R
ESPONSABILITÀ DELL’
ENTE DA REATO FISCALE:
NOVITÀ NORMATIVE E AGGIORNAMENTO DEL MODELLOIl lungo dibattito sull’inserimento dei reati tributari nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti ha (finalmente) trovato una soluzione con il Decreto Fiscale 2020 (D.L. n.
124/2019, convertito con modificazioni nella L. n. 157/2019, in vigore dallo scorso 25 dicembre).
Una svolta normativa di rilievo, cui farà seguito la – imminente – attuazione della Direttiva PIF ((UE) 2017/1371), che ha ulteriormente ampliato il novero dei reati fiscali rilevanti ai sensi del D.lgs. n.
231/2001.
Queste significative novità per il sottosistema punitivo 231 intervengono in un momento di profonda crisi determinata dall’emergenza Coronavirus, in cui lo Stato è chiamato a mettere mano alle proprie risorse per offrire un sostegno concreto ai cittadini e alle imprese e consentire una rapida ed efficiente ripresa dallo shock economico-finanziario.
Oggi più di ieri, quindi, è necessario presidiare l’esatta percezione dei tributi, minimizzare il sommerso, garantire che le casse dell’Erario vengano correttamente alimentate per mettere lo Stato nelle condizioni di erogare quegli aiuti di cui il Paese ha urgente bisogno. In quest’ottica, il recupero dell’evasione fiscale, male endemico che da sempre affligge il nostro Paese e ne ostacola le prospettive di crescita, diventa punto nevralgico degli indirizzi di politica criminale.
Per assorbire l’urto che si è abbattuto sulle finanze pubbliche, occorre un cambio di rotta.
È necessario consolidare la spinta solidaristica nata dalla prova collettiva e incalanarla nella lotta all’evasione, per stimolare un rinnovato rispetto della legalità tributaria e l’avvio di un meccanismo virtuoso di collaborazione tra Fisco e contribuenti. La strada si prefigura complessa e in salita, tenuto conto che l‘evasione è fenomeno che trova terreno fertile in tempo di crisi.
È nel quadro così delineato che fa ingresso nel nostro ordinamento la responsabilità dell’ente da reato fiscale, novità che, dato il particolare momento storico, è ragionevole vedrà ampia applicazione.
Le riflessioni da svolgere a valle degli interventi di riforma sarebbero molteplici e diverse: la previsione dei reati tributari nel microcosmo 231, infatti, ha posto e continua a porre numerosi interrogativi, in termini di tenuta e coerenza dell’intero sistema punitivo penale tributario.
Il presente contributo si propone di fornire una panoramica dello stato dell’arte in materia, soffermandosi sui profili di maggior rilievo sistematico, primo fra tutti il trattamento sanzionatorio risultante dall’ultima novella legislativa, sulle novità connesse al recepimento della Direttiva PIF e sull’importanza dell’aggiornamento del modello di organizzazione, gestione e controllo, strumento principe con cui l’ente potrà – si auspica – adeguatamente affrontare le incertezze di una congiuntura economica in sofferenza e rispondere in modo più efficace alle esigenze di prevenzione del rischio-reato in materia fiscale.
I. IL DECRETO FISCALE 2020: LE NOVITÀ NORMATIVE (E LE CONTRADDIZIONI SISTEMATICHE)
IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI
Prima del Decreto Fiscale 2020, i reati fiscali erano senz’altro i grandi assenti nel catalogo dei reati-presupposto.
Per lungo tempo si è denunciata l’ingiustificabile contraddittorietà del sistema che derivava dalla mancata inclusione di tali illeciti nel sistema 231, considerato che, nelle realtà societarie, la commissione dei reati fiscali va (quasi sempre) a beneficio esclusivo dell’ente, traducendosi in un’indebita utilità riconducibile ad un credito d’imposta inesistente, ad un rimborso non dovuto o, più genericamente, ad un risparmio d’imposta.
Nell’impossibilità di muovere una contestazione a carico dell’ente, tale utilità è stata per lungo tempo aggredita per effetto dell’interpretazione giurisprudenziale, sul presupposto che l’ente avesse profittato della commissione del reato fiscale.
