi metodi di preparazione di nanocompositi non sembrano avere interesse industriale in quanto prevedono operazioni piuttosto sofisticate per la sintesi dei nuovi sali di ammonio oligomerici.

Anche l’altra strategia, basata sulla neutralizzazione dei gruppi ossidrilici presenti sui bordi delle lamine è stata usata da diversi autori. Ad esempio, Zhao et al. [33] hanno mostrato che la riduzione della concentrazione dei gruppi ossidrilici sui bordi delle lamine di silicato migliora l’intercalazione delle catene di PE nelle gallerie e permette di realizzare l’intercalazione mediante miscelazione nel fuso con argille intercalate con i comuni sali di alchilammonio se si esegue il loro pretrattamento con clorosilani. Tuttavia, questo trattamento richiede tempi piuttosto lunghi e richiede l’uso di solventi che complicano il processo. Pertanto, gli stessi autori hanno proposto l’uso di un nuovo agente modificante che permette di realizzare in un solo stadio la neutralizzazione dei gruppi ossidrilici sui

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bordi delle lamelle e lo scambio ionico negli interspazi [34]. Il composto utilizzato per la modifica dell’argilla sodica è il cloruro di (N-γ-trimetossilsilanopropil) ottadecilmetilammonio (vedi schema); la modifica è stata fatta in etanolo anidro con la consueta procedura. Per confronto è stata preparata anche un’argilla modificata con il cloruro di diottadecildimetilammonio (M2(C18)2).

N

CH

3

CH

3

H

37

C

18

(CH

3

O)

3

Si(CH

2

)

3

Cl

I nanocompositi erano preparati per miscelazione nel fuso usando un estrusore bivite alla temperatura di 180°C ed i campioni per l’analisi XRD erano prodotti per stampaggio ad iniezione. Nella Figura 20 sono mostrati gli spettri delle due argille organofile (JS è modificata con il composto indicato sopra e DM è modificata con M2(C18)2) e quelli dei due compositi con HDPE ed il 5% di argilla Si nota che il composito HDPE/DM presenta praticamente gli stessi riflessi dell’argilla, mentre quello con JS non mostra riflessi, indicando un elevato grado di esfoliazione, confermato poi mediante TEM.

Figura 20

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Infine, in un recente lavoro di Chaiko e Leyva [35], l’argilla sodica (Cloisite® Na) era dispersa in acqua deionizzata ad una concentrazione di 2,5% in massa.

I bordi delle lamelle erano resi idrofobi per reazione col sale d’ammonio del 1-idrossidodecano-1,1-difosfonato, che era aggiunto in misura del 3% in peso rispetto al peso di argilla secca.La dispersione era quindi scaldata a 70°C e si procedeva a realizzare lo scambio ionico sulle superfici delle lamelle con M2(HT)2 (110 meq/100 g di argilla). Con l’ausilio dell’aggiunta di 4 g di polipropilenglicol per 100 g di argilla che migliora la compatibilità della superficie dell’argilla nei confronti della poliolefina, l’argilla consentiva una facile interazione con l’HDPE.

1.2.5 Impiego di compatibilizzanti.

Il metodo di gran lunga più impiegato per migliorare la compatibilità tra le argille organofile ed i diversi gradi di PE è quello di ricorrere all’impiego di agenti compatibilizzanti da aggiungere alla matrice ed al filler, come terzo componente, all’atto della miscelazione. I compatibilizzanti più usati sono i polietileni funzionalizzati con gruppi polari, come i copolimeri etilene-vinilacetato (EVA), i polietileni aggraffati con anidride maleica (PE-g-MA), i polietileni aggraffati con glicidilmetacrilato (PE-g-GMA), i polietileni aggraffati con acido acrilico (PE-g-AA), i copolimeri statistici dell’etilene con acido acrilico (EAA) con acido metacrilico (EMAA) ed i relativi ionomeri. I primi due tipi di polietileni funzionalizzati (EVA e PE-g-MA) sono quelli di gran lunga più utilizzati, mentre quelli funzionalizzati con acido acrilico e con glicidilmetacrilato hanno ricevuto fino ad oggi scarsa attenzione.

