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Nonostante questo possa far pensare ad una piena maturità tecnologica di

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

1.1 Generalità

Guardando alla quasi totalità dei lanciatori per la messa in orbita di carichi paganti oggi presenti nel mondo, colpisce il dettaglio che tra tutti gli stadi che li costituiscono, almeno uno preveda l’utilizzo di propellenti liquidi in cui il pompaggio dell’ossidante e del combustibile dai rispettivi serbatoi di stoccaggio alla camera di combustione avviene grazie all’utilizzo di turbomacchine.

Nonostante questo possa far pensare ad una piena maturità tecnologica di

queste ultime, non bisogna dimenticare che questo particolare campo di impiego

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ha da sempre tra i suoi principali obiettivi quello della continua riduzione dei pesi a vantaggio di una migliore operatività, traguardo che nel caso delle turbomacchine si traduce in quello dell’aumento delle densità di potenza disponibili.

Aumentare la densità di potenza di una turbomacchina significa poter ottenere la stessa potenza di pompaggio con dimensioni (e quindi pesi) più contenute. Se però si considera che tale grandezza è proporzionale alla quinta potenza di una sua dimensione caratteristica (D), moltiplicata per la terza potenza della sua velocità di rotazione ( Ω ):

3 5

D P α

ridurre di n volte la dimensione caratteristica D corrisponde ad aumentare la velocità di rotazione di un fattore n

5/3

. Questo costringe necessariamente a considerare la macchina come supercritica, in cui peraltro grande rilevanza assumono anche i fenomeni di cavitazione e di instabilità rotodinamica.

La parola “cavitazione” si riferisce alla formazione di bolle di vapore in regioni di bassa pressione del flusso di un liquido. Sotto certi aspetti, la cavitazione è simile all’ebollizione, sebbene quest’ultima sia generalmente considerata accadere come risultato dell’aumento della temperatura piuttosto che una diminuzione di pressione. Questa differenza nella direzione del cambiamento di stato in un diagramma di fase è più significativa di quello che si potrebbe a prima vista immaginare. Infatti, è virtualmente impossibile causare un qualsiasi repentino ed uniforme cambiamento di temperatura all’interno di un volume finito di liquido.

Cambiamenti di temperatura in un liquido si verificano piuttosto grazie al trasferimento di calore attraverso il contatto con un corpo solido. Pertanto, i dettagli del processo di ebollizione generalmente includono lo studio dell’interazione tra le bolle di vapore e la parete solida e dello strato limite termico su tale superficie. Di contro, un repentino, uniforme cambiamento della pressione in un liquido è piuttosto comune, e, quindi, i dettagli della cavitazione posso essere fondamentalmente diversi da quelli che occorrono nell’ebollizione.

La cavitazione è comunque un fenomeno fisico poco desiderabile nelle turbomacchine, i cui effetti sono raggruppabili in tre categorie:

‰

Per prima cosa, essa può causare danni alle superfici solide vicine alle

zone dove le bolle collassano perché convogliate in regioni del flusso a

pressione più alta. Il collasso di una bolla è infatti un processo molto

violento che dà luogo a forti tensioni localizzate. La ripetitività di questi

cicli di carico può portare al cedimento locale per fatica della superficie

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con distacco di piccoli frammenti di materiale. Tale danneggiamento può essere economicamente molto pesante da riparare e molto difficile da eliminare.

Figura 1.1 – Danneggiamento localizzato sulle pale di una pompa dovuto a cavitazione (Brennen 1994)

Figura 1.2 – Danneggiamento esteso sulla palettatura di turbina (Brennen 1994)

‰

Il secondo effetto negativo è quello della degradazione delle prestazioni della turbomacchina. Nel caso delle turbopompe, esiste generalmente un livello della pressione in ingresso del fluido al quale le prestazioni diminuiscono drasticamente (cavitation breakdown).

‰

Il terzo effetto negativo della cavitazione è meno conosciuto, ed è una conseguenza del fatto che la cavitazione non influenza solo il flusso stazionario, ma anche la risposta dinamica o non stazionaria del flusso.