Nell’intento di riempire questo vuoto punitivo, infatti, la giurisprudenza ha fatto ricorso ad espedienti – di dubbia tenuta, sotto il profilo del rispetto del principio di legalità – che consentissero di sanzionare l’ente per i delitti tributari (effettivamente) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: la responsabilità della persona giuridica veniva veicolata per il tramite di altre fattispecie comprese nel novero dei reati 231 (primi fra tutti, i delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e associazione a delinquere, rispetto ai quali il reato fiscale rappresentava il presupposto ovvero lo scopo), al primario fine di permettere l’ablazione del profitto conseguito dall’ente per effetto della condotta illecita tenuta dalla persona fisica inserita nella organizzazione collettiva.
Ebbene, ponendo fine all’annoso dibattito sulla
opportunità di estendere la responsabilità 231 al comparto penale-tributario, e sulla scia della Direttiva (UE) 1371/2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale (meglio nota come Direttiva PIF), il Decreto Fiscale 2020 ha realizzato una prima significativa apertura del D.lgs. n. 231/2001 ai reati tributari, mediante l’introduzione – ad opera dell’art. 39, comma 2 – del nuovo art. 25-quinquiesdecies. Coerentemente con l’intento di approntare ulteriori strumenti di contrasto alla criminalità da profitto tributario, e nel segno di una maggior severità della risposta repressiva – da cui l’appellativo, familiare al nostro ordinamento, di riforma “manette agli evasori”
– il novum normativo apre alla possibilità di perseguire l’ente per quegli illeciti tributari maggiormente offensivi e connotati da fraudolenza dai quali abbia tratto beneficio.
Nello specifico, il Decreto Fiscale 2020 ha disposto l’inserimento nel catalogo dei delitti presupposto delle seguenti fattispecie contemplate dal D.lgs. n. 74/2000:
a) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, comma 1), punito con la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
b) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (nella versione attenuata di cui all’art. 2, comma 2-bis, ossia quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi indicati in dichiarazione è inferiore a euro centomila), punito con la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), punito mediante sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
d) emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, comma 1), punito con la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
e) emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (nella versione attenuata di cui all’art. 8, comma 2-bis, ossia quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila), punito con la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
f) occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), punito con la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
g) sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11), punito con la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Sotto il profilo della sanzionabilità pecuniaria, il comma 2 dell’art. 25-quinquiesdecies prevede l’aumento della sanzione fino a un terzo nel caso in cui l’ente abbia conseguito un profitto di rilevante entità per effetto della condotta illecita.
Il comma 3 della citata norma dispone poi l’applicazione delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e), ossia il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, e il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Alle condizioni stabilite dall’art. 45, e limitatamente al caso in cui ricorra la già citata aggravante del profitto di rilevante entità, dette sanzioni risultano altresì applicabili in via cautelare.
A ben vedere, sembra che il Legislatore abbia
inteso scongiurare la possibile paralisi dell’ente per effetto della commissione dei reati fiscali:
non è infatti prevista l’applicazione delle più gravi e afflittive sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività e della sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, di cui alle lettere a) e b) dell’art. 9, suscettibili di pregiudicare in via definitiva l’operatività della persona giuridica.
In ultimo – ma non di certo per importanza –, in caso di condanna il patrimonio dell’ente viene aggredito attraverso la confisca, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato, come disposto dall’art. 19. Anche tale misura ha il suo corrispondente in sede cautelare, il sequestro preventivo di cui all’art. 53. Come si avrà modo di vedere nel prosieguo, questo è certamente uno dei punti nodali del nuovo apparato sanzionatorio.
Volendo tirare le fila, può affermarsi che la riforma in esame ha senz’altro raggiunto l’obiettivo di rendere maggiormente efficace la lotta contro la “criminalità tributaria”.
Tuttavia, pur avendo il pregio di colmare una lacuna tra le più evidenti e contradditorie del sistema 231, oltre che di porre fine ai mirabolanti espedienti giurisprudenziali con cui l’ente veniva indirettamente colpito per il reato fiscale, la riforma presenta alcuni lati oscuri sui quali appaiono utili alcune riflessioni.
Anzitutto, desta perplessità il difetto di coordinamento tra il sistema punitivo dell’ente e quello della persona fisica, tenuto conto che l’apparato repressivo del D.lgs. n. 231/2001 mal si concilia con le finalità riscossive e premiali che hanno da ultimo ispirato – rispetto alle ipotesi di reato del D.lgs. n. 74/2000 – il Legislatore della riforma.
A tal riguardo, nell’ottica del recupero del
gettito da parte dello Stato, con il Decreto Fiscale 2020 la causa di non punibilità connessa al pagamento del debito tributario di cui all’art.
