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Lettera di informazione periodica

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Academic year: 2022

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Lettera di informazione periodica

Esce ogni mese (o quasi); contiene le notizie più significative pubblicate anche sul sito www.nograzie.eu e su facebook https://facebook.com/pages/NoGraziePagoIo/180764791950999

Lettera n. 88 – Gennaio 2021

NoGrazie: riunione online, 22 gennaio 2021, ore18-20

Eravamo in 23, un buon numero, una persona in più di quante avessero partecipato al sondaggio per decidere data e ora. Dopo un breve giro di presentazioni, soprattutto per chi partecipava per la prima volta, siamo passati a discutere i punti all’ordine del giorno:

1. Gestione della Lettera periodica con un appello a contribuire con informazioni, commenti, Segue a pag. 2

Indice

1. Efficacia e sicurezza dei vaccini mRNA per il SarsCov2 2 2. Dopo un anno di pandemia, siamo ostaggi di Big Pharma? 4 3. Il ruolo della dieta nella pandemia da Covid-19 5 4. Le diete low-carb: effetti (duraturi) discutibili sulla salute,

insostenibili per l’ambiente 6

5. Gestione della pandemia: barriere individuali e sociali 8 6. Il rapido aumento delle diagnosi di melanoma cutaneo 9

7. CdI e raccomandazioni di linee guida 12

Tutto il materiale originale dei NoGrazie è disponibile secondo la licenza Creative Commons 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it), e può essere liberamente riprodotto citando la fonte; materiali di diversa provenienza (citazioni, traduzioni o riproduzioni di testi o immagini appartenenti a terze persone) non vi sono compresi e l'autorizzazione alla riproduzione va richiesta ai rispettivi proprietari.

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NoGrazie: riunione online, 22 gennaio 2021, ore18-20

Segue da pag. 1

riassunti e traduzioni, e a dare una mano per la tenuta e la gestione dell’indirizzario.

2. Gestione e aggiornamento del sito (www.nograzie.eu), compreso il caricamento regolare della lettera periodica, come tale, o articolo per articolo.

3. Contatto con l’AIFA per sollecitare la messa a punto di un sistema di sorveglianza attiva sulle reazioni avverse ai vaccini anti-Covid19 da parte dell’apposito comitato, per avere un quadro attendibile della loro frequenza e gravità.

4. A fronte di minacce più o meno velate contro medici e operatori sanitari che non intendono vaccinarsi contro il coronavirus, riproposizione dei principi, espressi nel documento sottoscritto assieme alla Rete Sostenibilità e Salute (RSS), secondo i quali l’obbligo di vaccinazione sarebbe, allo stato di conoscenze attuale, incostituzionale.

5. Impegno ad applicare le correzioni derivate dalla letteratura sugli effetti dei conflitti di interessi (CdI) su efficacia e sicurezza, a cominciare dai trial già pubblicati sui vaccini anti-Covid19.

6. Discussione su una bozza di documento sull’uso inappropriato di paracetamolo e FANS in corso di Covid-19 che sarà presentata alla prossima assemblea della RSS.

7. Aggiornamento sul Sunshine Act italiano, approvato alla Camera nella scorsa legislatura e attualmente fermo al Senato.

8. Stimolo e sostegno al SISM (Segretariato Italiano Studenti Medicina) per completare la ricerca sulle politiche delle facoltà di medicina italiane in tema di CdI, ricerca portata avanti in collaborazione con NoGrazie.

1. Efficacia e sicurezza dei vaccini mRNA per il SarsCov2

Dopo molti annunci, dichiarazioni e comunicati stampa, sono stati finalmente pubblicati i primi risultati degli studi di fase 3 per i vaccini di Pfizer e Moderna,1,2 entrambi basati sull’innovativa tecnologia di un pezzo di mRNA virale inserito in una nano particella di grasso. Diciamolo subito:

gli articoli pubblicati sono stati scritti da ricercatori pagati delle due ditte e perciò con impliciti conflitti di interessi (CdI). Se al governo negli USA ci fossero stati i NoGrazie, gli studi di fase 3 sarebbero stati affidati a ricercatori privi di CdI e potremmo porre maggiore fiducia su metodi, risultati e interpretazione degli stessi. Inoltre, come scrive Peter Doshi nel suo blog sul sito del BMJ, i dati grezzi non sono a disposizione, e probabilmente non lo saranno per i prossimi due anni o più, per cui non siamo totalmente sicuri che Pfizer e Moderna non ci nascondano qualcosa.3 Al momento, dobbiamo accontentarci di ciò che passa il convento, e ragionarci sopra. Per farlo, meglio disporre di una tabella riassuntiva.

La prima cosa che salta agli occhi osservando la tabella è che non ci sono dati di mortalità né Covid-19 specifica né per tutte le cause, con l’eccezione del decesso registrato nel gruppo di controllo dello studio Moderna. Ovvio che non ci siano dati, visto che la mortalità non era tra gli esiti previsti dai protocolli di studio; sarebbero stati necessari campioni molto più grandi e tempi ben più lunghi, con logiche conseguenze sui costi. Tempi lunghi che sicuramente le ditte e i governi,

1 Polack FP, Thomas SJ, Kitchin N, et al. Safety and efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 vaccine. N Engl J Med 2020; 383:2603-15

2 Baden LR, El Sahly HM, Essink B, et al. Efficacy and safety of the mRNA-1273 SARS-CoV-2 vaccine. N Engl J Med 2020 December 30. DOI: 10.1056/NEJMoa2035389

3 https://blogs.bmj.com/bmj/2021/01/04/peter-doshi-pfizer-and-modernas-95-effective-vaccines-we-need-more-details- and-the-raw-data/

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che hanno finanziato parte degli studi, non erano disposti ad aspettare. Eppure ciò che tutti si aspettano dai vaccini anti-Covid-19 è che riducano i morti. Saremo mai in grado di rispondere a questa domanda?

