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FILIPPO VIOLA LA SOCIETA' ASTRATTA. Un sistema di indifferenza alla realtà esistenziale degli uomini e delle donne in carme e ossa

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FILIPPO VIOLA

LA SOCIETA' ASTRATTA

Un sistema di indifferenza alla realtà esistenziale

degli uomini e delle donne in carme e ossa

Libro Secondo CRISI E RIPRESA

Edizione definitiva ampliata e aggiornata in tre volumi

W eb E dit

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FILIPPO VIOLA

LA SOCIETA' ASTRATTA

Un sistema di indifferenza alla realtà esistenziale

degli uomini e delle donne in carme e ossa

Libro Secondo CRISI E RIPRESA

Edizione definitiva ampliata e aggiornata

in tre volumi

W eb E dit

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Opere di FILIPPO VIOLA

Sociologo eretico e umile militante del sogno rivoluzionario degli sfruttati, degli oppressi

e degli emarginati.

Edizione Web: Maggio 2013 Web Edit

www.filippoviola.org

Edizione depositata

E-mail: info@filippoviola.org

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Contro la mercificazione della cultura.

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In caso di riproduzione, anche parziale, si richiede la citazione della fonte (autore, titolo, Web Edit: www.filippoviola.org).

E’ consentita la libera circolazione, non commerciale.

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A Franca, per tutto il bello

che ha fatto sbocciare nella mia vita.

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I N D IC E Libro Secondo CRISI E RIPRESA

Pag.

Traccia introduttiva Traccia introduttiva 13 LE DINAMICHE DELLA

SOCIETA' ASTRATTA

28.1 La società astratta fra astrazione e indeterminazione 28.2 Forza e debolezza della società astratta

28.3

Sezione Quarta 19 LA SOCIETA’ ASTRATTA

IN FASE DI CRISI

Capitolo Ventinovesimo 21 LA CRISI ECONOMICA

NELLA SOCIETA' ASTRATTA

29.1 Crisi economica e valorizzazione del capitale 29.2 Globalizzazione dell'economia e crisi economica

Capitolo Trentesimo 25 LA CRISI SOCIALE

NELLA SOCIETA' ASTRATTA

30.1 Dalla crisi economica alla crisi sociale

30.2 Le radici della crisi: dal rapporto produzione-consumo al rapporto capitale-lavoro

30.3 Crisi e disgregazione sociale

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Capitolo Trentunesimo 29 LA CRISI ESISTENZIALE

NELLA SOCIETA' ASTRATTA

31.1 Crisi sociale e crisi esistenziale 31.2 Declino dei movimenti e crisi esistenziale 31.3 Crisi esistenziale e “riflusso”

Capitolo Trentaduesimo 33 LA CRISI DELL'ASTRAZIONE SOCIALE

32.1 Astrazione capitalistica e concretezza sociale 32.2 Origine della crisi dell’astrazione sociale

Capitolo Trentatreesimo 35 L'AGIRE CAPITALISTICO

FRA REALTA' E IDEOLOGIA DELLA CRISI

33.1 La crisi fra realtà congiunturale e contraddizioni strutturali 33.2 L'agire capitalistico nella crisi

33.3 Definizione formale e soluzione sostanziale della crisi 33.4 Ideologia e realtà della crisi

Sezione Quinta 41 LA SOCIETA' ASTRATTA

IN FASE DI RIPRESA

Capitolo Trentaquattresimo 43 DALLA CRISI ALLA RIPRESA

DELLA SOCIETA' ASTRATTA

34.1 Presupposti della ripresa presenti nella crisi

34.2 La produzione di profitto come “questione sociale”

34.3 La ristrutturazione tecnologica come condizione per il superamento della crisi

34.4 L'ideologia della iniziativa personale

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Capitolo Trentacinquesimo 49 LA RIDEFINIZIONE DELLA STRUTTURA SOCIALE

35.1 La ridefinizione della realtà sociale 35.2 La differenziazione sociale 35.3 La verticalizzazione sociale

35.4 Il trasferimento di risorse sociali 35.5 Il recupero della meritocrazia

35.6 Il ripristino della selezione sociale

Capitolo Trentaseiesimo 57 PRIVATIZZAZIONI

ED ESSERE SOCIALE

36.1 La questione sociale delle privatizzazioni 36.2 La privatizzazione dei servizi essenziali 36.3 La cultura del privato 36.4 Interesse egoistico e solidarietà di classe

Capitolo Trentasettesimo 61 RISTRUTTURAZIONE E OCCUPAZIONE

TRA PROFITTO E SOPRAVVIVENZA

37.1 L'ambivalenza dell'occupazione operaia 37.2 L'estraneità operaia 37.3 La mobilità occupazionale

37.4 L'istituzionalizzazione della disoccupazione tecnologica 37.5 Dal modello ideologico al modello economico

Capitolo Trentottesimo 69 LA DETERMINAZIONE INDUSTRIALE

DEL CONSUMO SOCIALE

38.1 L’effetto della introduzione dell’euro sulle retribuzioni

38.2 Una operazione ideologica: la “ridistribuzione delle risorse”

38.3 Il modello tradizionale del rapporto fra produzione e consumo

38.4 Il sistema di determinazione industriale del consumo sociale 38.5 L’induzione dei bisogni

38.6 Un caso emblematico: il consumo di telefonia mobile

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Capitolo Trentanovesimo 75 LA RISTRUTTURAZIONE DEL POTERE

39.1 La disaggregazione sociale 39.2 L'istituzionalizzazione della vita sociale 39.3 La ridefinizione della struttura di potere

39.4 Il sistema di contenimento della concretezza sociale

Libro Secondo – Conclusione 81 LA SOCIETA' ASTRATTA

FRA CRISI E RIPRESA

Sezione Sesta 87 Studi

CRISI E CAPITALE

Prima Edizione (1980) 89 LA CRISI DELLA SOCIETA’ ASTRATTA

COME CRISI DEL CAPITALE

NEL QUADRO DELLA TEORIA DI MARX

T1.1 Forma e causa della crisi nella teoria di Marx T1.2 Il rapporto tra capitale e lavoro T1.3 Dal ciclo economico al ciclo politico T1.4 Crisi economica e crisi sociale T1.5 La crisi economica come crisi della società astratta

T1.6 La crisi della società astratta come crisi dei valori operativi del capitalismo

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Prima Edizione (1980) 97 L’IDEOLOGIA DELLA CRISI

T2.1 Ideologia e realtà della crisi T2.2 I caratteri della crisi economica T2.3 L’agire capitalistico nella crisi T2.4 L’ideologia della crisi in un documento di programmazione economica

Nota editoriale 113 Nota biografica 115

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Traccia introduttiva LE DINAMICHE DELLA

SOCIETA' ASTRATTA

Riteniamo opportuno distinguere - in sede di analisi - due modi di essere della società astratta: in fase di crisi e in fase di ripresa. Una tale distinzione ci consente di definire i caratteri distintivi della crisi da una parte e della ripresa dall'altra, in modo da poterli individuare in quanto componenti della dinamica sociale. In realtà, l'andamento ciclico della crisi tende ad essere superato.

Siamo già in una situazione di intreccio fra crisi e ripresa.

Riproponiamo, come Premessa al Libro Secondo, la «Conclusione del Libro Primo», in cui viene data una traccia del discorso sulla società astratta.

28.1 La società astratta fra astrazione e indeterminazione

La società sussunta al capitale può funzionare come società formalmente democratica nella misura in cui riesce a fare astrazione dalla realtà sociale, a definirsi come società astratta, come sistema di indifferenza sociale, come sistema di indifferenza alla condizione esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa.