13 D.lgs. n. 74/2000 ha visto ampliato il suo perimetro applicativo. Eppure, tale strumento premiale di cui beneficia la persona fisica non appare estendibile all’ente, la cui responsabilità, autonoma in forza dell’art. 8 del decreto 231, permane a prescindere dalle vicende estintive (con l’eccezione dell’amnistia) che riguardano il reato presupposto.
Sotto questo profilo, se da un lato è senz’altro meritorio l’intento del Legislatore di porre rimedio a un vuoto di responsabilità, non ci si può esimere dal rilevare come l’attuale assetto normativo determini un vero e proprio conflitto di interessi tra l’ente, nel cui interesse o vantaggio il reato è stato perpetrato, e la persona fisica che quel reato ha commesso.
Infatti, per assicurarsi la non punibilità mediante il pagamento del debito tributario, è ben possibile che la persona fisica faccia ricorso alle risorse dell’ente il quale, tuttavia, non vedrebbe alcun beneficio per sé; ed anzi, il ravvedimento operoso dell’autore del reato assumerebbe il valore di una denuncia per l’ente, che rimarrebbe comunque assoggettato alla pretesa punitiva e alle plurime sanzioni dello Stato.
Ed è proprio con riferimento al complessivo sistema sanzionatorio risultante dall’ultimo intervento del Legislatore che le maggiori perplessità manifestate ante riforma assumono oggi piena concretezza, costituendo una problematica ancora più pregnante, che per la sua rilevanza pratica verrà trattata più in dettaglio nel paragrafo che segue.
II. LA RISPOSTA SANZIONATORIA ALLA LUCE DELLA NUOVA NORMATIVA
Come si è visto supra, la risposta sanzionatoria prevista dall’attuale assetto normativo si spiega in una triplice direzione.
In particolare, per effetto del riconoscimento della responsabilità amministrativa da reato l’ente potrà vedere applicate nei suoi confronti:
- sanzioni pecuniarie;
- sanzioni interdittive;
- confisca, diretta e per equivalente.
II.ILA CONFISCA
Non è revocabile in dubbio come l’architrave del regime sanzionatorio approntato dal Legislatore – che, nella sua globalità, presta il fianco ad evidenti censure – sia rappresentato dalla confisca.
Invero, come per le fattispecie già da tempo confluite nel catalogo dei reati-presupposto, anche con riferimento ai neo-introdotti illeciti tributari sarà sempre applicabile la confisca diretta o per equivalente del prezzo o del profitto del reato, in forza del disposto dell’art.
19 del decreto 231.
Al fine di tracciare con chiarezza i contorni dello strumento ablatorio, occorre innanzitutto sottolineare che la confisca prevista dal decreto configura misura obbligatoria, sottratta in quanto tale al libero apprezzamento del giudice in ordine all’opportunità di disporla qualora si addivenga a condanna (ovvero a sentenza di c.d. patteggiamento), e ciò con riferimento sia alla confisca diretta del comma 1 che a quella di valore del comma 2 (rispetto alla quale, a onor del vero, il dato letterale della norma potrebbe far scaturire dubbi in ordine alla sua obbligatorietà).
Infatti, nell’ipotesi in cui non sia possibile procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, ai sensi del comma secondo della norma citata il provvedimento ablativo potrà sempre avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente.
Con l’introduzione dei reati tributari nel decreto 231, il Legislatore mette quindi la parola fine alle forzature interpretative operate in passato dalla giurisprudenza, finalizzate a consentire la confisca dei beni dell’ente per il reato fiscale commesso dalla persona fisica, nonostante l’assenza di tale categoria di illeciti nel catalogo dei reati presupposto.
Giacché oggi, per il tramite del combinato disposto degli artt. 19 e 25-quinquiesdecies del decreto, appurata la responsabilità amministrativa da reato in capo alla persona giuridica, quest’ultima si vedrà obbligatoriamente applicare la confisca diretta del prezzo o del profitto originato dal reato tributario, ovvero, nell’ipotesi in cui ciò non sia possibile, di beni di valore equivalente.
L’impatto del novum normativo è di tutta evidenza.
Nel regime vigente ante Decreto Fiscale 2020, in assenza di una responsabilità dell’ente per il delitto fiscale, la confisca diretta era eseguibile sulle somme di denaro presenti e/o confluite nel patrimonio dell’ente al momento della commissione del reato tributario da parte del proprio organo (e rimaste nella disponibilità dell’ente che ne avesse tratto profitto), mentre quella per equivalente – di natura prettamente punitiva e pertanto non estendibile a un soggetto diverso dall’autore del reato – trovava spazio nei confronti dell’ente unicamente allorquando questo fosse ritenuto un mero schermo fittizio della persona fisica.
