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Continuerò trattando il tema della vittima vulnerabile. In questo caso

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Questa trattazione ha lo scopo d'illustrare quali sono le esigenze di tutela del testimone all'interno del processo penale e verificare come il nostro ordinamento si sia adeguato a queste. Porrò l'attenzione su cinque soggetti diversi, i quali, in virtù della loro peculiarità, richiedono forme di tutela diversificate.

Partirò esaminando il testimone, volgendo lo sguardo sia alla tutela della libertà di autodeterminazione e morale, che al diritto alla riservatezza. La libertà di autodeterminazione e morale viene intesa come la possibilità di formare la propria volontà e il proprio convincimento senza condizionamenti esterni. Libertà viste nel momento dell'escussione della prova testimoniale e collegate alle modalità particolari di assunzione della stessa. Quindi: tecniche particolari per l'esame e il controesame; il ruolo rivestito dal presidente; gli avvertimenti che vengono fatti sempre al fine di tutelare il soggetto che si presenta in udienza a rendere la propria deposizione.

Il diritto alla riservatezza viene inteso come l'esclusione delle vicende personali, il controllo dei propri dati personali e la successiva non divulgazione di questi. Anche al fine di tutelare il diritto alla riservatezza bisogna vedere come viene condotta la testimonianza prevedendo modalità specifiche a salvaguardare l'immagine e la personalità del testimone.

Continuerò trattando il tema della vittima vulnerabile. In questo caso

l'esigenza di tutela si riscontra nella particolare debolezza del soggetto,

il quale, essendo vittima di reato, bisogna salvaguardarlo il più

possibile. La tutela si articola in due momenti: il primo è evitare la

commissione degli illeciti e quindi evitare i fenomeni di

vittimizzazione, il secondo riguarda il momento processuale tutelando

la vittima all'interno del processo e dal processo stesso, evitando i

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fenomeni di vittimizzazione secondaria. Mi soffermerò su quest'aspetto esaminando la normativa da un punto di vista storico-sistematico, partendo dalla Decisione quadro 220/2001/GAI, continuando con la Direttiva 29/2012 e illustrando le novità processuali che sono intervenute a tutela della vittima vulnerabile.

Proseguirò la trattazione parlando delle ragioni di tutela del minore;

esigenza di tutela avvertita molto a livello culturale e sentita dalla società soprattutto con il moltiplicarsi degli episodi delittuosi. Il fondamento di tutela si riscontra in relazione all'età del soggetto che non ha piena consapevolezza di se stesso, a causa della sua poca maturità rischia di diventare suscettibile ai condizionamenti degli adulti e di cadere vittima delle procedure previste, in generale, dell'intero processo e, nello specifico, della conduzione dell'esame.

Importante la Convenzione di Lanzarote del 2007 che ha apportato modifiche al nostro codice di rito in materia di audizione del minore.

Continuerò analizzando il collaboratore di giustizia. Le esigenze di tutela, in questo caso, sono diverse: risalta il rischio a cui è sottoposto chi ha fatto parte di un' organizzazione criminosa e che da essa si è discostata. Non è facile decidere di deporre senza la paura di una ripercussione personale causata dagli altri membri dell'associazione.

Allora ecco che il legislatore inizia a prendersi cura dei collaboratori di giustizia formulando una disciplina specifica per questi, prevedendo misure di protezione più efficaci adottate ed eseguite da organi specializzati in materia, controllando il contenuto delle dichiarazioni e prevedendo rimedi processuali specifici per l'esame dibattimentale sempre volte alla tutela di quel soggetto che ha accettato un rischio esprimendo la sua volontà nel collaborare con le autorità giudiziarie.

L'ultima analisi si rivolgerà all’agente sotto copertura. Esso si infiltra

all’interno delle organizzazioni criminali allo scopo di far commette

reati ai membri di questa, al fine di smascherarli. Qui l’esigenza

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avvertita è quella di proteggere l’agente nascosto nell’associazione, sia

durante il periodo in cui è infiltrato, che successivamente. Il rischio è

quello di avere ripercussioni personali da parte dei membri

dell’organizzazione e da questi bisogna tutelarlo; infatti al momento

della testimonianza bisogna proteggerlo dai soggetti che egli stesso sta

incriminando, proteggendolo durante il momento dell’ascolto in sede

dibattimentale con misure e meccanismi specifici.

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CAPITOLO PRIMO

LE TUTELE DEL TESTIMONE

SEZIONE I: LIBERTÀ DI AUTODETERMINAZIONE E LIBERTÀ MORALE.

1.Premessa.

Il rispetto della libertà di autodeterminazione e morale si coglie all’interno del processo penale anche in riferimento ai soggetti che vi partecipano in veste di testimoni. In particolare si possono intendere queste libertà come la possibilità di formare senza costrizioni la propria volontà e muoversi secondo la propria psiche senza intromissioni

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.

Nelle fonti internazionali e comunitarie non sono tipizzate ipotesi dirette a ledere la libertà psichica del teste, così che tra le intimidazioni e interferenze ritroviamo varie forme di minacce, dirette o indirette, o ancora vari modi di uso della violenza che possono interferire sulla libera dichiarazione. Si limitano a tutelare i soggetti prevedendo principi generali e divieti ai quali gli Stati devono conformarsi. Per fare alcuni esempi: l’art. 1 della Convenzione contro la tortura ed ogni altra forma di trattamento o pena crudele, inumana o degradante recita:

“il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni”. O ancora la Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’art. 3: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.” E il Patto internazionale sui diritti civili e politici che nell’art. 7 recita: “Nessuno può essere

1 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. CEDAM 2000 p. 2 ss.

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sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico.”

A livello nazionale la libertà di autodeterminazione non ha avuto un riconoscimento specifico nella Carta Costituzionale. Nel silenzio della Costituzione non si possono prevedere ipotesi concrete di offese alla libertà di autodeterminazione, così che la si può collocare nella categoria della libertà morale, intesa come libertà di pensiero e coscienza o nella più generale categoria dei diritti inviolabili dell’uomo. Sicuramente la legge ordinaria ci aiuta di più; qui la tutela della libertà morale ha avuto maggiori riconoscimenti. Il diritto penale punisce espressamente i delitti contro la libertà morale (Capo II, Sezione III artt. 610 ss. c.p.) prevedendo le fattispecie di: violenza privata; violenza o minaccia per costringere a commettere reato;

minaccia; atti persecutori; stato di incapacità procurato mediante violenza.

Nel codice di procedura penale, invece, possiamo trovare le libertà di autodeterminazione e morale in tutte quelle previsioni che mirano ad:

a) evitare di orientare le dichiarazioni del teste; b) avvertire il teste su una sua eventuale responsabilità.

2. a)Evitare di orientare il teste. Libertà morale della persona nell’assunzione della prova.

