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CAPITOLO SECONDO PERCHE’ RINNOVABILI

Ad oggi il Sistema Energetico Mondiale è sbilanciato a favore delle fonti fossili (non rinnovabili). Come è possibile osservare dai dati riportati nella precedente sezione (pagina 23), oltre il 75% dell’energia prodotta a livello mondiale deriva da carbone, petrolio o gas naturale.

In questo scenario l’Italia non fa eccezione producendo la gran parte dell’elettricità necessaria al proprio fabbisogno dal gas. Il motivo alla base di questa scelta è semplice: il costo di generazione dell’energia elettrica da fonti fossili è molto inferiore al medesimo da fonti rinnovabili. La tabella sotto riportata mostra i vari costi di produzione di elettricità per tipo di impianto a fonte rinnovabile

Fonte dati: APER

Si passa dai 12cent€/KWh dell’idroelettrico a basso salto ai

50cent€/KWh del fotovoltaico (1-3 KWp) per una media di circa

19,50cent€/KWh. Il costo di generazione dell’energia elettrica da fonti

fossili si aggira oggi intorno ai 4cent€/KWh: il divario non lascia

spazio a commenti; produrre oggi energia attraverso fonti fossili è

economicamente più conveniente.

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Negli ultimi quindici anni, fonti rinnovabili quali eolico e fotovoltaico sono state sempre più utilizzate per la produzione di elettricità: nel 1990 i Gwh prodotti da entrambi erano pressoché nulli; nel 2001 l’eolico produceva invece 1.178,6 Gwh e il fotovoltaico 4,8 GWh

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.

Le cause che stanno dietro una simile performance sono molteplici.

2.1 MOTIVAZIONI DEL RECENTE INCREMENTO NELL’USO DI FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI

Riserve di petrolio e di gas

L’eccessivo sfruttamento di petrolio e gas sta portando all’esaurimento dei giacimenti conosciuti; gli esperti stimano che, agli attuali livelli di domanda, il petrolio si esaurirà entro i prossimi quarant’anni

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. Inoltre i giacimenti di petrolio e gas si trovano tutti concentrati in Medio Oriente, Sud America e Europa Caucasica: tutte aree a forte rischio paese secondo l’OCSE. Non sono quindi da escludere future tensioni internazionali in caso di un peggioramento della situazione, che nel migliore dei casi porterebbero a sempre più frequenti crisi. In conclusione, un Sistema Energetico troppo sbilanciato a favore di risorse con un grado di concentrazione geografico così elevato è rischioso.

Impatto ambientale delle fonti fossili

A partire dagli anni ’70, le problematiche ambientali, hanno raggiunto una posizione di centralità all’interno del dibattito internazionale.

Grazie ad un’importante attività di ricerca scientifica, sono stati resi disponibili un numero sempre maggiore di dati riguardo il problema del surriscaldamento globale.

Questi mostrano come l’incremento di 2 parti per milione l’anno di gas serra registrate negli ultimi cinquant’anni non ha eguali nella

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Fonte dati ENEA “Rapporto energia e ambinete 2007”

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Fonte dati IEA (International Energy Agency)

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storia dell’umanità; ne deriva un più marcato effetto Serra

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che porta a conseguenze quali lo scioglimento delle calotte artiche e il conseguente aumento delle maree in alcune aree del pianeta;

desertificazione e deforestazione; piogge acide e smog.

Tra i gas serra responsabili del surriscaldamento globale c’è la CO

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: uno dei principali prodotti della combustione dei combustibili fossili.

A fronte di una netta convenienza economica a produrre elettricità attraverso fonti fossili, i costi ambientali che la terra deve sostenere sono inestimabili tanto che la questione è divenuta una priorità politica ( il vicepresidente degli Stati Uniti: Al Gore nel 2006 ha promosso la presentazione al Sundance fil festival del documentario che lo vede protagonista sul tema del riscaldamento globale: An inconvenient truth; il documentario mostra le drammatiche conseguenze del problema e, dopo aver riscosso l’ OSCAR l’anno seguente ha catturato l’attenzione di una vasta fetta di pubblico).

La strada da intraprendere ha direzione forzata: ridurre le emissioni di gas serra nell’aria abbandonando progressivamente gli impianti di produzione di elettricità alimentati da fonti fossili a favore di nuovi che utilizzano fonti rinnovabili.