L’uso dei compatibilizzanti sopraindicati rappresenta certamente il metodo più versatile ed economico per la preparazione di nanocompositi a matrice polietilenica, purché le quantità di compatibilizzante necessarie non siano troppo elevate. Esso consente, infatti, di realizzare la preparazione in un solo stadio senza richiedere alcuna sostanziale variazione delle tecniche di trasformazione usate per la lavorazione del polimero puro. Per questo motivo, gli studi effettuati sulla preparazione e caratterizzazione di compositi con matrici rappresentate sia da polietileni funzionalizzati puri, sia dalle loro miscele con PE, sono molto numerosi. Per la verità, tuttavia, i risultati sono stati in qualche caso deludenti e talvolta anche contraddittori.

Di seguito sono riportati alcuni dei dati più interessanti, presenti in letteratura, per i diversi tipi di compatibilizzanti.

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a) Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-vinilacetato, EVA.

Per quanto riguarda i copolimeri EVA, la maggior parte degli studi mostrano che essi possono dar luogo a nanocompositi intercalati con le argille organofile commerciali, anche se usati come matrici pure. Pertanto, il loro impiego come compatibilizzanti può, al più, portare a compositi intercalati. Duquesne et al. [36] hanno studiato l’effetto della natura dell’argilla (Cloisite Na+ e Cloisite 30B, Southern Clay Products) e della sua concentrazione sulle proprietà di resistenza al fuoco dei rispettivi compositi a matrice etilene-vinilacetato, ed hanno dimostrato che, quando l’argilla è organicamente modificata, è possibile ottenere un nanocomposito che ha una buona resistenza al fuoco. Tale miglioramento di proprietà, registrato anche da altri autori per nanocompositi di composizione analoga, è possibile grazie all’effetto barriera esercitato dalle lamelle dell’argilla disperse nella matrice che ostacolano la permeabilità all’ossigeno e contemporaneamente riducono la diffusione dei prodotti volatili di decomposizione dalla massa polimerica alla fase gas.

Figura 21

Curve termogravimetriche di EVA puro e dei rispettivi nanocompositi con il 5 ed il 10% in peso di Closite 30B

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In Figura 21 sono confrontate le curve termogravimetriche ottenute da Duquesne [36] del copolimero EVA puro ed in presenza del 5 e 10% di Cloisite 30B. Si osserva che in presenza dell’argilla il primo stadio di degradazione, che corrisponde alla emissione di acido acetico, avviene a temperature più basse rispetto al polimero puro, mentre il secondo stadio di degradazione, che corrisponde alla decomposizione della frazione polietilenica, ha luogo a temperature decisamente maggiori.

Alexandre et al. [37] hanno utilizzato copolimeri etilene-vinilacetato con diversa percentuale di VA e tipi diversi di argille organicamente modificate sia commerciali che ottenute direttamente in laboratorio. Le argille che hanno come modificante organico un sale di ammonio quaternario contenente due gruppi metilici e due lunghe catene alchiliche idrogenate, miscelate con i diversi tipi di EVA, permettono di ottenere nanocompositi intercalati, indipendentemente dalla percentuale di VA presente nella matrice, mentre, l’argilla sodica e le argille modificate con sali di ammonio quaternario contenenti sostituenti con funzionalità carbossiliche, non consentono di ottenere dei nanocompositi. La spaziatura basale di questo secondo gruppo di argille non viene infatti modificata in modo apprezzabile dopo miscelazione con nessuno dei copolimeri EVA e si hanno quindi dei microcompositi tradizionali.

Pochissimi sono i lavori in cui, utilizzando un copolimero EVA come matrice, si ottiene un nanocomposito esfoliato. A titolo di esempio, riportiamo il lavoro di Riva et al. [38] i quali hanno ottenuto nanocompositi esfoliati miscelando nel fuso un copolimero EVA contenente il 19% in peso di VA e una fluoroectorite sintetica (Somasif ME100 prodotta dalla Co-Op Chemical Co.) scambiata con ioni octadecilammonio.

