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Discrimen » Il problema della causalità penale. Dai modelli unitari al modello differenziato

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Academic year: 2022

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Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

Sezione Saggi-

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minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’at- tuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei prin- cipi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevolezza

di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale,

si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad ap-

procci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di fondo,

la sezione Monografie accoglie quei contributi che guardano alla

trama degli itinerari del diritto penale con un più largo giro d’oriz-

zonte e dunque – forse – con una maggiore distanza prospettica

verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione Saggi accoglie

lavori che si concentrano, con dimensioni necessariamente con-

tenute, su momenti attuali o incroci particolari degli itinerari pe-

nalistici, per cogliere le loro più significative spezzature,

curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione il ricorrente

trascorrere del “penale”.

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IL PROBLEMA

DELLA CAUSALITÀ PENALE

DAI MODELLI UNITARÎ AL MODELLO DIFFERENZIATO

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

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http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-0941-9

Composizione: Compograf – Torino Stampa: Stampatre s.r.l. – Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fa- scicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non su- periore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it

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47 54

59 CAPITOLOI

Una breve premessa

1. Le conseguenze “dirompenti” derivanti dalla eventuale adozio- ne di un modello differenziato di causalità penale …

2. … e i pochi profili unitarî che residuerebbero 3. I modelli di causalità penale e le loro varianti. Cenni

CAPITOLOII I modelli unitarî di causalità penale

1. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’azione 1.1. Rilievi critici

2. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’omissione 2.1. Rilievi critici

3. Il modello unitario di causalità penale elaborato dalla giuri- sprudenza mediante la sentenza Franzese

3.1. Rilievi critici

3.2. Il “dopo” Franzese: cenni agli sviluppi più recenti della giu- risprudenza

CAPITOLOIII Il modello differenziato

di causalità penale

1. Il modello differenziato di causalità penale. Dalla dicotomia causalità attiva/causalità omissiva alla dicotomia decorso rea- le/decorso ipotetico

2. Il decorso causale reale. Alcune precisazioni preliminari 2.1. (Segue) Il problematico rapporto tra il paradigma esplica-

tivo nomologico-scientifico e quello normativo della cau- salità umana o adeguata

pag.

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90 94 95 100 103 107

111 2.2. La fase “sostanziale” consistente nella formulazione di una

ipotesi in prospettiva ex post mediante spiegazione scienti- fica dell’iter causale storicamente verificatosi

2.3. La fase processuale consistente nella prova del decorso ipotizzato. Il concetto di decorso causale alternativo 2.3.1. L’esclusione dei decorsi causali alternativi in presen-

za di leggi universali

2.3.2. L’esclusione dei decorsi causali alternativi in presenza di leggi statistiche. I decorsi multifattoriali “lineari”

2.3.2.1. I decorsi multifattoriali “cumulativi”

3. Il decorso causale ipotetico

3.1. La fase ex ante consistente nella formulazione di un’ipote- si mediante giudizi prognostico-probabilistici dell’effica- cia impeditiva del comportamento alternativo lecito 3.2. La fase ex post consistente nella verifica della efficacia im-

peditiva ipotizzata. La c.d. corroborazione dell’ipotesi 3.2.1. Il fallimento in astratto del comportamento alterna-

tivo lecito

3.2.2. La c.d. concretizzazione del rischio

3.2.3. Il fallimento in concreto del comportamento alterna- tivo lecito

4. Le ipotesi di aumento o mancata diminuzione del rischio

Bibliografia

pag.

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Una breve premessa

SOMMARIO: 1. Le conseguenze “dirompenti” derivanti dalla eventuale adozione di un modello differenziato di causalità penale … – 2. … e i pochi profili unitarî che re- siduerebbero. – 3. I modelli di causalità penale e le loro varianti. Cenni.

1. Le conseguenze “dirompenti” derivanti dalla eventuale adozio- ne di un modello differenziato di causalità penale …

Il pilastro centrale dal quale si dirameranno queste riflessioni è tan- to semplice, quanto, a mio avviso, dirompente, se pensato fino in fon- do, se pensato, cioè, fino alle sue ultime conseguenze: non ha senso parlare di causalità penale al singolare, ma occorre parlare di causalità penale al plurale, nel senso che non esiste un modello di causalità uni- tario, valido al contempo per l’azione e per l’omissione, dovendosi piut- tosto parlare di un modello di causalità differenziato, basato su due di- versi paradigmi a seconda che si abbia a che fare con l’azione (e più precisamente, come vedremo, con il decorso reale fattualmente e stori- camente verificatosi) oppure con l’omissione (e cioè con il decorso ipo- tetico, vale a dire con l’efficacia impeditiva dell’evento di un comporta- mento mai posto in essere perché omesso, che si ipotizza realizzato in quanto dovuto).

Prima di affrontare questa complessa vicenda è interessante notare come l’eventuale adozione di un siffatto modello differenziato sia de- stinato a produrre conseguenze davvero dirompenti, in quanto già gli stessi concetti basilari che sovente sono esposti in termini generali (in quanto assunti come unitarî) per introdurre il problema della causalità penale, finirebbero per essere del tutto relativi e parziali, attagliandosi quasi sempre solo ed esclusivamente a una delle due varianti, e più precisamente alla causalità attiva.

Ed infatti, anzitutto è opinione da tutti condivisa che il nesso tra condotta ed evento non può essere stabilito mettendo – per così dire –

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1V. per tutti, F. PALAZZO, Corso di diritto penale, III ed., Torino, 2008, 254, il qua- le distingue tra singole condizioni necessarie e causa sufficiente, intesa come l’in- sieme delle condizioni necessarie.

direttamente in relazione la prima con il secondo e che quindi non avrebbe senso interrogarsi, ad esempio, se il cioccolatino offerto da Ti- zio a Caio e da questi ingerito, sia fattore causante la morte di Caio av- venuta da lì a poco, essendo piuttosto necessario ricostruire quello che si può definire l’intero iter causale, l’intera catena di fattori che si svi- luppa e si dipana tra l’evento e il comportamento umano. E a sostegno di questa affermazione si portano due argomenti fondamentali. Da un lato, si osserva che tale iter è sempre necessariamente, naturalistica- mente un insieme di fattori, ragion per cui, posto che l’evento si può considerare l’ultimo anello-fattore dell’intera catena causale e che la condotta umana è da qualificare come il primo, non v’è alcun dubbio che nel mezzo a queste due estremità si pone una pluralità di ulteriori condizioni necessarie, ciascuna delle quali deve avere un legame con la precedente e la successiva1. Dovendosi, tra l’altro, precisare fin d’ora che alla pluralità di fattori corrisponde anche una pluralità di legami e che, come vedremo, questi legami possono rispondere a criteri assai di- versi, visto che possono basarsi su leggi scientifiche universali o statisti- che oppure, secondo la giurisprudenza e una parte della dottrina, addi- rittura su massime d’esperienza e rilevazioni epidemiologiche. Dall’al- tro lato, sempre al fine di evidenziare come la condotta non possa es- sere messa direttamente in relazione con l’evento, si precisa che se si procedesse in tal senso si finirebbe per adottare una prospettiva pro- gnostica ex ante, nella sostanza normo-valutativa, perché volta a dare rilevanza soltanto ad alcuni fattori selezionati sulla base di criteri di- versi dalle leggi scientifiche. Prospettiva prognostica, tuttavia, che non può essere assunta nell’ambito della causalità, in quanto, trattandosi di un elemento di imputazione oggettiva dell’evento, non può che esse- re ricostruita attraverso un ragionamento esplicativo in una prospetti- va ex post, volta per l’appunto alla ricostruzione-spiegazione dell’inte- ra catena.