Alla luce della attuale normativa, invece, mediante la confisca per equivalente di cui all’art. 19, comma 2 del decreto è consentita l’ablazione non soltanto delle somme nella disponibilità dell’ente al momento della commissione del reato fiscale, ma anche di quelle entrate a far parte del suo patrimonio in un momento successivo, non richiedendo tale tipo di misura alcun nesso di pertinenzialità tra dette somme e la condotta criminosa.
II.II DOPPIO BINARIO SANZIONATORIO: DUBBI DI COMPATIBILITÀ CON IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM
Come detto, i dubbi e gli interrogativi sollevati da quanti ritenevano che introdurre gli illeciti tributari tra i reati presupposto della responsabilità 231 avrebbe comportato una illegittima proliferazione di sanzioni nei confronti dell’ente assumono oggi sembianze concrete.
Occorre infatti rammentare che al fianco delle sanzioni 231 di cui agli artt. 25-quinquiesdecies e 19 più sopra descritte, per il medesimo illecito fiscale sono applicabili all’ente anche le sanzioni tributarie di cui al D.lgs. n. 472/1997.
Viene da domandarsi pertanto se l’impianto sanzionatorio così tratteggiato non vada a ledere il divieto di bis in idem sancito dall’art.
649 del nostro codice di procedura penale e dal suo omologo europeo, l’art. 4 prot. 7 CEDU.
È noto che la giurisprudenza europea delineatasi in tema di bis in idem è intervenuta a definire alcuni segnali “spia”, la cui ricorrenza è d’ausilio all’interprete nel valutare l’eventuale violazione del divieto.
A tal riguardo, si rammenta che, concordemente con quanto affermato a più riprese dai giudici europei (ad es., nelle cause A.
e B. c. Norvegia, Nodet c. Francia, Bjarni
Armannsson c. Islanda, Menci), la connessione temporale e sostanziale dei procedimenti tributario e penale – desumibile da fattori sintomatici quali: (i) la diversa finalità, (ii) la contemporaneità; (iii) la cooperazione tra le autorità procedenti (amministrativa e penale) e l’interscambio probatorio; (iv) la proporzionalità delle sanzioni irrogate – consentirebbe di escludere l’eventuale violazione del divieto del doppio giudizio.
Tuttavia, è proprio nel solco degli insegnamenti della giurisprudenza unionale che il doppio binario processuale e punitivo che scaturisce dalla tenuta di condotte rilevanti sia ai sensi della normativa tributaria ex D.lgs. n. 472/1997 che di quella ex D.lgs. n. 231/2001, desta non poche perplessità in punto di proporzionalità della risposta sanzionatoria. Invero, ragionando in termini astratti e fatta salva una verifica case by case della ricorrenza dei diversi elementi più sopra citati, mette conto notare come la duplicazione di sanzioni comminabili sul fronte tributario e amministrativo, qualora fosse accertata la natura afflittiva delle stesse, parrebbe fotografare una ipotesi di bis in idem.
Senza contare che, con riferimento al medesimo illecito tributario, la risposta punitiva disegnata dal Decreto Fiscale 2020 non è tanto più indulgente nei confronti dell’autore del reato. Invero, oltre alle pene detentive e pecuniarie e alla confisca diretta o per equivalente, la novella prevede la confisca c.d.
allargata o per sproporzione (art. 12-ter, D.lgs.
n. 74/2000), misura applicabile ogniqualvolta nel patrimonio del reo siano rinvenibili beni dei quali questi non sia in grado di giustificare la provenienza.
Ebbene, se già prima del Decreto Fiscale 2020 si nutrivano profondi dubbi in ordine alla opportunità di prevedere una duplice
responsabilità (tributaria e 231) in capo all’ente, non è tacciabile di eccessivo garantismo chi, ad oggi, contesta come l’inasprimento sanzionatorio, andando a punire severamente sia l’ente sia l’autore del reato, appaia tracciare un meccanismo di risposta punitiva che sembra sostanziarsi in un tris in idem.
Vero è che l’insussistenza dell’idem soggettivo è circostanza già di per sé idonea ad escludere in radice il bis in idem (cfr. sentenze Orsi e Baldecchi, C.G.U.E.; Pirttimaki c. Finlandia, C.