Caratteristiche Pfizer Moderna

Vaccino Placebo Vaccino Placebo

Partecipanti (2 dosi) 18556 18530 14550 14598

Età media (min/max) 52 (16-89) 52 (16-91) 51 (18-95) 51 (18-95)

Età oltre 55/65 anni 42% 42% 25% 25%

Obesi (BMI ≥30/40) 35% 35% 6,7% 6,8%

Casi di Covid-19 8 162 11 185

Tasso di incidenza 0,46/1000 9,25/1000 0,78/1000 13,1/1000

Efficacia protettiva 95% (90,3%-97,6%) 94,1% (89,3%-96,8%)

Differenza di rischio 8,79/1000 12,3/1000

NNV per evitare 1 caso 114 81

Casi gravi di Covid-19 1 9 0 30 (1 decesso)

Tasso di incidenza 0,047/1000 0,423/1000 0 2,1/1000

Efficacia protettiva 88,9% (20,1%-99,7%) 100%

Differenza di rischio 0,376/1000 2,1/1000

NNV per evitare 1 caso grave 2660 476

Eventi avversi 26,7% 12,2% 23,9% 21,6%

Eventi avversi gravi 0,6% 0,5% 0,6% 0,6%

Mancano nella tabella anche dati sulla prevenzione di casi asintomatici o pauci-sintomatici. Tutti i casi di Covid-19 citati corrispondono alle definizioni cliniche della FDA e si tratta sempre di malattia conclamata. Anche questa mancanza era prevista dai protocolli di studio. Sta di fatto che questi studi non permettono di stabilire se la vaccinazione contribuirà a interrompere la

trasmissione. Unita al fatto che non si conosce la durata dell’immunità post-vaccinale, questa mancanza rende al momento difficile, se non impossibile, sostenere l’ipotesi che la vaccinazione permetta di raggiungere l’immunità di gregge.

Gli articoli non citano i NNV (number needed to vaccinate), cioè il numero di individui da vaccinare per evitare un caso o un caso grave di Covid-19. I dati forniti, però, ne permettono la stima, pur con qualche incertezza sul denominatore da usare; la scelta va dal numero di individui vaccinati con due dosi (opzione 1), al numero di quelli seguiti per tutto il tempo previsto dai protocolli (opzione 2), al numero totale di individui seguiti espressi in termini di persone/anno (opzione 3). Ho scelto l’opzione 2 e quindi la stima reale dei NNV potrebbe essere leggermente diversa. Il NNV per evitare un caso si aggira attorno a 100, per evitare un caso grave va da circa 500 (Moderna) a circa 2500 (Pfizer), per i pochi casi gravi registrati in quest’ultimo studio. Per evitare un decesso, ammesso che il vaccino eviti i decessi, questi ultimi numeri vanno moltiplicati almeno per 10.

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Oltre che per stimare l’efficacia dei vaccini, i due studi sono stati condotti per valutarne la sicurezza. Le dimensioni dei campioni e le durate dei follow-up (circa due mesi) non permettono però di sapere qualcosa su eventi avversi rari e gravi, oppure tardivi. Sappiamo che le reazioni locali (dolore, arrossamento, gonfiore, linfoadenite) sono molto più frequenti nei vaccinati, ma sono passeggere, anche se in alcuni casi possono impedire di svolgere le normali occupazioni e possono richiedere cure mediche (i vaccinati hanno assunto molto più paracetamolo dei non vaccinati).

Anche le reazioni sistemiche (soprattutto stanchezza e mal di testa) sono più frequenti tra i vaccinati, anche se non ci sono differenze per quelle classificate come gravi. Ciò probabilmente significa che i vaccini stimolano molto il sistema immunitario. Questo è un bene, per quanto riguarda l’efficacia, ma potrebbe essere un male nel caso di reazioni eccessive, che potrebbero portare a malattie infiammatorie croniche o auto-immuni. In teoria potremmo saperne di più se i due studi mantenessero il follow-up per un paio d’anni, come previsto dai protocolli. Ma le ditte hanno annunciato che potrebbero vaccinare gli individui dei gruppi di controllo, per ragioni etiche. Se così fosse, sarebbe grave, visto che perderemmo la possibilità di comparare i vaccinati con i non

vaccinati, e che per gli effetti avversi rari, gravi e tardivi dovremmo affidarci solamente alla sorveglianza di fase 4, sperando che le istituzioni decidano di instaurare una sorveglianza attiva.

