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Il dirigente e la sicurezza del lavoro: individuazione e compiti

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Academic year: 2022

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Il dirigente e la sicurezza del lavoro: individuazione e compiti

Individuazione del dirigente per la sicurezza del lavoro: l’effettività delle mansioni esercitate, il principio di supremazia, l’individuazione a prescindere da incarichi formali e poteri spesa, il consulente esterno dirigente. Di Rolando Dubini.

Continuazione dell’articolo “ Decreto 81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro”.

3. Nozione di dirigente

Premesso che "l’individuazione dei destinatari degli obblighi di prevenzione dagli infortuni sul lavoro va compiuta caso per caso, con riferimento alla organizzazione dell’impresa e alle mansioni esercitate in concreto dai singoli" (Cassazione sez. IV, n. 927 del 29.12.82), possiamo affermare che la nozione di dirigente, ai fini della corretta applicazione della legislazione prevenzionistica, è definibile grazie al Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, sulla base di quanto desumibile dall'art.

55 del Decreto medesimo, che elenca gli obblighi penalmente sanzionati a carico del dirigente stesso, in rapporto al ruolo effettivamente ricoperto nell'ambito dell'organigramma aziendale, e alle mansioni effettivamente esercitate (principio di effettività).

La sentenza della Cassazione penale sez. III - Sentenza 20 maggio 2003, n. 22036 - [Pres. Vitalone - Est. Franco - P.M. (Parz.diff.) Geraci - Ric. Lazzareschi] fornisce utili precisazioni a proposito della figura del dirigente nel contesto della legislazione di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La fattispecie riguarda la condanna di un direttore dei lavori di una cava, il quale - condannato per il reato di cui all'art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 71 c. 3del D.Lgs. n.

81/2008], per non aver adottato le misure di sicurezza relative al taglio di una bancata di marmo - deduce a propria discolpa che "le norme antinfortunistiche in questione si rivolgono solo al datore di lavoro, mentre egli non aveva tale qualità, né era stato specificamente delegato dal datore di lavoro".

La Sez. III ribatte che "l'art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art.55 D.Lgs. n.81/2008]

espressamente prevede che le sanzioni per le violazioni delle norme antinfortunistiche si applicano non solo al datore di lavoro, ma anche ai dirigenti, e nella specie l'imputato è stato ritenuto colpevole proprio nella sua qualità di direttore dei lavori, e cioè di dirigente". (sulla responsabilità del dirigente v., Cass. 30 gennaio 2001, Colizzi e altri, in ISL, 2001, 3, 158; Cass. 24 giugno 2000, Rodano, ibid., 2000, 10, 548; Cass. 30 maggio 2000, Borroni, ibid., 2000, 9, 491).

Questa nozione penalistica sostanziale di dirigente ai fini della sicurezza implica anche una circostanza della massima importanza: il dirigente dal punto di vista del diritto penale del lavoro, non è necessariamente colui che opera in base ad un contratto di lavoro subordinato con la qualifica di dirigente, ma è colui che, anche di fatto, svolge compiti prevenzionistici del tutto assimilabili a quelli spettanti, in senso proprio, ad un soggetto che ha il contratto di dirigente.

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Viceversa, colui che ha il contratto di dirigente, ma non gestisce lavoratori, e non esercita effettivamente un potere dirigenziale, organizzativo in senso proprio, non è, ai fini del diritto penale del lavoro, un dirigente.

La nozione di dirigente, già presente nell’articolo 4 del D.P.R. 27 aprile 1955 n, 547 (ma anche nei D.P.R. n. 303/56 e 164/56), veniva continuamente ripresa e riproposta in tutto il D. Lgs. n. 626/94, così come modificato ed integrato dal D. Lgs. n. 242, e ora dal D.Lgs. n. 81/2008 comesoggetto obbligato, pro parte, a precisi obblighi originari di sicurezza, a prescindere da incarichi formali (che al più possono estendere l'ambito di responsabilità, in correlazione all'estensione dei compiti di prevenzione e protezione pattiziamente individuati).

Come già anticipato nella prima parte di questo articolo, l’art. 2 comma 1 lett. d. ) del D. Lgs. n.

81/2008 individua il dirigente come il garante organizzativo della sicurezza del lavoro: ovvero colui che, nell'ambito dell'obbligazione di sicurezza ripartita innanzitutto tra datori di lavoro, dirigenti, preposti, è, anche di fatto (art. 299 D.Lgs. n. 81/2008) la "persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa". Per incarico non si intende in alcun modo ne uno specifico incarico in materia di sicurezza del lavoro,ne tanto meno una delega specifica di funzioni antinfortunistiche ne tanto meno un potere di spesa. La definizione legale “fotografa” (Anna Guardavilla) gli organigrammi aziendali consegnando automaticamente “iure proprio” alle figure gerarchiche aziendali compiti prevenzionistici inerenti il normale incarico aziendale, cui potranno, eventualmente, aggiungersi anche deleghe specifiche e attribuzione di peculiari poteri di gestione e spesa.