EDU), atteso che nel caso della persona giuridica e della persona fisica la risposta sanzionatoria è all’evidenza direzionata nei confronti di due entità distinte.
Senonché, non ci si può esimere dal rilevare come alcuni profili di attrito vengano in rilievo allorché la duplicità dei soggetti sanzionati sia soltanto formale, come accade nelle società di piccole dimensioni, ove, a ben vedere, per l’inevitabile sovrapposizione tra titolarità, controllo e amministrazione, la sanzione finirebbe per gravare sul medesimo soggetto.
A tal proposito, è opportuna una considerazione conclusiva: se infatti, da un lato, in un momento di estrema delicatezza politica in cui sono sul tavolo dell’Unione Europea l’an, il modus e il quantum degli aiuti economici necessari a tamponare la crisi innescata dalla pandemia, lo slancio repressivo innanzi descritto potrebbe costituire un importante segnale di affidabilità del nostro Paese, da sempre contestato per un atteggiamento troppo transigente nei confronti del fenomeno evasivo, d’altro canto, in una fase economica in cui – forse più di sempre – le piccole e medie imprese avrebbero necessitato di maggiore flessibilità e indulgenza per poter sopravvivere alla crisi, tali soggetti si troveranno dinnanzi al rischio di incorrere in una stratificazione di
sanzioni che per molte realtà potrebbe determinare la definitiva battuta d’arresto.
III. IL (TANTO ATTESO) RECEPIMENTO DELLA
DIRETTIVA PIF
Come noto, il 5 luglio 2017 è stata approvata la cd. Direttiva PIF ((UE) 2017/1371), che ha apportato profonde innovazioni, tra gli altri, sui rapporti tra reati tributari e responsabilità̀ degli enti collettivi.
Seppur con notevole ritardo (il termine per il recepimento è giunto a scadenza il 6 luglio 2019), il Legislatore italiano si è attivato per dare attuazione alla Direttiva eurounitaria mediante la Legge di delegazione europea 2019 (L. n. 117/2019), affidando al Governo il compito di integrare le disposizioni del D.lgs. n.
231/2001 mediante inclusione nel catalogo dei reati-presupposto di quegli illeciti penali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea e che non siano già contemplati dal medesimo decreto (come previsto dall’art. 3, comma 1, lettera e) della legge di delega).
Sotto il profilo strettamente fiscale, la Direttiva PIF pone come soglia minima di tutela la repressione di gravi frodi IVA (testualmente, l’art. 2, para. 2 della Direttiva recita “reati gravi contro il sistema comune dell’IVA”), intendendosi con “gravi” quelle “azioni od omissioni di carattere intenzionale secondo la definizione di cui all’art. 3, paragrafo 2, lettera d), [che] siano connesse al territorio di due o più̀
Stati membri dell’Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10.000.000 euro”, ferma restando la facoltà per la legislazione nazionale di mantenere o adottare norme più rigorose.
Il citato art. 3, paragrafo 2, lettera d) della
Direttiva specifica poi che, in materia di IVA, si considera “frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione” l’azione od omissione commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri in relazione:
“i) all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all'IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell'Unione;
ii) alla mancata comunicazione di un'informazione relativa all'IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero
iii) alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all'IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell'IVA”.
Come già osservato da più parti nell’imminenza dell’approvazione della Direttiva, al fine di dare esecuzione alla nuova normativa nel rispetto dei principi di eguaglianza e ragionevolezza appariva auspicabile – per non dire necessario – l’inserimento nel sottosistema punitivo 231 non soltanto delle frodi IVA, bensì dell’intero comparto penal-tributario di cui al D.lgs. n.
74/2000.
E invero, come si è visto, una prima significativa apertura del decreto 231 ai reati tributari si è avuta con il Decreto Fiscale 2020, punto di partenza di una svolta che vedrà il suo completamento con l’attuazione della Direttiva in commento, il cui schema di decreto legislativo – attualmente al vaglio delle competenti commissioni parlamentari – prevede di estendere ulteriormente il novero dei reati fiscali che possono costituire presupposto della responsabilità dell’ente.
Volendo fare il punto sullo stato di avanzamento del procedimento normativo per
l’attuazione della Direttiva, si noti che il 23 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare lo "Schema di decreto legislativo recante norme di attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale”, che è stato poi sottoposto il successivo 30 gennaio a parere parlamentare.