Tra le disposizioni generali del libro dedicato alle prove (Libro III)

l’art. 188 c.p.p. disciplina le modalità di assunzione della prova nel

rispetto della libertà morale della persona, articolo certamente

applicabile alla prova testimoniale. Infatti il legislatore sancisce la non

utilizzabilità di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di

autodeterminazione o, in alternativa a questa, alterare la capacità di

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ricordare e valutare i fatti, fondando un riconoscimento dell’inviolabilità della psiche dell’individuo che potrebbe risultare compromessa dalle modalità di audizione di un testimone. In particolare si può fare riferimento a tutte quelle tecniche “dirette” quali l’ipnosi, il lie detector e la narcoanalisi o “siero della verità”, o ancora trattamenti psico-chirurgici quali lobotomia, esplorazioni psichiche mediante farmaci. Più recentemente, la continua evoluzione in campo scientifico ha portato allo sviluppo di nuove metodiche basate sulle neuroscienze, di certo meno invasive, sulle quali comunque ci si interroga circa il grado di affidabilità e la loro valenza a fini probatori.

Sempre tra i metodi o le tecniche non utilizzabili si posso ricomprendere le minacce, pressioni, inganni, suggestioni rivolte al testimone certamente idonee ad alterare le capacità mnemoniche e valutative, tecniche queste “indirette”.

Il legislatore fa di più, esclude la rilevanza del consenso dell’interessato potendo immaginare che anche questo non sia spontaneo e libero, ma frutto di pressioni derivate da soggetti terzi capaci di influire sulla libera autodeterminazione del teste.

A questo punto bisogna chiederci quali sono le conseguenze

processuali delle acquisizioni lesive della libertà morale. Tra le varie

possibilità sanzionatorie rientra l’inutilizzabilità della prova ex art. 191

c.p.p. aderendo all’idea che il risultato finale è un procedimento

probatorio viziato: quindi la violazione dell’art. 188 c.p.p. condurrebbe

alla non rilevanza delle dichiarazioni ottenute nei modi indicati. Altre

possibili conseguenze processuali potrebbero essere: l'inesistenza

giuridica, considerando la dichiarazione come una simulazione della

testimonianza, o una sostanziale carenza di potere dell’autorità

procedente. La sanzione dell’inutilizzabilità sembra la più consona a

tutela della libertà di autodeterminazione del testimone anche se la

generalità della norma porta a ricomprendere qualsiasi metodo idoneo

ad influire su tale libertà. Quindi non bisognerebbe applicare

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automaticamente la sanzione, ma il giudice dovrebbe valutare caso per caso applicandola alle situazioni più rilevanti.

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3. Esame su fatti determinati.

L’art.194, III c.p.p. recita: “Il testimone è esaminato su fatti determinati.” Possiamo leggere l’espressione “fatti” determinati come un limite al contenuto delle domande, al testimone non possono essere richieste opinioni personali o giudizi, deve deporre esclusivamente su fatti

3

. La Cassazione, con un orientamento costante, ha sostenuto la compatibilità col contenuto della testimonianza della ricognizione di persone ex art. 213 c.p.p. richiesta durante l’esame incrociato

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. Quindi se si procede ad un’identificazione orale in sede testimoniale, il giudice può da essa trarre il proprio libero convincimento.

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Meno d’accordo è la dottrina che ritiene l’attività ricognitiva diversa da quella dichiarativa.

Un’ipotesi diversa è il caso in cui l’identificazione della persona viene fatta in un momento diverso e il soggetto lo riferisce in sede testimoniale, in questo caso il riconoscimento è un fatto storico avvenuto e per questo oggetto normale della deposizione del teste.

2 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale,cit. p. 11 ss.

3 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale.

CEDAM 2010. p. 85 ss.

4 Cass. Sez. I 11/05/1992, Cannarozzo, CP, 1994, 126; Cass. Sez. IV 18/07/1996, Gargliardi, DPP, 1997,855

5 Cass. Sez. IV 04/02/2004, Pantaleo, 2005, 1660; Cass. Sez. II 23/09/2003Monaco, CP, 2005, 1661; Cass. Sez. II 10/03/2003, Paruzzo, 224644.

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4. Tutele durante la conduzione dell’esame: fatti specifici; divieto di formulare domande che incidono sulla sincerità e che suggeriscono risposte.

L’articolo che stabilisce le regole per l’esame testimoniale è l’art 499 c.p.p.

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Le regole scelte dal legislatore sono l’attuazione alla normativa internazionale contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6 III) e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (art 14 III). Nel dibattimento il destinatario della testimonianza è il giudice e l’esaminatore deve far emergere la verità e la credibilità del teste tenendo sempre presente i limiti volti a tutelare la libera autodeterminazione dell’esaminato. La norma si articola in una serie di precetti, sia positivi che negativi, a cui devono sottostare le parti che conducono l’esame, il legislatore ha dunque pensato ai fattori emotivi che possono condizionare il teste, quindi in quest’ ottica fissare delle regole e principi riguardanti le domande hanno la funzione di assicurare non solo la veridicità delle risposte, ma anche assicurare il non condizionamento psichico del testimone.

Esaminiamo la disciplina nello specifico. Il primo comma dell’art 499 c.p.p. dice che l’esame si svolge mediante domande su fatti specifici:

domanda specifica non significa domanda breve perché anche questa

6 Art.499 c.p.p. “Regole per l'esame testimoniale.

1. L'esame testimoniale si svolge mediante domande su fatti specifici.

2. Nel corso dell'esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte.

3. Nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte.

4. Il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona.

5. Il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti.

6. Durante l'esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni.”

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potrebbe risultare vaga a seconda di come viene formulata, quindi l’esaminatore deve riferirsi ad una circostanza specifica. Ne deriva che il legislatore ha voluto evitare le narrazioni generiche, pur ammettendo la possibilità di domande “aperte” o” ampie” sui contenuti, ma che non inducano il teste ad una narrazione che si discosti dal punto in questione. Per quanto riguarda il contenuto delle domande specifiche un primo limite viene dato dalle circostanze indicate delle liste testimoniali, un secondo dall’espressione “fatti specifici” e dunque al testimone non possono essere richiesti giudizio o opinioni personali.

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Secondo precetto dell’art. 499 c.p.p. è il divieto delle domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte, le così dette “domande nocive”. Le domande nocive sono per le loro conseguenze vietate in tutto lo svolgimento dell'esame; definire quali sono non è facile, possono essere tutte quelle che inducono ad una risposta volutamente falsa alterando la sfera emotiva del teste compromettendo la sua capacità espositiva, o quelle che influiscono sulla serenità dell'esposizione. La risposta falsa quindi è frutto del comportamento dell'esaminante, si vuole evitare che un teste intenzionato a dire la verità possa per via della domanda deporre il falso. Si possono anche considerare tra queste le domande “subordinanti” e le domande ambigue che inducono il testimone a possibili errori. L'interesse espressamente tutelato dalla norma è il profilo della genuinità della prova, indirettamente si può anche ravvisare una tutela per il possibile pregiudizio alla libertà morale del teste, quindi la domanda nociva nuoce la libera autodeterminazione del soggetto esaminato. Per fare degli esempi si può parlare della domanda che agisce sui sentimenti del teste allontanandolo dalla spontaneità, o capace di ridurre la capacità espositiva, o la domanda che gli provoca una sorta di timore di

7 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale. Cit., 2010, p. 290 ss.

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imperfezione del ricordo, che fanno sorgere dubbi, o ancora domanda che fanno leva su meccanismi psicologici. Sempre a tutela del testimone non possono essere fatte domande tese ad intimidire il teste o che sottendono minacce.