Dunque il dirigente è, tautologicamente, colui che dirige, che organizza, che esercita una supremazia che si estrinseca in un effettivo potere organizzativo dell'attività lavorativa, nel potere di decidere le procedure di lavoro, e di organizzare opportunamente i fattori della produzione, sempre nell'ambito dei compiti e mansioni effettivamente devolutegli dall'organizzazione aziendale, e dal datore di lavoro, in primis..

Il fondamentale principio di supremazia

Il principio della supremazia è un criterio comunemente utilizzato per individuare il dirigente (ma anche il preposto) in "chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve considerarsi automaticamente tenuto, ai sensi dell' art. 4 del DPR 547/55, DPR 303/56 e D.

Lgs. 626/94 [oggi D.Lgs.n. 81/2008 artt. 2 comma 1 lett. d) e 18], ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo" (Cass.

Pen., sez. IV, 20/1/98 e 19/2/98).

La legislazione prevenzionistica, “pur comprendendo tra i destinatari delle norme, dettate in materia antinfortunistica, anche i dirigenti, questi non si sostituiscono di regola alle mansioni dell'imprenditore del quale condividono, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza” (Cass. Pen. Sez. IV 12/5/1988, Fadda in Cass. Pen. 1990, pag. 391 n. 790):

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vale a dire che i loro compiti derivano direttamente dal normale incarico dirigenziale conferito dal datore di lavoro.

Le responsabilità prevenzionistiche sono dunque concorrenti, e non reciprocamente esclusive.

Una sentenza posteriore (Cass. Pen. Sez. IV 1/7/1992, Boano in Cass. Pen. 1994, pag. 388 n. 285) ha evidenziato nel modo più chiaro possibile che i dirigenti [e i preposti], in senso lato, sono da identificarsi nei soggetti preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell’andamento dei servizi, come i dirigenti tecnici o amministrativi, i capi ufficio o i capi reparto, e che devono predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell’impresa e previste dalle norme, controllare le modalità del processo di lavorazione ed attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa, necessarie per tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che si svolgono in condizioni non previste o non prevedibili dal legislatore.

Dunque un caporeparto può essere ritenuto un dirigente, ad esempio, ai fini della prevenzione, solo qualora la sua supremazia sul lavoratore non si estrinsechi unicamente in un'opera di sorveglianza con un limitato potere esecutivo, ma anche quando ad essa si aggiunga un potere organizzativo, dispositivo, di decisione di procedure di lavoro e di organizzazione dell'attività, dal punto di vista prevenzionistico, tale da porlo in una posizione quale quella definita dalle norme prevenzionistiche citate.

I dirigenti devono, per quanto di competenza (e dunque anche a prescindere da incarichi formali antinfortunistici, e dal possedere poteri di spesa) e nell'ambito dell'organizzazione e del mansionario aziendale, avvalendosi delle conoscenze tecniche per le quali ricoprono l’incarico, vigilare sulla regolarità antinfortunistica e igienica delle lavorazioni, dare istruzioni affinché le lavorazioni possano svolgersi nel migliore dei modi, dunque in modo sano, sicuro e igienico, organizzare la produzione con un ulteriore distribuzione di compiti fra i dipendenti in modo tale da impedire la violazione della normativa e garantire un numero adeguato di preposti in grado di vigilare sull'effettiva osservanza dei compiti prevenzionistici da parte di tutti coloro che sono presenti sul luogo di lavoro, a qualunque titolo

4. La posizione antinfortunistica del dirigente prescinde da incarichi formali e poteri spesa

Anche prescindendo da una formale investitura da parte del datore di lavoro nella posizione dirigenziale con attribuzione dei compiti connessi e delle conseguenti responsabilità, il dirigente (anche di fatto, o anche un preposto che abbia compiti organizzativi e possa disporre l'adozione di procedure di lavoro sicuro) sarà comunque obbligato a rispettare la normativa antinfortunistica, in quanto espressamente menzionato tra i soggetti contitolari dell'obbligazione di sicurezza dallalegislazione prevenzionistica.

La Cassazione [Cassazione penale, Sez. IV- Sentenza n. 11351 del 31 marzo 2006 (u.p. 20 aprile 2005) - Pres. D'Urso - Est. Battisti – P.M. (Conf.) Salzano - Ric. Stasi e altro ] è esplicita: «la stessa formulazione della norma (...) consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega [o da altri tipi di esplicito incarico antinfortunistico]» e «può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza».

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Inoltre, commenta Raffaele Guariniello (Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino), "è il caso di aggiungere che... «il datore di lavoro (...) e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono le stesse attività, sono tenuti all'osservanza delle disposizioni del presente decreto»": "chiara è la finalità di questa norma: precisare una volta per tutte che gli obblighi (...) fanno generalmente capo ai datori di lavoro e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, ai dirigenti e ai preposti"

(sulle figure dei dirigenti e dei preposti si vedano Cass, 21 aprile 2006, Bruni, in ISL, 2006,6,378, Cass. 30 dicembre 2005, Oberrauch e altro, W., 2006.5,304; Cass. 7 dicembre 2005, P.C. in e, Pedemonte, M. 2006, 4,251).