Funzionale al sistema di astrazione sociale è il processo di indeterminazione sociale. La società complessiva in tanto è sussunta al capitale in quanto la vita sociale è priva di determinazioni proprie e disponibile nei confronti del processo di valorizzazione capitalistica. D'altra parte, la struttura sociale può fornire l'indeterminazione necessaria al libero gioco della valorizzazione del capitale nella misura in cui riesce a fare astrazione dalla realtà sociale.

L'indeterminazione sociale è un prodotto della sovradeterminazione capitalistica della società complessiva. Il capitale in tanto ottiene indeterminazione sociale in quanto riesce a sovradeterminare la società complessiva. L'indeterminazione non è dunque assenza di determinazione, ma spostamento di determinazione dalla società complessiva al capitale.

Questo spostamento, operato tramite il sistema istituzionale, produce nella collettività uno stato di subalternità.

La fruizione capitalistica dell'essere sociale richiede I'emancipazione del soggetto dalla sua stessa identità culturale ed esistenziale. La specificazione sociale della persona - in termini di radicamento in una cultura determinata, di

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attaccamento ad un particolare contesto di rapporti sociali - è un limite per la sua prestazione in quanto forza-lavoro manuale-intellettuale.

In tal senso, è adeguato al processo di valorizzazione capitalistica un individuo astratto, cioè un soggetto - uomo o donna - che si nega in quanto persona ed è disposto a definirsi come "uno, nessuno e centomila", per dirla con un famoso titolo pirandelliano. E sono adeguati alla società sussunta al capitale rapporti sociali astratti, cioè relazioni svincolate da qualsiasi espressione della soggettività.

L'astrazione tende a investire tutti gli aspetti della dinamica sociale. Le idee-forza su cui si regge l'organizzazione capitalistica della società si rivelano come valori astratti che, recidendo ogni riferimento alla concretezza della vita sociale, tendono a far sedimentare nella coscienza collettiva il punto di vista della classe dominante.

Così la dimensione esistenziale viene segregata dentro la sfera della valorizzazione capitalistica. E la vita quotidiana di milioni di uomini e di donne viene piegata alle cadenze del processo di produzione. Al tempo dell'esistenza si sovrappone il tempo astratto dell'uso della forza-lavoro.

Il sistema di astrazione sociale crea dunque le condizioni per la valorizzazione capitalistica e predispone la sussunzione della società al capitale. Esso è fonte di potere economico e presupposto per il potere politico.

Questo doppio potere tende per un verso a legare la struttura sociale al capitale, per l'altro a liberare il capitale dal carico della collettività. Da un lato la sussunzione della società al capitale, dall'altro I'emancipazione del capitale dai vincoli sociali. Quanto più la società-struttura è sussunta al capitale, tanto meno il capitale si sente condizionato dalla società-collettività.

L'ideologia borghese tende a presentare i vincoli sociali come ostacoli allo sviluppo della società. Nel modello ideologico borghese la vita reale degli uomini e delle donne in carne e ossa compare come limite della società astratta. Si tratta, come al solito, di una inversione. In effetti, è la società astratta che tende ad imporsi come limite della vita reale. E' la società-struttura che tende a sovrapporsi artificiosamente alla società-- collettività.

Questa sovrapposizione produce conseguenze drammatiche nella vita sociale. Le persone hanno bisogno, per esempio, di case. Ma, appena questo bisogno primordiale emerge e si impone, subito si mette in funzione il sistema di astrazione sociale, che pretende di incastrarlo in una logica particolare, dove la necessità inderogabile di dormire sotto un tetto viene rapportata all'andamento del mercato edilizio. In tale logica, dormire sotto un tetto è certo

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un diritto sacrosanto, ma a condizione che non venga minacciata la dinamica del profitto, che è alla base degli investimenti privati in edilizia.

Il mondo dove regna I'astrazione del valore di scambio si contrappone al mondo dove regna la concretezza del valore d'uso. La ricchezza astratta si insedia nella vita collettiva ed ostacola il godimento dei beni concreti, ponendosi come argine al dilagare dei bisogni sociali.

E' per questa via che i diritti primari vengono affermati nella forma e vanificati nella sostanza. E' attraverso l'elusione della domanda sociale che la società astratta tenta di imporsi sulla vita reale degli uomini e delle donne.

Il sistema di elusione della domanda sociale è la via per la quale I'apparato istituzionale della società astratta cerca di evitare l'impatto con i bisogni sociali emergenti. Eludere, svuotare, rinviare. Sono questi i verbi che definiscono l'agire della società-struttura, la quale tenta così di sfuggire ad un problema di fondo. Non può darsi autorealizzazione là dove la specificazione culturale ed esistenziale di una persona o di una comunità viene stravolta o cancellata o comunque appiattita nell'indistinto universo della valorizzazione capitalistica.

E, d'altra parte, non può darsi valorizzazione piena del capitale là dove si affermano specifiche determinazioni culturali ed esistenziali dell'essere sociale. L'indeterminazione sociale si rivela sempre più come condizione vitale per la valorizzazione del capitale.

Dietro questo dilemma si profila la questione della qualità della vita, che è una sorta di sintesi dell'antiteticità fra persone concrete e sistema di astrazione, fra ricchezza concreta e ricchezza astratta. E' sulla sorte del principio della qualità della vita che si gioca la partita fra società-collettività e società-struttura. E non è un caso che attorno al principio della qualità della vita si avviluppano i nodi del rapporto fra capitale e lavoro: dall'uso della forza-lavoro ai livelli di retribuzione.

L'uso della forza-lavoro manuale-intellettuale investe direttamente la vita quotidiana. Alla indeterminazione dell'uso della forza-lavoro non può non corrispondere l'indeterminazione della vita sociale. Ecco perché il capitale ha bisogno della società astratta. In una società che fa astrazione dalla condizione esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa I'uso della forza-lavoro manuale-intellettuale non è condizionato dalle determinazioni della vita sociale. Nella società astratta l'essere umano nasce già come forza-lavoro ad uso del capitale. In tali condizioni - del tutto teoriche - il rapporto capitale-lavoro si definisce come il rapporto sociale per eccellenza, come la sintesi dei rapporti sociali. In questa utopia del capitale, la società-collettività coincide con la società-struttura.

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Fuori dell'utopia, invece, la vita quotidiana minaccia continuamente I'uso della forza-lavoro manuale- intellettuale da parte del capitale. La "voglia di vivere" è una mina vagante per il sistema di vita sociale adeguato al capitale.

Vivere per se stessi vuol dire morire per il capitale. Così come vivere per il capitale vuol dire morire per se stessi.

Alcune incognite sono insediate al centro della equazione sociale su cui è fondata la società astratta. In che misura e in quali termini le donne e gli uomini si lasceranno, in futuro, usare dal capitale come forza-lavoro? In che misura il sistema tecnico automatizzato lascerà spazio al lavoro umano?

Quale incidenza avrà sull'uso della forza-lavoro manuale-intellettuale l'evoluzione del sistema dei valori?

Questi interrogativi danno la misura di quanto gli interessi materiali siano intrecciati alle esigenze immateriali. Al punto che riesce difficile dire dove finiscono gli uni e dove cominciano le altre. Chi, per esempio, preferisce arrangiarsi con mille espedienti, piuttosto che lasciarsi incastrare in un lavoro dipendente, fa certo riferimento ad un quadro di esigenze immateriali, magari non ben definito, ma comunque centrato sulla qualità della vita. La sua scelta, se non è un caso isolato, va però ad incidere sul sistema generale degli interessi materiali, nel senso che finisce per orientare in una direzione piuttosto che in un'altra l'uso della forza-lavoro manuale-intellettuale. E, a loro volta, gli orientamenti dell'uso della forza-lavoro finiscono per produrre modi di essere degli uomini e delle donne, che con quegli orientamenti sono costretti a misurarsi. Basta pensare alle figure sociali che vengono prodotte dall'estendersi della disoccupazione e del lavoro non garantito.