Per quanto riguarda l’utilizzo di copolimeri EVA come compatibilizzanti possiamo citare il lavoro di Zanetti et al. [39] nel quale è stato utilizzato un copolimero etilene-vinilacetato, contenente il 19% in peso di VA, come compatibilizzante di miscele LDPE/Nanofil 848 (Süd-Chemie). Gli autori hanno evidenziato che si ottiene un nanocomposito intercalato anche introducendo nella miscela LDPE/Nanofil 848 solo l’1% in peso di EVA (curva c di Figura 22); all’aumentare della concentrazione di compatibilizzante il grado di intercalazione migliora (curve d-g di Figura 22) e l’analisi WAXD indica che diminuisce notevolmente la coerenza tra le lamelle di argilla intercalata dal momento che i picchi di diffrazione diventano molto più allargati e l’intensità diminuisce. Per questi nanocompositi

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si registra inoltre una sensibile diminuzione della velocità di combustione rispetto a LDPE puro.

Figura 22.

Spettri XRD dell’argilla Nanofil 848 (a) e dei compositi EVA/Nanofil 848 contenenti rispettivamente lo 0% (b), l’1% (c), il 5% (d), il 10% (e), il 20% (f) ed il 50% (g) di silicato.

Anche Chuang et al. [40] hanno utilizzato un copolimero EVA (contenente però il 28% in peso di VA) come compatibilizzante di miscele LLDPE con un’argilla organicamente modificata (MMT-ALEt2), ottenuta, per scambio ionico, da un’argilla sodica trattata con un sale di ammonio quaternario contenente un gruppo allilico, un gruppo laurilico e due sostituenti 2-idrossietilici. I nanocompositi ottenuti presentano una struttura mista intercalata-esfoliata come evidenziato dall’analisi TEM (Figura 23), hanno buone proprietà meccaniche e una migliore resistenza verso l’ossidazione termica.

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Figura 23

Micrografia TEM del nanocomposito EVA + 5% MMT-ALEt2.

Mainil et al. [15] hanno infine utilizzato un copolimero etilene-vinilacetato, contentente il 12% di VA, come compatibilizzante di miscele HDPE/Cloisite 20A (Southern Clay Products). Gli autori preparano le miscele di HDPE con 3phr di Cloisite 20A (rispetto alla frazione inorganica presente nell’argilla) compatibilizzate con l’8% in peso di EVA sia direttamente, miscelando nel fuso i tre componenti, sia attraverso una preparazione in due stadi che prevede prima la miscelazione nel fuso di EVA e Cloisite 20A per l’ottenimento di un concentrato di opportuna composizione e, successivamente, la diluizione di questo concentrato con HDPE in modo da ottenere la stessa composizione della miscela diretta. L’analisi WAXD e TEM evidenzia che i nanocompositi ottenuti sono intercalati ma è interessante sottolineare che si osserva un miglior grado di delaminazione quando il nanocomposito è preparato utilizzando il processo in due stadi, ovvero diluendo con HDPE il concentrato EVA/20A.

b) Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-glicidilmetacrilato, EGMA.

Per quanto riguarda i copolimeri etilene-glicidilmetacrilato sono presenti in letteratura pochissimi risultati. Huang et al. [41] sono gli unici, a nostro avviso, che hanno pubblicato un lavoro specifico su nanocompositi ottenuti per miscelazione nel fuso di un copolimero EGMA con diverse concentrazioni di argilla (1-5% in peso). I nanocompositi ottenuti sono

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di tipo intercalato e mediante studi di cristallizzazione isoterma viene messo in evidenza che l’argilla, se presente in basse concentrazioni, agisce da agente nucleante eterogeneo facilitando il processo di cristallizzazione della matrice. Quando la concentrazione dell’argilla è troppo elevata, l’ingombro fisico delle lamelle di silicato disperse nella matrice sembra invece ostacolare il movimento delle macromolecole del copolimero ed il processo di cristallizzazione risulta così rallentato.

c) Compatibilizzanti a base di polietilene funzionalizzato con anidride maleica.