Intanto negli USA e in Gran Bretagna, dove sono già state vaccinate milioni di persone, sono stati registrati alcuni casi di reazioni anafilattiche immediatamente dopo la vaccinazione. Reazioni rare, ma molto gravi e potenzialmente mortali, in mancanza di pronto intervento medico. Ne parla un editoriale pubblicato assieme ai due articoli di cui sopra. Le autrici ipotizzano che le reazioni anafilattiche siano associate ad alcuni eccipienti (glicoli polietilenici e polisorbati) presenti sia nei vaccini Pfizer e Moderna sia in quelli di Astra Zeneca, Janssen, Novavax e Sanofi Pasteur che saranno probabilmente autorizzati nel corso del 2021.4 Se così fosse, e considerato che potrebbero essere vaccinati miliardi di individui, è necessario garantire che a ogni somministrazione sia presente personale medico in grado di intervenire prontamente ed efficacemente per salvare vite.

Adriano Cattaneo

2. Dopo un anno di pandemia, siamo ostaggi di Big Pharma?

Ernesto Burgio, 20 gennaio 2021

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che i decessi da Covid hanno superato oggi (15/01/2021) i 2 milioni su oltre 94 milioni di casi accertati, con un indice di letalità superiore al 2%

(in Italia sfiora il 3,5%: un indice molto alto, simile a quello ipotizzato per la Spagnola e circa 30 volte superiore a quello dell’influenza stagionale). Eppure, è evidente che a fronte di Paesi che hanno registrato un numero di casi e tassi di letalità e mortalità altissimi (Belgio, Italia, Perù, Messico, Gran Bretagna, Brasile…) ce ne sono altri che hanno saputo affrontare adeguatamente la situazione, fermando immediatamente la pandemia (Vietnam, Cambogia, Australia, Nuova Zelanda, Cuba, Islanda). Dovrebbe essere chiaro, quindi, che soltanto il rafforzamento della medicina territoriale e la tempestiva messa in campo di sistemi efficaci di isolamento dei casi e di tracciamento e monitoraggio dei contatti potrebbe ridurre la circolazione del virus e di

conseguenza il temuto incremento delle sue mutazioni adattative alla nuova specie e che sarebbe necessaria ed urgente una riorganizzazione complessiva dei sistemi sanitari occidentali, con potenziamento della medicina territoriale e dei dipartimenti di medicina preventiva. E questo anche in prospettiva futura, dato che la pandemia non è un evento accidentale e imprevisto, ma un dramma lungamente annunciato e che potrebbe ripetersi, essendo il prodotto di una crisi ecosistemica e soprattutto microbio-ecosistemica monitorata da decenni e causata dalla nostra guerra irresponsabile contro la Natura: deforestazioni, agricoltura e allevamenti intensivi,

4 Castells MC, Phillips EJ. Maintaining safety with SARS-CoV-2 vaccines. N Engl J Med 2020 December 30. DOI:

10.1056/NEJMra2035343

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inquinamento dell’intera ecosfera (atmosfera, idrosfera, biosfera e catene alimentari), urbanizzazione e crescita senza freni di immense megalopoli eco-insostenibili. È importante domandarsi, a questo punto, perché la gran parte dei Paesi occidentali non intenda o forse non possa affrontare la pandemia come hanno fatto, con immediato e definitivo successo, i Paesi sopra elencati.

Continua a leggere: https://wsimag.com/it/scienza-e-tecnologia/64652-dopo-un-anno-di-pandemia

3. Il ruolo della dieta nella pandemia da Covid-19

La pandemia è comunemente vissuta come un male imprevisto e dal decorso imprevedibile. Alla sua aleatorietà si contrappongono le misure di distanziamento sociale, l’uso della mascherina, il lavaggio frequente delle mani e in prospettiva la profilassi col vaccino. Vi sono altri ambiti a cui porre attenzione da parte di tutti? In un editoriale pubblicato il 10 luglio 2020, Maryanne Demasi, giornalista scientifica australiana, propone una dieta a basso tenore di carboidrati per favorire l’immunità e ridurre le risposte infiammatorie, sulla base di alcuni dati epidemiologici:5

 fra gli ammalati di Covid-19, le due condizioni patologiche pre-esistenti più comuni sono le malattie cardiovascolari (32%) e il diabete (30%);

 due terzi degli ammalati gravi di Covid-19 nel Regno Unito erano sovrappeso o obesi, e il 99%

dei decessi in Italia ha riguardato pazienti con preesistenti malattie fra cui ipertensione, diabete e cardiopatia;

 i pazienti con miglior controllo glicemico sono quelli che hanno avuto un decorso migliore.

I nessi che vengono stabiliti nell’articolo riguardano il ruolo dell’insulino-resistenza rispetto

all’immunità e il ruolo dell’alterata regolazione glicemica nel favorire l’infiammazione e le malattie respiratorie.

Se è scontato consigliare una dieta povera di carboidrati ai diabetici, è molto meno scontato favorire una riduzione dell’assunzione di zuccheri semplici nella popolazione in generale. L’attenzione alla dieta come un ulteriore fattore per fronteggiare la pandemia è un elemento che può favorire

l’empowerment della popolazione e presentare vantaggi noti che vanno oltre l’immediato. Ma l’editoriale, che ha sicuramente il pregio di offrire un ulteriore ambito di prevenzione in un contesto poli-fattoriale che merita approfondimento, lascia almeno due dubbi. Il primo riguarda la possibilità di attribuire alla generalità della popolazione il ruolo che il controllo della glicemia ha avuto nei diabetici rispetto al decorso di Covid-19. Ovvero, un diabetico ben controllato può avere un decorso meno grave per ragioni differenti dal ruolo diretto dell’iperglicemia sull’immunità. Il secondo riguarda la critica alla piramide alimentare in cui i carboidrati sono collocati alla base, mettendo insieme dieta scorretta di soggetti con sindrome metabolica, scelte dietetiche inappropriate di soggetti sani, offerta commerciale di cibi molto raffinati e con aggiunta di zuccheri semplici.