Quando emerge una nuova realtà sociale, il capitale è costretto, prima o poi, a ridisegnare il suo progetto di società astratta. Il vecchio sistema di astrazione sociale non riesce a mettere fra parentesi le nuove istanze che irrompono sulla scena sociale.

La società astratta è costretta a ridefinire continuamente il suo rapporto con la concretezza esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa. Da qui uno stato di incertezza, che si traduce in ambivalenza, in permanente oscillazione tra forza e debolezza, tra assenza e presenza.

28.2 Forza e debolezza della società astratta

La forza della società astratta è nella sua sistematica indifferenza alle realtà che emergono nella vita degli uomini e delle donne. Ma qui è anche il germe della sua debolezza. Chiusa in se stessa, la società astratta non è in grado di captare i segnali che vengono dalla realtà sociale. Accade così che essa sia

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colta quasi sempre di sorpresa dai sommovimenti sociali e non faccia in tempo a preparare adeguate contromisure.

Da qui uno stato di precarietà, legato al modo di essere della società astratta. In teoria, il fine più generale verso cui dovrebbe tendere una organizzazione sociale, il fine che comprende in sé tutti gli altri fini, è la piena realizzazione esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa. Orbene, la realizzazione esistenziale delle persone concrete non solo non è il fine della società astratta, ma è per essa un pericolo mortale. Il rischio più grosso che continuamente corre la società sussunta al capitale è nella possibilità che emergano nel sociale tendenze alla affermazione di soggetti individuali e collettivi. La società astratta deve stare sempre attenta a non dare spazio ad espressioni della soggettività e soprattutto della soggettività autorealizzantesi.

Ciò comporta da una parte un enorme dispendio di energie per bloccare le espressioni di soggettività, dall'altra lo spreco di tutte quelle potenzialità che sono presenti nella società-collettività e vengono fermate al di sotto della soglia della espressione sociale. I risultati sono paradossali. E' come se una persona in buona salute disperdesse di proposito le proprie energie per indebolirsi e non essere in grado di camminare verso mete proibite.

E', questo, un punto di estrema debolezza della società sussunta al capitale. Il non potere dare corso a tutte le possibilità di cui le persone dispongono, per non correre il rischio di fare saltare il sistema di astrazione, conferisce un carattere di estrema fragilità alle istituzioni della società astratta.

Questa fragilità espone il sistema di astrazione a crisi ricorrenti, che non sono però il presupposto di un suo deperimento o di un suo crollo. La società astratta dà talvolta l'impressione di essere lì lì per crollare. E i movimenti di opposizione si illudono spesso di averle assestato il colpo mortale. C'è all'origine di queste impressioni e di queste illusioni una concezione distorta della società sussunta al capitale, come di un muro che può essere abbattuto a colpi di piccone. E invece la società astratta è come fatta di materia elastica ed è in grado di assorbire i colpi che subisce e di riassestarsi, magari assumendo altre forme. D'altra parte chi, disilluso dalle esperienze politiche, tenta la via della liberazione individuale, sperimenta di persona che l'astrazione sociale non è una cappa da cui ci si libera chiudendosi nella sfera del privato, ma una materia molle e vischiosa che ti si appiccica addosso e viene via insieme alla pelle.

E' una caratteristica della società astratta trarre forza dalla sua fragilità e, viceversa, rivelare debolezza proprio nei suoi punti di forza. E ciò perché la sua forza è non in una affermazione, ma in una negazione di realtà. Come dire, paradossalmente, che la sua forza è in un dato di debolezza. E' nel suo

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"stare altrove" rispetto alla vita reale delle persone, nella sua scarsa esposizione ai riscontri della politica concreta. In questo dato di fragilità è la radice di quella sorta di "imprendibilità" della società astratta. E, per altro verso, pur "stando altrove", essa è presente nelle pieghe della realtà sociale, impregnando di sé gli angoli più riposti della vita sociale. Il fatto è che la sua presenza sta proprio nella indifferenza sociale, nella indifferenza alla condizione esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa. Come dire che la presenza della società-struttura sta nell'assenza della società- collettività.

Dove la struttura sociale sfugge ai problemi delle persone concrete, là è presente la società astratta. La sua presenza tende infatti a fare il vuoto sociale intorno alla concretezza delle persone. Anzi, I'astrazione è, di per sé, vuoto sociale. E, via via che essa si espande nella società complessiva, vengono meno i riferimenti alla concretezza degli uomini e delle donne. E la società-struttura gira a vuoto su se stessa. Più gira a vuoto, più è astratta.

Ora, girare a vuoto significa muoversi senza impedimenti. Ma significa anche non avere presa sulla realtà.

Astratta è dunque una società-struttura che, quanto più sente franare i valori su cui fonda la propria legittimazione, tanto più fa pesare la sua presenza sulle persone. Una struttura sociale che, quanto più si allontana dalla realtà delle donne e degli uomini, tanto più si arroga il diritto di decidere il loro destino. E' come se il suo essere indifferente nei confronti della condizione esistenziale delle persone concrete l'autorizzasse ad essere determinante rispetto alla organizzazione della collettività.

Questa ambivalenza è il modo in cui la società astratta vive il suo persistente stato di precarietà. La sua pretesa di ignorare la concretezza esistenziale delle persone la espone continuamente ai rischi della contestazione sociale. Il destino della società astratta è appeso ad un filo. E quel filo è, pur sempre, nelle mani degli uomini e delle donne in carne e ossa.

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Sezione Quarta

LA SOCIETA’ ASTRATTA IN FASE DI CRISI

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Capitolo Ventinovesimo LA CRISI ECONOMICA NELLA SOCIETA' ASTRATTA

29.1 Crisi economica e valorizzazione del capitale

Nella società astratta la crisi economica è provocata da scarsità non di beni concreti, ma di valori astratti. In pratica, la difficoltà riguarda non la sfera della produzione, ma la sfera della valorizzazione. Nella società agricola c'era crisi economica quando capitava una cattiva annata, quando cioè pioveva poco oppure quando una gelata bruciava i prodotti della terra. Nella società capitalistica industriale si ha crisi economica quando il capitale, per una ragione o per l'altra, non riesce a valorizzarsi a sufficienza.

Le origini della crisi economica vanno dunque ricercate all'interno dell'apparato, nazionale e internazionale, di accumulazione. Per ragioni che qui non è il caso di prendere in esame, il capitale non riesce a valorizzarsi al massimo delle sue potenzialità, pur mantenendo intatto il suo dominio sul sistema politico e sociale.

Per rimettere in moto o per potenziare il processo di valorizzazione, la società sussunta al capitale tende a definire la crisi della valorizzazione come crisi generale. La società astratta non può accettare che la crisi del capitale si rovesci in prospettiva di sviluppo per la collettività. Gli uomini e le donne devono convincersi che la vita quotidiana è legata alle possibilità di profitto dei capitalisti e che attenta alla sopravvivenza della collettività chi intralcia il libero corso dell'accumulazione privata. Il destino della collettività deve coincidere con la sorte del capitale.

E non si tratta di semplici indicazioni di valore. Si tratta della dinamica materiale della vita sociale. Nella società astratta produzione e valorizzazione capitalistica coincidono. Le persone non possono disporre di beni se non in forma di merci. Sta qui il ricatto economico che il capitale esercita nei confronti della collettività. Un vero e proprio sequestro privato della produzione sociale, per estorcere plusvalore. Il destino sociale del modo capitalistico di produzione è legato alla resistenza del nesso tra creazione di beni di consumo ed estrazione di plusvalore. Finché questo nesso resiste, la collettività "non può fare a meno" del capitale.