Ebbene, tutte queste considerazioni che si vogliono far passare per aventi un carattere generale e unitario, a ben vedere, in una prospetti- va differenziata, si confanno solo ed esclusivamente alla causalità c.d.

attiva. Ed infatti, come cercheremo di mettere in evidenza meglio in se- guito, esiste una sorta di corrispondenza tra la tipologia, la natura dei fattori che si prendono in considerazione e la prospettiva che si decide

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2Si v. G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, VI ed., Bologna, 2009, 228; F. PALAZZO, Corso, cit., 254.

di adottare, nel senso che soltanto in presenza di fattori reali effettiva- mente verificatisi è possibile adottare una prospettiva ex post, mentre al contrario in presenza di un’azione ipotizzata, la stessa idea di pren- dere in considerazione tutti i fattori che si sarebbero – per così dire – sviluppati a seguito della realizzazione della condotta non ha alcun senso, e ciò per la semplice ragione che tutti questi fattori in realtà non esistono, non potendosi quindi che attribuire rilevanza soltanto alla condotta ipotizzata e quindi assumere una prospettiva necessariamen- te ex ante. Vero è che, rispetto al ragionamento esplicativo in prospetti- va ex post concernente la dimensione reale del nesso, è possibile adot- tare eventuali correttivi normativi (causalità umana e causalità ade- guata) vòlti a valutare – per così dire – il peso della responsabilità di de- terminati fattori nella produzione dell’evento, compiendosi così giudi- zi che selezionano come rilevanti e preminenti alcuni fattori e scartan- done altri. Tuttavia, come vedremo meglio in seguito, questi correttivi, a rigore, non possono che essere impiegati soltanto dopo la ricostru- zione-spiegazione dell’intero decorso causale in una prospettiva ex po- st, fondata su criteri che consentono una spiegazione causale di tipo scientifico-nomologico. Alla stessa stregua, è vero che in una prospetti- va predittiva ipotetica ex ante si potranno comunque prendere in con- siderazione eventuali fattori capaci di incidere sulla efficacia impediti- va del comportamento alternativo lecito ipotizzato, tuttavia questi fat- tori saranno pur sempre presi in considerazione in una prospettiva ipo- tetica, visto che la loro capacità invalidante può essere ancora una vol- ta soltanto ipotizzata.

Sempre a fini introduttivi, si è soliti compiere un’altra affermazio- ne unitaria: a differenza dell’attività dello scienziato, diretta a rico- struire l’intera catena causale, quella del giudice – si afferma – sarebbe orientata a verificare se la condotta costituisca uno dei fattori della ca- tena causale, e ciò nel senso che il giudice ha come scopo quello pret- tamente giuridico di imputare ad un comportamento un determinato evento al fine di emettere un giudizio di responsabilità, mentre la rico- struzione dell’intero procedimento causale mediante l’ausilio dello scienziato costituisce una sorta di strumento di cui il giudice si avvale ai fini di una corretta imputazione2. Ebbene, anche questa afferma- zione, a ben vedere, risulta essere in definitiva relativa e parziale, visto che si adatta alla causalità attiva, mentre non può essere estesa anche

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3Sul giudice quale fruitore e non creatore di leggi, v. ampiamente F. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, II ed., Milano, 2000, 80 ss.

e 153 ss. Nella manualistica v. per tutti D. PULITANÒ, Diritto penale, III ed., Torino, 2009, 208; G.A. DEFRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, Torino, 2008, 214.

a quella omissiva. Ed infatti, l’intera catena causale viene in gioco sol- tanto in presenza di fattori reali, con la conseguenza che è soprattutto rispetto a tale decorso che si apre la problematica dei rapporti tra scienza e diritto, tra scienziato e giudice, tra logica naturalistica della descrizione e logica giuridica dell’imputazione. Al contrario, quando si tratta di fattori ipotetici, non solo permane in capo al giudice l’interes- se a stabilire se la condotta è condizione necessaria, ma l’apporto che può dare la scienza in una prospettiva prognostico-ipotetica risulta de- cisamente diverso da quello offerto quando si tratta di spiegare un fe- nomeno ex post, proprio perché muta la stessa prospettiva da esplica- tiva a predittiva, con la conseguenza che sono destinati ad assumere un ruolo determinante il giudice e la coerenza del suo ragionamento logico-argomentativo.

Ed ancora. Sempre all’interno di un discorso generale sulla causa- lità fatto a fini introduttivi, si è soliti mettere in evidenza come la cau- salità penale presenti delle specificità che la rendono particolarmente problematica. Così, ad esempio, si sottolinea come, a differenza di ciò che accade nell’ambito scientifico, dove lo scienziato può ripetere il fat- to, “l’esperimento”, nell’ambito giuridico-penalistico si sia in presenza di fatti che appartengono al passato e come tali irripetibili, con il du- plice risultato che, da un lato, da un punto di vista – per così dire – del diritto sostanziale, il giudice, diversamente dallo scienziato, non forgia le leggi scientifiche ma si limita a fruirne3; dall’altro lato, da un punto di vista probatorio-processuale, la conferma, la prova del decorso cau- sale reale ipotizzato, si colora – per così dire – di considerazioni nor- mo-valutative a base induttiva, a differenza della conferma dell’ipotesi che ottiene lo scienziato, la quale è – per così dire – empirico-fattuale.