La Cassazione ha altresì sottolineato che “sussiste la responsabilità del dirigente regolarmente delegato dal datore di lavoro all’adempimento degli obblighi in materia di sicurezza del lavoro (nella specie il direttore tecnico) con riferimento alle violazioni puramente formali o documentali, per evitare le quali non sono necessari né la collaborazione del datore di lavoro né alcun impegno di spesa; in ipotesi siffatte la delega è efficace anche se non comporti l’autonomia finanziaria del delegato (il principio è stato espresso con riguardo ad una fattispecie in cui al direttore tecnico veniva imputata l’omessa esibizione, in sede di ispezione, del libretto concernente un recipiente a pressione e l’omessa verifica periodica annuale -in effetti gratuita- di altri quattro recipienti)” [Cass.

sez. III pen. 5.7.99 (ud. 30.3.99) n. 8489, ric. Volterrani ed altri]

Per inciso, si noti anche che "anche in relazione allo svolgimento di attività di organizzazioni complesse ed ampie, il dirigente non può spogliarsi dei connessi doveri di carattere eminentemente pubblico, e quindi inderogabili, se non a seguito del conferimento di una delega espressa, con l’indicazione dei doveri relativi allo svolgimento dell’attività di controllo e con il conferimento dei poteri e dei mezzi necessari ad adempierli (omissis) ché, anzi, anche in siffatta ipotesi di valida delega, non vengono meno tutti i doveri del dirigente, ma mutano di contenuto, permanendo a suo carico l’obbligo di una attività di coordinamento organizzativo, di direzione e di controllo dell’attività del delegato" (Corte di Cassazione Penale - sezione III, n. 6032 del 22/05/1988: Pedicini ).

In tale senso, «l’ordinamento individua un livello di responsabilità intermedio incarnato dalla figura del dirigente, che dirige, appunto, ad un qualche livello, l’attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all’effettivo potere di spesa» (Cassazione Penale, sez. IV, 8.11.2007, n. 47173)

I Dirigenti hanno il compito essenziale e ineludibile di adottare e attivare (dandovi la dovuta attuazione a seconda dei casi) le misure di prevenzione e protezione che il Documento di Valutazione dei Rischi avrà identificato come necessarie per contenere o eliminare i rischi esistenti nello svolgimento delle mansioni specifiche, e tutte le altre misure, disposizioni, regolamenti, procedure e istruzioni aziendali di sicurezza e igiene del lavoro.

I dirigenti "sono coloro che sono preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell'azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell'andamento dei servizi, e che partecipano solo eccezionalmente al lavoro normale, avendo il compito di predisporre anche tutte le misure di sicurezza, controllare le modalità del processo di lavorazione, e vigilare, secondo le loro attribuzioni e competenze, sulla regolarità dell'antinfortunistica delle lavorazioni" (Cass. pen., sez. IV, 1/7/93);

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occorre comunque sottolineare che (Cass. Pen. Sez. IV 8/6/1987, Dechici) "la ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, sempre necessaria nell’ambito di aziende ad organizzazione complessa, non esonera di per se stessa il dirigente dall’osservanza degli obblighi derivanti dall’art. 4 d.P.R. 547/1955, a meno che con tale ripartizione il dirigente non abbia anche specificamente delegato l’adempimento di tali obblighi ai preposti ai singoli reparti, investendoli di ogni suo potere al riguardo; la delega, in tale ipotesi, dovrà comunque essere provata, non potendo essere semplicemente presunta in relazione alle dimensioni dell’impresa ed alla ripartizione interna dei compiti".

Inoltre, com'è loro obbligo, contribuiscono alla valutazione dei rischi, segnalando tutte le situazioni pericolose e di carenza prevenzionistica riscontrate direttamente o indirettamente nei luoghi di lavoro.

Tra i compiti della funzione dirigenziale, particolare rilievo assumono i seguenti:

- adozione delle misure di sicurezza (tecniche, organizzative e procedurali per quanto di competenza) imposte dalla legislazione speciale antinfortunistica e di igiene del lavoro ed individuate dal datore di lavoro, e in modo particolare per coloro che siano titolari anche di poteri decisionali e di spesa, quali dirigenti ai sensi dell'art. 2095 del c.c. o in base al principio di effettività;

- valutazione delle capacità professionali dei lavoratori e assegnazione degli stessi a mansioni adeguate, conformemente alle loro capacità e condizioni anche dal punto di vista della salute e igiene del lavoro (art. 4 c. 5 lett. c D. Lgs. n. 626/94: il dirigente “tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”);

- istruzione, informazione, formazione e, qualora necessario per legge o in base alla valutazione dei rischi, addestramento dei lavoratori [art. 36 e 37 D. Lgs. n. 81/2008, e molti altri articoli dello stesso Decreto, che le attività di formazione e informazione devono essere non formali e burocratiche, e le informazioni e istruzioni devono essere effettivamente assimilate dai lavoratori che devono dunque comportarsi sempre in modo sicuro e vigilati affinché attuino quel che è stato loro comunicato al riguardo (chi ha obblighi di sicurezza verso i lavoratori deve “attivarsi e controllare fino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro” – Cass. 6 febbraio 2004 Bixio, e Cass. Sez. IV pen. n. 18638 del 22 aprile 2004 Policarpo];

- adozione di un sistema di controllo e vigilanza, anche tramite un numero di preposti adeguato quantitativamente e qualitativamente (dunque anche dal punto di vista della competenza e della capacità), sull'effettivo rispetto delle misure aziendali di sicurezza tecniche, organizzative e procedurali, da parte dei lavoratori.