Mariolina Congedo

5 Demasi M. Covid-19 and metabolic syndrome: could diet be the key? BMJ Evid Based Med 2020;111451 https://eb- m.bmj.com/content/ebmed/early/2020/07/09/bmjebm-2020-111451.full.pdf

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4. Le diete low-carb: effetti (duraturi) discutibili sulla salute, insostenibili per l’ambiente

Gli interventi istituzionali di contrasto alla pandemia con misure rivolte alla popolazione si sono concentrati quasi solo su strategie di riduzione della carica virale iniziale, con lockdown di varia intensità e raccomandazioni e obblighi individuali: distanziamento fisico, mascherine e igiene delle mani. Si è trascurato del tutto un altro aspetto strategico: come potenziare le nostre difese verso le infezioni e il nostro stato di salute generale, per ridurre anche incidenza, gravità e mortalità da malattie infettive (inclusa la Covid-19) e in generale le principali patologie. L’articolo della Demasi ha di certo il pregio di richiamare l’attenzione sullo stile di vita, e in particolare sull’alimentazione, uno dei maggiori determinanti della salute e delle difese anche antinfettive. Purtroppo, le sue competenze specifiche non le consentono di dare messaggi coerenti con il complesso delle conoscenze scientifiche sui rapporti tra modelli alimentari e salute.

Questa valutazione critica non si riferisce ai giudizi negativi della Demasi, del tutto condivisibili, su cibi ultraprocessati (oltre il 70% dei cibi disponibili negli USA), bevande zuccherate e succhi di frutta, pizze e ciambelle (con farine raffinate!). Si riferisce invece al fatto che la Demasi promuove diete a basso contenuto di carboidrati, senza ulteriori specificazioni, in base a una rassegna

sistematica del 2018 basata su esiti surrogati.6 Questa rassegna è ben lungi dal legittimare le sue conclusioni, persino per i diabetici cui si riferisce, come ammesso dai suoi stessi autori: “Sono stati inclusi 33 RCT e 3 CCT (n = 2161). L’emoglobina glicata si è ridotta di più in coloro che hanno consumato nel breve periodo cibi a basso contenuto di carboidrati rispetto a chi ha consumato cibi con pochi grassi (differenza media: -1.38%; 95% CI: -2.64%, -0.11%; prove di grado molto basso).

A un anno, la differenza media si è ridotta a -0.36% (95% CI: -0.58%, -0.14%; prove di grado basso); a 2 anni la differenza era scomparsa. Vi sono prove di grado da basso ad alto (in

maggioranza di grado moderato) per piccoli miglioramenti, di importanza clinica incerta, per le concentrazioni plasmatiche di glucosio, trigliceridi e HDL a favore dei cibi a basso contenuto di carboidrati per metà dei periodi pre-specificati.”

Oltre alla considerazione che i benefici su fattori di rischio cardiovascolari a “lungo termine” di cui parla la Demasi si riscontrano solo al follow-up di un anno (!), un approccio a basso tenore di carboidrati pone molti seri problemi sanitari e ambientali, cui si fa breve cenno, anche se meriteranno una diffusa trattazione futura:

1. Le più note diete di questo tipo (Atkins, Dieta Punti, South Beach, Keto, Paleo, Dukan…) ri- mandano a un alto consumo di proteine animali e grassi, efficaci nella perdita di peso a breve termine e nel miglioramento di parametri surrogati (riduzione di glicata e trigliceridi, aumento di colesterolo HDL), ma non superiori ad altri approcci dietetici a medio-lungo termine, e so- prattutto con un rango basso dal punto di vista della salubrità rispetto a diete altrettanto note e con ben altre prove a supporto: Mediterranea a base vegetale, DASH, Flexitariana, MIND, Nordica, Veg, etc.7

2. Si riporta un esempio di rassegna sistematica che mostra l’aumento di mortalità con il consu- mo di vari gruppi di cibi, soprattutto animali, tra cui in particolare carni rosse e lavorate e uova.8

3. La salubrità può essere migliore, anche dal punto di vista della riduzione della mortalità totale,

6 van Zuuren EJ, Fedorowicz Z, Kuijpers T, et al. Effects of low-carbohydrate- compared with low-fat-diet interventions on metabolic control in people with type 2 diabetes: a systematic review including grade assessments. Am J Clin Nutr 2018;108:300-31

7 https://edition.cnn.com/2020/01/02/health/best-diet-worst-diet-2020-wellness/index.html

8 Schwingshack L, Schwedhelm C, Hoffmann G et al. Food groups and risk of all-cause mortality: a systematic review and meta-analysis of prospective studies. Am J Clin Nutr 2017;105:1462-73

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se le diete, anche a basso tenore di carboidrati, si basano su cibi proteici (e grassi) vegeta- li.9,10,11

4. Tuttavia, se le diete sono più ricche di proteine, si accompagnano a un paradossale aumento di peso a medio-lungo termine, ancora non ben chiarito nella sua patogenesi, ma ben documenta- to in grandi studi prospettici europei, che hanno coinvolto anche l’Italia,12 oltre che in grandi studi di coorte USA,13 durati decenni. Un’indagine ecologica su 170 paesi mostra anche il fat- to, ben lontano dalla comune consapevolezza, che nelle diete moderne il consumo di carni (e quello di zucchero, in modo indipendente) ha la più forte correlazione mondiale con l’obesi- tà.14