Per quanto di interesse, le Commissioni Giustizia, Bilancio e Politiche dell’Unione Europea del Senato hanno espresso parere favorevole rispetto allo schema, mentre la Commissione Giustizia della Camera, il 4 marzo, ha proposto di richiedere sulla materia un contributo scritto all’Associazione Nazionale Magistrati, al Consiglio Nazionale Forense e all’Unione delle Camere Penali Italiane, e di posticipare il termine – originariamente fissato al 10 marzo 2020 – per esprimere il parere sull’atto governativo.
Si aggiunga che la procedura di attuazione ha subìto un ulteriore rinvio per effetto dell’emergenza da Covid-19. In particolare, l’art.
1, comma 3 della L n. 27/2020 con cui è stato convertito il c.d. D.L. "Cura Italia", ha disposto che “i termini per l'adozione di decreti legislativi con scadenza tra il 10 febbraio 2020 e il 31 agosto 2020, che non siano scaduti alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogati di tre mesi, decorrenti dalla data di scadenza di ciascuno di essi. I decreti legislativi di cui al primo periodo, il cui termine di adozione sia scaduto alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere adottati entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e delle procedure previsti dalle rispettive leggi di delega”.
Ciò brevemente premesso sui lavori di
recepimento della Direttiva, appare utile ripercorrere le ulteriori norme incriminatrici che l’art. 5, lettera c), numero 1) dello schema di decreto di attuazione si propone di aggiungere nel neo-introdotto art. 25-quinquiesdecies, mediante inserimento del nuovo comma 1-bis. Si tratta, in particolare, delle seguenti fattispecie previste dal D.lgs. n. 74/2000:
a) dichiarazione infedele (art. 4), punito con la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;
b) omessa dichiarazione (art. 5), punito con la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) indebita compensazione (art. 10- quater), punito con la sanzione pecuniaria fino a 400 quattrocento.
Anche con riferimento a tali ipotesi criminose troveranno applicazione la circostanza aggravante e le sanzioni interdittive già previste dall’art. 25-quinquesdecies, rispettivamente ai commi 2 e 3, in relazione ai delitti tributari inseriti nel catalogo 231 con il Decreto Fiscale 2020.
Conformemente a quanto previsto dalla Direttiva, detti reati determineranno la responsabilità dell’ente solo ove (i) presentino carattere transazionale (i.e. vengano commessi anche in parte nel territorio di un altro Stato membro dell'Unione europea) e (ii) siano compiuti allo scopo di evadere l’IVA per un importo non inferiore a dieci milioni di euro.
A ben vedere, il mantenimento della “clausola di gravità” configura una soglia di penale rilevanza che, qualunque ne sia l’interpretazione, appare suscettibile di determinare l’esclusione delle “piccole e medie imprese” – che caratterizzano maggiormente il panorama imprenditoriale italiano – dal
perimetro applicativo della nuova disciplina.
Una volta entrate in vigore le disposizioni succitate, gli enti saranno quindi chiamati ad un – ulteriore – aggiornamento della mappatura dei rischi per dotarsi di un adeguato modello di organizzazione, gestione e controllo, ponendo particolare attenzione ai controlli su tutte le attività correlate alla gestione dell'IVA.
IV. AGGIORNAMENTO DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO:
L’IMPORTANZA DI UNA COMPLIANCE INTEGRATA Il rischio di commissione dei reati tributari può annidarsi in qualsiasi contesto imprenditoriale ed involgere numerosi e diversi processi aziendali: appare dunque evidente come ciascuna impresa sia inevitabilmente e profondamente toccata dalle novità legislative più sopra descritte.
La mappatura dei rischi (c.d. risk assessment) connessi alle specificità aziendali, finalizzata all’adozione ovvero all’oculato aggiornamento del modello organizzativo, appare quindi una scelta obbligata per tutti quei soggetti che intendono cautelarsi dalla contestazione para- penale conseguente alla commissione del reato fiscale.
Ciò posto, è auspicabile che i MOG da adottarsi e/o rinnovarsi alla luce dell’introduzione degli illeciti tributari nel catalogo 231 siano quanto più possibile integrati nel sistema dei controlli interni (c.d. compliance integrata): lo richiedono ragioni di coerenza sistematica delle procedure e dei protocolli, di massimizzazione dell’efficienza nei controlli e, in ultimo, di costi – profilo certamente di rilievo, tenuto conto dell’eccezionale momento di crisi e dell’ingente investimento economico necessario per la
realizzazione di un adeguato armamentario preventivo.