Identificazione del dirigente

Tra i criteri tradizionalmente utilizzati per identificare la figura di dirigente possono citarsi sono i seguenti:

- il suo essere l'alter ego dell'imprenditore e/o direzione politica;

- il possesso di una certa autonomia (ma, si basi bene, non indipendenza, altrimenti ci si troverebbe di fronte ad una differente figura aziendale, quella del datore di lavoro) decisionale;

- ampio margine di discrezionalità;

- esercizio delle sue funzioni svincolato da istruzioni;

- possibilità di influenzare la vita dell'azienda e/o dell'ufficio e/o del reparto o del servizio.

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5. La figura del dirigente nella sentenza c.d. Thyssen della Corte d'Assise del Tribunale di Torino del 14 novembre 2011

La nota sentenza c.d. Thyssen della Corte d'Assise del Tribunale di Torino del 14 novembre 2011 n.

31095/07 N.R. n. 2/2009 RGA sviluppa il ragionamento in relazione ad un imputato: “Il ruolo dell'imputato MORONI ing. Daniele, come indicato nel capo di imputazione: "dirigente con funzioni di Direttore dell'area tecnica e servizi della THYSSEN KRUPP AST s.p.a." non è oggetto di contestazione e risulta documentalmente provato (v. organigramma.ppt, estratto dagli archivi informatici in sequestro). Quale dirigente, egli è direttamente investito degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come da art. 1 comma 4 bis D.Lgs 626/94 "nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze". In data 19/4/2007 l'A.D. ESPENHANH aveva confermato all'ing. MORONI la delega quale "responsabile dell'area tecnica e servizi"; il contenuto della delega consisteva nei

"punti" 5.8, 5.9 e 5.10, già indicati (...)”. [Cassazione penale] Sentenza n. 13953/08, che premette di riportare la "consolidata giurisprudenza sul tema": "Per quanto concerne le caratteristiche della delega, va rilevato che per la sua efficacia ed operatività, è necessario che:

a) l'atto di delega abbia forma espressa (non tacita) e contenuto chiaro, in modo che il delegato sia messo in grado di conoscere le responsabilità che gli sono attribuite;

b) il delegato abbia espressamente accettato gli incombenti connessi alla sua funzione,

c) il delegato sia dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata, in modo che sia messo in grado di esercitare effettivamente la responsabilità assunta;

d) il delegato sia dotato di idoneità tecnica, in modo che possa esercitare la responsabilità con la dovuta professionalità...

La delega da ESPENHANH a MORONI soddisfa i requisiti indicati … alle lettere a), b), d) (sulla competenza tecnica di MORONI, v. infra); per quanto invece riguarda il punto di cui alla lettera c):

"capacità di spesa" ovvero, come ricordato nella seconda sentenza citata: "autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate", la delega da ESPENHANH a MORONI risulta priva della disponibilità economica autonoma, in capo a MORONI, indispensabile perché sia sufficiente a

"liberare" (ma giammai dell'obbligo di vigilare e controllare l'attività del delegato) ESPENHANH dalla sua responsabilità quale datore di lavoro: si legge infatti nella citata delega: "Utilizzerà (il delegato n.d.e.), in piena autonomia, il budget a Lei assegnato e qualora questo fosse insufficiente vorrà immediatamente informarmi per gli opportuni provvedimenti"- Ne consegue che l'imputato MORONI è, quale dirigente e con il ruolo sopra indicato, direttamente destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs 626/94 [ora D.Lgs. n. 81/2008], mentre la delega a lui conferita da ESPENHANH sulla materia della sicurezza sul lavoro non è efficace, cioè non "libera" ESPENHANH : quest'ultimo continua ad essere personalmente obbligato e non solo per il residuo obbligo di vigilare e controllare l'esercizio della delega.

In una aurea sentenza, la Suprema Corte ha sottolineato con particolare vigore che in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito “del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori

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rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note” [Cassazione penale sez. IV, 3 marzo 1995, n. 6486, in Grassi, Cass. pen. 1996,1957 (s.m.)].

6 Principio di effettività e individuazione dei dirigenti

Il già ricordato principio di effettività prevede che nelle imprese od enti ad organizzazione complessa e differenziata, “l'individuazione dei destinatari delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro deve essere effettuata non già tenendo presenti le diverse astratte qualifiche spettanti coloro che fanno parte dell'ente o dell'impresa (legale rappresentante, dirigente, preposto, ecc.), bensì invece facendo riferimento alla ripartizione interna delle specifiche competenze, così come regolate dalle norme, dai regolamenti o dagli statuti che governano i singoli enti o le singole imprese” [Cassazione penale, sez. III, 14 novembre 1984, Felicioli e altro, Riv. it. dir. lav. 1986, II,349 (nota)].

Secondo la Cassazione “in relazione alla diversità tra i compiti propri della qualifica di dirigente e quelli dell’impiegato con funzioni direttive, sussiste incompatibilità tra la predetta qualifica e l’esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza gerarchica, anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti (a diversi livelli e con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, restando però salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore” [Corte di Cassazione sez. lavoro, 4 febbraio 1998 Numero 1151].