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Il comma 3 dell'art. 499 c.p.p. vieta le domande che tendono a suggerire le risposte. Il divieto è rivolto a tutti coloro che abbiamo un interesse comune con la parte che ha chiesto la citazione del testimone.

La loro individuazione appare più complicata perchè “suggerire la risposta è qualcosa di più di circoscrivere o indirizzare l'ambito della risposta. Suggerire significa che l'esaminatore pone le domande in modo tale che la risposta che egli si attende sia una e soltanto una”.

Ciò presuppone una pre conoscenza del contenuto della dichiarazione così che la formulazione della domanda diventa un modo per guidare il teste nella risposta. La tecnica utilizzata per suggerire la risposta è una domanda che parte da un presupposto inteso come premessa non dimostrata ma data per vera, il teste intuisce che l'esaminante ritiene esistente la circostanza richiesta. Si possono distinguere le domande implicative e le domande alternative: le prime danno per scontata l'esistenza di fatti controversi non riferiti dal teste (es. dato per presupposto un vaso “di che colore era il vaso?”), le seconde lasciano al teste la possibilità di scegliere tra due alternative (es. “il vaso era blu o rosso?”).

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Deve ritenersi che anche la domanda suggestiva possa contenere un pregiudizio al testimone nel momento in cui, basata su presupposti ingannevoli, mira a provocare un certo grado di suggestione, sono sempre tecniche in grado di indurre il testimone all'incertezza o alla contraddizione ledendo la propria capacità psichica, la propria serenità e la propria libera autodeterminazione.

8 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. 2000, p. 36 ss..

9 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale. Cit, 2010, p. 292.

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5.(Segue) Intervento del presidente.

L' art. 499 c.p.p. al quarto e sesto comma attribuisce al presidente poteri di controllo sulla conduzione dell'esame, la sua funzione è quella di garantire il regolare svolgimento del dibattimento e non la funzione giudicante, il presidente ha compiti specifici in virtù della posizione di terzo rispetto all'accusa e alla difesa. Il suo intervento è a tutela sia della persona, che della lealtà dell'esame garantendo la legalità del procedimento. Primo compito (comma 4) è la tutela della personalità del soggetto esaminato, risalta l'interesse della persona in quanto tale e dei suoi diritti inviolabili tra cui la libertà morale e di autodeterminazione; secondo compito è assicurare la pertinenza delle domande, le genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni (comma6). Nel dare contenuto a queste regole si può dare al presidente il potere di interdire determinate domande che contengono attacchi al testimone, sia per il contenuto, sia per le modalità, ma anche reprimere premesse alle domande o commenti alle risposte del teste offensivi o tendenti a screditarlo. A garanzia dei commi successivi il presidente deve vietare le domande non pertinenti, divaganti o di mera curiosità e domande che possono alterare le risposte perchè mal poste, garantire la pertinenza per garantire la correttezza dell'esame del teste.

6.(Segue). La violazione delle regole stabilite dall'art. 499 c.p.p.

Dopo aver fissato le regole per la conduzione dell'esame, l'art. 499 c.p.p. tace sulle conseguenze processuali in caso della loro violazione.

Sicuramente non si potrebbe ipotizzare un caso di nullità, più

probabilmente potrebbe realizzarsi dei casi di inutilizzabilità. Secondo

i principi generali il giudice non può utilizzare, al fine della decisione,

prove acquisite illegittimamente in dibattimento perchè assunte in

violazione di divieti stabiliti per legge (art. 191 c.p.p.). Quindi

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l'inosservanza delle regole poste dall'art 499 c.p.p dovrebbe portare ad una prova diversa da quella legittimamente formata in dibattimento. La regolarità dell'assunzione di una testimonianza si riflette sulla sua veridicità e attendibilità e sarebbe affidata ai poteri di controllo del giudice, il quale ben può invitare la parte a riformulare la domanda, evitando da subito una dichiarazione viziata.

La giurisprudenza più recente sostiene che la violazione delle regole dettate dall'art. 499 c.p.p. non dia luogo ad inutilizzabilità perchè non assunte in violazione di divieti, bensì assunte con modalità diverse da quelle prescritte.

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In precedenza la giurisprudenza ritenne che l'art 191 c.p.p. escludesse in generale che si possono utilizzare prove assunte in violazione di un divieto anche se la norma non prevede una sanzione specifica

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, secondo l’art. 191 c.p.p. le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate e l’inutilizzabilità può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Successivo problema è se l'inutilizzabilità colpisce la singola domanda o va a inficiare l'intero esame, per la prima soluzione farebbero propendere tutte quelle norme che prevedono una riproduzione integrale di quanto è avvenuto in aula, attraverso la stenotipia. Non solo è previsto che sia riprodotta nel verbale anche la domanda oltre che la risposta. Se della domanda deve restare traccia nel verbale un qualche rilievo questo deve pure averlo

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. Sicuramente la seconda soluzione appare eccessiva perchè così verrebbero a compromettersi tutte quelle risposte date alle domande formulate correttamente.

Sarebbe meglio operare caso per caso valutando il rapporto esistente

10 Cass. Sez. I, 14/07/2005, Grancini ed altri, 2006, 1247.

11Cass. Sez. I, 25/02/1992, Daniele, GI, 1993, II, 126.

12 F. Spacassi, Considerazioni in tema di esame testimoniale, ANPP, 1991, p. 494.

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tra la parte dell'esame svolto correttamente e quello svolto violando le modalità; vedendo come quest'ultimo ha influito negativamente sulla parte corretta dell'esame. Di conseguenza diverse saranno le soluzioni a seconda la gravità di influenza tra le varie parti dell'esame.

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7. Tutele durante le contestazioni dell'esame testimoniale.

Anche sotto il profilo delle contestazioni il meccanismo proposto dal legislatore mira a garantire la libertà di autodeterminazione del teste, la parte può stimolare il testimone a rivedere ciò che ha detto in sede di esame dibattimentale. È vero che lo scopo della contestazione è quello di far rendere al testimone una dichiarazione difforme dalla precedente, ma questo tentativo deve sempre essere fatto seguendo i canoni della correttezza. Così potrà essere lesiva dell'autodeterminazione la contestazione relativa a circostanze non riferite precedentemente e volta sempre ad aggirare i divieti ex art. 499 c.p.p

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, anche se alcune regole dell’art. 499 c.p.p. valgono solo per l’esame e non per il controesame.

Il legislatore stabilisce (art. 500 I c.p.p.) che possono essere utilizzate per le contestazioni le dichiarazioni precedentemente rese dal teste e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, questa facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostante il testimone ha già deposto. Un primo presupposto è che la dichiarazione deve essere stata resa dallo stesso deponente, il secondo è il mezzo tramite il quale la dichiarazione giunge in dibattimento: il fascicolo del pubblico ministero. Un limite che si può riscontrare è l'inutilizzabilità delle

13 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale. Cit., 2010, p. 303.

14 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. Cit., 2000, p. 42 ss..

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dichiarazioni assunte contra legem. Appurata l'indispensabilità dell'appartenenza della dichiarazione al teste, bisogna chiedersi quali sono gli atti contestabili perchè non tutti quelli a contenuto dichiarativo possono considerarsi dichiarazioni. La giurisprudenza ha operato caso per caso facendo rientrare a volte certi tipo di dichiarazioni e altre volte escludendole.