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L'effetto serra è un fenomeno naturale che si verifica ogni qualvolta una membrana semi

trasparente occlude completamente una superficie semi riflettente. Ne consegue che i raggi solari

nell'attraversare la membrana semi trasparente perdono una quota di energia e, perciò, si

allungano. I raggi così allungati raggiungono la superficie semi riflettente che, assorbendo un'altra

quota di energia, li riflette allungandoli ulteriormente. I raggi solari riflessi tornano di nuovo alla

membrana semi trasparente che ancora una volta lascia passare solo una quota di energia che

corrisponde alle onde con lunghezza minore. I raggi solari così filtrati hanno una lunghezza d'onda

media e corrispondono al calore: per questo la temperatura al di sotto della membrana sale

automaticamente. L’effetto serra consente alla Terra di avere una temperatura media superiore al

punto di congelamento dell’acqua, quindi consente la vita come tutti noi conosciamo.

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2.2 VERSO KYOTO

I primi passi a livello politico verso la presa di coscienza del problema, sono stati mossi nel 1972 con l’approvazione a Stoccolma da parte dei capi delle 110 delegazioni che avevano partecipato alla conferenza dell’ONU della Dichiarazione sull’Ambiente Umano. Nel preambolo la Dichiarazione afferma: “siamo ormai giunti a un punto della storia in cui noi dobbiamo condurre le nostre azioni in tutto il mondo con più prudente attenzione per le loro conseguenze sull’ambiente”. La difesa e il miglioramento dell’ambiente sono divenuti “uno scopo imperativo per tutta l’umanità” da perseguire insieme a quelli fondamentali della pace e dello sviluppo economico e sociale mondiale.

Il fondamentale punto di arrivo del dibattito iniziato a Stoccolma è stato il Summit di Rio nel 1992 dove 154 nazioni firmarono la UNFCCC

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. Dopo la ratifica, il documento obbligava i governi nazionali a perseguire un "obiettivo non vincolante" di riduzione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, al fine di "prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre". Queste azioni erano dirette principalmente ai paesi industrializzati, con l'intenzione di stabilizzare le loro emissioni di gas serra ai livelli del 1990 entro il 2000. Le nazioni firmatarie concordarono di riconoscere "responsabilità comuni ma differenziate", con maggiori responsabilità per la riduzione delle emissioni di gas serra nel breve periodo per i Paesi sviluppati, elencati nell'Annesso I dell'UNFCCC e denominati Paesi dell'Annesso I.

Il trattato, come stipulato originariamente, non poneva limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle nazioni individuali; era quindi legalmente non vincolante; ma includeva previsioni di aggiornamenti (denominati "protocolli") che avrebbero posto i limiti obbligatori di emissioni. Il principale di questi è il protocollo di Kyoto.

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Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici

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2.3 IL PROTOCOLLO DI KYOTO

Nel 1997, si svolge a Kyoto il famoso incontro che dà il nome all’omonimo “protocollo”. Si stabilisce che i paesi industrializzati (quelli elencati nel cosiddetto “Annesso I” del protocollo) si impegnino ad una riduzione del 5,2% rispetto al 1990 delle emissioni di sei principali gas serra nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2012.

Tale valore di riduzione è una media che deriva da impegni differenziati tra diversi paesi o gruppi di paesi. Il Giappone deve ridurre del 6%, gli USA del 7% e l’Unione Europea dell’8%. Ad altri paesi viene concesso il diritto di stabilizzare le proprie emissioni (Nuova Zelanda, Russia, Ucraina) o, addirittura, di aumentarle (Norvegia 1% e Australia 8%). La tabella che segue mostra gli obiettivi di riduzione fissati nel protocollo per l’Unione Europea, gli USA e alcuni importanti paesi.

Parti Obiettivi di riduzione delle emissioni %

Austria -13 Belgio -7,5 Danimarca -21

Finlandia 0 Francia 0 Germania -21

Grecia 25 Irlanda 13 Italia -6,5 Lussemburgo -28

Olanda -6 Portogallo 27

Spagna 15 Svezia 4

Uk -12,5 Europa 15 -8

USA -7 Australia 8

Russia 0

Fonte dati: European Enviroment Agency

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Oltre a questo obiettivo primario, il protocollo ne stabilisce altri a questo complementari:

• Gli stessi Paesi elencati nell’“Annesso I”, devono favorire iniziative volte alla creazione di strumenti per ridurre la CO2, anche con investimenti che favoriscano lo sviluppo sostenibile dei Paesi non ancora industrializzati. Un punto importante è valorizzare la risorsa “foresta” invece che sfruttarla.