Ebbene, non solo anche questo modo di ragionare è riferibile soltanto alla causalità attiva, ma, come vedremo, se compiuto in termini uni- tarî, rischia di essere addirittura fuorviante. In particolare, per quanto riguarda il profilo sostanziale del rapporto del giudice con le leggi scientifiche, un problema di irripetibilità del fatto si pone soltanto per il decorso reale, non anche per quello ipotetico, e ciò proprio in ragio- ne del fatto che quest’ultimo è meramente ipotizzato: nulla essendo ac- caduto, nulla può (abbisogna di) essere riprodotto e spiegato. Con la

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4C.E. PALIERO, La causalità dell’omissione: formule concettuali e paradigmi pras- seologici, in Riv. it. med. leg., 1992, 844.

conseguenza che mentre rispetto al decorso reale il giudice si trova in buona parte “a dipendere” dai risultati della scienza, al contrario, ri- spetto al decorso ipotetico non ci pare del tutto azzardato affermare che le leggi che vengono in gioco, a rigore, non possono nemmeno de- finirsi scientifiche, non essendo riconducibili né alle leggi universali, ma neppure a quelle statistiche: com’è stato efficacemente notato, «il criterio di verifica dell’efficacia condizionante della condotta omissiva, essendo riferito alla (immaginaria) azione impeditiva doverosa sarà solo e necessariamente probabilistico. Si dice: lo è spesso – ma non ne- cessariamente – anche per la causalità attiva […] Questo modo di ra- gionare, però, identifica arbitrariamente, a mio avviso, i due concetti di “statistico” e “probabilistico”» perché «nel primo caso (fonte stati- stica) permaniamo nell’ambito di un paradigma nomologico, nel se- condo caso trasmigriamo invece in un paradigma stocastico (conget- turale)»4. Risultando così confermato come rispetto al decorso ipote- tico, l’attività logico-argomentativa del giudice finisca per assumere un ruolo particolarmente pregnante e significativo.

Leggermente più complesso il discorso rispetto al piano probatorio.

Ed infatti, in prima battuta si potrebbe essere indotti a credere che un problema di prova si ponga soltanto rispetto alla causalità attiva, pro- prio in virtù del fatto che soltanto ciò che si è storicamente verificato necessita di (e può) essere provato. Tuttavia, a ben vedere, occorre no- tare come un problema di prova si ponga anche rispetto al decorso causale ipotetico tutte le volte in cui si apra la problematica dell’even- tuale presenza di fattori “invalidanti” l’efficacia impeditiva del com- portamento alternativo lecito ipotizzato: vero infatti che la “forza in- validante” di tale fattore può essere misurata soltanto in termini ipote- tico-prognostici (v. infra, cap. III, par. 3.2.3), è anche vero che esso de- ve essere reale e quindi effettivamente presente nel fatto storico, po- nendosi così l’esigenza di provarlo in modo analogo a quello con cui si provano i fattori reali del decorso causale reale. E come vedremo, il ra- gionamento probatorio finisce quasi sempre per essere un ragiona- mento a carattere normo-valutativo la cui conclusione è caratterizzata da un’alta credibilità razionale, trattandosi quindi di una certezza in- duttiva. Ma sul punto torneremo in seguito (v. infra, cap. II, par. 1.1).

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2. … e i pochi profili unitarî che residuerebbero

Quanto detto fin qui non esclude che all’interno della causalità pe- nale vi siano profili unitarî, che cioè si possano individuare compo- nenti comuni a entrambe le tipologie di decorso causale, ma a ben ve- dere si tratta davvero di poche cose.

Per quanto riguarda il problema della causalità penale, l’unica af- fermazione a carattere unitario che può essere formulata è nella so- stanza quella secondo cui la questione centrale consiste nello stabilire quando una certa condotta possa essere considerata anello di una ca- tena causale che ha come esito finale un determinato evento naturali- stico, inteso come modificazione fisico-materiale della realtà, concet- tualmente, cronologicamente e spazialmente separato dalla condotta.

Al di là di ciò, ci si deve sùbito confrontare con la differenza tra azione (decorso reale) ed omissione (decorso ipotetico). E come si può vedere si tratta di una conclusione di scarso significato esplicativo.

Per quanto riguarda le specificità della causalità penale, si possono invece mettere in evidenza due diversi profili unitarî, a dire il vero di un certo rilievo. Anzitutto, occorre notare la particolarità del fattore consi- stente nella condotta umana, la quale, essendo per l’appunto riferibile all’uomo e al suo dominio, non può essere considerata un fattore pret- tamente naturalistico, con la conseguenza che in ordine alla condotta come condizione di una catena causale, anche quando si tratta di con- dotta avente la forma dell’azione, non esistono vere e proprie elabora- zioni scientifiche, visto che la scienza naturale studia fenomeni per l’appunto naturali (inorganici o biologici) e non comportamenti umani.

Detto diversamente, poiché si ha a che fare con un comportamento umano è difficile potersi schiacciare interamente su una prospettiva ri- gorosamente naturalistico-scientifica, emergendo fin d’ora due profili del tutto peculiari. Da un lato, su un piano del diritto – per così dire – sostanziale, il legame che intercorre tra il comportamento umano e il primo fattore naturalistico della catena causale appare quasi sempre fondato più su massime d’esperienza che su leggi scientifiche. E ciò, a maggior ragione, nelle ipotesi particolarmente ricorrenti in cui non si tratta di legare un comportamento umano a un fattore naturalistico, ma piuttosto di stabilire il nesso che intercorre tra due comportamen- ti umani oppure tra un fattore reale e un comportamento omissivo avente natura prettamente normativa. Dall’altro lato, sul piano proces- suale, il fattore umano sembra essere quello esposto più di ogni altro a problemi di prova. Vero questo, vero cioè che nel momento in cui en-

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5G. FIANDACA, voce Causalità, in Dig. disc. pen., vol. II, Torino, 1988, 120, e più di recente, ID., Riflessioni problematiche tra causalità e imputazione obiettiva, in In- dice pen., 2006, 946, dove si afferma: «non essendo noi penalisti dei “fisici” o degli

“epidemiologi” di professione, il nesso ci interessa pur sempre quale presupposto di una iscrizione giuridica: e in questo senso esso ci interessa – forse è superfluo esplicitarlo – perché l’esistenza di un rapporto eziologico tra una condotta tipica e un evento lesivo comprova, almeno nei casi normali della prassi giudiziaria, che l’evento è opera dell’agente e che, dunque, può essergli imputato nell’ottica specifi- ca della responsabilità penale. Ma, se di imputazione giuridico-penale deve trattar- si, è giocoforza l’intrusione di componenti valutative: l’imputazione dell’evento a un uomo come sua opera non può che essere effettuata sulla base di criteri non so- lo logico-empirici, ma anche giuridici di valutazione». Nello stesso senso, A. PA-

GLIARO, voce Causalità (rapporto di), in Enc. dir., Annali, Milano, 2007, 153 s.

tra in gioco un fattore consistente in un comportamento umano si ten- de a formulare considerazioni alla fin fine normo-valutative ispirate alla logica del “peso” della responsabilità e dell’imputazione, tuttavia è anche vero che, ancora una volta, siffatta normo-valutazione è desti- nata a mutare, a seconda che si sia in presenza di un’azione oppure di un’omissione: nella prima ipotesi, infatti, la normo-valutazione è mi- nore perché comunque ancorata a una base naturalistica apprezzabile da un punto di vista empirico e quindi scientifico; nella seconda è in- vece maggiore, perché muta la prospettiva da reale a ipotetica, co- stringendo – per così dire – ad emanciparsi dalle leggi scientifiche in una logica esplicativa, e riemergendo così la differenza tra i due para- digmi.