La portata del primo comma dell'art. 500 c.p.p. viene ampliata se si legge in relazione al secondo comma, questo prevede che le letture in sede di contestazione possono essere utilizzate dal giudice al fine di valutare la credibilità del teste. Fin qui la norma appare piuttosto lineare, ma potrebbe sembrarlo di meno se ci si sofferma sui vari atteggiamenti che il teste contestato può assumere. Questo può negare la veridicità delle dichiarazioni precedentemente rese, così che il giudice prende atto delle due versioni contrastanti deducendone la scarsa attendibilità; può assumere un atteggiamento elusivo o ancora contraddirsi. O ancora può accadere che confermi la versione contestata al sol fine di spiegare le motivazioni che l'hanno indotto a cambiare versione, in questo caso il giudice ben può richiedere la ripetizione della dichiarazione in contraddittorio.

Per quanto riguarda il fine della tutela della libertà di autodeterminazione e della libertà morale i commi successivi prevedono eccezioni all'inutilizzabilità delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, sia per volontà del teste (comma III), sia per altre circostanze emerse in dibattimento (comma IV). L'art.

500 III c.p.p. disciplina una fattispecie che si potrebbe definire autonoma rispetto ai casi previsti dagli altri comma: le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste che rifiuta di essere esaminato non possono essere utilizzate come prova nei confronti del testimone. Ci si chiede a quali dichiarazioni faccia riferimento il comma dell'articolo;

l'assenza dell'avverbio “precedentemente” contenuto negli altri commi,

sembra riferire alle dichiarazioni regolarmente rese. Tuttavia

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analizzando le varie ipotesi che si verrebbero a creare la risposta non pare univoca: se il teste si rifiuta di rispondere all'esame si svuoterebbe il senso stesso del controesame, cioè contestare la credibilità di quanto reso prima, se invece il rifiuto è posto in sede di controesame, salvo il consenso del dichiarante, inutilizzabile diventerebbe l'esame.

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Questo è quello che accade dal punto di vista processuale, se ci spostiamo su quello del diritto del testimone di autodeterminarsi risalta la possibilità di non rispondere, che può utilizzare senza avere ripercussioni di alcun genere e senza doversi preoccupare di smentire eventuali dichiarazioni rese in sedi diverse; quindi una libera scelta del teste.

Diversa è l'ipotesi del quarto comma. Quando anche per le circostanze emerse in dibattimento vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinchè non deponga o deponga il falso, le dichiarazioni precedentemente rese contenute nel fascicolo del pubblico ministero sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle rese dal comma tre possono essere utilizzate. Il legislatore dà attuazione al canone costituzionale della “provata condotta illecita”

(art. 111 V Cost.) che, introducendo una deroga al contraddittorio nella formazione della prova basata su elementi concreti, lascia molto spazio alle situazioni del caso. Un primo intervento della Corte Costituzionale ha precisato la provenienza della condotta illecita cui si riferisce la norma, tale condotta deve provenire da soggetti terzi al dichiarante senza prendere in considerazione le condotte poste in essere dal dichiarante quali la falsa testimonianza.

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Con questa pronuncia la

15 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale, 2010, p. 311 ss.

16 Corte Cost. 12/11/2002, N. 453.

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Corte ha influenzato la successiva giurisprudenza evitando interpretazioni estensive dell'art. 500 IV c.p.p. Si esclude il ricorso a questo quarto comma in caso di collusione attuata dai testimoni, ma può essere applicato nel caso in cui la dichiarazione o il mutamento di questa è stata provocata da un comportamento illegittimo di una parte processuale o da una condotta illecita perpetuata al testimone all'esterno del processo, perciò non solo l'imputato, ma anche terzi che attraverso minacce o violenze possono influenzare la libera scelta del deponente.

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Anche la lettera della norma per cui le interferenze o pressioni possono trasparire da “circostanze emerse in dibattimento”, si presta a interpretazioni dubbie. Il problema è nella vaghezza della norma circa gli elementi che conducono a influenzare il teste e nella vaghezza con cui è stato definito il procedimento volto ad accertare queste situazioni (comma quinto art. 500 c.p.p.). Bisogna tener presente che la verifica consisterà nell'accertare le turbative relative al testimone e non la responsabilità dell'imputato, venendo meno l'esigenza di verificare la corretta acquisizione probatoria. In questo contesto incidentale non si dovrebbe porre il problema del materiale cognitivo utilizzabile, ma preservare l'integrità fisica e morale del teste, così le parti e il giudice possono utilizzare qualsiasi dato utile al fine di valutare la situazione senza incorrere nella sanzione dell'inutilizzabilità.

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Allora in assenza di indicazioni specifiche non si può richiedere che il fatto illecito perpetuato nei confronti del teste venga provato oltre ogni ragionevole dubbio, ma neanche può bastare il semplice sospetto; in ogni caso gli strumenti devono avere ad ogni effetto la qualifica di prova.

17 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale, 2010, p. 330 ss.

18 Paulesu. Giudice e parti nella “dialettica” della prova testimoniale. Giappichelli, Torino, 2002, p. 3753.

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Allontanarsi troppo dal concetto di prova condurrebbe ad un' incostituzionalità del quarto comma. Al giudice si chiede di decidere sulla correttezza degli elementi in base ai parametri di ragionevolezza e persuasività, un giudizio basato sulla libertà di forme e modalità di accertamento, sempre comunque nel rispetto delle modalità disposte dalla legge: per ciò non possono formarsi elementi di prova contra legem. È stata ammessa “la sussistenza di elementi concreti indicativi di subite pregresse intimidazioni desunti dal comportamento processuale del teste e dalle incongruità delle sue affermazioni dibattimentali che hanno trovato supporto nei verbali di indagine del P.M. o dalla difesa non ancora formalmente acquisiti”

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Così ancora si può desumere questo convincimento anche “dallo stato di agitazione del teste, documentato nella video registrazione dell'udienza, dalle giustificazioni inverosimili fornite oltrechè dalla paura che questi aveva nei confronti dell'imputato, già riferita alla p.g. durante le indagini”

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.

Per quanto riguarda il modo in cui devono svolgersi gli accertamenti, il quinto comma introduce una procedura incidentale per valutare la concretezza e la portata degli elementi di turbativa del teste. Il giudice, su richiesta di parte, svolge gli accertamenti che ritiene necessari, prendendo in considerazione gli elementi concreti che dovessero accompagnare la richiesta. La richiesta di parte “che può fornire elementi concreti per ritenere che” la interpretata in ragione del principio generale che riconosce alle parti l'iniziativa di prova; ciò non significa che il giudice non abbia nessun potere in questione: di certo può attivarsi ex officio di fronte l'inerzia della parte. Per quanto riguarda i presupposti in presenza dei quali si può avviare al procedimento incidentale, la giurisprudenza fa dipendere la richiesta a

19 Cass. Sez. I 06/04/2004, PM, Arena, CP 2005, 3840.

20 Cass. Sez. II 08/02/2006, Russo, GD, 2006, fasc. 22, 63.

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elementi sintomatici dell'avvenuta intimidazione, purchè fondati su elementi di ragionevolezza e persuasività e connotati di precisione, obiettività e significatività

21

, proprio in ragione del fatto che la deroga al principio del contraddittorio non può che basasi su elementi concreti e non di natura meramente logica. Tuttavia, in casi particolari, alcune pronunce si discostano dal precedente orientamento: “ nei procedimenti per fatti di violenza sessuale, il riavvicinamento, o riappacificazione della persona offesa con l'imputato possono costituire un elemento concreto ex art. 500 IV c.p.p. per ritenere che possa essere alterata la genuinità della deposizione, in quanto la persona offesa, sentita come testimone, potrebbe essere indotta a circoscrivere, limitare o revocare le precedenti dichiarazioni”

22

.