In tal senso il riferimento al principio dell’effettività ha portato la Cassazione (Cass. sez. IV 5/4/1994 n. 3484, Pozzati ed altro) a considerare dirigente anche il soggetto che, pur non ricoprendo nell’organigramma aziendale tale posizione, aveva di fatto impartito l’ordine di effettuare un lavoro.

In particolare si è ritenuto che "chi dà in concreto l’ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce direttive circa le modalità di esecuzione, assume di fatto la mansione di dirigente, sicchè ha il dovere di accertarsi che il lavoro venga svolto nel rispetto delle norme antinfortunistiche, non potendo essere lasciato agli operai la scelta dello strumento da utilizzare".

7. Il caso del consulente esterno

Il ruolo rivestito dal consulente esterno è assimilabile a quello del dirigente di fatto quando l’autonomia gestionale di tutte le attività demandate allo stesso contribuisce a legittimare la sua posizione di supremazia nei confronti del personale dipendente. L’ingerenza nell’organizzazione

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del lavoro della società rappresenta nel caso specifico un’estrinsecazione del principio di sostanzialità. (cfr. Cassazione Penale, sez. IV, 14.3.2007 n. 21585).

8. La necessaria qualificazione professionale

Cass. Pen. sez. IV, 6/10/1995, n. 12297: “la responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche , viene meno qualora si faccia coadiuvare da un dirigente all’uopo preposto, persona che deve essere tecnicamente affidabile”.

9. L'obbligo di vigilanza dei dirigenti

L'obbligo dei dirigenti di vigilare, al fine di esigere, come previsto dall’art. 4 d.P.R. 547/1955 prima e ora dall'art. 18 comma 1 lettera f del D.Lgs.n. 81/2008, che i lavoratori dipendenti osservino le norme di sicurezza “non può essere addebitato fino al punto di imporre una presenza continua sul luogo di lavoro, né può essere esteso fino a dovere impedire eventi dipendenti da comportamenti anomali, imprevedibili e commessi in violazione degli ordini ricevuti” (Cass. sez. IV 8/4/1993 n.

3495 P.G. in proc. Di Pergola). L'obbligo è di carattere generale, organizzativo, con la predisposizione di idonee istruzioni e procedure, organizzando un adeguato sistema di sorveglianza tramite preposti idonei. Una volta che il dirigente abbia adeguatamente adempiuto alle proprie citate obbligazioni, sorge in lui, legittimamente, la ragionevole aspettativa che il lavoratore si comporti conformemente agli ordini ricevuti, e in ogni caso senza mai porre in atto comportamenti assolutamente anomali e imprevedibili, estranei alla sua mansione lavorativa.

10. Colpa nella scelta del preposto

Quanto al tema della culpa in eligendo, nella scelta di un preposto che sia tecnicamente idoneo e culturalmente preparato allo svolgimento del compito di vigilare sullo svolgimento sicuro del lavoro da parte dei dipendenti, è principio consolidato che “il titolare dell'impresa [o il dirigente] risponde, per "culpa in eligendo", del comportamento del preposto, inesperto alla direzione dei lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l'altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro” [Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n.

7569, Leoni, in Riv. trim. dir. pen. economia 1996, 679 (s.m.)].

Nel caso in cui un operaio specializzato, erroneamente ritenuto preposto dal datore di lavoro, "non si adegui alle norme antinfortunistiche e dal mancato rispetto conseguano determinati eventi, il datore di lavoro - oltre che il preposto e i dirigenti, se nominati - risponde di questi eventi ove risulti che, allorché si è verificata quella inosservanza, non si trovava, per impedirla, là dove è stata posta in essere, a meno che non emerga che abbia conferito apposita delega a persona tecnicamente all'altezza, persona, però, che non può essere lo stesso operaio che la norma mira a salvaguardare"

(Cassazione penale sez. IV - Sentenza 23 luglio 1997, n. 7245 - Pres. Satta Flores - Est. Battisti - P.M. conf. Calderone - Ric. Sagretti , in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).

Contro tale precisazione non vale l'obiezione che "il datore di lavoro o imprenditore non può essere dovunque", perché "é agevole, infatti, replicare che il datore di lavoro ha il precipuo dovere di curare, in modo preminente, quel fattore della produzione che è rappresentato dal lavoro e, quindi, dall'uomo che lavora, uomo la cui integrità psico-fisica è, tra i beni o valori costituzionalmente garantiti che vengono in questione nell'esercizio dell'attività economica, quello di innegabile, maggiore spessore"; ne deriva, che "il datore di lavoro o imprenditore, pertanto, deve essere là dove

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i suoi dipendenti lavorano e se non può esservi per ragioni collegate alla complessità dell'azienda o per altre plausibili ragioni, deve farsi sostituire attribuendo, appunto, apposita delega a persona che ne sia all'altezza" (Cassazione penale sez. IV - Sentenza 23 luglio 1997, n. 7245 - Pres. Satta Flores - Est. Battisti - P.M. conf. Calderone - Ric. Sagretti, in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).