Per tutto ciò, l'economia borghese tende a mistificare il nesso, nel senso che cerca di non farlo vedere, per non esporlo a pericolosi attacchi. Così fa del

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processo di produzione direttamente un processo di valorizzazione del capitale. E in ciò - a livello di percezione collettiva - ha gioco facile. Perché il processo di valorizzazione capitalistica non ha una sede fisica, distinta dal luogo di produzione. Produzione e valorizzazione capitalistica fanno parte di un processo complessivo. Ma solo la prima è visibile nelle sue strutture materiali.

Avvalendosi della sedimentazione, nella coscienza collettiva, di questo modello, appena il processo di valorizzazione comincia a perdere colpi, gli industriali lanciano l'allarme sociale. Ma non parlano mai di caduta del profitto. Parlano di posti di lavoro a rischio. Stando a quel che dicono, i capitalisti non si preoccupano mai per i loro guadagni. Si preoccupano per i livelli di occupazione. E' un modello ideologico ricorrente. La crisi della valorizzazione del capitale provoca la crisi delle aziende, che provoca la soppressione di posti di lavoro. Per non mettere a rischio l'occupazione bisogna creare le condizioni perché la valorizzazione riprenda a pieno ritmo.

Così milioni di uomini e di donne vengono chiamati a fare sacrifici, per consentire al capitale di superare le difficoltà dell'accumulazione.

29.2 Globalizzazione dell'economia e crisi economica

La globalizzazione dell'economia apre un esasperato confronto fra paesi di diverse tradizioni politiche e sociali, fra paesi che hanno raggiunto da tempo un alto stadio di sviluppo industriale e paesi di recente industrializzazione 1. La necessità di rincorrere continuamente gli indici economici e monetari che volta a volta compaiono sul quadrante internazionale, provoca nelle economie nazionali una continua tensione, che le tiene in uno stato di rischio permanente di crisi.

In questo quadro, il classico andamento ciclico dell'economia capitalistica risulta tendenzialmente superato. E' difficile che in una economia globalizzata possa ancora verificarsi - in termini marcati - il tradizionale alternarsi di prosperità e di depressione. Il modello basato sul ciclo sviluppo-crisi non ha più un riscontro netto entro gli orizzonti sconfinati della globalizzazione dell'economia.

E si capisce perché. Il sistema economico capitalistico, in quanto sistema integrato, si regge sulla relativa stabilità di alcune variabili fondamentali.

Quando una di queste variabili cessa di muoversi entro il quadro previsto di variabilità (il noto "quadro delle compatibilità"), il sistema entra in crisi.

Ora, finché l'economia si muove nell'ambito nazionale, la crisi può essere superata con provvedimenti di governo che, riportando sotto controllo le variabili "impazzite", rimettano in moto lo sviluppo. Con la globalizzazione

1 Si veda, in questo testo, Libro Primo, Capitolo Ventitre, Globalizzazione economica e indeterminazione sociale.

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dell'economia, le compatibilità cambiano continuamente, perché - per fare un esempio - un cambiamento di assetto in un lontano paese asiatico si ripercuote sull'occidente industrializzato. E lo stesso ruolo dei governi nazionali, in sede di interventi sull'economia, è subordinato alle direttive di organismi sovranazionali.

In queste condizioni, dal ciclo sviluppo-crisi-sviluppo si passa ad uno stato di permanente precarietà economica. Nello scacchiere del capitalismo mondiale ogni paese è sempre sull'orlo della crisi economica e riversa sulle classi subalterne il prezzo della spietata concorrenza internazionale.

Crisi e ripresa sono due facce della stessa medaglia. La crisi come rischio e la ripresa come necessità sono due espressioni complementari di una pressione permanente sulle classi subalterne, per tenerle in condizione di pura sopravvivenza.

A monte di tutto il fenomeno c'è la caduta tendenziale del saggio di profitto, teorizzata da Marx 2. Il tasso di valorizzazione tende a ridursi. E il capitale, attraverso provvedimenti restrittivi, tenta di recuperare il margine di profitto che via via viene eroso dall'inasprirsi della concorrenza internazionale.

2 K. Marx, Il capitale, trad. it., Roma, Editori Riuniti, 1970, III, pp. 259 sgg. .

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Capitolo Trentesimo LA CRISI SOCIALE

NELLA SOCIETA' ASTRATTA

30.1 Dalla crisi economica alla crisi sociale

La crisi della valorizzazione del capitale viene trasferita di peso, attraverso tutta una serie di provvedimenti, sulla condizione sociale ed esistenziale degli uomini e delle donne. Il blocco delle retribuzioni, la rescissione di vincoli nell'uso della forza-lavoro, l'espulsione - più o meno mascherata - di forze di lavoro dal sistema produttivo, il ricorso al mercato del lavoro irregolare ed altre analoghe misure provocano una caduta verticale della vita sociale. La crisi economica del capitale si traduce in crisi sociale della collettività.

Con il pretesto della crisi economica, viene avviato un piano di ristrutturazione tecnologica, che porta ad una forte riduzione della base produttiva. Il tasso di disoccupazione raggiunge livelli insopportabili.

Per salvare il profitto privato, le istituzioni della società astratta non esitano a devastare la vita sociale. Gli strati più bassi della collettività vengono scaraventati nel baratro della disperazione. Strati intermedi vengono sospinti verso aree di nuova povertà. Milioni di donne e di uomini mancano della certezza del domani.

Legare la vita degli uomini e delle donne all'andamento della valorizzazione del capitale significa fare dell'esistenza umana una variabile dipendente.

Significa cioè degradarla da fine a mezzo.

Il legame fra capitale e collettività è unilaterale, sempre a vantaggio del capitale. Quando la valorizzazione del capitale ha qualche battuta di arresto, la vita umana viene legata all'andamento dell'economia. Ma quando il profitto va a gonfie vele, la condizione di chi vive del suo lavoro non ne ricava alcun beneficio. Il che ha un significato ben preciso. Nella società astratta il destino della collettività è legato alla sorte del capitale, ma il destino del capitale non è legato alla sorte della collettività.

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30.2 Le radici della crisi: dal rapporto produzione-consumo al rapporto capitale-lavoro

La lettura della crisi economica rimane ancorata allo squilibrio tra produzione e consumo. Manca stranamente, nello specifico quadro di riferimento, il rapporto tra capitale e lavoro.

Ed è invece da un tale rapporto che dobbiamo partire per tentare, oggi, di capire origine, natura e dinamica della crisi. C’è una differenza di fondo tra il rapporto capitale-lavoro ed il rapporto produzione-consumo. Il rapporto produzione-consumo è vissuto tutto dentro i confini dell’esistenza del capitale, se si considera il consumo niente altro che una emanazione della produzione.

In tal senso, esso si configura come rapporto tra grandezze economiche. Il rapporto tra capitale e lavoro si definisce invece come vertenza tra classi sociali antagoniste. Esso porta continuamente il capitale fuori da se stesso, esponendolo agli “umori” della classe operaia. In altri termini, posto un alto livello di integrazione tra produzione consumo, una difficoltà nel rapporto tra questi due poli economici resta sempre, in ultima analisi, nell’ambito di una vicenda, più o meno travagliata, della “vita interiore” del capitale. Al contrario, una difficoltà nel rapporto economico tra capitale e lavoro rischia sempre di tradursi in antagonismo politico, di classe. Nel primo caso, il capitale scarica sulla società il prezzo dei suoi squilibri interiori. Nel secondo caso, la società scarica sul capitale il prezzo della propria resistenza allo sfruttamento. Ecco perché, mentre le questioni relative all’equilibrio tra produzione e consumo rimangono di solito chiuse nei resoconti economici, il problema del rapporto tra capitale e lavoro irrompe sempre nel dibattito politico.