In secondo luogo, non si possono nascondere le peculiari esigenze

“unitarie” dell’imputazione giuridico-penalistica. Si tratta della com- ponente che io definirei necessariamente normativa della causalità pe- nale unitariamente intesa5. Nella ricostruzione del nesso causale in ambito penalistico, al momento della scelta del criterio da impiegare per l’affermazione dell’esistenza del legame, interviene sempre e co- munque una valutazione guidata dalle precipue esigenze di imputa- zione prettamente punitive. E come vedremo queste esigenze del tutto peculiari tendono a porsi in tensione tra loro, se non addirittura a con- fliggere: da un lato, infatti, si avverte un’esigenza di certezza della im- putazione dell’evento nel nome della necessità di rispettare alcuni principi giuridici di garanzia vòlti a contenere l’inclinazione a eccede- re propria della logica punitiva; dall’altro lato, non si possono trascu- rare le esigenze preventivo-repressive che caratterizzano il diritto pe- nale e che spingono verso una dilatazione della responsabilità.

Ecco allora che all’interno di questo istituto si agita (e come poteva

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essere altrimenti?) la classica e inestirpabile tensione tra prevenzione generale e garanzia, la quale tuttavia ancora una volta mi pare si at- teggi in termini assai diversi a seconda che si tratti di azione (decorso reale) oppure di omissione (decorso ipotetico). Rispetto al principio della personalità della responsabilità penale occorre infatti notare che, per quanto riguarda il decorso reale, la tensione si fa particolarmente consistente proprio in virtù del substrato naturalistico che caratterizza tale decorso, nel senso che la certezza dell’imputazione è strettamente connessa al ragionamento esplicativo e quindi o c’è oppure non c’è, fi- nendo così il principio per giocare un ruolo molto stringente: la ten- sione, in sostanza, sembra essere tra principio della responsabilità per fatto proprio ed esigenze preventive. Al contrario, in presenza del de- corso causale ipotetico, trattandosi di una realtà fortemente normati- va, la tensione si rivela diversa, per certi aspetti più tenue, e il rappor- to tra il principio e la disciplina più duttile e flessibile, venendo in gio- co – per così dire – più il principio di colpevolezza che il divieto di re- sponsabilità per fatto altrui. E non mancando tuttavia la possibilità, a seconda di come si concepisce il decorso ipotetico, di individuare un contrasto ben più radicale con lo stesso principio di materialità o con quello di determinatezza sotto il profilo della verificabilità empirica della fattispecie (v. infra, cap. III, par. 3). Rispetto al principio di lega- lità, poi, mentre per ciò che attiene al decorso reale la conformità a ta- le principio passa attraverso il contenimento dell’intuito e dell’arbitrio del giudice e quindi attraverso l’impiego delle leggi scientifiche che stanno fuori dall’ambito normativo, al contrario per ciò che attiene al decorso ipotetico si pone il problema se la configurazione di un giudi- zio inevitabilmente ex ante non determini addirittura una trasforma- zione della fattispecie da ipotesi di danno con evento come elemento costitutivo a ipotesi di mero pericolo con evento come condizione obiettiva di punibilità.

3. I modelli di causalità penale e le loro varianti. Cenni

Tutto ciò premesso, come abbiamo accennato all’inizio, la questio- ne centrale da cui si deve partire attiene alla distinzione tra causalità attiva (o decorso causale reale) e causalità omissiva (o decorso causa- le ipotetico).

Esistono infatti da sempre due diverse concezioni della causalità:

da un lato, v’è chi ritiene che la causalità sia un concetto unitario, per

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cui causalità attiva e causalità omissiva non differiscono, né sul piano strutturale, né in ordine ai criteri che vengono in gioco per l’afferma- zione dell’esistenza del nesso, né, infine, ma potremmo dire prima an- cora, per quanto attiene alla certezza della imputazione-attribuzione dell’evento, vale a dire in ordine al risultato dell’operazione di rico- struzione “astratta” del nesso causale; dall’altro lato, v’è invece chi af- ferma che causalità attiva e causalità omissiva differiscono anzitutto sul piano strutturale e conseguentemente sul piano dei criteri, come anche della certezza dell’imputazione.

In particolare, per quanto riguarda il modello unitario, occorre di- stinguere due varianti, a seconda che il modello unitario sia – per così dire – forgiato sulla causalità attiva oppure su quella omissiva. Ed in- fatti, nella prima prospettiva il ragionamento che si compie è nella so- stanza il seguente: in primo luogo, si va a ricostruire il paradigma del- la causalità in ordine all’azione e in un secondo momento si verifica se tale paradigma possa essere esteso anche all’omissione, verifica che si conclude con un esito positivo. Nella seconda prospettiva, invece, il ra- gionamento è – per così dire – rovesciato, perché, dopo aver messo in evidenza le peculiarità della causalità omissiva, si tende a minimizzare le differenze che intercorrerebbero tra quest’ultima e la causalità atti- va, la quale, alla fin fine, si caratterizzerebbe per un paradigma indut- tivo praticamente identico a quello della causalità omissiva. E come ve- dremo, una sorta di ulteriore variante di questa seconda prospettiva può essere considerato il modello di causalità penale configurato dalla giurisprudenza mediante la sentenza Franzese.

Per quanto riguarda il modello differenziato, non solo non è dato ri- scontrare particolari articolazioni interne, ma soprattutto occorre no- tare come fino ad ora non si sia mai proceduto al tentativo di una sua razionale e sistematica configurazione, tentativo che cercheremo quanto meno di impostare nell’ultimo capitolo di questo lavoro.

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1In questa prospettiva, si v. F. STELLA, Causalità omissiva, probabilità, giudizi con- trofattuali. L’attività medico-chirurgica, in Cass. pen., 2005, 1062 ss.; F. CENTONZE, Cau- salità attiva e causalità omissiva: tre rivoluzionarie sentenze della giurisprudenza di le- gittimità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 289 ss.; ID., Il nuovo corso della giurispruden- za di Cassazione sulla spiegazione causale: la necessità del ricorso a leggi universali o sta- tistiche con coefficiente percentualistico vicino a cento, il ruolo del giudice e del consu- lente medico-legale, in Riv. it. med. leg., 2002, 589 ss.; F. D’ALESSANDRO, La certezza del nesso causale: la lezione “antica” di Carrara e la lezione “moderna” della Corte di cassa- zione sull’“oltre ogni ragionevole dubbio”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 743 ss.; ID., Le frequenze medio-basse e il nesso causale tra omissione ed evento, in Cass. pen., 2007, 4812 ss. Nella stessa direzione, ma con sfumature diverse, sembra muoversi di recen- te anche G. MARINUCCI, Causalità reale e causalità ipotetica nell’omissione impropria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 528 ss. In argomento v. altresì L. EUSEBI, Appunti sul con- fine tra dolo e colpa nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1061 ss.

