sport, non per guardarlo. Una seconda istanza è stata fortissimamente presentata dal

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Premessa

Da amante onnivoro dello sport, sia visto che praticato, in tutte le sue disparate forme - dal Curling lieta rivelazione delle ultime Olimpiadi invernali di Torino, sino all'espressione più alta dell'attività sportiva, il giuoco del Calcio - è stato con immenso piacere che ho accolto la proposta, formulata nel corso dell'insegnamento di Architettura e Composizione Architettonica III, di avere come oggetto di tesi la progettazione di un impianto sportivo. Ho intrapreso così un percorso progettuale che, partendo da una proposta iniziale relativamente semplice, ovvero il rispetto del R.U. del Comune di Pisa, che chiedeva una semplice "palestra polivalente alta al massimo 10 metri e avente 1800 m

di superfice coperta", si è arricchita via via di sempre nuove istanze, molto spesso veri e propri "ostacoli" alla progettazione semplicistica che mi ero inizialmente immaginato, vere e proprie sfide, dettate dall'entrare in profondità di un problema solo apparentemente facile, e dettati dalla sempre maggiore presa di coscienza del tipo di progettazione che andavo facendo. Una prima istanza veniva dalla storia dello sport, e dalla consapevolezza del modo distorto con cui viene concepita l’attività sportiva al giorno d'oggi, ormai quasi non più praticata, ma solo guardata. Per questo ho voluto creare una cittadella per lo sport pensata prevalentemente per gli atleti, e poco pensata per gli spettatori e il pubblico: un impianto sportivo per "fare"

sport, non per guardarlo. Una seconda istanza è stata fortissimamente presentata dal

luogo, il "genius loci", sotto due diversi piani. Da un lato, occorreva valorizzare una

vista, quella verso i monti Pisani, in grado ancor oggi di incantare lo spettatore in cerca

di emozioni. Dall'altro, la necessità di fare di questo impianto sportivo, collocato nella

periferia della città di Pisa, in un quartiere “dormitorio” privo di punti di aggregazione

sociale, un centro in grado di rivitalizzare il quartiere, integrandosi con esso e

invogliando gli abitanti a vivere più intensamente il quartiere nel quale abitano. Un

ulteriore istanza è venuta dalla curiosità e dall'interesse personale del campo

dell'illuminotecnica, e nello studio dell'illuminazione solare. Se Le Corbusier poteva

sostenere in piena ragione che "l 'Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico

dei volumi sotto la luce", si può tranquillamente sostenere che "l'architettura è luce",

perchè pochi altri elementi come la luce sono in grado di influenzare, negativamente o

positivamente, il fascino di un edificio.