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Pubblicazione del libro Vittorio Bachelet. Gli anni 70 tra speranze e disillusioni. Ricordo a 40 anni dalla sua uccisione

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Pubblicazione del libro Vittorio Bachelet. Gli anni 70

tra speranze e disillusioni. Ricordo a 40 anni dalla sua uccisione

Roma, plenum del 12 febbraio 2020

Signor Presidente della Repubblica, signor Ministro della Giustizia, signor Primo presidente della Corte di Cassazione, signor Procuratore generale, professore Giovanni Bachelet, onorevole Rosy Bindi, illustri ospiti, colleghi Consiglieri

quarant’anni fa, a quest’ora, Vittorio Bachelet stava varcando i cancelli dell’Università per quella che sarebbe stata la sua ultima lezione. Quarant’anni fa, poco prima di mezzogiorno, Vittorio Bachelet sarebbe caduto sotto i colpi delle Brigate rosse. Nella sala che fu allora la sua camera ardente, in questa sala dove davanti alla bara sfilarono in processione commossa e silenziosa decine e decine di giovani e uomini e donne, noi oggi ne celebriamo la figura e onoriamo la memoria. In quest’aula che porta il suo nome, oggi ricordiamo il suo impegno civile e istituzionale e rinnoviamo il tributo ai valori civili, sociali e democratici che la sua vicenda umana e la sua tragica scomparsa evocano.

E’ la medesima finalità con la quale il Consiglio superiore ha ritenuto di promuovere la pubblicazione di un volume dal titolo “Vittorio Bachelet. Gli anni 70 tra speranze e disillusioni”. Il libro intende rendere omaggio alla figura di Bachelet e fornire un quadro

del contesto storico, sociale e culturale in cui la sua vicenda umana ha trovato evoluzione e tragico epilogo, per offrire una informazione il più possibile divulgativa e facilmente accessibile – indirizzata in particolare alle giovani generazioni – in relazione

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a una epoca storica che ha inciso in maniera significativa sull’evoluzione civile e politica della collettività nazionale.

La pubblicazione, impreziosita da una breve presentazione che il Presidente della Repubblica ha voluto offrire sulla figura e l’esempio di Vittorio Bachelet, è composta da una pluralità di testi monografici redatti da intellettuali, giornalisti, politici e magistrati che hanno vissuto l’epoca oggetto di illustrazione o vi hanno già dedicato approfondite riflessioni. La curatela dell’opera, il coordinamento di contributi e i rapporti con gli autori sono stati affidati a Giancarlo De Cataldo, magistrato, scrittore e sceneggiatore. Il volume è accompagnato dal filmato Vittorio Bachelet, il perdono e mai la vendetta realizzato da Rai Teche, video scaricabile tramite codice QR. Sono personalmente grato a tutti coloro che condividendo il progetto – curatore, autori, direzione e tecnici di Rai Teche – hanno offerto il loro prezioso contributo e li ringrazio davvero di cuore per la loro generosità. Così come ringrazio il ministero della Giustizia e l’Archivio di Stato per aver risposto con sollecitudine alla nostra richiesta mettendo a disposizione il file dei documenti processuali relativi all’omicidio nell’ambito del progetto, attualmente in corso, di digitalizzazione degli atti del processo Moro.

La pubblicazione, affidata per l’edizione al Poligrafico dello Stato, ha riscosso l’interesse del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che ha voluto partecipare all’operazione commissionando la stampa per sé di settemila copie del libro da distribuire nelle scuole e in istituzioni culturali. E’ una collaborazione che già si sta concretizzando ora, in contemporanea al nostro Plenum, con visite di scolaresche presso

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gli uffici giudiziari che hanno dato disponibilità a riceverle, per la presentazione del libro e la riflessione sulla figura di Vittorio Bachelet.

Ed è una collaborazione destinata a proseguire nelle prossime settimane con la promozione e l’organizzazione di incontri degli autori del libro con studenti e insegnanti, nella consapevolezza che la testimonianza etica e civile di Bachelet deve essere patrimonio di tutti i cittadini e, in particolare, dei giovani che – egli diceva – bisogna formare alla responsabilità, al coraggio e alla giustizia, ma, specialmente, alla virtù della prudenza. Anche per dare seguito all’impostazione divulgativa aperta, informativa e informale della pubblicazione domani presenteremo il libro in una sede non istituzionale, con accesso libero a tutti i cittadini interessati, presso la Casa del Cinema di Roma.

Aggiungo che il Miur, ritenuto l’elevato valore pedagogico della figura di Vittorio Bachelet, ha condiviso un’altra iniziativa, bandendo in collaborazione con il Consiglio il concorso di idee “Ricordare Vittorio Bachelet e la sua testimonianza di libertà e democrazia a quaranta anni dalla morte” per l’anno 2019/2020. Il concorso, rivolto agli

alunni delle scuole di ogni ordine e grado, è volto a promuovere tra le giovani generazioni il ricordo della testimonianza etica del Vicepresidente del CSM e stimolare una riflessione sui valori democratici e i principi di giustizia sociale e crescita civile del Paese. I vincitori, al termine del Plenum e della fase commemorativa, saranno premiati nella sala Conferenze.