In giurisprudenza, v. Cass. pen., Sez. IV, 28 settembre 2000-9 marzo 2001, n.

9780, Baltrocchi, in Cass. pen., 2002, 159, con note di G. IADECOLA, In tema di verifi-

I modelli unitarî di causalità penale

SOMMARIO: 1. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’azione. – 1.1. Rilievi critici. – 2. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’omissione. – 2.1. Ri- lievi critici. – 3. Il modello unitario di causalità penale elaborato dalla giurispru- denza mediante la sentenza Franzese. – 3.1. Rilievi critici. – 3.2. Il “dopo” Franze- se: cenni agli sviluppi più recenti della giurisprudenza.

1. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’azione

Per quanto riguarda la prima variante di modello unitario, come ac- cennato, essa è forgiata sulla causalità attiva (ovvero sul decorso rea- le), nel senso che assume come paradigma cardine quello esplicativo in prospettiva ex post elaborato per l’appunto per la causalità attiva, ve- nendo poi in pratica esteso alla causalità omissiva (ovvero al decorso ipotetico)1. Più in dettaglio, circa l’azione, il punto da cui si muove è

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ca della causalità omissiva nell’attività medico-chirugica in recenti interventi della Corte di cassazione, ivi, 2002, 174 ss. e R. BLAIOTTA, La causalità ed i suoi limiti: il contesto della professione medica, ivi, 2002, 181 ss.; in Dir. pen. proc., 2002, 311, con nota di C. PIEMONTESE, Responsabilità penale del medico e giudizio sul nesso, ivi, 2002, 318 ss.; in Foro it., 2001, II, 420, con osservazioni di E. NICOSIA, ivi, 2001, II, 420 ss.; in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 277, con nota di F. CENTONZE, Causalità atti- va e causalità omissiva, cit.; in Riv. it. med. leg., 2001, 805, con nota di A. FIORI-G. LA

MONACA, Una svolta della Cassazione penale: il nesso di causalità materiale nelle con- dotte mediche omissive deve essere accertato con probabilità vicina alla certezza, ivi, 2001, 818 ss.; Cass. pen., Sez. IV, 29 novembre 2000-9 marzo 2001, n. 9793, Musto, in Cass. pen., 2002, 168; in Dir. pen. proc., 2002, 315 ss., con nota di C. PIEMONTESE, Responsabilità penale, cit.; in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 277, con nota di F. CEN-

TONZE, Causalità attiva e causalità omissiva, cit.; in Riv. it. med. leg., 2002, 582, con nota di F. CENTONZE, Il nuovo corso della giurisprudenza, cit.; Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2001-13 febbraio 2002, n. 5716, Covili, in Foro it., 2002, II, 289, con os- servazioni di G. FIANDACA, ivi, 2002, II, 289; in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 737, con nota di F. D’ALESSANDRO, La certezza del nesso causale, cit.; Cass. pen., Sez. IV, 25 set- tembre 2001-16 gennaio 2002, n. 1585, Sgarbi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 737, con nota di F. D’ALESSANDRO, La certezza del nesso causale, cit.; Cass. pen., Sez. IV, 28 novembre 2000-6 aprile 2001, n. 14006, Di Cintio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 277, con nota di F. CENTONZE, Causalità attiva e causalità omissiva, cit.; in Riv. it.

med. leg., 2002, 581, con nota di F. CENTONZE, Il nuovo corso della giurisprudenza, cit.

2F. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, cit., 111 ss.;

ID., Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 772 ss.; ID., Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, III ed., Milano, 2003, 277.

3V’è unanimità nel riconoscere che il primo a precisare questo aspetto è stato K. ENGISCH, Die Kausalität als Merkmal der strafrechtlichen Tatbestände, Tübingen, 1931, 18 ss.

costituito dalla formula della condicio sine qua non, vale a dire, trat- tandosi di azione, dal procedimento di c.d. eliminazione mentale, che costituirebbe il procedimento ipotetico dal cui impiego non si può prescindere, quale che sia il tipo di causalità che viene in gioco, e quindi anche quando si parla di causalità giuridico-penalistica2. D’al- tra parte, è del tutto agevole e immediato accorgersi che la formula della condicio sine qua non, di per sé presa, non è in grado di funzio- nare, o meglio ci si rende conto che ciò che si ritiene essere un proce- dimento di verifica che approda a un risultato (eliminando mental- mente l’azione “si verifica” se l’evento si sarebbe o meno prodotto egualmente), in realtà altro non è che la mera e diretta enunciazione dello stesso risultato a cui dovrebbe approdare il procedimento di verifica, nel senso che non si elimina l’azione al fine di verificare la sua efficacia eziologica, ma già prima dell’eliminazione si sa in anti- cipo se l’evento si sarebbe verificato ugualmente o meno3: in sostan-

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4F. STELLA, Leggi scientifiche, cit., 88 ss.

5F. STELLA, Etica e razionalità del processo penale, cit., 788 ss. e 814 s.; ID., Verità, scienza e giustizia: le frequenze medio-basse nella successione di eventi, ivi, 2002, 1231 ss.; ID., Giustizia e modernità, cit., 346 ss. e 361 ss.; ID., Fallacie e anarchia me- todologica in tema di causalità. La sentenza Orlando, la sentenza Loi, la sentenza Ub- biali (Cass. Sez. IV pen.), ivi, 2004, 39 ss.; ID., Causalità omissiva, cit., 1071 ss.; ID., Causalità e probabilità: il giudice corpuscolariano, in Riv. it. di proc. pen., 2005, 119 ss.; ID., Il giudice corpuscolariano. La cultura delle prove, Milano, 2005, 101 ss.; F.

D’ALESSANDRO, Le frequenze medio-basse, cit., 4828 ss.

6F. STELLA, Causalità omissiva, cit., 1076, in cui si afferma che «in via conclusi- va si può asserire che l’enunciato causale singolare, legato alla prova particolaristi- ca, deve essere provvisto, nel processo penale, di una probabilità ex post del 99,9%

[…] Per raggiungere una spiegazione che sia fornita di un grado così elevato di pro- babilità ex post, la prova particolaristica deve costituire la concretizzazione di una legge causale, cioè di una legge universale, o di una legge statistica con frequenza vicinissima a 100». Tuttavia dello stesso Autore si v. anche La nozione penalmente rilevante di causa: la condizione necessaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 1243, in cui si afferma: «la verità, ancora una volta, è che il concetto di causa penalmente ri- levante non coincide con il concetto nomologico-funzionale di causa in uso nella scienza, e che perciò, quando si affronta il problema del fondamento dei giudizi controfattuali compiuti dal giudice, la contrapposizione fra spiegazioni causali (de- duttive) e spiegazioni statistiche deve essere abbandonata: per il diritto penale, si

za, quando si elimina un determinato fattore già si sa se è condicio o meno.