Altra questione attiene al coordinamento tra il procedimento incidentale e il processo entro il quale si innesta, perchè l'art. 500 V c.p.p. nulla dice sui tempi in cui deve intervenire la richiesta delle parti, sembra che l'iniziativa possa avvenire subito dopo la contestazione della dichiarazione in dibattimento. Quello che il legislatore pare chiedere al giudice è di accertare la sussistenza della condotta illecita sulla base di indizi che conducano ad una tesi di rilevante probabilità. Si richiede anche la celerità di tali accertamenti raccomandandosi che il giudice decida senza ritardo, anche se non sempre l'accertamento potrà rivelarsi breve e semplice perchè potrebbe comportare una parentesi istruttoria; ciò che ben può accellerare i tempi sarà sicuramente l'assenza del rispetto di tutte quelle regole sull'acquisizione delle prove: questo non vuol dire che ci deve essere un'assenza totale delle stesse

23

.

21 Cass. Sez. VI 23/03/2005, Iannizzi, CP, 2007, 2722.

22 Cass. Sez. I 02/03/2007, Trissi, CP, 2008, 2030.

23 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale, 2010, p. 238 ss.

(19)

L'art. 500 settimo comma contiene una disposizione di chiusura: i divieti posti dal legislatore possono essere superati dall'accordo tra le parti. L'inizio dell'articolo ci dice che bisogna tenere fuori i casi di cui il quarto comma, significa che non si può escludere il controllo del giudice sullo stato di pressione del teste, per quanto riguarda le altre ipotesi dell'articolo non può escludersi l'applicazione del settimo comma e non può escludersi nemmeno che il testimone sia stato sentito. Tuttavia nel confronto col sesto comma dove la contestazione delle dichiarazioni è espressamente prevista e si pone come presupposto, si potrebbe dedurre la non necessaria audizione del teste;

non bisogna però non tenere conto del dato sistematico e cioè dell'inserimento della previsione tra le disposizioni in tema di contestazioni.

Invece per quanto riguarda la mancata osservanze dell'art. 500 c.p.p.

viene ricondotta ad un caso di nullità intermedia per violazione del diritto di difesa, di conseguenza sarà sanata se non eccepita ad opera della parte che assiste e immediatamente dopo il compimento dell'atto.

Di fronte la negata possibilità di effettuare le contestazioni, la violazione dell'articolo deve essere immediatamente eccepita e, in caso contrario dovrà ritenersi sanata. Se viene inserito nel fascicolo del dibattimento il verbale di una dichiarazione contestata durante un esame testimoniale, in violazione dell'art. 500 c.p.p., la conseguenza processuale sarà l'inutilizzabilità a fini decisori della dichiarazione.

8. b)Avvertimenti sulla responsabilità. Diritto di non deporre su fatti che possono integrare la responsabilità penale.

La previsione dell'art. 198 II c.p.p. disciplina la possibilità di stare

silenzio in capo al testimone in caso in cui le circostanze su cui deve

deporre possono comportare una sua responsabilità penale. La garanzia

si configura come un limite della self-incrimination, ed è norma di

(20)

comportamento per l'interlocutore del teste e si raccorda anche con la disciplina contenuta all'art. 63 c.p.p. in riferimento al regime delle dichiarazioni indizianti rese da un soggetto non imputato o non indagato. Proprio in quest'ambito la libertà di autodeterminazione del testimone raggiunge il suo apice, perchè sulle dichiarazioni che potrebbero far emergere una responsabilità penale, non solo non opera la disciplina prevista per la falsa testimonianza, ma in più non può essere effettuata nessuna pressione sul teste ad opera dei sui interlocutori, e ancora deve essere fornita tempestivamente l'informazione dell'operatività del principio in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale.

Sebbene il dettato del secondo comma dell'articolo si indirizzi al

giudice quale garante del corretto svolgimento dell'esame e di

interlocutore diretto col teste, non può negarsi che la regola operi

anche per il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, assumendo il

ruolo di norma precettiva per chiunque proceda ad esame o ad

assunzione di dichiarazioni. L'ambito oggettivo di tutela è anche molto

ampio: non si presenta solo come autotutela di fronte a domande che

possono portare all'autoincriminazione, ma è anche un dovere di non

richiamare i dettami normativi previsti agli obblighi di deposizione e di

verità ,nè tanto meno pressioni di altro tipo quali la minaccia di

trasmissione degli atti al pubblico ministero al fine di indurre il teste a

una dichiarazione autoindiziante o autoincriminante. Inoltre non è

necessaria una certezza circa la successiva incriminazione del teste, è

sufficiente la verosimiglianza di questa eventualità. Ciò non significa

che il teste può rifiutarsi di comparire o di assumere tale ruolo; la

garanzia dell'art. 198 II c.p.p. opera successivamente e presuppone la

corretta instaurazione del contraddittorio. Inoltre il codice ha previsto

un regime sanzionatorio in caso di violazione del diritto a non

autoincriminarsi, sia la regola relativa alle dichiarazioni indizianti

effettuate dal soggetto non imputato o indagato (art. 63 I c.p.p.), sia la

(21)

previsione di inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti. Con riferimento a quanto dichiarato non ostante gli avvertimenti circa il mutamento della posizione processuale da testimone a indagato e circa la facoltà di nominare un difensore, dovrebbe ritenersi esclusa qualsiasi sanzione processuale in quanto le dichiarazioni successive possano essere frutto della libera autodeterminazione del teste. La sanzione del'inutilizzabilità si rinviene nell'ipotesi di violazione dell'articolo e dunque di coercizione della libera autodeterminazione del soggetto operata nel corso dell'esame, in questo caso la lesione della determinazione è causata dalla mancata osservanza degli obblighi prescritti

24

.

La norma consente di ottenere un duplice risultato: da un lato, evitare che la collaborazione testimoniale si imbatta in vaghi sospetti di colpevolezza a carico del dichiarante, dall'altro, escludere che la testimonianza si trasformi, per il testimone stesso, in una situazione di rischio di self-incrimination. Spetterà al giudice la valutazione circa la sussistenza nel caso concreto del pericolo ipotizzato dalla norma e spetterà al soggetto l'onere di rendere presente al giudice un'eventuale propria compromissione in fatti di reato.

9. Avvertimento della responsabilità penale in caso di testimonianza falsa.

L'art. 198 I c.p.p impone al teste l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono state proposte, al fine di assicurare al processo la collaborazione del testimone. La norma è supportata da altre previsioni volte a predisporre una responsabilità diretta e meccanismi di repressione in caso di violazioni. L' aver bandito

24 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. Cit, 2000, p. 63 ss..