5. Per finire, ma non certo per importanza, le diete a basso tenore di carboidrati sono insostenibili dal punto di vista ecologico e ambientale, perché la produzione di ogni chilo dei relativi cibi comporta una sproporzionata produzione di CO2 e altri gas serra, e un eccessivo consumo di suolo e di acqua;15 nonché per l’impatto energetico, sull’inquinamento e in generale sulla so- stenibilità a livello mondiale.16

Basterebbe quest’ultimo argomento per lasciar cadere tentativi più o meno forzati di legittimare i consumi carnei anche da parte di personaggi scientifici illustri,17 coinvolti per altro in CdI non di- chiarati, ma poi emersi, con la filiera delle carni. Questi autori, con la pretesa di proporre una “Li- nea Guida evidence-based”, hanno puntato a minimizzare: “una riduzione di 3 porzioni a settimana nel consumo di carni rosse non processate è associata a una riduzione molto piccola del rischio di mortalità cardiovascolare, accidente cerebrovascolare, infarto miocardico e diabete tipo 2”, con l’aggiunta di una “riduzione molto piccola del rischio per mortalità da tutte le cause”, se si conside- ra anche la carne processata. Hanno inoltre fatto un inedito appello alla “dieta soddisfacente”, salvo dichiarare in modo disarmante di non aver preso in considerazione gli aspetti ambientali di tali con- sumi.

Alberto Donzelli

9 Jenkins DJA, Wong JMW, Kendall CWC et al. The effect of a plant-based low-carbohydrate (“Eco-Atkins”) diet on body weight and blood lipid concentrations in hyperlipidemic subjects. Arch Intern Med 2009;169:1046-54

10 Huang J, Liao LM, Weinstein SJ et al. Association between plant and animal protein intake and overall and cause- specific mortality. JAMA Intern Med 2020;180:1173-84

11 Song M, Fung TT, Hu FB et al. Association of animal and plant protein intake with all-cause and cause-specific mor- tality. JAMA Intern Med 2016;176:1453-63

12 Vergnaud AC, Norat T, Mouw T et al. Macronutrient composition of the diet and prospective weight change in parti- cipants of the EPIC-PANACEA study. PLoSOne 2013;8:e57300

13 MozaffarianD, Hao T, Rimm EB et al. Changes in diet and lifestyle and long-term weight gain in women and men. N Engl J Med 2011;364:2392-404

14 You W, Henneberg M. Meat in modern diet, just as bad as sugar, correlates with worldwide obesity: an ecological analysis. J Nutr Food Sci 2016;6:1000517

15 https://www.barillacfn.com/it/divulgazione/doppia_piramide/

16 Willett W, Rockström J, Loken B et al. Food in the anthropocene: the EAT–Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems. Lancet 2019;393:447-92

17 Johnston BC, Zeraatkar D, Han MA et al. Unprocessed red meat and processed meat consumption: dietary guideline recommendations from the nutritional recommendations (NutriRECS) consortium. Ann Intern Med 2019;171:756-64

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5. Gestione della pandemia: barriere individuali e sociali

Questo breve articolo,18 scritto da Juan Gérvas e Mercedes Pérez, membri di NoGracias (i NoGrazie spagnoli), è apparso su un blog e ci è stato segnalato da Luca Iaboli. Ci è sembrato interessante e l’abbiamo tradotto.

Le pandemie, come tutte le malattie infettive, sono problemi sociali, non sanitari; e medicina e salute pubblica sono più politica che lavoro clinico. È il caso, per esempio, del colera; per controllarlo, non c’è bisogno di antibiotici e vaccini, ma di decisioni politiche per assicurare forniture di acqua potabile e corretta eliminazione degli escreti. In questo modo, oltre ad evitare il colera, si prevengono molte altre malattie trasmesse con l’acqua.

Per questa ragione, la pandemia da Covid-19 ha reso evidenti i problemi di giustizia sociale in una società che di medicina sociale ne ha fatta poca. Un approccio pragmatico di giustizia sociale, che affronti le iniquità in salute ed elimini le barriere all’accesso ai servizi, dovrebbe caratterizzare la gestione della pandemia.19 Purtroppo, invece, si privilegiano le responsabilità individuali a scapito di quelle pubbliche.20 Un buon esempio è il modello “formaggio svizzero” pubblicato dal New York Times, figlio di un’ideologia che mette la responsabilità di controllare la pandemia sulle spalle degli individui.21 Nella figura originale, molti strati di protezione, immaginati come fette di formaggio con i buchi, contribuiscono a bloccare la trasmissione del coronavirus. Nessuno strato è perfetto, ogni fetta ha dei buchi, e quando i buchi si allineano aumenta il rischio di infezione. Ma la combinazione di molti strati (distanza fisica, mascherine, lavaggio delle mani, ventilazione,

tracciamento dei contatti, messaggi delle autorità) fa diminuire la trasmissione e quindi il rischio di infezione.

Questo approccio, intriso di ideologia liberistica e carente di solidarietà, finisce per essere accettato dalla maggioranza delle persone, che non si rendono conto dei suoi presupposti.