Ecco allora che l’attenzione non si deve soffermare sul procedi- mento di eliminazione mentale ma sul criterio esplicativo in virtù del quale “già si sa” che il fattore (che poi si andrà ad eliminare mental- mente) è condizione o meno. E questo criterio non può che essere of- ferto dalle leggi scientifiche, le uniche che sono in grado di spiegare perché il fattore che si andrà a eliminare è fattore condizionante. Con la conseguenza che – si dice – la formula della condicio deve essere corretta, integrata mediante le leggi scientifiche4.

Non solo, ma poiché all’interno del diritto penale basato sul princi- pio della personalità della responsabilità penale non può esservi incer- tezza nella attribuzione dell’evento, la conseguenza è che possono es- sere utilizzate soltanto leggi scientifiche universali, vale a dire leggi che esprimono un coefficiente di regolarità tra due fattori assai prossi- mo a cento, senza con ciò negare – si afferma – l’inevitabile struttura probabilistica della spiegazione causale dell’evento5.

Questo modello, pertanto, oltre a rendere “funzionante” la formula della condicio sine qua non che altrimenti resterebbe vuota e priva di operatività esplicativa, si attaglia perfettamente anche alla logica pe- nalistica, per cui l’imputazione deve essere certa6: com’è stato ribadito

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ha ragione di credere al giudizio controfattuale anche quando, nella spiegazione, vengano usate leggi statistiche. Il compito del giudice penale dovrebbe ormai esse- re abbastanza chiaro: attraverso il giudizio controfattuale, egli deve stabilire se la condotta è una condizione contingentemente necessaria; il risultato al quale ap- proderà, però, non sarà mai “deduttivamente certo”, posto che l’incompletezza del- le premesse esplicative (l’incompletezza delle leggi e delle condizioni empiriche enunciate) e l’uso di leggi statistiche nella spiegazione caratterizzeranno sempre la sua argomentazione come probabilistica, ossia razionalmente credibile».

7F. D’ALESSANDRO, Le frequenze medio-basse, cit., 4827.

8F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., 1249 ss.; ID., voce Rap- porto di causalità, in Enc. giur. Treccani, vol. XXV, Roma, 1991, 14 ss.; ID., Causa- lità omissiva, cit., 1078 ss.; F. D’ALESSANDRO, Le frequenze medio-basse, cit., 4842 ss.

9F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., 1251 ss.

10F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., 1254 ss.

di recente, «il modello nomologico-deduttivo si presta in modo parti- colarmente calzante a soddisfare le esigenze di certezza tipiche del contesto del diritto penale: esso, infatti, è quello che meglio di ogni al- tro è in grado di garantire al giudice la possibilità di arrivare a una spiegazione certa dell’evento verificatosi, consentendo di assumere de- cisioni effettivamente coerenti con i fondamentali principi di garanzia del nostro ordinamento penale»7. In sostanza, rispetto all’azione, la causalità si basa sulla formula della condicio sine qua non, su una cer- tezza dell’imputazione dell’evento praticamente assoluta sul piano em- pirico-fattuale e sul criterio delle leggi scientifiche universali.

E per quanto riguarda l’omissione? Secondo la concezione in esa- me, quanto si è appena detto per l’azione non può che valere anche per l’omissione (ed ecco perché si tratta di un modello unitario forgiato sull’azione)8. In particolare, sul piano strutturale si nota anzitutto che azione e omissione sarebbero da trattare in termini nella sostanza identici, essendo condizioni entrambe reali: in una visione “moderna”

della causalità, infatti, si devono considerare fattori fattualmente con- dizionanti non soltanto le forze e le energie materiali, ciò che in un cer- to senso sprigiona dinamicità, ma anche i processi statici, vale a dire ciò che permane, potremmo dire “sta”, e permanendo consente ai pro- cessi dinamici di esplicarsi: e tra queste condizioni statiche rientrereb- be anche l’omissione, che lascia che le cose siano così come sono9. Inoltre, si osserva come anche rispetto all’omissione si continui a im- piegare la formula della condicio sine qua non e quindi un giudizio nel- la sostanza ipotetico come quello utilizzato per l’azione10. Certo – si precisa – una differenza tra causalità attiva e causalità omissiva esiste, ma si tratterebbe di una differenza meramente estrinseca, che non in-

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11F. STELLA, Causalità omissiva, cit., 1080, secondo il quale «analogamente, in questa ricostruzione [della causalità omissiva], bisognerà fare riferimento all’inca- pacità della probabilità ex ante a darci informazioni su ciò che sarebbe accaduto se fosse stato realizzato il comportamento omesso, come bisognerà fare riferimento al grado elevato di probabilità ex post (99,9%) raggiungibile solo con l’impiego di leg- gi statistiche con frequenze vicinissime a 100. In altre parole, l’enunciato causale singolare su ciò che sarebbe accaduto in assenza dell’omissione deve essere provvi- sto delle stesse elevatissime probabilità ex post richieste per la causalità commissi- va». Tuttavia dello stesso Autore si v. anche La nozione penalmente rilevante di cau- sa, cit., 1256, in cui si afferma che «illustrando il nesso di condizionamento fra azione ed evento, abbiamo avuto modo di sottolineare che ciò che si richiede al giu- dice penale è unicamente di formulare una argomentazione probabilistica: non, dunque, un enunciato deduttivamente certo, ma una argomentazione provvista di un alto grado di credibilità razionale (o probabilità logica); illustrando d’altra par- te le caratteristiche della causalità omissiva, abbiamo visto che i processi esplicati- vi utilizzabili nella sua analisi sono identici a quelli ai quali si ricorre per dimo- strare la causalità dell’azione: non resta perciò che ritenere del tutto arbitraria la formula della “probabilità confinante con la certezza”, essendo evidente che anche gli enunciati causali relativi all’omissione debbono soddisfare unicamente il requi- sito dell’“alto grado di credibilità razionale”». Nello stesso senso, F. D’ALESSANDRO, Le frequenze medio-basse, cit., 4851; F. CENTONZE, L’accertamento della responsabi- lità penale nell’esercizio della professione medico-chirurgica, in S. ALEO-F. CENTONZE- E. LANZA, La responsabilità penale del medico, Milano, 2007, 227 ss.

cide in termini sostanziali sulla struttura del procedimento e quindi sul criterio e sulla certezza dell’imputazione. Ed infatti, ciò che strut- turalmente distingue la causalità attiva da quella omissiva sarebbe sol- tanto il fatto che mentre nella prima la condicio opera mediante l’eli- minazione dell’azione, al contrario nella seconda la condicio opera at- traverso l’aggiunzione della condotta dovuta. Tuttavia, come accenna- to, si ritiene si tratti di una differenza estrinseca e priva di riflessi pra- tico-applicativi, dovuta soltanto alla diversa natura e consistenza della condizione, perché mentre l’azione è condizione dinamica che non può che essere eliminata, l’omissione è condizione statica che può es- sere giuridicamente apprezzata soltanto mediante l’aggiunzione della condotta dovuta: ma in entrambi i casi si tratta di giudizi ipotetici.