In questo senso, alcuni validi spunti per il rafforzamento dei presidi e l’individuazione di un nuovo approccio organizzativo e procedurale possono essere tratti dal Tax Control Framework, sistema di gestione e controllo del rischio fiscale la cui adozione, a norma del D.lgs.
n. 128/2015, consente alle imprese di rilevanti dimensioni di accedere alla c.d. cooperative compliance.
Fermo restando che l’adozione di un TCF appare conveniente anche a prescindere dalla prospettiva di aderire al regime di adempimento collaborativo, la maggior parte delle imprese target ha già implementato o comunque si sta adoperando per dotarsi di tale sistema: le misure adottate in questo contesto, pur di per sé non sufficienti a fini 231, rappresentano senz’altro un apprezzabile punto di partenza per la realizzazione di un più strutturato meccanismo di controllo del rischio fiscale, che possa spiegare i suoi effetti anche sul versante penale e amministrativo da reato.
Diverse considerazioni valgono invece per le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto economico del nostro Paese.
Ai blocchi di partenza, il rischio correlato ai reati tributari risulta con ogni evidenza più significativo rispetto a tali realtà, che per la loro scarna struttura organizzativa sono per lo più prive di preesistenti e adeguati meccanismi di controllo.
In questo contesto di novità normativa assumono primaria importanza i profili operativi: nel prosieguo si andranno pertanto a individuare – a titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività – alcune delle aree di maggiore esposizione al rischio-reato comuni alle realtà imprenditoriali, con l’intento di
enucleare raccomandazioni da cui le imprese possano muovere per prevenire la commissione degli illeciti tributari già inseriti nel catalogo 231 (senza dimenticare, però, che ciascun ente è tenuto a individuare le proprie specifiche attività c.d. sensibili).
Gestione degli approvvigionamenti di beni e servizi
È l’area d’attività che tipicamente può prestarsi a condotte criminose riconducibili alla fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni (in tutto o in parte) inesistenti di cui all’art. 2 D.lgs. n. 74/2000. Al fine di neutralizzare tale rischio, si potrà intervenire su due livelli:
• sulla scelta dei fornitori (e in generale dei contraenti), da individuarsi mediante (i) un processo selettivo segregato e formalizzato, che dovrà essere debitamente documentato e tracciabile, e (ii) un’attenta verifica, tramite riscontro documentale, della loro affidabilità commerciale e professionale, oltre che della solidità finanziaria;
• sull’oggetto della prestazione, implementando presidi volti a (i) regolare gli approvvigionamenti tramite contratti o ordini in forma scritta, nei quali vengano espressamente indicati il prezzo del bene o il corrispettivo del servizio (la cui definizione è preferibile avvenga in via anticipata, mediante modalità e parametri standardizzati); (ii) verificare la corrispondenza tra il prezzo di acquisto dei beni e dei servizi oggetto di acquisto rispetto a quello di mercato; (iii) valutare periodicamente le prestazioni dei fornitori, con lo specifico obbligo di verificare la esatta corrispondenza dei beni o dei servizi ricevuti rispetto a quelli effettivamente richiesti.
Gestione di operazioni non routinarie e rapporti con altre società e partner commerciali
Nell’ambito delle operazioni straordinarie potrebbero insinuarsi condotte illecite riconducibili al paradigma punitivo dell’art. 8 D.lgs. n. 74/2000, che sanziona l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e dell’art. 11, che punisce la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Più in generale, nei rapporti con altre società e partner commerciali, appare inoltre concreto il rischio di incorrere nella più grave fattispecie dichiarativa di cui all’art. 2 del decreto. Nell’ottica di eliminare (o comunque minimizzare) gli spazi di possibile illiceità, appaiono utili i seguenti accorgimenti:
• a livello interno, (i) prevedere processi di approvazione delle operazioni segregati, formalizzati e aggravati, con obbligo di assicurare un supporto informativo adeguato ai soggetti apicali rispetto alle operazioni di volta in volta considerate; (ii) conservare la documentazione sottostante alle valutazioni economiche prodromiche agli investimenti, di modo da garantirne la tracciabilità;
• a livello esterno, (i) condurre attività di due diligence per verificare la solidità finanziaria, l’affidabilità e l’onorabilità delle controparti, dei partner commerciali e di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nell’operazione; (ii) prevedere procedure di verifica (preferibilmente indipendente) degli investimenti, al fine di accertarne la congruità rispetto ai parametri di mercato;
(iii) introdurre stringenti policy per la gestione dei conflitti di interesse e delle operazioni con parti correlate.