I compatibilizzanti più efficienti ed ampiamente studiati in letteratura, sia come matrice [11-13, 42-48] che come compatibilizzanti veri e propri [11, 12, 15, 25, 46, 48-51], sono quelli contenenti gruppi funzionali anidridici (PE-g-MA) perché permettono in molti casi di ottenere strutture esfoliate (Figura 24).

Figura 24

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L’efficienza di questo tipo di copolimeri è probabilmente dovuta al fatto che i gruppi succinici aggraffati sulla catena polietilenica, specialmente alle alte temperature adoperate per le operazioni di trasformazione, sono capaci, oltreché di interagire con le superfici basali delle lamine dell’alluminosilicato, anche di reagire con i gruppi ossidrilici sui bordi delle lamelle stesse, con conseguente neutralizzazione dell’idrofilicità dell’agilla [15]. Tuttavia, nonostante l’elevato numero di articoli pubblicati in letteratura, esistono ancora molte questioni aperte. Ad esempio, esistono ancora grosse incertezze circa la concentrazione minima di gruppi anidridici necessaria per provocare l’esfoliazione delle argille, quando il copolimero innestato PE-g-MA sia usato da solo come matrice, e circa la quantità minima di PE-g-MA da impiegare in miscela col PE per garantire la formazione di un vero nanocomposito (esfoliato o intercalato). Ad esempio, Wang et al. [11] affermano che, miscelando nel fuso LLDPE e Cloisite 20A oppure LLDPE ed una MMT modificata con octadecilammina, è possibile ottenere nanocompositi esfoliati solo se la concentrazione di anidride maleica, MA, è superiore allo 0.1% in peso, indipendentemente che questa concentrazione sia ottenuta per miscelazione di un PE-g-MA commerciale con LLDPE oppure aggraffando direttamente MA sul polietilene per estrusione reattiva (Figura 25).

Figura 25

Spettri XRD di compositi PE-g-MA/Cloisite 20A 95/5 contenenti concentrazioni diverse di MA: a) 0.29%, b) 0.22%, c) 0.11%, d) 0.07%, e) Cloisite 20A.

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Al contrario, Hotta e Paul [12] sostengono che la stessa Cloisite 20A subisce semplice intercalazione se si utilizza una quantità di PE-g-MA, con lo 0.9% di MA, inferiore al 33% in peso (Figura 26.

Figura 26

Spettri XRD di compositi LLDPE/LLDPE-g-MA/Cloisite 20A con concentrazione fissata di argilla (4.4-4.9% in peso) e rapporto α = LLDPE-g-MA/Cloisite 20A variabile

Bafna et al. [49] ottengono invece nanocompositi intercalati miscelando HDPE con il 12% in peso di PE-g-MA avente il 2% di MA. Queste conclusioni apparentemente discordanti possono essere giustificate se si considera che i fattori che influenzano lo sviluppo di una determinata morfologia nei nanocompositi sono moltissimi quali, ad esempio, la quantità di silicato aggiunto, la natura del modificante organico, la quantità di compatibilizzante, il metodo di preparazione. Anche la struttura molecolare del polietilene e/o dei copolimeri PE-g-MA può essere determinante. Infatti, poiché per ottenere un nanocomposito è necessario che le catene polimeriche penetrino all’interno delle gallerie del silicato, potremmo pensare che sistemi lineari come HDPE o HDPE-g-MA possano essere più indicati rispetto a sistemi altamente ramificati come LDPE o LDPE-g-MA. Al contrario,

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gli stessi sistemi ramificati, proprio grazie al maggior ingombro sterico, potrebbero essere più efficienti, una volta penetrati all’interno delle gallerie del silicato, nel riuscire ad aumentare significativamente la spaziatura consentendo così di ottenere un elevato livello di intercalazione o addirittura l’esfoliazione. L’effetto della struttura del polimero, tuttavia, non è stata ancora adeguatamente studiata ed in letteratura è presente solo un lavoro di Xu et al. [48] dove si confrontano nanocompositi preparati in condizioni simili a partire da