(22)

l'utilizzo di metodologie che tendono ad assicurare la veridicità delle dichiarazioni, e aver ridotto le coercizioni psicologiche tramite le modalità di conduzione dell'esame, non significa che l'ordinamento abbia lasciato totale discrezionalità al testimone circa la genuinità delle proprie dichiarazioni. Sotto questo profilo le esigenze del processo possono porsi in contrasto con la libera autodeterminazione e l'incoercibilità della sfera psichica del teste. La difficoltà di garantire la veridicità della testimonianza trova riscontro nelle modalità per ottenerla: per lo più agiscono attraverso il richiamo alla solennità dell'impegno assunto. In questa categoria rientrano sia l'assunzione della responsabilità da parte del testimone, che gli avvertimenti giudiziali circa gli obblighi di verità e le conseguenze in caso di inosservanza. Il comma secondo dell'art. 497 c.p.p. si rivolge al presidente stabilendo quali attività deve svolgere prima dell'escussione di ogni testimonianza, distinguendo tra avvertimenti e inviti. Tra gli avvertimenti il presidente, prima che l'esame abbia inizio, deve comunicare al testimone sia l'obbligo di dire la verità, sia la responsabilità penale prevista per i testimoni falsi o reticenti. Solo successivamente invita il teste a leggere la dichiarazione formulata dallo stesso legislatore, abbandonando il giuramento previsto dal codice previgente, ma mantenendo una solennità nella formula che costituisce un impegno pubblico e che vincola giuridicamente e moralmente il testimone. Il mancato rispetto di questi adempimenti comporta la sanzione della nullità come prevede il terzo comma del medesimo articolo

25

. Importante sotto il profilo della libertà morale e di autodeterminazione è la previsione degli avvertimenti operati dal presidente e la terminologia usata che cerca di dar maggiore rispetto della personalità e responsabilità del teste. Anche se nessuna

25 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale, 2010, p. 285 ss.

(23)

previsione lo esplicita è da ritenersi che gli avvertimenti devono essere dati esclusivamente dal giudice, escludendo così tutti i casi che non sono previsti dalla legge e ad opera di soggetti diversi.

Fondata sulla coazione psichica del testimone è la disciplina della falsa testimonianza, che avendo abbandonato i meccanismi della restrizione della libertà tramite l'arresto in flagranza, e della procedibilità con rito immediato, continua ad essere incentrato sulla reiterazione degli avvertimenti e sulla minaccia della sanzione penale. La disciplina punisce la condotta posta in essere di fronte l'autorità giudiziaria (art.

372 c.p.) e chiunque sia richiesto dal pubblico ministero di fornire

informazioni ai fini dell' indagine (art. 371 bis c.p.). Le due previsioni

penali non si presentano coincidenti: la falsa testimonianza si

perfeziona quando il teste afferma il falso o nega il vero, o tace in tutto

o in parte su ciò che sa; le false informazioni comprendono solo il

comportamento di chi rende dichiarazioni false o tace in tutto o in

parte su ciò che sa. La minaccia della sanzione risulta di una certa

gravità sia a causa degli elevati limiti edittali, sia dell'indipendenza

della pena dal procedimento in corso del quale la testimonianza falsa è

stata resa. La sproporzione delle sanzioni pone il soggetto in una

condizione di inferiorità psichica rispetto a chi ha il potere di valutare

la coerenza e la veridicità delle sue dichiarazioni. Tralasciando le

problematiche sostanziali, bisogna rilevare come la prevenzione alla

testimonianza falsa si spinga al momento successivo alla commissione

del fatto, venendo alla luce come l'interesse del legislatore non è solo

la persecuzione del reato, ma anche la genuinità della prova

testimoniale. Il meccanismo della ritrattazione opera per il teste un'

altra pressione volta a indurlo ad una deposizione diversa da quella

precedentemente resa. Sul piano processuale il codice ha cercato di

ridurre al minimo le pressioni psicologiche per indurre il teste a

depositare il vero, introducendo una separazione del giudizio di falsità

dal giudizio in corso; solo dopo la conclusione del processo in corso si

(24)

trasmetterà il materiale probatorio al pubblico ministero, il quale successivamente aprirà un procedimento a carico del testimone. L'art.

207 c.p.p. disciplina le ipotesi dei testimoni sospettati di falsità o reticenza e i testimoni renitenti. Se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti il presidente in prima battuta rinnova gli avvertimenti di cui all'art 497 II c.p.p., allo stesso avvertimento provvede nel caso in cui il testimone si rifiuta di deporre fuori dai casi previsti dalla legge, successivamente se il testimone continua a rifiutarsi trasmette gli atti al pubblico ministero.

Anche in fase di giudizio, se il giudice ravvisa un caso di falsa testimonianza, ne informa il pubblico ministero e gli trasmette gli atti

26

.

10. (Segue) Divieto d'arresto del testimone.

La massima coazione sul testimone al fine di indurlo ad una dichiarazione veritiera era realizzata, nel codice abrogato, attraverso il meccanismo dell'arresto in udienza del testimone falso e la sua persecuzione tramite rito immediato. Molteplici critiche furono mosse a tale procedura da parte della dottrina, non tralasciando l'aspetto della violenza morale a cui il testimone risultata assoggettato, in un sistema basato esclusivamente sulla minaccia e sull'intimidazione. Il codice del 1988 ha optato per una scelta diversa: ha interdetto ogni restrizione della libertà immediata consequenziale alla falsa deposizione. Tale volontà è stata espressamente prevista sancendo il divieto di arresto del testimone in udienza per reati concernenti il contenuto delle dichiarazioni (art. 476 II c.p.p. ), ricomprendendo in tale locuzione

“tutti i reati che potrebbero esporre il teste a forme più o meno dirette di coercizione psicologica

27

. Una previsione così poteva comunque

26 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. Cit., 2000, p-60 ss..

27 D. Siracusano, Il giudizio, in D. Siracusano- A. Galanti-G. Tranchina-E. Zappalà, Diritto processuale penale, II, Milano, 1999, p. 322.

(25)

risultare sufficiente quando alla falsa testimonianza non si accompagnava la previsione della parallela incriminazione perle dichiarazioni rese nel corso del procedimento al pubblico ministero:

dopo che il dovere di dire di verità si è esteso ad ogni momento processuale ed è stata introdotta la fattispecie citata, la regola contenuta ex art. 476 II c.p.p. è risultata insufficiente a garantire il teste da repentine restrizioni di libertà determinate dal contenuto delle dichiarazioni rese. Si era diffusa una tendenza giurisprudenziale

28

ad avallare la legittimità dell'arresto del soggetto che avesse reso al p.m.

dichiarazioni ritenute false.

La conseguenza era che l'immediata restrizione di libertà personale, e con essa di autodeterminazione, risultava addirittura anticipata rispetto al dibattimento e mirava a produrre forti pressioni ai fini di eventuali ritrattazioni. Tale impostazione soggetta a progressiva revisione

29

, ha rimediato l'art. 381 IV bis c.p.p. che ha escluso “l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni il rifiuto di fornirle”. La tutela pressioni e intimidazioni fornita dalla norma copre non tanto l'informatore renitente, quanto il soggetto le cui dichiarazioni possano integrare il reato di dichiarazioni false o reticenti informazioni, di calunnia o di favoreggiamento personale.