Comparatelo con la nostra proposta e scovate le differenze (e le somiglianze). In estrema sintesi, l’immagine prevalente della gestione della pandemia tende a privilegiare i

comportamenti individuali. Si tratta di una rappresentazione che dà per scontati alcuni presupposti ideologici che accettiamo senza pensare.

È ora di allargare la nostra visione e di sottolineare gli aspetti di giustizia sociale necessari per una risposta più efficace e solidale alle sfide della pandemia.

18 https://saludineroap.blogspot.com/2020/12/management-of-covid19-pandemic.html

19 DeBruin D et al. Social justice in pandemic preparedness. Am J Public Health. 2012;102:586-91

20 Gérvas J. Culpabilizando a la población de la mortalidad por covid19 en España. Salud, dinero y atención primaria.

20 diciembre 2020 https://saludineroap.blogspot.com/2020/12/culpabilizando-la-poblacion-de-la.html

21 Roberts S. The Swiss Cheese Model of Pandemic Defense. New York Times. 7 December 2020 https://www.nytimes.- com/es/2020/12/08/espanol/ciencia-y-tecnologia/estrategia-queso-suizo-covid.html

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Nota. Il disegno del formaggio svizzero con le misure di giustizia sociale, proposte dagli autori, è opera di mio nipote, Juan Gérvas Zorrilla. Per riprodurlo, sarebbe apprezzato una citazione sia degli autori intellettuali sia del disegnatore.

6. Il rapido aumento delle diagnosi di melanoma cutaneo

Un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine è per me il modo migliore di cominciare questo 2021. L’articolo parla dello screening e della diagnosi di melanoma,22 ma affronta alcuni aspetti molto importanti per tutte le branche dell’oncologia. Uno degli effetti dell’epidemia di Covid-19 è la riduzione degli screening oncologici: molti sostengono che questo porterà a un aumento della mortalità per neoplasie, ma in questo articolo si fanno delle riflessioni opposte, descrivendo in modo dettagliato cosa c’è dietro l’aumento delle diagnosi di melanoma e come la pandemia, con la riduzione degli screening oncologici, sia in molti casi l’occasione per correggere alcuni comportamenti inappropriati. Trovo che l’articolo sia davvero fatto bene: in molti casi ho citato letteralmente il testo (tradotto da me) mettendolo in corsivo. La decisione di mettere

22 Welch HG, Mazer BL, Adamson AS. The rapid rise in cutaneous melanoma diagnoses. New Engl J Med 2021;384:72-9 https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMsb2019760?query=featured_home

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in risalto alcune parole usando il grassetto è mia. Quando invece ho inserito delle mie riflessioni, 23 l’ho fatto o nelle note a piè di pagina o usando il colore blu.

Gli autori partono da alcune osservazioni: confrontano l’incidenza del melanoma cutaneo, la presenza di metastasi alla diagnosi e la mortalità con quanto si osserva nel melanoma non-cutaneo.

La biologia delle due condizioni è la stessa, ma la rilevanza clinica è molto diversa. L’incidenza del melanoma è aumentata di 6 volte negli ultimi 40 anni in quella che definiscono una “epidemia di diagnosi”, ma l’aumento di incidenza riguarda solo il melanoma cutaneo. L’ipotesi è che questo sia dovuto alla maggiore accessibilità allo screening del melanoma cutaneo: “quando si ha un aumento dell’incidenza di un tumore in assenza di un aumento della mortalità, questo è un segno

patognomonico di sovradiagnosi”. La maggiore esposizione a fattori di rischio non può giustificare questo aumento di incidenza perché, anche se l’esposizione al sole e ai raggi UV (lettini

abbronzanti) sembra avere un ruolo nella formazione del melanoma cutaneo, l’aumento osservato non può essere giustificato da questi elementi. L’esposizione al sole e alle radiazioni UV può al massimo raddoppiare l’incidenza del melanoma, quindi non giustifica un aumento di 6 volte.

Inoltre, il 90% dei melanomi diagnosticati oggi sono melanomi fini, con uno spessore inferiore a un millimetro, e dal 1975 a oggi l’incidenza del melanoma in situ è aumentata di 50 volte.

“La mancanza di qualsiasi effetto apprezzabile nel ridurre l'insorgenza di melanoma invasivo suggerisce che il melanoma in situ non è in genere un precursore, tanto meno un precursore obbligato, del melanoma invasivo”. Questa osservazione è simile a quanto è stato descritto in passato per il carcinoma della mammella: da molti anni si osserva un aumento notevole della diagnosi di forme in situ a cui non è mai seguita una riduzione delle forme invasive. Anche in questo caso sembra quindi che l’ipotesi che il tumore in situ evolva in una forma invasiva non sembra confermata dai dati clinici. È stata abbassata la soglia sopra la quale si richiede la biopsia di una lesione cutanea: gli autori propongono di tornare a un criterio largamente usato in passato: non fare la biopsia di lesioni pigmentate più piccole del diametro di una matita, circa 6 mm. Allo stesso tempo, è stata abbassata la “soglia” per dichiarare che una lesione è un melanoma: un gruppo di patologi ha riesaminato alcuni vetrini di 20 anni fa e molte lesioni che allora non erano state

considerate maligne oggi sarebbero state diagnosticate come melanoma, mentre in pochissimi casi è successo il contrario, cioè in pochissimi casi un melanoma diagnosticato 20 anni fa oggi sarebbe stato considerato un non-melanoma. Questo si è verificato anche quando lo stesso patologo ha rivisto dei vetrini a distanza di 20 anni.