Gestione contabile-amministrativa e predisposizione del bilancio e delle dichiarazioni fiscali
Si tratta dell’area forse più esposta alla degenerazione criminosa e alla quale può dirsi pressoché connaturato il pericolo di commissione degli illeciti dichiarativi previsti dagli artt. 2 e 3 del D.lgs. n. 74/2000, che sanzionano la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ovvero mediante altri artifici. Con specifico riferimento alla contabilità, appare concreto il rischio di commissione del reato di occultamento o distruzione dei relativi documenti di cui all’art.
10 del decreto. A tal riguardo, appare raccomandabile:
• con riferimento alla gestione amministrativo-contabile, (i) assicurare la correttezza, la completezza e la tracciabilità dei dati utilizzati per ogni operazione contabile nonché per la predisposizione del bilancio, mediante conservazione e archiviazione della documentazione rilevante; (ii) adottare sistemi che garantiscano l’identificazione degli utenti che intervengono nella gestione della contabilità, al fine di individuare i diversi livelli di responsabilità; (iii) prevedere controlli periodici sulla tenuta delle scritture contabili;
• con riferimento alla gestione degli adempimenti fiscali, (i) assicurare la correttezza, la completezza e la tracciabilità dei dati utilizzati per la predisposizione delle dichiarazioni fiscali, mediante conservazione e archiviazione della documentazione rilevante; (ii) prevedere il coinvolgimento di professionisti qualificati che possano supportare l’impresa nel puntuale rispetto delle scadenze definite dalla normativa fiscale e fornire consulenza a garanzia della piena conformità delle operazioni
economiche alla normativa fiscale.
In aggiunta alle procedure e alle prassi operative da implementare per l’ottimizzazione dei controlli, è alla formazione che deve riconoscersi un ruolo centrale nel rafforzamento dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi di compliance fiscale. Tale attività è il veicolo per sensibilizzare i destinatari del MOG rispetto alle novità normative e, soprattutto, per diffondere e consolidare la cultura della trasparenza e dell’integrità a livello aziendale.
V.CONCLUSIONI
A fronte del nuovo quadro normativo, l’adozione (ovvero l’aggiornamento) del MOG sembra attività imprescindibile per gli enti; del pari, si tratta di attività economicamente onerosa e che comporta un significativo aggravio di burocrazia aziendale.
Ciò all’evidenza stona con il momento di crisi attuale: le imprese sono chiamate ad implementare ed attuare sempre più strutturati sistemi di controllo, pur avendo a disposizione liquidità e risorse finanziarie scarse.
È pertanto necessario che gli enti siano posti nelle condizioni di fronteggiare adeguatamente la maggior esposizione al rischio-reato che deriva dalla introduzione degli illeciti tributari nel sistema 231, al fine di scongiurare il pericolo che – per effetto della contestazione para- penale e della severa risposta sanzionatoria a ciò connessa – si trovino costrette a cessare la propria attività.
Una via d’uscita da quest’empasse, come detto, risiede nell’evitare la duplicazione dei meccanismi di presidio, all’insegna dell’integrazione tra MOG e sistemi di tax
compliance già in essere, primo fra tutti il TCF.
Altrettanto necessario, però, è che gli enti colgano appieno l’importanza della prevenzione, nell’ottica – prima ancora che di evitare la fase patologica della commissione del reato – di promuovere una cultura aziendale improntata all’etica e alla trasparenza.
L’auspicio è che la risposta repressiva dell’ordinamento, giunta in un peculiare e profondo momento di crisi, possa fungere da volano per stimolare una riflessione sul disvalore dell’evasione e incentivare una gestione sempre più virtuosa dell’attività d’impresa, che guardi alla compliance come lo strumento principe per riscoprire i vantaggi del rispetto della legalità tributaria e della collaborazione tra Fisco e contribuenti.
C ONTATTI
Milano
Via Chiossetto 18 T: +39 0254122206
E: milano@fornarieassociati.com
Questa pubblicazione ha lo scopo di fornire informazioni di carattere generale rispetto all’argomento trattato e non deve quindi essere considerata come un parere legale né come una disamina esaustiva di ogni aspetto relativo alla materia oggetto del documento.
Fornari e Associati Studio Legale www.fornarieassociati.com
Roma
Piazza di San Lorenzo in Lucina 26 T: +39 0622201000
E: roma@fornarieassociati.com