Il fatto è che tra capitale e lavoro non c’è un rapporto “concorrenziale” (fra soggetti che concorrono), ma antagonistico (fra soggetti che si contrappongono). Da ciò discende una conseguenza specifica: un sistema si qualifica come relativamente stabile, dal punto di vista della prospettiva di sviluppo, nella misura in cui riesce a controllare il rapporto capitale-lavoro. La centralità di questo rapporto non è quindi, per così dire, amministrativa. Non si tratta di una questione “prioritaria” rispetto alle altre, nel senso che “viene prima” delle altre, per cui conviene affrontarla prima di passare ad affrontare le altre. La centralità del rapporto capitale-lavoro è politica. Da qui si

“regolano” i rapporti capitalistici di produzione 3.

3 Ciò non significa ridurre a schema monocorde la “complessità” capitalistica. Significa darsi una chiave di lettura che non si limiti – nella migliore delle ipotesi – ad una ricognizione “critica” del modo capitalistico di

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La fase che stiamo vivendo è, sotto questo aspetto esemplare. Le misure economiche stanno mettendo in mostra tutti i loro limiti. Finché non si risolve il problema del rapporto tra capitale e lavoro, il sistema complessivo, “regolato”

quanto si vuole, è come una casa di campagna con la porta spalancata sotto l’imperversare di una bufera. Basta un colpo di vento a mandare per aria l’assetto interno 4.

30.3 Crisi e disgregazione sociale

La crisi - come rischio incombente - è una condizione permanente della società astratta. Si respira nell'aria. Si infiltra nelle pieghe della vita sociale, creando un clima di insicurezza, che innesca un processo di disgregazione sociale.

Mancando della certezza del domani, ognuno/a si arrangia come può. I soggetti collettivi si frantumano. Ed emergono atteggiamenti e comportamenti improntati all'individualismo. Prevale la convinzione che, per farsi largo, bisogna lavorare di gomito, non farsi scrupolo di pestare i piedi agli altri. Si afferma la legge della giungla: mors tua, vita mea.

Il panorama sociale si presenta come un terreno melmoso, sul quale è difficile muoversi senza affondare. Per avere un po' di spazio di vita e di espressione, molti soggetti rinunciano alla propria identità politica e sociale. E così dilagano l'opportunismo e il trasformismo. Il tornaconto personale è il criterio di valutazione che sta alla base di ogni comportamento.

L'orientamento di valore prevalente è l'utilitarismo.

Nelle aree periferiche della società, dove uomini e donne si arrabattano ogni giorno per riuscire a sopravvivere, sono frequenti le guerre tra i poveri.

Poveri che hanno avuto assegnate le case contro poveri che quelle case le hanno occupate. Poveri senza lavoro contro poveri immigrati che si arrangiano con lavori malpagati.

Il clima della crisi induce a galleggiare nella vita sociale, più che a impegnarsi in essa. Il grande dispendio di energia vitale, richiesto dalla lotta per la sopravvivenza, induce a risparmiare le forze. Così ognuno/a ci pensa due volte prima di assumere impegni che vadano al di là delle incombenze della vita quotidiana. Il tempo è una risorsa scarsa per chi deve pensare ogni

produzione, ma traduca – meglio: ritraduca – continuamente, ossessivamente, il rapporto di produzione in rapporto di classe, cioè riconduca l’economia alla politica.

4 Paragrafo tratto dalla Prima Edizione e riportato in questo volume, Studi La crisi della società astratta come crisi del capitale.

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giorno a trovare soluzione ai problemi che si presentano per arrivare alla fine del mese.

Le difficoltà prodotte dalla crisi creano percorsi individuali, che non si incrociano mai. Ognuno/a parte dalla propria situazione e, dopo avere attraversato la sfera sociale, alla ricerca di una soluzione ad un problema pratico di sopravvivenza, rientra nel proprio alveo, senza essersi arricchito dello scambio con gli altri. La sfera sociale diventa una sorta di piazza che tutti attraversano senza incontrarsi con gli altri. Così la socialità delle persone si impoverisce sempre più. A forza di non essere esercitata, finisce per inaridirsi.

Appena la valorizzazione del capitale ha una battuta di arresto, la collettività entra in sofferenza. Le famiglie non riescono a far quadrare i conti. E sono costrette a rinunciare alle "uscite" (cinema, pizzeria, ecc.) che servono ad allentare le tensioni accumulatesi nel nucleo.

I giovani non possono farsi una vita autonoma, perché non hanno nessuna prospettiva di lavoro. Rimangono a lungo in famiglia, con gravi problemi di convivenza, in una età in cui hanno bisogno di vivere a modo loro. Non potendo costruirsi una vita propria, fondata sulla responsabilità personale, imboccano spesso scorciatoie che portano alla degradazione e talvolta alla autodistruzione. Così l'universo giovanile, ricco di potenzialità, si avvita al suo interno e si disgrega.

La crisi sociale si configura come un terremoto, che ha il suo epicentro in una difficoltà di valorizzazione del capitale, da cui si partono onde sismiche, che investono, a cerchi concentrici, le diverse sfere della società - lavoro, famiglia, ecc. - e, per ripercussioni successive, raggiungono la sfera esistenziale degli uomini e delle donne.

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Capitolo Trentunesimo LA CRISI ESISTENZIALE NELLA SOCIETA' ASTRATTA

31.1 Crisi sociale e crisi esistenziale

La devastazione della vita sociale, operata dalle istituzioni della società astratta per salvaguardare il profitto privato, non può non avere conseguenze sulla esistenza degli uomini e delle donne. La crisi sociale non può non tradursi in crisi esistenziale.

Così la crisi economica da crisi della valorizzazione del capitale si traduce in difficoltà esistenziali degli uomini e delle donne. Per questa via, il capitale trasferisce la crisi della sua valorizzazione dentro la vita delle persone. Dalla sfera dell'astrazione la crisi si riversa nella concretezza esistenziale.

Il punto di crisi è nella mancanza di una qualsiasi prospettiva esistenziale.

Le istituzioni della società astratta, per favorire la ripresa della valorizzazione, chiudono gli spazi entro cui le persone possano costruirsi il loro futuro.

La chiusura della prospettiva esistenziale ha tutta una serie di conseguenze di grande portata. Un soggetto che non ha davanti a sé un futuro sul quale investire le proprie energie è un potenziale sociale disattivato. Viene così a crearsi una sorta di catena perversa. La crisi sociale si traduce in crisi esistenziale, che a sua volta si traduce in crisi sociale.

I soggetti in crisi esistenziale hanno bisogno di tutta una serie di attenzioni e di sostegni. E invece la società astratta è tutta protesa a sostenere il capitale, che - in fase di crisi economica - ha qualche difficoltà a valorizzarsi. Le difficoltà di valorizzazione del capitale sono per la società astratta più importanti delle difficoltà esistenziali delle persone concrete. Anzi. Non solo non presta attenzione ai soggetti in crisi esistenziale, ma crea per loro tutta una serie di difficoltà, materiali e immateriali.

31.2 Declino dei movimenti e crisi esistenziale

I movimenti sociali aprono per centinaia di migliaia di giovani orizzonti inattesi. E’ come se improvvisamente crollasse un muro e tante giovani vite scoprissero un futuro possibile. Si squarcia il velo della ideologia dominante e

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vengono alla luce gli intrecci di interessi nascosti che comprimono la vita sociale. E le coscienze si caricano di una impellente voglia di liberazione.

In questo quadro, quando la parabola di un movimento sociale declina e si spengono le attese di un futuro diverso, molti giovani, particolarmente sensibili, si chiudono in se stessi, in preda ad una grave crisi esistenziale.

Gli orizzonti di vita si chiudono e ognuno/a trascina la propria esistenza lungo percorsi che conducono alla propria degradazione e qualche volta all’autodistruzione, rifugiandosi nel mondo artificiale della droga 5.