Gli autori parlano di “incentivi asimmetrici”: c’è una “punizione” se sfugge la diagnosi di un melanoma, mentre non c’è nessuna “sanzione” per la sovradiagnosi. Io ho l’impressione che anche in altre situazioni esista una tendenza a interpretare come lesioni neoplastiche anche quelle che probabilmente non lo sono, specialmente quando il paziente ha avuto in passato un tumore di qualsiasi origine e di qualsiasi stadio. Ma questo è probabilmente dovuto in gran parte al fatto che i clinici non forniscono informazioni sufficienti ai colleghi della diagnostica. È vero che negli ultimi anni c’è stato un aumento anche dei casi di melanoma che erano metastatici alla diagnosi: ma questo è successo sia per il melanoma cutaneo sia per quello che origina da altre sedi. La causa è verosimilmente l’uso diffuso di strumenti diagnostici più sensibili come la TAC o la PET già alla diagnosi, e questo a sua volta porta a un apparente miglioramento della prognosi dei pazienti con melanoma metastatico.24

Gli autori parlano poi di un problema probabilmente specifico degli USA, cioè che la tendenza alla sovradiagnosi è maggiore quando l’esame istologico si fa nella stessa struttura (privata) in cui opera il dermatologo. Questa è una situazione che forse non è attualmente applicabile all’Italia, ma certo

23 Guareschi diceva che nel suo romanzo “Il destino si chiama Clotilde” c’era “un'importante digressione la quale per quanto d'indole personale si innesta mirabilmente nella vicenda e la corrobora rendendola vieppiù varia e

interessante”. Io spero che i commenti personali che ho inserito nel testo abbiano lo stesso effetto.

24 Fenomeno di Will Rogers: per una spiegazione vedi local.disia.unifi.it/grilli/files/Teaching/Effetto_Will_Rogers_SI- Smagazine.pdf e per sapere chi era Will Rogers vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Will_Rogers

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vale la pensa di stare attenti. Vi sarà forse capitato di notare come le persone (o i pazienti) che si rivolgono a studi radiologici privati (anche convenzionati) vengono poi spesso incoraggiate a effettuare ulteriori controlli anche quando non sembrano così opportuni.

Dobbiamo tenere presente quali sono gli effetti dannosi di una diagnosi di melanoma: non si tratta solo della cicatrice dell’asportazione,25 la diagnosi di cancro provoca nella persona una sensazione di vulnerabilità. Inoltre, negli USA è stato dimostrato che una diagnosi di tumore maligno provoca un impoverimento e una maggiore difficoltà nell’accedere a piani assicurativi: questo forse non è ancora così evidente in Europa, ma non è certo inverosimile che succeda. Sarebbe anche utile usare dei termini diversi da tumore maligno o melanoma, perché queste parole (“Le parole sono pietre”

diceva Carlo Levi) provocano nelle persone una paura che è difficile poi mitigare.26 Secondo gli autori bisogna mettere in pratica una “de-escalation linguistica”, specialmente nel caso del

melanoma in situ. Questo lo diceva Umberto Veronesi già molti anni fa e in effetti, per esempio nel caso del tumore della mammella, la forma lobulare in situ non viene più definita “carcinoma”.

L’aspetto economico rappresenta negli USA una delle spinte principali alla sovradiagnosi: forse però questo è meno importante in Europa e in particolare in Italia. Anche se io penso che i dirigenti di una ASL tenderanno a premiare, non tanto in termini economici ma in termini di assegnazione di spazi o di personale o altro, il dermatologo che fa 30 interventi a settimana rispetto a quello che ne fa 10, anche se il numero di melanomi asportati è lo stesso.

“Nonostante le migliori intenzioni di tutte le parti, un aumento degli esami diagnostici può provocare un fenomeno di sovradiagnosi in qualsiasi malattia con un serbatoio di forme subcliniche: il melanoma non fa eccezione. Quando una malattia diventa apparentemente più comune, le persone rispondono applicando una soglia più bassa per la richiesta di una valutazione per le lesioni pigmentate. Spinti dalla paura di non diagnosticare un cancro, da preoccupazioni medico-legali e dall’ansia del paziente, i medici di base hanno risposto applicando una soglia più bassa per inviare i pazienti ai dermatologi e i dermatologi, applicando una soglia più bassa per eseguire una biopsia. Il dermatoscopio, lo speciale dispositivo di ingrandimento per diagnosticare le lesioni cutanee, ha ingrandito il problema della sovradiagnosi.27 Da questo punto di vista, l’uso dell’intelligenza artificiale fa nascere ulteriori preoccupazioni. La soglia inferiore per porre

diagnosi di melanoma tra i dermatopatologi aggrava ulteriormente il problema della sovradiagnosi del melanoma. L'apparente aumento del numero di casi e l'apparente miglioramento dell’esito dei casi diagnosticati rafforza da una parte l’impressione che sia necessario eseguire più diagnosi, dall’altra il valore apparente della diagnosi, incoraggiando così più screening per il futuro.”