HDPE e LDPE con un

PE-g-MA preparato in laboratorio e di struttura non nota ed una MMT modificata con trimetil-exadecilammonio. I nanocompositi ottenuti, di composizione PE/PE-g-MA/argilla 91/6/3, 88/9/3, 82/15/3 e 76/21/3, sono intercalati e la spaziatura finale dell’argilla risulta maggiore per la serie di nanocompositi che hanno come matrice polietilenica HDPE. Ancora meno esplorato è l’effetto del grado di miscibilità del compatibilizzante con la matrice polietilenica, anche se si suppone che la compatibilizzazione tra argilla e PE possa effettivamente manifestarsi solo se il polietilene funzionalizzato è miscibile con il PE usato come matrice. In alcuni lavori [48, 51] sono stati ottenuti nanocompositi PE/PE-g-MA mediante un processo in due stadi: nel primo stadio l’argilla viene miscelata al PE-g-MA per ottenere un concentrato, mentre nel secondo stadio il concentrato è diluito con PE. Ovviamente, ci dovremmo aspettare che la dispersione omogenea delle lamelle di argilla all’interno della matrice del nanocomposito finale possa essere ostacolata o addirittura impedita se i due polimeri fossero immiscibili. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i nanocompositi sono preparati per miscelazione diretta nel fuso dei tre componenti. In questo caso, la miscibilità o immiscibilità della matrice con il compatibilizzante potrebbe influenzare, almeno cineticamente, le interazioni tra le lamelle di silicato ed il copolimero PE-g-MA. La mancanza di dati su questo argomento è sicuramente legata al fatto che la segregazione di fase e la miscibilità di polietileni con diverse strutture molecolari, sebbene oggetto di numerosissime pubblicazioni, è una questione ancora aperta.

d) Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-acido acrilico EAA, copolimeri etilene-acido metacrilico EMAA e relativi ionomeri.

Le informazioni reperibili in letteratura sull’uso di matrici a base di copolimeri etilene-acido acrilico, sia statistici che ad innesto, e dei rispettivi monomeri, per la produzione di nanocompositi, sono scarsissime [50, 52-54], sebbene questo tipo di materiali siano stati ampiamente utilizzati come compatibilizzanti di miscele polimeriche oppure come additivi

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per migliorare le proprietà di adesione. Preston et al. [50] hanno descritto la sintesi di nanocompositi a partire da tre diversi copolimeri etilenici ed una bentonite organicamente modificata (B34) ed hanno osservato, utilizzando l’analisi WAXD, che il terpolimero poli(etilene-co-metilacrilato-co-acido acrilico), EMAAA, permette di ottenere il miglior grado di intercalazione rispetto agli altri due copolimeri, EVA e poli(etilene-co-metilacrilato), EMA (Figura 27).

Figura 27

Spettri XRD di nanocompositi con diversa matrice polimerica contenti il 5% in peso di Bentonite B34.

La spaziatura della bentonite B34 passa da 2.8 nm nell’argilla tal quale e nel microcomposito con LDPE, a 4.5 nm nel nanocomposito EMAAA/B34 95/5. Questi autori concludono che le unità AA interagiscono efficacemente con la superficie dell’argilla.

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In un recente lavoro, Fang et al. [53] hanno descritto la sintesi di un copolimero HDPE-g-AA contenente l’8.4% in peso di acido acrilico mediante la funzionalizzazione nel fuso di HDPE con 10 phr di AA e 0.2 phr di dicumilperossido. Gli autori hanno poi utilizzato questo HDPE-g-AA per produrre nanocompositi contenenti 2, 3 e 4 phr di una bentonite modificata con ioni trimetiloctadecilammonio. L’assenza del picco di diffrazione (001) negli spettri WAXD e le micrografie TEM indicano che per questi sistemi si ha buona esfoliazione o intercalazione, dovuta, secondo gli autori, alla funzionalizzazione di HDPE con acido acrilico. I risultati dell’analisi FTIR dei residui dopo estrazione con solvente dei nanocompositi, dimostrerebbero anche che avviene una vera e propria reazione chimica tra i gruppi carbossilici della matrice polimerica e l’argilla.