Questo cambiamento nelle prestazioni dinamiche dà luogo ad instabilità

che non si presentano invece nel caso di assenza di cavitazione. Esempi di

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queste instabilità sono la “cavitazione rotante”, che avviene in pompe le cui pale lavorano ad incidenze prossime allo stallo e che si manifesta come cavitazione che si propaga circonferenzialmente alle pale adiacenti, e le

“auto-oscillazioni”, che si manifestano in condizioni di carico molto severe della macchina e cui contribuiscono tutti gli elementi ad essa collegati (serbatoi, linee di alimentazione e di scarico). Questi fenomeni danno luogo ad oscillazioni nella portata e nelle pressioni che possono arrivare a minacciare l’integrità strutturale della pompa o dei condotti di aspirazione e mandata.

Alla luce di quanto brevemente illustrato, sarebbe auspicabile una soppressione del fenomeno tra gli obiettivi di progetto di una pompa. Purtroppo questo, in termini pratici, si tradurrebbe nella necessità di aumentare la pressione del fluido in ingresso, ovvero una pressurizzazione dei propellenti stoccati nei serbatoi a tutto svantaggio dell’economia ponderale. Risulta quindi che le pompe per impiego spaziale siano invece spesso progettate per funzionare in regime parzialmente cavitante, cercando di arrivare al giusto compromesso tra gli effetti dannosi della cavitazione e la riduzione dei pesi. Un utile accorgimento nella direzione della riduzione della cavitazione, spesso utilizzato nelle macchine per uso spaziale, è quello di far precedere la girante della pompa vera e propria da un induttore assiale, il quale imprime al fluido un iniziale salto di pressione piccolo, ma sufficiente a “trascinare” fuori dal corpo principale della macchina sia l’innesco della cavitazione che il collasso della stragrande maggioranza delle bolle da essa formate.

Per quanto riguarda le instabilità rotodinamiche va detto che, nonostante i tempi in cui la prima velocità critica flessionale sembrava essere una barriera insormontabile siano ormai passati da tempo, esse continuano a porre le limitazioni più severe nelle prestazioni delle turbomacchine. Difficoltà come rumore e vibrazioni, carichi eccessivi e usura su componenti statici e rotanti, perdita di prestazioni, e in alcuni casi rotture catastrofiche, possono spesso essere causati da un qualche tipo di vibrazione del rotore.

Comunemente queste vibrazioni sono chiamate “whirl”, un termine usato dai rotodinamici per descrivere le deflessioni laterali in un albero rotante. Nel caso delle turbopompe, esso identifica lo sviluppo di un moto di precessione autosostentato dell’asse dell’albero il quale tende a spostarsi dalla sua posizione nominale immettendosi in un’orbita più o meno regolare.

Le cause che generano il whirl possono essere classificate in due gruppi:

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‰

Forze di origine meccanica come lo sbilanciamento delle masse (statico o dinamico); l’anisotropia delle rigidezze; interferenze tra elementi rotanti ed elementi statorici.

‰

Forze di origine fluidodinamica, dovute ad esempio ad asimmetrie di flusso, a perdite o ricircolazione.

A prescindere dalle cause, tale moto, una volta innescato, è fortemente accoppiato con quello del flusso: il campo fluidodinamico perturbato genera sulla girante ulteriori forze rotodinamiche potenzialmente capaci si sostentare il moto di precessione, ancora più pericolose nel caso di presenza di cavitazione. Studi in tal senso hanno infatti dimostrato che una qualsiasi riduzione del pompaggio causata dalla presenza di cavitazione può causare grandi cambiamenti nell’intensità e direzione della forza in direzione radiale.

Indicando con ω la velocità angolare del moto di precessione del rotore e con Ω la velocità di rotazione della pompa, il moto di whirl può essere classificato in

“subsincrono” ( ω

<

) , “sincrono” ( ω

=

) , o “supersincrono” ( ω

>

) .

Inoltre, a seconda che i segni di ω e Ω siano concordi o meno, esso si dice essere

“positivo” o “negativo”.