La crisi esistenziale può essere vissuta in modi diversi. C'è chi si lascia fagocitare dalla routine quotidiana (lavoro-casa-lavoro), arrivando ad un alto grado di depersonalizzazione. C'è chi si apparta nel suo privato personale. Ma c'è anche chi traduce il proprio pessimismo in cinismo. Visto che non si può fare niente per cambiare le cose, tanto vale gestirsi la propria condizione in modo da trarre dall'organizzazione sociale in atto tutti i possibili vantaggi.

Attraverso questa cinica inversione di rotta, il soggetto investe le sue energie non nella ricerca della propria realizzazione esistenziale, ma nello sforzo di trarre vantaggio dall'estraneazione del proprio essere concreto. Così rinuncia a tentare di realizzare le proprie umane potenzialità, per dare la caccia a tutti gli appannaggi sostitutivi che la società astratta mette bene in mostra come specchietti per le allodole. L'uomo o la donna che insegue la carriera, il prestigio, viene presentato/a come un individuo che ricerca la realizzazione di sé. In effetti si tratta di un individuo che opera, di fatto, per dare corpo alla società astratta, cioè alla negazione di sé in quanto persona.

31.3 Crisi esistenziale e "riflusso"

Il movimento antagonista è il prodotto eclatante di lunghi e sotterranei processi. Ma una volta messosi in moto, carica i soggetti di un universo di aspettative che incide fortemente sulla loro prospettiva esistenziale. Un movimento antagonista esalta nelle donne e negli uomini il riferimento alla propria concretezza esistenziale. Sulla base di questo riferimento, i soggetti si immaginano il loro futuro. Il grande sogno collettivo si cala nella prospettiva di vita di ognuno/a. E ognuno/a registra il proprio vivere quotidiano non sui valori della società astratta, ma sulle valenze della propria realtà concreta.

In questa esaltazione collettiva molti soggetti si attivano in direzione della costruzione di un futuro possibile, a partire dalla lotta per la rottura dello stato presente delle cose. La lotta diventa una ragione collettiva di vita. Non è tanto

5 Si veda in questo testo, Libro Primo, Capitolo Primo, paragrafo 1.7.7 Dal disagio esistenziale alla fuga nel mondo artificiale prodotto dalla droga.

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il risultato della lotta che interessa quanto la stessa possibilità di lottare. Il fine per cui vale la pena di vivere è lottare per un fine per cui valga la pena di vivere.

In questo quadro, la caduta di un essere collettivo antagonista si traduce in crisi esistenziale dei soggetti che si sono attivati nel movimento.

Occorre ragionare sui termini di tale crisi, perché è partendo da essa che si può tentare di capire la dinamica del complesso fenomeno noto come

"riflusso". La crisi esistenziale produce una graduale demotivazione politica.

Non c'è possibilità di incidere sulla realtà sociale. L'antagonismo non paga.

Tanto vale rinchiudersi nel proprio guscio privato e pensare ai fatti propri.

Questo ripiegamento del soggetto su se stesso produce una tendenza a conformarsi alle regole del gioco istituzionale, non per adesione interiore, ma - paradossalmente - per assoluta indifferenza. La trasgressione produce complicazioni. E, in una fase in cui la vita è già troppo complicata, si cerca in tutti i modi di evitare fastidi. E' dunque più semplice rispettare formalmente le regole, magari tenendosi dentro il disgusto per la società in cui si è costretti a vivere. C'è persino la ricerca di una dimensione interiore, non più a livello di tensione ideale, ma nella routine della vita quotidiana.

Tutto ciò, si badi, viene vissuto sulla base della convinzione di "stare nella merda". Convinzione che produce una sorta di spegnimento di qualsiasi carica interiore. Le reazioni personali si attutiscono. I riflessi comportamentali si appannano. Sulla scena sociale si stende una coltre di nebbia, nella quale i soggetti si muovono come fantasmi.

L'esito di questa involuzione è una situazione di stagnazione politica, che accentua la "distanza" fra società astratta e collettività. Le donne e gli uomini si convincono che è inutile tentare di opporsi al sistema di astrazione. Nella vita ufficiale si lasciano dunque mettere fra parentesi come persone concrete, per cercare spazi di autovalorizzazione nell'ambito di un esasperato individualismo o addirittura fughe artificiali nello stordimento delle droghe o del consumismo.

Il "riflusso" politico scorre dunque su un doppio binario: da un lato una apparente rivalutazione delle forme ufficiali e codificate della vita sociale - rapporti gerarchici, riscoperta dell'autorità, riattivazione della selezione, ecc. - dall'altro l'emergere di un atteggiamento di diffidenza verso tutte le proposte di coinvolgimento personale. Si tratta, a ben vedere, di due facce della stessa medaglia. Si assume la vita sociale codificata e istituzionalizzata come vuota forma da ossequiare, senza però impegnarvi la propria vita personale.

L'ossequio rituale alla ufficialità non oltrepassa mai la superficie della vita sociale, al di sotto della quale scorre una estraneità accentuata dalle

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frustrazioni politiche. Ad una riaffermazione della estraneità corrisponde una propensione all'ossequio delle forme codificate della vita sociale. E ciò perché l'estraneità si traduce in disattivazione personale nei confronti di qualsiasi impegno collettivo. La politica viene ridotta ad un ritualismo che non ha incidenza sostanziale sulla vita reale.

In questo quadro, il rispetto delle forme ufficiali della vita sociale è un modo di esprimere il proprio disimpegno personale. Si tende a stare al gioco formale proprio per evitare di dovere rimettere in circolo la propria esistenza, anche soltanto attraverso l'esplicitazione della propria estraneità. Si preferisce l'estraneità semplicemente vissuta alla estraneità tradotta in termini di antagonismo politico, per esprimere il proprio disinteresse totale alla organizzazione collettiva della vita sociale. Il disimpegno come forma di estraneità alla società astratta.

In quanto forma inattiva di estraneità, il "riflusso" segna da una parte il declino dell'antagonismo, dall'altra il completo distacco delle persone concrete dalle istituzioni della società astratta. E', in sostanza, uno stato di crisi dell'essere sociale, che può risolversi in una istituzionalizzazione della vita sociale o in una delegittimazione della società astratta come sede di realizzazione esistenziale.

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Capitolo Trentaduesimo

LA CRISI DELL'ASTRAZIONE SOCIALE

32.1 Astrazione capitalistica e concretezza sociale

Il quadro dell’astrazione sociale non va visto come un mare liscio che la nave del capitale attraversa tranquillamente in direzione del porto della valorizzazione. C'è in esso una insidia che può trasformare la traversata in una pericolosa avventura. La necessità che ha il capitale di non condurre vita separata rispetto alla collettività lo costringe ad uscire dal chiuso della sfera economica e ad esporsi alle intemperie del sociale.

Si apre così un terreno ricco di alternative, sulle quali si giocano gli opposti interessi delle classi antagoniste. Da una parte la necessità del capitale di produrre valore di scambio per mezzo di lavoro tecnicamente e socialmente indeterminato e di realizzarlo attraverso il processo di astrazione sociale.

Dall'altra il bisogno delle persone concrete di fare una attività creativa, per produrre valore d'uso e goderselo attraverso rapporti sociali umani.

Sono qui, in questa contrapposizione, i presupposti della crisi dell'astrazione sociale. Sono nella difficoltà di mettere fra parentesi la vita reale. Al bisogno di astrazione che ha il capitale si oppone il bisogno di concretezza che hanno le donne e gli uomini.

32.2 Origine della crisi dell’astrazione sociale

Quando larghi strati della collettività oppongono resistenza alla pretesa del capitale di scaricare sulla collettività le difficoltà della valorizzazione, l’astrazione sociale entra in crisi. A quel punto la melma ideologica che oscura l’orizzonte della vita sociale comincia a perdere presa e i bisogni sociali cominciano a reclamare risposte concrete.