Infine, Chrissopoulou et al. [54] hanno sintetizzato un copolimero a due blocchi dell’etilene e dell’acido metacrilico, PE-b-PMMA, e lo hanno utilizzato come compatibilizzante per nanocompositi a base di HDPE e Cloisite 20A. Questi autori hanno osservato uno spostamento graduale del picco di diffrazione basale dell’argilla da 2Θ = 3.15° a 2Θ = 2.45°, accompagnato da una significativa diminuzione dell’intensità, quando la concentrazione di PE-b-PMAA nella matrice polimerica viene aumentata fino al 15% in peso. Sulla base dei dati diffrattometrici, gli autori concludono che molto probabilmente, quando la concentrazione del compatibilizzante aumenta, il sistema raggiunge una morfologia mista intercalata-esfoliata, grazie all’intercalazione delle catene del copolimero nelle gallerie dell’argilla, possibile proprio in virtù della polarità conferita dai gruppi carbossilici.

In letteratura sono presenti, inoltre, altri lavori su nanocompositi ottenuti da ionomeri di copolimeri etilene-acido metacrilico [52, 55]. In particolare, Hsiao et al. [55] hanno studiato i compositi preparati da ionomeri EMAA, contenenti circa il 3.5% in moli di MAA, parzialmente neutralizzato (80%) con sodio o magnesio, e un’argilla organicamente modificata commerciale (Nanomer® I30 E, prodotta da Nanocor Inc.). Utilizzando l’analisi SAXS e TEM, gli autori osservano che i nanocompositi ottenuti dallo ionomero salificato con sodio sono prevalentemente esfoliati, mentre quelli ottenuti dallo ionomero salificato con magnesio sono solo debolmente esfoliati e presentano un picco di diffrazione netto relativo alla struttura intercalata corrispondente ad una spaziatura d001 di circa 3 nm. Inoltre, confrontando le proprietà reologiche di questi nanocompositi a matrice ionomerica con altri a matrice EVA, gli autori concludono che nel caso dei nanocompositi a matrice

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ionomerica sono presenti interazioni repulsive tra gli anioni nel polielettrolita e la superficie dell’argilla, caricata negativamente.

Infine, Shah, Hunter e Paul [52] hanno pubblicato un articolo molto dettagliato sulla preparazione, per estrusione, di nanocompositi ottenuti da uno ionomero EMAA commerciale (Surlyn® 8945, prodotto dalla Du Pont, contenente il 5.6% in moli di MAA, neutralizzato per il 39% con sodio), e da tipi diversi di argille. Sebbene nessuno dei nanocompositi ottenuti presenti un livello di esfoliazione confrontabile con quello che si ottiene per sistemi analoghi a matrice poliammide-6, il grado di dispersione dell’argilla e le proprietà meccaniche, variano sensibilmente a seconda del tipo di modificante organico della MMT. In particolare, mediante analisi TEM, WAXD, misure sforzo-deformazione e di impatto, gli autori dimostrano che è possibile ottenere un buon livello di esfoliazione dell’argilla e buone proprietà meccaniche quando si utilizzano:

1. modificanti organici con più di una coda alchilica 2. catene alchiliche particolarmente lunghe

3. modificanti organici contenti sostituenti 2-idrossietilici piuttosto che gruppi metilici 4. una quantità in eccesso di modificante organico rispetto alla capacità di scambio

cationico, CEC, dell’argilla inorganica.