11. Le direttive del datore di lavoro non liberano il responsabile della sicurezza

La Suprema corte ha statuito che "il responsabile della sicurezza sul lavoro non può addurre a propria valida scusa quella di aver dovuto uniformarsi alle direttive del datore di lavoro» (Cassazione Penale, sez. IV, 6.10.2006, n. 33594).

Rolando Dubini, avvocato in Milano

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Cassazione: il dirigente quale garante "ope legis"

della sicurezza

Il dirigente è garante della sicurezza sul lavoro per attribuzione ope legis e nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale, indipendentemente dalla delega e dal potere di spesa che gli può attribuire il datore di lavoro. A cura di G. Porreca.

Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 42136 del 12 novembre 2008 - Pres. Galbiati – Est.

Blaiotta – P.M. Delehaye - Ric. R. M.

Commento a cura di Gerardo Porreca (www.porreca.it).

Illuminante è l’insegnamento che discende da questa sentenza della Corte di Cassazione in merito alla figura ed alle responsabilità del “dirigente” ex D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute di sicurezza sul lavoro. Questi, secondo la Cassazione, è garante della sicurezza sul lavoro per attribuzione ope legis e nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale, indipendentemente dalla delega e dall’eventualepotere di spesa che gli può attribuire il datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha, quindi, confermata la sentenza di condanna già inflitta dal Tribunale e dalla Corte di Appello al direttore di uno stabilimento presso il quale si era verificato un infortunio sul lavoro in carenza di misure di sicurezza.

Il direttore dello stabilimento era stato condannato dal Tribunale perché ritenuto responsabile in ordine al reato di lesioni di cui all'articolo 590 del codice penale, commesso in violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro in danno di un lavoratore dipendente il quale, mentre operava su di una linea di produzione automatica di scaldacqua dello stabilimento, subiva un infortunio che gli procurava alcune lesioni permanenti. In particolare il lavoratore, dopo aver notato che una macchina non eseguiva correttamente le lavorazioni previste, entrava all'interno della linea di produzione, che rimaneva in funzione in modalità automatica, ed afferrava con la mano sinistra un involucro metallico mantenendolo in posizione per consentire all'apparecchiatura di eseguire il ciclo di lavorazione ma dopo aver eseguito più volte tale procedura un involucro in lavorazione schiacciava contro la macchina un dito della mano del lavoratore che si infortunava.

Dell’accaduto veniva ritenuto responsabile il direttore dello stabilimento in cui le lavorazioni in questione erano in corso per aver consentito che i lavoratori accedessero usualmente all'interno della catena di lavorazione durante il funzionamento e per non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza. Il Tribunale giudicante ha ritenuto che l'attività pericolosa posta in essere dal lavoratore infortunato non era certo sconosciuta ai responsabili dell'azienda e rappresentava una prassi per consentire la lavorazione di pezzi difettosi.

La Corte di Appello ha confermata la condanna dell’imputato anche se ha parzialmente rivisitato la ricostruzione dei fatti. Affermava, infatti, la Corte che, allorché l'infortunato si accorse del malfunzionamento dell'impianto, avvertiva il capoturno che a sua volta consultava l'imputato

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nella veste di direttore dello stabilimento il quale ordinava di proseguire la produzione intervenendo manualmente sugli scaldacqua e che quindi in quel momento si consumava per l'imputato la violazione del dovere di sicurezza.

Il direttore dello stabilimento, attraverso il suo difensore, ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione alla quale ha chiesto l’annullamento della sentenza ed ha sottolineato, a parte il comportamento scorretto del lavoratore che comunque poteva eseguire l’operazione che aveva fatto non in ciclo automatico ma con una operazione manuale, che il fatto era accaduto per una carenza di vigilanza del lavoratore e che egli, nella sua qualità di dirigente, non rivestiva nello stabilimento una posizione di garanzia che imponesse tale obbligo di vigilanza, compito ed obbligo che era invece da attribuire al preposto, e che oltre tutto quale dirigente era sprovvisto di delega di funzioni da parte del datore di lavoro e del relativo potere di spesa.

La Corte di Cassazione ha però rigettato il ricorso del dirigente, almeno per quanto riguarda la individuazione delle sue responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro nell’ambito dello stabilimento, e nel far ciò ha fornito delle indicazioni in merito alla figura del dirigente ex D. Lgs.

n. 81/2008 che possono essere utilissime ai fini di una corretta applicazione di tali disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.

Secondo la Suprema Corte, infatti “la contestazione mossa all'imputato si fonda testualmente sulla sua veste di direttore di stabilimento e quindi di dirigente. Mai gli è stata attribuita la veste di preposto che, con tutta evidenza, non gli si confaceva. L'uso del termine preposto che compare in un brano della sentenza di merito è del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione soggettiva”.

“D'altra parte,- conclude la Suprema Corte - la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell'ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente.Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri.

Corte di Cassazione – Sezione IV Penale - Sentenza n. 42136 del 12 novembre 2008 - Pres.

Galbiati – Est. Blaiotta – P.M. Delehaye - Ric. R. M. - La veste di dirigente non richiede necessariamente poteri di spesa. Questi, indipendentemente dalla delega e per attribuzione “ope legis”, è garante della sicurezza sul lavoro nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale.