Sul piano del criterio, poi, non possono che tornare in gioco le leg- gi scientifiche che continuano a svolgere una funzione esplicativa del fenomeno e correttiva della condicio. E poiché anche quando si tratta di omissione permane in ordine all’imputazione un’esigenza di certez- za praticamente identica a quella che si ha rispetto all’azione, si deve concludere che il criterio per affermare l’esistenza del nesso causale è offerto ancora una volta sempre e solo dalle leggi scientifiche univer- sali11. Quindi, in sintesi, anche rispetto all’omissione, la causalità si

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basa sulla formula della condicio sine qua non, su una certezza dell’im- putazione dell’evento nella sostanza empirico-fattuale di tipo assoluto e sul criterio delle leggi scientifiche universali.

1.1. Rilievi critici

Nell’esaminare criticamente questa concezione, non si possono non mettere in evidenza alcuni punti di forza, ma anche alcuni punti debo- li di rilevanza tale da gettare pesanti dubbi sulla sua plausibilità. In particolare, con riferimento all’azione, mi pare davvero difficilmente contestabile l’idea che il risultato dell’imputazione si debba caratteriz- zare per una sorta di certezza che non esito a definire, da un lato, em- pirico-fattuale e scientificamente apprezzabile, dall’altro lato, assoluta, vale a dire prossima al 100%, dovendo risultare così perché in definiti- va normativamente imposta dal principio della personalità della re- sponsabilità penale. Ed infatti, sotto il primo profilo dell’empirìa scien- tificamente apprezzabile, là dove si è in presenza di un decorso causa- le reale, là dove, cioè, l’iter causale si realizza materialmente, non c’è dubbio che ciò che viene in gioco è il legame tra i fattori condizionan- ti, il quale ha natura e consistenza empirico-fattuale, potendo essere conosciuto e spiegato soltanto attraverso il sapere scientifico: è la realtà dei fattori che in un certo qual modo postula la spiegazione me- diante leggi scientifiche. Sotto il secondo profilo, poi, avente carattere più normativo, il rispetto del principio della personalità della respon- sabilità penale non può che passare dalla sussistenza di un legame as- solutamente certo, e ciò per la semplice ed ovvia ragione che una spie- gazione scientifica o è certa oppure non è una spiegazione, con la con- seguenza che se venisse a mancare questa certezza senza dubbio si agiterebbe lo spettro di una responsabilità per fatto altrui. Così, ad esempio, in presenza di una morte che si ritiene connessa a un sovra- dosaggio di farmaci, si deve essere in grado di spiegare sul piano em- pirico-fattuale, e quindi deve esserci certezza in ordine alle leggi scien- tifiche astratte che fanno parte dell’explanans, che una morte può es- sere dovuta ad una compromissione del fegato, che il fegato può esse- re compromesso dalle sostanze chimiche di cui è composto un deter- minato farmaco, che tale farmaco può essere assunto per via parente- rale etc.

Quanto appena affermato ci consente di compiere un’importante precisazione, che ci sarà utile per varie questioni e sulla quale non mancheremo di tornare più volte in seguito, e cioè di precisare la di-

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12M. ROMANO, Nesso causale e concretizzazione delle leggi scientifiche in diritto penale, in AA.VV, Scritti per Federico Stella, vol. I, Napoli, 2007, 899.

13In argomento, cfr. per tutti P. FERRUA, Epistemologia scientifica ed epistemo- logia giudiziaria: differenze, analogie, interazioni, in AA.VV., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L.DECATALDONEUBURGER, Padova, 2007, 13 ss.

stinzione tra la certezza dell’imputazione in astratto (causalità c.d. ge- nerale o sostanziale) e la certezza dell’imputazione in concreto (causa- lità c.d. individuale o processuale). Ed infatti, mentre la prima attiene al diritto penale sostanziale ed ha ad oggetto la spiegazione causale, la seconda riguarda il diritto processuale penale ed ha come oggetto la prova dell’esistenza storica del decorso causale ipotizzato: com’è stato di recente autorevolmente notato, «la legge causale non è propriamen- te la Hauptsache da provare. Da provare è […] il rapporto causale tra condotta ed evento, o meglio il nesso tra specifica, singola, concreta condotta e lo specifico, singolo concreto evento. La questione si sposta allora su come si arriva ad accertarlo in concreto, prospettando così il versante processuale del problema»12. Ed ancora, mentre la causalità c.d. generale, proprio perché ha ad oggetto la spiegazione causale, è empirico-fattuale e fondata sulle conoscenze nomologico-scientifiche, la causalità c.d. individuale finisce invece per essere anche e prevalen- temente normo-valutativa, in quanto, trattandosi di provare l’esistenza storica del decorso rispetto al quale è praticamente impossibile una ri- produzione del fatto storico, non può che sussistere sempre ed inevita- bilmente un margine di dubbio, colmabile attraverso una sorta di cri- terio “esterno” e di chiusura, e cioè mediante un ragionamento logico, argomentativamente fondato, idoneo a valutarne la ragionevolezza/ir- ragionevolezza. Con la conseguenza che, infine, mentre l’imputazione in astratto è regolata dal principio della personalità della responsabi- lità penale e non ammette alcun dubbio in ordine al risultato raggiun- to, alla base dell’imputazione in concreto v’è invece proprio il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, il quale, rispetto alla ricostruzione del fatto esclude per l’appunto soltanto l’esistenza di quel dubbio che va al di là di una certa soglia di ragionevolezza, ammettendo pertanto la permanenza di dubbi reputati tuttavia ragionevoli13.

D’altra parte, sempre in ordine all’azione, accanto a questo punto di forza la concezione in esame presenta un punto di estrema debo- lezza. Proprio anche in virtù di quanto abbiamo appena detto e preci- sato, non ci sembra infatti condivisibile l’idea che, una volta afferma- ta giustamente la necessità di una certezza in senso esplicativo prati-

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14V. ampiamente, F. STELLA, Giustizia e modernità, cit., 56 ss., 67 ss., 116 ss., 140 ss., 195 ss., 366 ss., 424 ss., 468 ss.