Si innesca un processo a catena. Energie sociali rimaste a lungo inattive riprendono quota e guadagnano la scena della politica. Via via che si spezzano, uno dopo l’altro, gli anelli della catena del processo di astrazione, la soggettività sociale guadagna spazio nella vita pubblica e impone, quanto meno, attenzione ai problemi che interessano la quotidianità degli uomini e delle donne. Si viene così a determinare il riemergere di istanze sociali

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inevase, che si accumulano nell’agenda politica e fanno pressione sulle istituzioni. Tale pressione mette, a sua volta, in difficoltà il processo di valorizzazione. Difficoltà che il capitale cerca di scaricare sulla collettività, provocando nuove tensioni sociali.

Un punto deve essere chiaro. La crisi economica, la crisi sociale, la crisi esistenziale ricadono tutte sulla collettività. Non mettono in discussione l’astrazione sociale. Anzi, la rafforzano. Perché le difficoltà economiche e sociali vengono sfruttate per approntare misure di “rigore”, che comprimono la vita sociale a volte al livello della sopravvivenza.

La crisi dell’astrazione sociale si determina quindi al polo opposto, quando larghi strati delle classi subalterne si attivano per rovesciare sulle istituzioni le difficoltà economiche e sociali. E’ allora che diventa difficile per l’apparato istituzionale della società astratta mettere tra parentesi i bisogni primari di milioni di donne e uomini. E’ allora che l’astrazione sociale viene messa in crisi.

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Capitolo Trentatreesimo L'AGIRE CAPITALISTICO

FRA REALTA' E IDEOLOGIA DELLA CRISI

33.1 La crisi fra realtà congiunturale e contraddizioni strutturali

La crisi ha una sua realtà congiunturale, che viene "caricata" - dal cervello collettivo del capitale - di tutte le irrisolte contraddizioni strutturali del sistema.

E ciò nella speranza - e nella illusione - che la mobilitazione sociale operata dalle forze politiche "per fare uscire il paese dalla crisi" serva a dare non solo uno "sbocco positivo" alla congiuntura, ma anche una prospettiva favorevole al processo di accumulazione. Al capitale non importa semplicemente sbloccare il processo di accumulazione. Il capitale vuole approfittare dell'emergenza per assicurarsi una prospettiva relativamente stabile di accumulazione. In questo senso, il rapporto fra capitale e lavoro lo interessa di più che il rapporto fra produzione e consumo.

I due rapporti sono nella realtà così intrecciati che si fa fatica a districarli in sede di analisi. Questo intreccio ha una doppia valenza, una oggettiva ed una soggettiva. In parte è una conseguenza dell'alto livello di integrazione fra produzione e circolazione nel capitalismo maturo, in parte è il risultato di una sottile doppio gioco delle forze imprenditoriali. Gli imprenditori sono soliti usare le "difficoltà nella concorrenza" per ottenere condizioni favorevoli nel quadro dell'uso della forza-lavoro e, viceversa, le "difficoltà nell'uso della forza-lavoro" per ottenere condizioni favorevoli nel quadro della concorrenza.

Sono soliti cioè condurre il loro gioco portando in sede di produzione i "dati sfavorevoli" della circolazione e in sede di distribuzione i "dati sfavorevoli"

della produzione.

Non si tratta di semplice gioco ideologico. Si tratta di travasare realmente - attraverso la manovra dei prezzi - nella sfera della distribuzione gli squilibri che si determinano in sede di produzione e, in senso contrario, di riportare nella produzione i contraccolpi che, in conseguenza di tale operazione, si determinano in sede di distribuzione.

E' nel quadro di questo groviglio di interessi che può essere ricostruita la dinamica della crisi. Fissiamo un punto certo. L'ideologia borghese ha interesse a scindere la vicenda della crisi dal destino del capitalismo. In questo senso, la crisi deve essere congiunturale. Deve cioè essere risolvibile

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entro i confini del sistema. Una crisi non risolvibile nell'ambito del sistema non è più crisi nel capitalismo, ma crisi del capitalismo.

La prima alternativa non coinvolge nella crisi il capitalismo in quanto tale.

Nel duplice senso che non vede nel capitalismo né un sistema in crisi, né un sistema generatore di crisi. In questa chiave, la crisi non è da imputare al modo capitalistico di produzione. Anzi, è dovuta ad una non adeguata aderenza del sistema ad un tale modo di produzione. In altri termini, il sistema è investito dalla crisi non perché capitalistico, ma - al contrario - perché non abbastanza capitalistico.

Le implicazioni di politica economica sono evidenti. Se la crisi discende da un non sufficiente rigore capitalistico, le misure anti-crisi andranno tutte in direzione di un tale rigore. La crisi come occasione per accentuare i caratteri capitalistici della società.

La crisi nel capitalismo può essere letta anche in altro modo. Il suo insorgere non arriva a investire il capitalismo in quanto tale, perché questo ha al suo interno meccanismi di riaggiustamento 6. Si tratta di una lettura

"politica" della crisi, in chiave non catastrofica. In tale lettura, la crisi non si generalizza fino a mettere in pericolo l'esistenza del sistema, non perché la sua portata non sia ampia fino a quel punto, ma perché il sistema dispone di

"difese" adeguate.

Tali "difese" consentono al sistema capitalistico di fare rientrare le fasi negative dell'economia in un ciclo crisi-sviluppo. La crisi diventa così una delle modalità del capitalismo.

In questo quadro, non è dunque una semplice battuta di arresto del processo di accumulazione che può mettere in crisi l'organizzazione capitalistica della società. La crisi del capitalismo consiste in un declino sociale del capitale, cioè in una caduta della capacità di sottomettere la dinamica sociale alla logica del profitto privato. In tal senso, la crisi del capitalismo va letta, nei termini della nostra ipotesi teorica, nel quadro della crisi della società astratta.

La crisi della società astratta è - e non può non essere - crisi del sistema, perché in essa sono coinvolti i valori fondamentali e costitutivi del capitalismo.

E non soltanto - si badi - i valori ideali, ma anche i valori operativi, cioè attinenti all'agire capitalistico nel sistema sociale.

6 Questa tesi ricerca la legittimazione marxista attraverso ripetuti riferimenti alla teoria delle controtendenze formulata da Marx in appendice alla legge della caduta tendenziale del saggio del profitto (K.

Marx, Il capitale, cit., III, pp. 283 e sgg.).

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33.2 L'agire capitalistico nella crisi

A prescindere dalla portata della crisi, l'approccio operativo alla congiuntura deve, di fatto, attaccare le difficoltà strutturali. Affrontare la congiuntura con interventi che modifichino la struttura, a favore degli interessi del capitale. La congiuntura passa, la struttura resta. Questo è il programma di fondo dell'agire capitalistico nella crisi.

Per l'analisi di questo agire non serve una lettura "orizzontale" della crisi, una lettura cioè che "taglia" orizzontalmente il sistema economico e guarda nei suoi squilibri interni. Un taglio non "verticale" dell'analisi della crisi, un taglio cioè che lascia fuori campo il rapporto fra capitale e lavoro, finisce per accreditare, sul piano esplicativo, tutto l'armamentario dell'economia borghese. Ci ritroveremmo così - per spiegare la crisi - a dovere trafficare con le cifre della bilancia dei pagamenti, del tasso di credito, ecc., cioè di tutti gli assilli quotidiani dei contabili del capitale. E non perché non sia utile rifare, dal punto di vista delle classi subalterne, i conti del capitale. Anzi, è utilissimo. Ma qui una operazione di questo tipo ci condurrebbe in una trappola mortale.