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Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2008, n. 42136 - Responsabilità di un dirigente

 Dirigente e Preposto

 Infortunio sul Lavoro

Responsabilità del direttore di uno stabilimento delle lesioni personali subite da un dipendente nel corso del ciclo produttivo: gli è stato addebitato di aver consentito che il lavoratore accedesse usualmente all’interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento e di non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza - Sussiste.

Anche il direttore dello stabilimento, nella sua qualità di dirigente, può considerarsi responsabile dell’infortunio subito dal lavoratore nell’ambito del ciclo di produzione per l’inosservanza della normativa sulla sicurezza del lavoro, e ciò pur in assenza di specifiche deleghe al riguardo.

La sua qualità di dirigente, infatti, fonda autonomamente la veste di garante dell'osservanza della normativa antinfortunistica nell'ambito della sfera di responsabilità gestionale a lui attribuita.

La veste di dirigente non richiede necessariamente poteri di spesa.

Questi indipendentemente dalla delega è garante della sicurezza.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALBIATI Ruggero - Presidente - Dott. FOTI Giacomo - Consigliere - Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -

Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere - Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza sul ricorso proposto da:

R.M., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 19/12/2007 CORTE APPELLO di TRENTO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. BLAIOTTA ROCCO MARCO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Delehaye, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente alla omessa

pronunzia sulla richiesta di esclusione della parte civile. Rigetto nel resto;

udito il difensore avv. Lecis Ugo che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

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Fatto

1. Il Tribunale di Rovereto ha affermato la responsabilità R. M. ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen., in danno del lavoratore P.L., commesso con violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro. La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Trento.

L'infortunio si è verificato sulla linea di produzione automatica di scaldaacqua.

Il lavoratore, dopo aver notato che una macchina non eseguiva correttamente le lavorazioni previste, entrava all'interno della linea di produzione, che rimaneva in funzione in modalità automatica, ed afferrava con la mano sinistra un involucro metallico mantenendolo in posizione per consentire all'apparato di eseguire il ciclo di lavorazione.

Dopo che tale procedura era stata eseguita diverse volte, un involucro in lavorazione veniva spinto contro la macchina schiacciando un dito della mano del lavoratore con conseguenti lesioni personali.

All'imputato, direttore dello stabilimento in cui avvenivano le lavorazioni in questione, è stato mosso l'addebito di aver consentito che i lavoratori accedessero usualmente all'interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza.

Il primo giudice ha ritenuto che l'attività pericolosa posta in essere dal lavoratore infortunato non era certo sconosciuta ai responsabili dell'azienda e tanto meno costituiva una personale e stravagante scelta della lavoratore.

Essa, al contrario, rappresentava la prassi per consentire la lavorazione di pezzi difettosi.

Il giudice d'appello ha parzialmente rivisitato tale ricostruzione degli accadimenti.

Si è infatti affermato che allorchè l'infortunato si accorse del malfunzionamento dell'impianto avvertì il capoturno che consultò l'imputato nella veste di direttore dello stabilimento ed ordinò di proseguire la produzione intervento manualmente sugli scaldaacqua.

In quel momento si consumò, per l'imputato, la violazione del dovere di sicurezza.

2. Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore, deducendo diversi motivi.

2.1 Con il primo si prospetta che l'imputato è destinatario dell'accusa in relazione alla sua qualifica di direttore di stabilimento e procuratore speciale della società.

In primo grado il giudice ha ritenuto che l'imputato non ricoprisse il ruolo di responsabile della sicurezza in assenza di idonee deleghe; e che egli quindi dovesse rispondere del fatto nella veste di preposto.

Tale impostazione trascura completamente il fatto che all'interno dell'organizzazione vi erano altri due livelli di preposti, il capo turno ed il capo reparto.

La Corte d'appello, investita della questione ha attribuito al ricorrente il ruolo dì dirigente, senza che tale profilo fosse mai stato oggetto di vaglio dibattimentale.

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In realtà l'imputato non aveva alcun potere di spesa, ma esclusivamente un potere organizzativo. Inoltre il sinistro si è verificato esclusivamente per omissione dell'obbligo di vigilanza sulla esecuzione della

lavorazione da parte del dipendente, che gravava sul capo turno e sul capo reparto. In sostanza all'imputato sono state contestate violazioni di obblighi che non rientravano nelle sue attribuzioni ma in quelle dei preposti.

Ancora, il lavoratore ben avrebbe potuto compiere gli interventi in questione con la catena di lavorazione in modalità manuale e non automatica.

La scelta di procedere agli interventi con la catena di lavorazione in modalità automatica non può essere in alcun modo addebitata al direttore dello stabilimento:

non vi è prova che l'imputato abbia mai fornito una indicazione in tal senso.

2.2 Con il secondo motivo di ricorso si prospetta mancanza di correlazione fra l'imputazione e la sentenza.

L'imputato è stato rinviato a giudizio quale delegato del datore di lavoro.

Si è data dimostrazione che tale veste non esisteva ed il primo giudice ha allora ritenuto che la responsabilità potesse essere fondata sulla base della qualità di preposto, mentre il giudice d'appello ha ritenuto che si fosse in presenza di un dirigente.

Tuttavia, in violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. si omesso di procedere alla modifica dell'imputazione.