• Ogni Paese industrializzato, inoltre, deve fare una stima delle emissioni gassose.

• Saranno incentivate le energie rinnovabili.

• Si possono ipotizzare eco-tasse che colpiranno i prodotti più inquinanti, e al contrario, agevolazioni per le aziende che adottano atteggiamenti eco-compatibili.

• I Paesi firmatari vanno incontro a sanzioni economiche se mancheranno di raggiungere gli obiettivi.

In conclusione, a Kyoto, furono stabiliti obiettivi di importanza strategica e di portata generale, lasciando ai singoli Governi nazionale ampia discrezionalità di manovra al fine di conseguirli.

Quei paesi che si muoveranno rapidamente verso l’attuazione delle misure raccoglieranno benefici positivi e soddisferanno i loro obiettivi di Kyoto ad un costo minimo o nullo.

Al contrario, i Paesi che resteranno indietro avranno poco controllo

sullo sviluppo tecnologico e un accesso ai nuovi mercati solo quando i

profitti saranno già declinanti. Le nazioni più lente saranno spesso

costrette a introdurre misure riparatorie per dimostrare la loro

conformità agli obiettivi e non dover pagare multe salate.

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2.4 ATTIVITA’ EUROPEA

Nella discussione sul mantenimento del Protocollo di Kyoto, il ruolo dell’Europa è stato fondamentale; Il 6 febbraio 2002 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione nella direzione della ratifica del Protocollo, ratifica che rimaneva comunque un impegno dei singoli Stati membri.

L’impegno europeo nei confronti delle problematiche legate agli impatti ambientali derivanti dall’impiego delle fonti energetiche tradizionali si è manifestato anche attraverso la formulazione di linee guida ed obiettivi atti a stabilire il contributo che le fonti energetiche rinnovabili dovranno dare al consumo interno lordo di energia dell’Unione Europea nei prossimi anni.

Nel documento-guida “Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili. Libro Bianco per una strategia e un piano d’azione della Comunità” del 1997, la Commissione propone un obiettivo indicativo globale del 12% per il contributo delle fonti energetiche rinnovabili al consumo interno lordo di energia dell’Unione Europea nel 2012, equivalenti a 182 Mtep su un totale previsto di 1.583 Mtep.

Attualmente la quota relativa alle fonti rinnovabili è inferiore al 6%, equivalente a 74,3 Mtep, su un consumo interno lordo di 1.366 Mtep;

in termini assoluti significa moltiplicare per 2,5 l’attuale produzione da fonti energetiche rinnovabili.

Il Libro Bianco stima il contributo delle fonti energetiche rinnovabili

per settore secondo quanto riportato nella tabella.

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Contributo delle fonti energetiche rinnovabili in Europa secondo il Libro Bianco

Il documento della Commissione Europea sottolinea anche i positivi risvolti, non solo ambientali ma anche economici, che ne deriverebbero, facendo una valutazione preliminare di alcuni costi e benefici.

• L’investimento netto (calcolato sottraendo all’investimento totale, l’investimento che sarebbe stato necessario se l’energia ricavata dalle rinnovabili fosse fornita da tecnologie di combustibili fossili) è stimato a 95 miliardi di euro.

• La riduzione delle emissioni di anidride carbonica è stimata a 402 milioni di tonnellate l’anno rispetto al 1997.

• L’aumento occupazionale legato al settore delle fonti rinnovabili

e del relativo indotto è stimato, al netto delle perdite

occupazionali in settori concorrenti, in 500.000 unità per il

2010.

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• La crescita potenziale dell’industria europea dell’energia rinnovabile sui mercati internazionali può portare nella Bilancia Commerciale europea circa 17 miliardi di euro annui per attività di esportazione.

Se facciamo però i conti sull’applicazione degli accordi sull’andamento delle emissioni di gas serra, ci si accorge che a livello Europeo sono pochi i paesi in linea con gli obiettivi: Francia, Germania, Svezia, Lussemburgo e Regno Unito.