Signor Presidente della Repubblica,

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tra tutti i miei predecessori, Bachelet rimarrà sempre vivo nella memoria dei componenti del Consiglio che ogni settimana si riuniscono in quest’aula. Giurista profondo, intellettuale, uomo di grande rigore e moralità, Bachelet fu davvero il presidente di tutto il Consiglio. Basterebbe leggere il discorso di insediamento, dopo il voto sofferto che lo aveva contrapposto a Giovanni Conso dividendo il Plenum, per capire quanto fosse invece uomo di unità. Bachelet parlò subito della necessità di “una larga partecipazione di tutti alla gestione del Consiglio” annunciando la volontà di “sperimentare quelle forme organiche di consultazione – attraverso formule che sono state in vario modo ipotizzate e che andranno vagliate – per poter portare avanti con speditezza i lavori del Consiglio e insieme per ottenere la corresponsabilità di tutti”.

Erano anni difficili, anni inquieti. Erano tempi di dura dialettica ideologica, in un Paese teso e angosciato. E i magistrati stavano in prima linea contro il fuoco terrorista.

Bachelet, grazie alle sue doti di equilibrio, serenità, disponibilità all’ascolto e grande capacità di dialogo e mediazione tra le correnti organizzate, contribuì a garantire l’unità del Consiglio e a tenere compatta l’intera magistratura. Avrebbe poi detto in un’intervista a metà consiliatura in merito alle accuse di ‘politicizzazione’ del Csm: “E’

una realtà estremamente variegata in cui non ci sono maggioranze precostituite: con l’interesse e con i rischi che questa situazione presenta. Debbo ricordare però che moltissime decisioni sono prese a larga e spesso larghissima maggioranza; e che talune deliberazioni fra le più significative hanno avuto il voto unanime del Consiglio”.

Bachelet credeva profondamente nel confronto democratico. La Carta costituzionale era la sua stella polare e proprio questa sua fedeltà allo spirito e ai principi costituzionali

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ha caratterizzato la sua direzione nel corso della vicepresidenza: per un verso, l’intoccabilità dell’indipendenza e autonomia della magistratura, nella consapevolezza della centralità della giustizia nell’assetto istituzionale e del ruolo del giudice nell’ambito della Costituzione; per l’altro, l’affermazione dell’individualità istituzionale del Consiglio superiore e la rivendicazione di un suo ruolo autonomo da interferenze di altri poteri e propulsivo e non meramente amministrativo e burocratico. Emblematico, al riguardo, fu il parere formulato dal Consiglio sul decreto-legge antiterrorismo varato a caldo dopo l’eccidio di via Fani e il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, un parere notevolmente critico che suscitò reazioni piccate della politica e l’accusa di invasione di campo. Eppure Bachelet tenne il punto ribadendo apertamente la sua contrarietà alle leggi speciali.

Il Csm di Bachelet fu avamposto di frontiera e punto di riferimento per l’intera magistratura nella stagione terribile del terrorismo. Furono gli anni in cui Bachelet si trovò a commemorare Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione, Fedele Calvosa ed Emilio Alessandrini, prima di essere raggiunto dai colpi sparati da Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti. Non c’è dubbio che l’uomo Bachelet sia stato colpito quale simbolo di un’istituzione che si era ormai imposta come protagonista nel processo di riforma della giustizia. Bachelet si era appuntato una frase che Alessandrini disse a un giornalista tre giorni prima di morire: “Vogliono travolgere proprio coloro che credono nella trasformazione graduale della società civile, il cuscinetto riformista che ha consentito finora di evitare lo scontro”. Bachelet, come Alessandrini e gli altri giudici assassinati

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dai terroristi, finì nel mirino delle Brigate rosse perché rappresentava la magistratura e l’alternativa democratica e riformista.

Bachelet fu colpito dai brigatisti rossi perché il Csm sotto la sua guida si era impegnato per superare la crisi della giustizia, pungolando governo e Parlamento affinché finalmente si avviasse una larga azione riformatrice. Fu colpito perché riteneva che nella difesa dei diritti fondamentali delle persone riposasse il vero significato della democrazia: “La democrazia è conquista – diceva – e vittoria quotidiana contro la sopraffazione, è difesa dei diritti faticosamente conquistati. Questa non è la via più lunga per una maggiore giustizia nella società: è l’unica via”.

Vittorio Bachelet fu uomo retto e libero. Fu uomo che credeva nei giovani e credeva, da “inguaribile ottimista”, in un futuro migliore per la vita del Paese e delle istituzioni.

La sua figura, il suo esempio, il suo sacrificio sono scolpiti nel nostro cuore a imperitura memoria.

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