Il recupero dei valori di libertà e di tutela delle pressioni e intimidazioni correlate all'immediata restrizione fisica nei confronti del potenziale testimone non ha determinato unanime adesione. Accanto a chi aveva sostenuto la necessità di un'abrogazione della fattispecie

28 Cass. Sez. VI, 6/5/1994, Accavone ed altri, CED, m. 198756; Cass. Sez. IV 25/3/1993, Di Marco, GI 1994, II, 646; Contra Cass. Sez. VI 30/5/1994, Battarello, RP 1995, 166.

29 Si veda Cass. Sez. VI 25/3/1994, Palumbo, DPP 1995, 90.

(26)

penale sottostante

30

o ha appoggiato l'esplicazione del divieto di arresto

31

, non è mancato infatti chi ha letto nella previsione una precostituita e immotivata sfiducia nei confronti del pubblico ministero e un depotenziamento dell'attività investigativa

32

.

11. Introspezioni sul testimone ed indagini sulle capacità fisiche e mentali.

Il divieto di introspezione sulla persona del testimone non risulta assoluto; il codice pare interdire il ricorso a metodologie e osservazioni scientifiche soltanto al momento dell'assunzione della prova e solo nella misura in cui queste siano in grado di interferire sulla capacità mnemoniche e valutative e che possono ritenersi lesive della libera autodeterminazione del teste. Il principio dell'obbligo testimoniale ha indotto il legislatore a disegnare un ampio potere giudiziale circa la possibilità di valutare l'attendibilità del teste, fino alla possibilità di disporre accertamenti in senso tecnico per valutare l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza. Questi accertamenti sul testimone si differenziano da quelli ex art. 188 c.p.p. sotto diversi profili: in primis vengono consentiti al fine di valutare le dichiarazioni del teste e, inoltre, la finalità è quella di valutare l'idoneità fisica e psichica a rendere la testimonianza. Gli esami devono risultare necessari: il teste non può essere, quindi, sottoposto ad accertamenti senza fondati motivi di dubbio circa la sua integrità fisica e mentale. Però da un altro punto di vista sembra che la norma lasci molto spazio alla discrezionalità del giudice che rimane sempre, anche su richiesta delle parti.

30 G.P. Voena, Investigazioni ed indagini preliminari, p. 270.

31 G.P. Voena, Commento all'art. 26 l.332/95, in AA. VV., Modifiche, p. 374 ss..

32 A. Giannone, Commento all'art. 26 l.332/95, in AA. VV., Commento alle nuove norme sulla custodia cautelare, Bologna 1996, p. 245 ss..

(27)

Per quanto riguarda la tipologia degli accertamenti, la norma precisa che devono essere scelti in modo opportuno e svolti con i mezzi consentiti dalla legge. Il legame con l'oggetto della perizia sembra necessario: più frequenti saranno gli esami medici volti a valutare la funzionalità degli organi sensoriali o altre qualità fisiche, ma più problematica pare l'incidenza sulla sfera psichica del testimone degli accertamenti che riguardano l'idoneità mentale. La norma sembra lasciare spazio all'utilizzo di perizie psichiatriche o psicologiche, al fine di verificare infermità mentali e stati psichici dipendenti da cause patologiche o indagini sulla personalità. In realtà sarebbe meglio abbracciare un'interpretazione più restrittiva.

L'art 202 II c.p.p. pare aver escluso il ricorso a perizie per stabilire le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Le indagini psicologiche, anche se utili alla libera valutazione del giudice, mettono a nudo la sfera individuale del testimone. Per ciò è necessario chiarire quale sia il margine di operatività dell'art. 196 c.p.p. sullo stato mentale del teste. L'impostazione adottata pone problemi di compatibilità tra la funzione pubblica della testimonianza e il rispetto della personalità del testimone stesso. Altro problema è il caso in cui il testimone non voglia sottoporsi agli accertamenti richiesti dal giudice, perchè la norma nulla dice a riguardo, però se continuiamo a paragonare questi casi alla disciplina della perizia dobbiamo ritenere che il giudice debba dare gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte all'esame del perito e adottare tutti gli altri provvedimenti necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali (art. 202 II c.p.p.). La questione riguarda la compatibilità della disciplina con la previsione in tema di libertà personale e la declaratoria di illegittimità da parte della Corte Costituzionale dell'art.

202 II c.p.p. nella parte in cui consente al giudice di disporre di misure

(28)

che incidano sulla libertà personale , al di fuori dei casi previsti dalla legge

33

.

Fu dichiarato anche illegittimo anche l'art. 224 II c.p.p. proprio perchè se ne poteva desumere la possibilità del giudice di disporre eventuali prelievi coattivi di sangue, ovvero di altri tessuti o materiali organici, qualora fossero ritenuti necessari

34

. Dopo anni di vuoto normativo adesso la disciplina è cambiata con l'introduzione dell'art. 224 bis c.p.p. ad opera della legge n. 85 del 2009 il quale regola i provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale. L'art 224 bis I c.p.p.

prevede che: quando si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione nel massimo a tre anni e negli altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali possono essere il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA accertamenti medici, e non vi è il consenso della persona da sottoporre all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, ne dispone con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Si stabilisce che la suddetta

33 Sent. Corte Cost. n. 238/1996

34 Con Sent. N. 238/1996 la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità, per contrasto con l'art.13 II Cost., dell'art. 224 II c.p.p. “nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidono sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificatamente previste nei casi e modi della legge”. La Corte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del prelievo ematico coattivo, per l'espletamento di una perizia, ai fini dell'accertamento del DNA, ha affermato che la disposizione censurata presenta assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione in positivo dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto può ritenersi che sia legittimo procedere alla esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l'adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale).

(29)

ordinanza debba contenere: oltre le generalità della persona da sottoporre all'esame peritale, l'indicazione delle ragioni che la rendono indispensabile, l'avviso della facoltà del soggetto di farsi assistere da un difensore o da una persona di fiducia. Quanto alle modalità si prevede che non possono in alcun modo essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, ovvero che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità (comma IV), salva l'esigenza del rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto (comma V). Qualora la persona invitata a presentarsi per i fini di cui al comma 1 non compare senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporre che sia accompagnata, anche coattivamente, nel luogo, nel giorno e nell’ora stabiliti. Se, pur comparendo, rifiuta di prestare il proprio consenso agli accertamenti, il giudice dispone che siano eseguiti coattivamente. L’uso di mezzi di coercizione fisica è consentito per il solo tempo strettamente necessario all’esecuzione del prelievo o dell’accertamento (comma VI). In ogni caso si prevede che l'atto peritale sia nullo quando la persona che vi si è sottoposta non sia assistita dal difensore, se nominato (comma VII)

35

.