Sebbene lo studio di questi fenomeni sia cominciato già a partire dai primi anni

’60, con le prime pubblicazioni a riguardo apparse dopo il 1980, la loro comprensione teorica rimane ancora lacunosa, rendendo anche i modelli di calcolo risultanti necessariamente inadeguati. E’ quindi evidente come la sperimentazione su prototipi (spesso scalati) continui ad essere un’attività fondamentale di questo settore, onde ottenere un livello sufficiente di ottimizzazione delle macchine progettate.

1.2 Obiettivi della tesi

Il presente lavoro si innesta su di una consolidata pratica progettuale che ha visto, nei precedenti anni, la nascita e lo sviluppo di un impianto di prova di giranti di turbopompe designato CPRTF (Cavitating Pump Rotordynamic Test Facility) presso il laboratorio di ricerca Centrospazio di Pisa.

In particolare, i recenti sviluppi progettuali oggetto dei lavori di tesi di R.

Menoni [26], L. Vigiani [30] e A. Milani [9], hanno visto la acquisizione, da parte

di Centrospazio, della capacità di misura delle forze rotodinamiche agenti su

modelli di turbopompe operanti in regimi di similitudine fluidodinamica con

acqua come fluido di lavoro e con la possibilità di imporre un moto eccentrico al

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rotore. Infatti, la suddetta configurazione dell’impianto permetterà di rilevare in condizioni di funzionamento cavitanti e non:

‰

Le forze rotodinamiche indotte dal flusso su rotori dotati di moto di whirl;

‰

Le forze stazionarie e non stazionarie agenti sul rotore;

‰

Le caratteristiche di pompaggio ed aspirazione in condizioni stazionarie e non stazionarie;

‰

Le interazioni girante-voluta (influenza sulle prestazioni, ecc…);

‰

Le forze dovute alle tenute, ai trafilamenti di fluido di lavoro e flussi secondari.

Rispetto ai lavori precedenti, che si sono occupati degli aspetti progettuali e della realizzazione o approvvigionamento dei singoli particolari costituenti la configurazione menzionata, il mio lavoro è stato quello di occuparmi della messa in opera di tale configurazione, ed in particolare della calibrazione ed effettiva rispondenza alle aspettative progettuali dello strumento di misura delle forze rotodinamiche, il dinamometro.

Gli obiettivi del lavoro possono essere così riassunti:

‰

Progetto e realizzazione delle prove necessarie alla costruzione della relazione lineare (matrice di calibrazione) tra le forze applicate e le tensioni di sbilanciamento dei ponti estensimetrici, sia senza che con il coperchio protettivo del dinamometro;

‰

Verifica sperimentale della linearità della risposta del dinamometro nell’intervallo cui appartengono le forze da misurare, sia nel caso di assenza che di presenza del coperchio protettivo;

‰

Scrittura e verifica operativa di un codice di calcolo per l’esplicitazione delle misure che consentisse di passare dalla misura dei potenziali di sbilanciamento dei ponti estensimetrici a quello delle forze agenti sul rotore, sia in un riferimento solidale al dinamometro che in un riferimento fisso;

E, come attività di supporto alla sperimentazione:

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‰

Sviluppo di un modello teorico per la previsione della frequenza propria di oscillazione delle pressioni nel circuito di prova CPRTF di Centrospazio.

Nei successivi capitoli, dopo una breve presentazione delle basi teoriche

necessarie per la comprensione del funzionamento del circuito (Capp. 2 e 3) e una

breve descrizione dello stesso con particolare attenzione al dinamometro (Cap. 4),

si passerà ad illustrare le modalità seguite per l’esecuzione della calibrazione, la

riduzione dei dati ed i risultati ottenuti (Cap. 5 e 6); infine sarà presentato il

modello teorico per la previsione della frequenza propria delle oscillazioni del

circuito, ed il confronto con i dati sperimentali disponibili (Cap. 7). L’ultimo

capitolo (Cap. 8) riguarderà le conclusioni e gli sviluppi futuri delle attività

oggetto del presente lavoro.

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