Porterebbe l'asse del discorso relativo alla crisi entro la sfera della circolazione, là dove i dati della produzione diretta vengono, via via, inseriti nei parametri del sistema generale di distribuzione, nazionale e internazionale. A questo livello, il ciclo della produzione diretta è già compiuto. Ed è già consumato il diretto contatto fra capitale e lavoro. A questo livello, i ragionieri del capitale possono contabilizzare il quadro economico senza sporcarsi la mente con i rapporti di produzione.

In una analisi "orizzontale" i dati congiunturali balzano subito in primo piano ed "oscurano" i meccanismi strutturali del sistema. In tale contesto la congiuntura non compare in quella che crediamo sia la sua funzione reale: un laboratorio nel quale il capitale si esercita a risolvere il problema della sua durata nel tempo. Una assunzione in proprio dei problemi connessi agli equilibri instabili - che, certo, non sono una invenzione perversa degli economisti borghesi - significherebbe ribaltare il piano dell'analisi. Si rischierebbe così di emarginare quello che per noi rimane l'asse di lettura dell'agire capitalistico nella crisi: l'uso strumentale che il capitale fa della congiuntura per tentare di uscire, in qualche modo, dalle sue difficoltà strutturali.

33.3 Definizione formale e soluzione sostanziale della crisi

In questo quadro si viene a determinare uno scarto di livello nell'approccio alla crisi da parte del capitale: uno scarto di livello tra definizione formale - di

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tipo congiunturale - e tentativo di soluzione sostanziale, di tipo strutturale. Il rapporto fra produzione e consumo è la sede in cui viene costruita l'apparenza congiunturale della crisi. Il rapporto fra capitale e lavoro è la sede in cui viene attaccata la sua realtà strutturale. Saldo negativo della bilancia dei pagamenti, inflazione, ecc., sono i protocolli che accompagnano l'attacco delle forze imprenditoriali alla struttura complessiva del rapporto fra capitale e lavoro.

Nell'ambito del rapporto fra capitale e lavoro, la nuova struttura è, nel progetto imprenditoriale, opposta a quella che è all'origine della crisi: a flessibilità della retribuzione e rigidità della forza-lavoro subentra rigidità della retribuzione e flessibilità della forza-lavoro. Nel progetto delle forze imprenditoriali, si tende a fissare il valore della forza-lavoro manuale- intellettuale ed a lasciare oscillare il suo uso. Si tende a fare della retribuzione una variabile dipendente e dell'uso della forza-lavoro manuale-intellettuale una variabile indipendente. Tutte queste misure tendono a rendere totalizzante il dominio del capitale sulla vita degli uomini e delle donne.

33.4 Ideologia e realtà della crisi

La lettura ufficiale della crisi è sempre sospesa fra interpretazione della realtà - se pure dal punto di vista del capitale - e vera e propria ideologia.

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, quanto più grave è la crisi, tanto più la lettura ufficiale pende dalla parte dell'ideologia. E si capisce perché. Quanto più vasto è l'impatto sociale della crisi, tanto più ampia dovrà essere l'azione ideologica volta a fare risalire tutti i danni provocati dalla crisi a comportamenti devianti rispetto alle dure leggi del profitto.

Tuttavia c'è da dire che la lettura ideologica della crisi non è ancora ideologia della crisi, in senso pieno. Nel primo caso si tratta di una interpretazione della realtà della crisi, volta a salvaguardare, nell'ambito della congiuntura negativa, gli interessi fondamentali del capitale. Qui l'unilateralità ideologica dell'analisi funziona come meccanismo di difesa e di compensazione rispetto ai danni che il capitale è costretto a subire. Una sorta di ideologia passiva della crisi. Nel secondo caso invece i dati della crisi servono da pretesto per un rilancio dell'accumulazione. E' l'ideologia attiva della crisi. La crisi, da terreno di difesa, si trasforma in arma di attacco, per tentare di fare terra bruciata di tutte le "pretese" della classe detentrice della forza-lavoro manuale-intellettuale.

Parlare di ideologia della crisi non significa necessariamente dire che la crisi è pura invenzione, mero pretesto, senza alcun fondamento di realtà. Noi qui parliamo di ideologia della crisi nel senso che c'è un uso ideologico della realtà della crisi. Del resto, una ideologia si regge se ha una base di realtà.

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Per essere credibile, deve essere un impasto di realtà e invenzione. Deve essere realtà mistificata.

Un solo esempio. La crisi energetica è stata, negli anni settanta, internazionale. Ed è stata, ovviamente, una crisi reale. Ma in Italia essa è stata usata ideologicamente dalle forze capitalistiche. Il fine era di rimettere in moto - per quel che interessa in questa sede - il processo di indeterminazione tecnica e sociale, bloccato, a partire dalle lotte del '69, dalla rigidità della forza-lavoro manuale-intellettuale. Il padronato italiano, con istinto di classe, fece della crisi petrolifera una occasione per tirare fuori il processo di indeterminazione capitalistica dalla crisi strutturale che lo attanagliava in conseguenza della crisi della indeterminazione tecnica e sociale della forza- lavoro manuale-intellettuale.

Tutto ciò non rimanda necessariamente ad un piano capitalistico della crisi.

Il capitalismo non è una associazione segreta, sorta per tramare congiure economiche. Il comportamento economico di tipo cospiratorio è soltanto un tratto della figura storica del capitalismo, un tratto che spiega tendenze altrimenti inspiegabili. Il nostro compito specifico non sta dunque nel cercare di "scoprire" il piano capitalistico della crisi, ma nel tentare di ricostruire - e, al limite, di prefigurare - l'agire capitalistico nella crisi.

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Sezione Quinta

LA SOCIETA' ASTRATTA IN FASE DI RIPRESA

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Capitolo Trentaquattresimo DALLA CRISI ALLA RIPRESA DELLA SOCIETA' ASTRATTA

34.1 Presupposti della ripresa presenti nella crisi

La crisi della società astratta - abbiamo già osservato - viene tradotta in crisi della società in generale. Sulla base di questa identificazione, la collettività viene chiamata a mobilitarsi per "fare uscire il paese dal tunnel della crisi".

Viene così a crearsi un presupposto importante per la ripresa della società astratta.

Per cominciare, la diagnosi ufficiale della crisi tende a mettere in primo piano tutti i fenomeni che interessano l'accumulazione e la valorizzazione del capitale. Gli uomini e le donne devono convincersi che, appena il capitale incontra qualche difficoltà a valorizzarsi al massimo delle sue possibilità, tutti i processi sociali subiscono una decelerazione e la società nel suo complesso comincia ad avere il fiato grosso. Via via che la crisi investe i vari meccanismi di accumulazione, le difficoltà del processo di valorizzazione del capitale vengono scaricate sulla vita sociale. E' un modo per fare vivere la crisi della società astratta come una difficoltà per le persone concrete. Si creano così le premesse di un paradosso: i soggetti vengono indotti a collaborare alla riedificazione di un sistema che tende a fare astrazione dalla loro concretezza esistenziale .

Al di là di questa strategia di pressione sulla coscienza collettiva, c'è poi, a livello di governo della cosa pubblica, l'organizzazione dl interventi volti a rimettere in moto i meccanismi di accumulazione. Interventi che gravano sulla condizione sociale ed esistenziale degli uomini e delle donne. Su tale condizione vengono così a sommarsi le conseguenze della crisi e gli interventi per l'uscita dalla crisi. Alla base di tali interventi c'è l'assunto che la crisi della valorizzazione capitalistica è una iattura per la collettività. Se le aziende non danno profitti, si restringe la base produttiva e aumenta la disoccupazione. I provvedimenti governativi vengono quindi ufficialmente indirizzati ad un fine altamente sociale: l'occupazione. Si danno per scontate due correlazioni: tra profitto e investimento, tra investimento e occupazione. Una volta che viene rimesso in moto il meccanismo di accumulazione, si "scopre" che il profitto non si traduce automaticamente in investimento e che l'investimento

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