2.5 LA SITUAZIONE ITALIANA

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Al 2008 l’Italia è maglia nera a livello Europeo (U.E. 27) per la riduzione delle emissioni nocive: secondo gli obiettivi derivanti dal protocollo di Kyoto, Italia deve ridurre le proprie emissioni serra nel periodo 2008 - 2012 del 6,5% rispetto ai livello del 1990. Rispetto allo stesso anno, si rileva nel 2005, anno di riferimento per i nuovi obiettivi stabiliti dall’Unione Europea per il 2020, un aumento delle emissioni del 12,13%. La tabella di seguito riassume l’andamento delle emissioni dall’anno base di riferimento (1990) fino al 2005, anno di riferimento dei nuovi obiettivi Europei. Nella tabella sono inoltre riportati i settori produttivi che generano il maggiori emissioni.

Secondo i dati pubblicati dall’Enea nel rapporto annuale energia e ambiente, le emissioni serra totali passano da 516.850 Gg di CO2 equivalente nell’anno base, a 579.547 Gg nel 2005, con un aumento del 12,1%. Per quanto riguarda la composizione delle emissioni di gas

5

Fonte dati CNES “rapporto preliminare sullo stato attuale del fotovoltaico”

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serra, la CO2 contribuisce per una quota pari a circa l’85%, di cui la maggior parte viene emessa dal settore energetico. Analizzando i vari settori produttivi, quelli che emettono maggiormente sono storicamente quelli delle industrie energetiche e dei trasporti, seguiti dal settore civile e industriale. Un dato negativo relativo all’ultimo periodo è il sorpasso realizzato al settore industriale per quanto riguarda le emissioni di CO2 dal settore civile ai danni a quello industriale. Osservando però la situazione al 2008 è possibile registrare una piccola inversione di tendenza: per quanto riguarda i settori della produzione energetica (termoelettrico e raffinerie), le emissioni, in aumento nel periodo 2000-2005, tendono a stabilizzarsi nel 2006-2007 in seguito alla contrazione dei consumi energetici. Le emissioni del settore industriale, per lo stesso periodo, tendono a rimanere costanti, mentre nel settore civile, il trend crescente delle emissioni si inverte con una significativa riduzione sia nel 2006 che nel 2007. Per i trasporti continua il leggero trend di aumento delle emissioni.

Per valutare lo stato di attuazione del protocollo di Kyoto si fa riferimento ai dati pubblicati nella Quarta Comunicazione Nazionale inviata alla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), preparata da ENEA, APAT e IPCC, per il Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare. Nella valutazione si tiene conto dei dati a consuntivo del 2005, di uno scenario di riferimento al 2010 e della valutazione del quadro delle politiche e misure, messe in atto a livello nazionale. Lo scenario tendenziale definito a partire dal 2005 tiene conto dei dispositivi legislativi e normativi decisi e operativi fino a quella data. Per la valutazione delle politiche e misure si tiene conto della metodologia internazionale che individua le misure in

“implemented” (decise e operative), “adopted” (decise e non operative)

e “planned” (misure allo studio). Considerando le emissioni all’anno di

riferimento, 1990, pari a 516,85 MtCO2eq l’obiettivo individuato per

l’Italia dal Protocollo risulta pari a 483,26 MtCO2eq. Tenendo conto

dello scenario tendenziale al 2010 pari a 587,0 MtCO2eq la distanza

da colmare per raggiungere l’obiettivo risulta pari a 103,7 MtCO2eq,

come mostra la figura sottostante.

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Distanza dall’obiettivo di Kyoto (Mt CO2

eq.)

Considerando tutte quelle misure che si possono ritenere acquisibili

entro il periodo di riferimento 2008-2012 si arriva a un valore di

emissione del 4% sopra al valore del 1990; difficilmente, quindi,

l’obiettivo di Kyoto potrà essere raggiunto. Secondo Kyotoclub il

rischio che l’Italia debba indennizzare gli altri paesi meno inquinanti è

concreto. L’Italia, dal 1° gennaio 2008, sta accumulando giornalmente

un debito di oltre 4 milioni di euro che arriverà entro la fine del 2008

a quasi 1,5 miliardi di euro. Questa è un'emergenza pesante in

termini economici, di immagine e di mancate opportunità. Paghiamo

dieci anni di sottovalutazione del problema climatico e di una notevole

superficialità rispetto all'entrata in vigore del Protocollo. Resosi conto

della portata di una simile situazione; il Governo Italiano, ha

recentemente preso alcune importanti misure (supplementari a quelle

presenti da almeno dieci anni) per spingere ulteriormente l’utilizzo

delle fonti di energia rinnovabili.

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