Nell’ultimo paragrafo si dice “dobbiamo poi ammettere il ruolo del denaro: c’è un incentivo economico tremendo a ricominciare gli screening” dopo la pausa dovuta alla Covid. “Spezzare questo ciclo è difficile, ma dobbiamo proteggere la gente dallo stress finanziario di essere, senza nessuna utilità, trasformati da persone in pazienti.” Questo è quello che io chiamo “fenomeno di Circe”: Circe trasformava gli uomini in maiali,28 mentre noi medici trasformiamo le persone in pazienti! Insomma, un articolo molto interessante, che descrive con precisione i problemi relativi alla sovradiagnosi del melanoma, ma che dà indicazioni utili per tutti gli ambiti dell’oncologia.

A cura di Giovanni Codacci-Pisanelli

25 Alcuni studi hanno dimostrato che per ogni melanoma vengono asportate dieci (o più!) lesioni benigne!

26 https://www.bmj.com/content/364/bmj.l837

27 Un amico dermatologo aveva organizzato un congresso nel corso del quale ci sarebbe stata una sessione a quiz: il vin- citore avrebbe ricevuto un dermatoscopio. Io gli avevo chiesto, provocatoriamente: “ma non sarebbe meglio dare il der- matoscopio a chi ottiene il punteggio peggiore?” e lui mi aveva risposto “NO, perché si è visto che se un dermatologo è bravo col dermatoscopio migliora, se non è bravo peggiora!”. Oggi a distanza di 20 anni capisco quanto era (ed è anco- ra) saggio!

28 Anche se Geppi Cucciari (mi sembra fosse lei) diceva che trasformare un uomo in porco non è poi una trasformazione così grande!

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7. CdI e raccomandazioni di linee guida

In una recente revisione sistematica, gli autori hanno investigato l’associazione tra i CdI e le raccomandazioni favorevoli nelle linee guida cliniche, nei resoconti dei gruppi consultivi, negli articoli di opinione e nelle rassegne narrative riguardanti farmaci e dispositivi medici.29 I documenti da includere nella revisione sistematica sono stati cercati nei soliti database (PubMed, Embase, Cochrane Methodology Register, Web of Science), oltre che nella letteratura grigia. I dati sono stati estratti e valutati, in termini di qualità metodologica, da due degli autori. Si è poi proceduto

all’analisi statistica e alla stima dei rischi relativi.

In totale, l’analisi ha riguardato 106 linee guida cliniche, 1809 resoconti di gruppi consultivi, 340 articoli di opinione (in maggioranza editoriali) e 497 rassegne narrative, pubblicati tra il 1998 e il 2019. In alcuni casi, gli autori della revisione sistematica hanno contattato gli autori dei documenti analizzati per un supplemento di informazione (dati non pubblicati). Il rischio relativo per

un’associazione tra CdI e raccomandazioni favorevoli è stato di 1,26 (IC 95%: 0,93-1,69) per le linee guida cliniche, 1,20 (0,99-1,45) per i resoconti di gruppi consultivi, 2,62 (0,91-7,55) per gli articoli di opinione, e 1,20 (0,97-1,49) per le rassegne narrative. Un’analisi combinata di tutti i documenti ha prodotto un rischio relativo di 1,26 (1,09-1,44). La conclusione è quella che possiamo facilmente immaginare: i CdI finanziari sono associati a raccomandazioni favorevoli all’uso di farmaci e dispositivi medici.

A cura di Adriano Cattaneo

Abbiamo ancora alcune copie del libro della Rete Sostenibilità e Salute “Un nuovo mo(n)do per fare salute”.30 Per i nostri lettori il prezzo è di 10 euro (comprese le spese di spedizione ordinaria). Chi desiderasse una o più copie può contattare Adriano Cattaneo (adriano.cattaneo@gmail.com). Esaurite queste copie, presso l’editore il prezzo di copertina è di 14 euro.

C’è anche la possibilità di ottenere 15 crediti ECM con una FAD basata sul libro.31

29 Nejstgaard CH, Bero L, Hróbjartsson A et al. Association between conflicts of interest and favourable recommenda- tions in clinical guidelines, advisory committee reports, opinion pieces, and narrative reviews: systematic review. BMJ 2020;371:m4234

30 https://www.sostenibilitaesalute.org/un-nuovo-mondo-di-fare-salute-bologna-11-ottobre-2019-ore-18/

31 https://www.ebookecm.it/corsi-ecm-fad/un-nuovo-mo-n-do-di-fare-salute-260.html

Secondo l’autorevole rivista «The Lancet», i cambiamenti climatici saranno la principale minaccia per la salute del XXI secolo. Contemporaneamente, l’acuirsi delle disuguaglianze alimenta problemi sociali e di salute, sia fisica che mentale, in tutta la popolazione e a tutti i livelli. Al di là del comune convincimento e dei tradizionali approcci medici, infatti, salute e malattia non sono solo o tanto questioni individuali, ma elementi plasmati dal contesto – materiale e sociale – in cui nasciamo, cresciamo e invecchiamo.

Un contesto sempre meno sostenibile in cui, per massimizzare il profitto di pochi, si compromettono i principali determinanti di salute delle

generazioni presenti e future. Che cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò?

In questo volume la Rete Sostenibilità e Salute propone spunti teorici e pratici per un cambiamento dell’attuale sistema, a partire da un modo diverso di leggere la malattia e la cura. Si tratta di un utile strumento per tutte le persone che si rifiutano di rassegnarsi a questa ingiusta ed evitabile

“realtà”, e vogliono impegnarsi nel dare vita a un mondo che metta al centro la salute delle persone e quella del pianeta.

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