3. Il terzo motivo deduce che nel giudizio di appello si è dimostrato il risarcimento del danno e si è quindi chiesta l'esclusione della parte civile.

La Corte d'appello non ha assunto alcuna determinazione al riguardo ed ha anzi liquidato a carico dell'imputato le spese di parte civile. Si versa quindi in una situazione di totale carenza di motivazione.

Il difensore ha successivamente depositato motivi aggiunti.

4. Con il primo motivo si lamenta che la Corte d'appello ha fondato la responsabilità dell'imputato sul fatto che questi avesse autorizzato l'introduzione del lavoratore nella linea di produzione per eseguire l'operazione da cui è derivato l'infortunio.

La stessa Corte, tuttavia ha completamente mancato di indicare quali siano gli elementi di prova dei quali possa dedursi tale decisiva emergenza.

Si è dunque in presenza di una totale carenza di motivazione.

In realtà, la circostanza di cui si discute è tutt'altro che certa, come emerge da alcune dichiarazioni dibattimentali che vengono analiticamente indicate.

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5. Con il secondo motivo aggiunto si prospetta travisamento della prova.

Infatti, nell'affermare l'esistenza di un ordine di procedere alle lavorazioni nel modo contestato, la Corte d'appello ha travisato le dichiarazioni di un teste e dello stesso infortunato, che si è limitato a riferire di fatti appresi per sentito dire.

6. Con il terzo motivo aggiunto si deduce che la Corte d'appello ha mancato di specificare quale genere di colpa venga mossa all'imputato.

Infatti l'ingresso all'interno della linea di lavorazione da parte del lavoratore non può per ciò solo considerarsi causa di addebito colposo: la stessa persona offesa ha riferito che l'ordine impartito era quello di fare il possibile.

Si tratta di un comando piuttosto generico che viene arbitrariamente riempito dalla sentenza specificando che l'ordine di proseguire la produzione avrebbe dovuto essere attuato intervenendo manualmente sugli scaldaacqua.

7. Con il quarto motivo si prospetta violazione di legge.

L'imputato, nella qualità di dirigente, non rivestiva una posizione di garanzia che imponesse l'obbligo di vigilanza che era invece attribuito al preposto.

8. Con il quinto motivo si prospetta omessa motivazione circa la rilevanza del comportamento colposo della persona offesa.

La questione era stata devoluta in appello non è stata esaminata dalla Corte. Tale valutazione sarebbe stata di notevole rilievo sia ai fini della responsabilità che ordine alla quantificazione della pena e del risarcimento del danno.

9. Con l'ultimo motivo si prospetta illogicità del richiamo del giudice d'appello alla motivazione della

sentenza del Tribunale, poichè la sentenza d'appello perviene alla affermazione di responsabilità sulla base di distinti addebiti colposi.

3. Il ricorso è fondato nei sensi che saranno specificati in appresso.

3.1 I primi due motivi di ricorso sono infondati.

La contestazione mossa all'imputato si fonda testualmente sulla sua veste di direttore di stabilimento e quindi di dirigente.

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Mai gli è stata attribuita la veste di preposto che, con tutta evidenza, non gli si confaceva.

L'uso del termine preposto che compare in un brano della sentenza di merito è del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione soggettiva.

D'altra parte, la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell'ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente.

Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri.

3.2 E' invece fondato il terzo motivo atteso il silenzio della pronunzia impugnata sul tema inerente alla parte civile.

3.3 E' infine fondato, decisivo ed assorbente il primo motivo aggiunto.

Come si è accennato, il primo giudice ha ritenuto di fondare la responsabilità sulla scelta aziendale che ha ritenuto implicata nel consentire con regolarità procedure di lavorazione non corrette.

Il giudice d'appello ha invece ritenuto, motu proprio, di ricostruire diversamente gli accadimenti.

Ha infatti implicitamente ritenuto che si fosse in presenza di un episodio isolato e che in particolare, quando il lavoratore si avvide del cattivo funzionamento dell'impianto, avverti il capoturno che consultò l'imputato nella veste di direttore dello stabilimento il quale ordinò di proseguire la produzione intervenendo

manualmente sugli scaldaacqua.

Sulla base di tale comunicazione telefonica ha ritenuto di configurare la responsabilità del ricorrente.

Tale rivisitazione della materia probatoria è radicalmente carente di motivazione.

La Corte non specifica minimamente da quali concrete, oggettive emergenze fattuali si traggano le enunciazioni che riguardano il menzionato colloquio, nè spiega sulla base di quali elementi possa inferirsi che, nel corso del colloquio stesso, il dirigente abbia disposto la prosecuzione delle lavorazioni in modo irregolare.

Neppure l'esame della sentenza del primo giudice consente di acquisire informazioni fattuali sul punto, che è stato evidentemente ritenuto non rilevante nell'ambito della diversa analisi della vicenda.

Si versa, dunque, in una situazione di completa mancanza di motivazione su un punto che risulta decisivo sulle sorti del processo, atteso che sul colloquio e sul suo contenuto si basa, come si è visto, l'affermazione di responsabilità.

La sentenza deve essere quindi annullata con rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Sezione distaccata della Corte d'appello di Trento in Bolzano.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2008 Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2008

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