1.3 OBBIETTIVI DELLA TESI:

Questo lavoro di Tesi si inserisce in un progetto di ricerca finanziato dal Ministero Italiano dell’Università e della Ricerca, che coinvolge diverse unità operative, tra le quali l’Università degli Studi di Pisa, l’Università degli Studi di Palermo, il Politecnico di Torino e l’Università Federico II di Napoli, che ha come obiettivo la valutazione delle prospettive di impiego di nanocompositi per la produzione di teli da serra per agricoltura. Le poliolefine attualmente usate in questo settore, specialmente quelle contenenti percentuali elevate di EVA, possiedono ottime caratteristiche ottiche, in particolare la permeabilità alle radiazioni solari utili per la vita delle piante e l’impermeabilità alle radiazioni emesse dal terreno, e garantiscono pertanto un effetto serra ottimale. Tuttavia, questi materiali presentano il difetto di una eccessiva deformabilità sotto carico che può essere limitata solo con l’uso di quantità notevoli di additivi, con conseguente aumento dei costi.

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Sulla base delle conoscenze acquisite negli ultimi anni, attraverso le ricerche svolte a livello internazionale sui nanocompositi a matrice polimerica, è possibile ipotizzare che, con l’aggiunta di quantità assai modeste (3-4% in massa) di argille organofile, le proprietà dei film poliolefinici impiegati in campo agricolo potrebbero subire miglioramenti molto notevoli, consentendo così, da una parte, di evitare l’uso di molti degli additivi attualmente impiegati e, dall’altra, di aumentare il contenuto dei componenti polimerici, in particolare EVA, che conferiscono ai manufatti le migliori caratteristiche ottiche. La condizione necessaria perché quanto detto possa effettivamente trovare pratica attuazione è che la dispersione dell’argilla nella matrice poliolefinica avvenga in modo ottimale e porti all’ottenimento di un nanocomposito esfoliato o, quanto meno, con un elevato grado di intercalazione.

Nel presente lavoro di tesi, l’attenzione è stata rivolta prevalentemente alla sintesi e caratterizzazione di un certo numero di nanocompositi, contenenti argille modificate con tensioattivi di diversa struttura, sia commerciali che sintetizzate in laboratorio attraverso la modifica, per scambio ionico, di argille sodiche commerciali, e copolimeri etilene acido acrilico commerciali, alcuni a struttura ramificata, ottenuti per copolimerizzazione radicalica dei due monomeri, ed uno a struttura lineare ottenuto mediante reazione di aggraffaggio di unità AA sulle catene di HDPE.

La preparazione dei nanocompositi è stata eseguita utilizzando tre diverse procedure sperimentali:

i. per miscelazione nel fuso ii. da soluzione

iii. per fusione diretta della miscela meccanica delle polveri in assenza di mescolamento.

La morfologia dei prodotti ottenuti è stata caratterizzata mediante analisi di diffrazione ai raggi-X, WAXD, spettroscopia elettronica in trasmissione, TEM, eseguita presso l’Università degli Studi di Genova e l’ISMAC di Genova, spettroscopia elettronica a scansione, SEM, e microscopia ottica in luce polarizzata, POM. Sono state quindi determinate le proprietà termiche mediante analisi calorimetrica a scansione differenziale, DSC, e ancora microscopia ottica in luce polarizzata. Ed infine, grazie alla collaborazione

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con l’Università di Palermo, sono state determinate anche le proprietà meccaniche e reologiche dei nanocompositi ottenuti.

Gli obiettivi di questo lavoro di tesi sono principalmente due:

a. eseguire uno studio dettagliato delle relazioni proprietà struttura dei nanocompositi preparati, ovvero analizzare come cambia la morfologia variando il tipo di modificante organico dell’argilla e variando la struttura della matrice polietilenica, lineare o ramificata.

b. verificare se la morfologia osservata dipende dal processo di preparazione utilizzato, ovvero cercare di capire se la morfologia finale rappresenta o meno una situazione di equilibrio termodinamico legata alla particolare coppia polimero-argilla, e non dipende quindi dal tipo di processo, dai tempi di miscelazione, etc. In altre parole vorremmo cercare di capire se il processo di intercalazione e/o esfoliazione per questo tipo di sistemi è cineticamente veloce oppure no e quindi se la morfologia finale osservata mediante analisi TEM e WAXD rappresenta una fotografia dell’equilibrio termodinamico oppure è semplicemente una rappresentazione istantanea di una situazione in lento cambiamento.

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