12. La testimonianza assistita.

La consapevolezza che l'imposizione dell'obbligo testimoniale a carico dei soggetti ex art.197 lett. a) b) c.p.p. avrebbe potuto contrastare con il principio secondo cui nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale, ha portato il legislatore nel 2001 a prevedere garanzie per questi. La Corte costituzionale ha detto che il

35 G, Conso- V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, 2012, p. 351 ss..

(30)

principio in questione è un corollario essenziale del diritto di difesa

36

. Prima tra tutte la garanzia della necessaria presenza di un difensore sia di fiducia che, in mancanza, d'ufficio che riveste un ruolo essenziale in difesa del dichiarante. In più il difensore ha il compito di evitare che il proprio assistito si trovi nella situazione di fornire risposte autoincriminanti. Il quarto comma menziona il privilegi contro l'autoincriminazione, distinguendo secondo che il teste sia stato già condannato o effettui la deposizione quando pende ancora a suo carico il procedimento penale. Nel primo caso, egli non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna bei sui confronti, se nel procedimento aveva negato la propria responsabilità ovvero aveva reso alcuna dichiarazione (art. 197 bis IV c.p.p.). Il privilegio in questo caso viene accordato a chi sia stato condannato in seguito a giudizio, escludendo chi è stato irrevocabilmente prosciolto o a chi ha patteggiato. Non semplice è la successiva ipotesi del quarto comma rivolta a chi “aveva negato la propria responsabilità”: essa comprende sia le strategie difensive volte a negare l'esistenza delle circostanze integranti un reato, nonché le cause di giustificazione; mentre sono in dubbio tutte le altre cause di non punibilità. Altrettanto dubbia è l'espressione “non aveva reso alcuna dichiarazione” perchè non è semplice comprendere se essa debba essere limitata alle sole ipotesi in cui il soggetto non renda dichiarazione o anche ai casi in cui il soggetto non risponde sulla propria responsabilità.

Il quinto comma dell'art. 197 bis c.p.p. sancisce l'inutilizzabilità contro il testimone delle dichiarazioni rese dai coimputati, dagli imputati di reati connessi ex art. 12 lett c) c.p.p. o collegati ex art. 371 II lett. a) c.p.p., che abbiano assunto il ruolo di testimone nel procedimento a proprio carico, nel procedimento di revisione della sentenza di

36 Sent. Corte Cost. n. 291/2002

(31)

condanna o in qualsiasi giudizio civile o amministrativo, relativo al fatto oggetto dei procedimenti o sentenze su dette.

Il legislatore al sesto comma ha imposto al giudice la stessa regola di valutazione della prova sancita all'art. 192 III c.p.p.: le dichiarazioni provenienti da costoro devono essere corroborate da riscontri che ne confermano l'attendibilità

37

SEZIONE II: DIRITTO ALLA RISERVATEZZA.

13. Premessa.

La definizione del diritto alla privacy presenta alcune difficoltà soprattutto perchè la nostra Costituzione tace a riguardo, anche se abbiamo riconoscimenti a livello internazionale espressi in termini generali. Progressivamente si è affermata la consapevolezza della distinzione tra privacy e riservatezza: il contenuto della privacy è sia il diritto alla conoscenza esclusiva delle vicende relative alla propria vita privata, che il diritto al controllo dei propri dati personali; la riservatezza, invece, attiene solo al momento della non divulgazione delle vicende attinenti la vita privata. L'esigenza della tutela alla riservatezza è stata caratterizzata da una dimensione individualistica, da un lato il progresso tecnologico ha permesso forme di ricerca delle notizie capaci di incidere sulla spera personale dell'individuo, dall'altro la diffusione dei mezzi di comunicazione hanno reso lesivo il profilo della comunicazione delle notizie. Inoltre la riservatezza ha anche

37 C. Di Martino-T. Procaccianti. La prova testimoniale nel processo penale, 2010, p. 64 ss.

(32)

assunto un significativo rilievo da un punto di vista sociale e collettivo, assumendo particolare importanza anche le forme di controllo.

Il riconoscimento del diritto alla riservatezza ha avuto ampio riscontro nel nostro ordinamento, dove si individuano situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, mancando sempre, in queste sedi, un contenuto di carattere definitorio. Si può sostenere che il diritto in questione ha vari riconoscimenti a livello costituzionale, a volte riconducendolo tra i diritti inviolabili ex art. 2 Cost., altre volte agli artt. 13, 14, 15 collocandolo tra i diritti inerenti l'inviolabilità personale. Non manca una prospettiva internazionale dove troviamo un tutela del diritto alla riservatezza sia nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo (art. 12), che nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (art. 8).

Il rapporto tra processo penale e privacy si pone in termini conflittuali, ci sono molti punti in contrasto con le regole del codice di procedura penale; per fare degli esempi: la pubblicità delle udienze, la diffusione di fatti e notizie di carattere personale, in più il pregiudizio alla riservatezza coinvolge tutti i soggetti che partecipano al processo e quindi anche al testimone.

14. Udienza pubblica e riprese audiovisive in udienza.

Con riferimento al pubblico in udienza, il principio della pubblicità delle udienze è previsto, in linea generale, all' art. 471 I c.p.p..

Risultano due limiti: il primo è il riferimento alla sola udienza

dibattimentale lasciando fuori le udienze antecedenti, il secondo è

l'esclusione individuale ispirate dalla necessità di salvaguardare

l'ordine processuale e l'esclusione collettive inspirate a valori o

interessi di carattere processuale ed extraprocessuale. L'art. 472 II

c.p.p. prevede che, su richiesta dell'interessato, si proceda a porte

(33)

chiuse all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza di testimoni o parti private in ordine a fatti che costituiscono oggetto dell'imputazione. La possibilità che la pubblicità del processo potesse creare pregiudizio alle persone coinvolte a causa della possibile divulgazione di notizie private viene riconosciuta dalla Corte Costituzionale

38

, e poi consacrata dalla regola del dibattimento a porte chiuse. La previsione ex art. 472 II c.p.p. tutela la riservatezza di testimoni e parti private in relazione alle prove assunte. Così l'interessato può chiedere e ha il diritto di ottenere dal giudice un'ordinanza, sentite le parti, di precedere a porte chiuse ai sensi dell'art. 473 I c.p.p.. La necessaria richiesta dell'interessato nel secondo comma dell'art. 472 c.p.p. evidenzia come il bene protetto sia lasciato alla disponibilità del titolare, e la previsione di sentire le parti lascia spazio al contraddittorio. La deroga però non è definitiva perchè è possibile revocarla ex art. 473 I c.p.p.. I margini dell'esclusione dei soggetti è poi confermata dai successivi comma 2 e 3 dell'art. 473 c.p.p. che ammettono la presenza di coloro i quali abbiano diritto o dovere di intervenire. In caso di chiusura delle porte, di certo, non è ammessa, per ragioni di riservatezza, la presenza di quei soggetti che non sono parte necessaria del processo

39

.

I pregiudizi maggiori alla riservatezza derivano dall'ingerenza della cronaca giudiziaria, che ha ampliato il ricorso alle riproduzioni e alle diffusioni di ogni tipo di udienza penale. In gioco ci sono tre tipi di interessi: diritto alla cronaca, ordine del processo e diritto alla riservatezza. L'attenzione normativa è sul mezzo audiovisivo utilizzato come strumento di pubblicità processuale così come ha ben espresso la

38 Sent. Corte Cost. 2/65. “la pubblicità dei fatti di causa può apportare conseguenze veramente gravi, sia in relazione allo sviluppo spirituale, sia in relazione alla vita materiale”.

39 L. Scomparin. La tutela del testimone nel processo penale. 2000, p. 137 ss.

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