15In questa prospettiva, v. G.A. DEFRANCESCO, Modelli scientifici e “cultura” dei principi nel rapporto di causalità in diritto penale, in Studium Iuris, 2002, 455; ID., L’eterno ritorno. Note problematiche in tema di rapporto causale, alla luce di una re- cente indagine di Federico Stella su “Giustizia e modernità. La protezione dell’inno- cente e la tutela delle vittime”, in Critica dir., 2003, 353 s.; C. PIEMONTESE, Il principio dell’“oltre il ragionevole dubbio”, tra accertamento processuale e ricostruzione dei pre- supposti della responsabilità penale, in Dir. pen. proc., 2004, 757 ss.

camente assoluta del legame tra fattori e quindi dell’imputazione in astratto, si faccia poi in definitiva coincidere tale certezza con l’impie- go delle sole leggi universali, creando così una corrispondenza, o me- glio una identificazione tra certezza dell’imputazione e universalità della legge scientifica come criterio. Ed infatti, debole mi pare anzi- tutto l’argomento che si impiega, fondato sulla regola processuale dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ragion per cui se si ammettessero le leggi statistiche si determinerebbe sempre e comunque la violazione di siffatto principio14: nell’affermare l’esistenza di un legame tra fatto- ri sulla base di una legge fondata su un coefficiente diverso da cento (es. 80%), si finirebbe, infatti, per accollare al soggetto anche una re- sponsabilità per il quantum di coefficiente necessario ad arrivare a cento (20%). Detto diversamente, un ragionevole dubbio sussisterebbe tutte le volte in cui l’imputazione non è pari a cento, proprio perché in tali ipotesi residuerebbero sempre coefficienti in cui si concretizza un ragionevole dubbio. Tuttavia, come già accennato, ciò di cui si dibatte a questo livello non è la prova del fatto, la prova dell’esistenza del fat- tore, ma la determinazione di ciò che in astratto, collocandosi prima delle problematiche probatorie, deve sussistere ai fini dell’affermazio- ne dell’esistenza del legame sotto il profilo giuridico-sostanziale. In- somma, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio è un principio processuale che attiene per l’appunto alla prova dell’esistenza dei fat- ti, non avendo nulla a che fare con la problematica tutta sostanziale e potremmo dire interpretativa (di diritto) della individuazione delle leggi ammissibili ai fini della spiegazione del decorso causale15. Ed in- fatti, per renderci conto di questo è sufficiente ribadire che mentre può rimanere un dubbio in ordine all’esistenza storica di un fattore della catena causale, con la conseguenza che l’ordinamento escogita una sorta di principio di chiusura consistente per l’appunto nell’asso- luzione in caso di ragionevole dubbio, rispetto alla problematica giu- ridica relativa all’esistenza del legame tra fattori un dubbio non può

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esistere, violandosi altrimenti il principio di personalità della respon- sabilità penale.

Ma soprattutto l’idea che dalla certezza assoluta dell’imputazione dell’evento discenda necessariamente l’impiego soltanto delle leggi universali non può essere accolta perché, a ben vedere, è possibile uti- lizzare leggi statistiche senza con questo far venire meno quella cer- tezza assoluta in chiave esplicativa dell’imputazione dell’evento con- cernente il piano sostanziale e imposta dalla personalità della respon- sabilità penale: ed infatti, come ha messo in evidenza la sentenza Fran- zese, una legge meramente statistica può condurre ad affermare l’esi- stenza di un legame assolutamente certo tra fattori, là dove si è in gra- do di escludere nel caso concreto la presenza di eventuali decorsi cau- sali alternativi. Ma sul punto torneremo più approfonditamente in se- guito anche per compiere alcune precisazioni rispetto allo stesso cor- rettivo della esclusione dei decorsi alternativi elaborato dalla sentenza Franzese (v. infra, in questo capitolo, par. 3.1).

Per quanto riguarda l’omissione, i punti deboli che si devono met- tere in evidenza sono più numerosi e consistenti, non essendo condivi- sibile in radice l’estensione del ragionamento esplicativo proprio della causalità attiva alla causalità omissiva, ragionamento, per di più, come abbiamo visto, già di per sé viziato dalla ritenuta coincidenza tra risul- tato certo dell’imputazione e impiego di leggi scientifiche universali.

Più precisamente, in primo luogo, non persuade la distinzione tra con- dizioni dinamiche e condizioni statiche. Se infatti il criterio per com- piere questa distinzione attiene al fattore in sé e per sé considerato, è evidente che non esistono né fattori statici, né dinamici, in quanto i fattori di per sé non sono altro che elementi fattuali, mentre esprimo- no una valenza causale in virtù del legame che intercorre tra di loro e della interazione che si produce. Se invece il criterio distintivo riguar- da l’idoneità – per così dire – relazionale di un fattore a produrre qual- cosa, è evidente che sono dinamici quei fattori che sono legati ad altri da una legge scientifica, mentre sono statici tutti quei fattori di conte- sto fattuale, che – per così dire – non entrano direttamente a far parte della catena causale, ma che accompagnano l’esistenza di un fattore:

ma allora in questa prospettiva l’omissione, o meglio, l’inerzia non può essere considerata autonomamente un fattore, sia esso statico o dina- mico, costituendo per così dire lo stesso presupposto per l’esistenza di qualsiasi fattore, quale che sia, giungendosi così alla conclusione, che non può certo definirsi una novità, che naturalisticamente l’omissione altro non è che un nihil.

In secondo luogo, com’è stato efficacemente dimostrato da tempo,

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16In questa prospettiva, anche per le ulteriori considerazioni che seguono nel testo, v. per tutti C.E. PALIERO, La causalità dell’omissione, cit., 841 ss.

ammesso e non concesso che abbia davvero senso utilizzare la formula della condicio sine qua non rispetto al decorso causale reale (v. infra, cap. III, par. 2), se da un lato è vero che impiegando la condicio sia ri- spetto all’azione che in ordine all’omissione si adotta un giudizio ipote- tico, dall’altro lato, proprio sulla base di quanto abbiamo appena detto, è anche vero che i fattori che si prendono in considerazione hanno una natura diversa, la quale è destinata a incidere sulla stessa struttura del giudizio ipotetico16. Ed infatti, mentre l’azione è per l’appunto un fat- tore reale, che si estrinseca materialmente nel mondo fenomenologico, con la conseguenza che il legame condizionalistico, intercorrendo tra fattori reali, è anch’esso reale, fisico-materiale, al contrario la condotta dovuta e omessa è un fattore soltanto ipotetico, nella sostanza mera- mente immaginato, da ciò derivando che anche il legame condizionali- stico, intercorrendo tra un fattore reale e un fattore ipotetico, è a sua volta ipotetico. Con la conseguenza ultima che, là dove si adotta la for- mula della condicio sine qua non, mentre rispetto all’azione si ha una sola ipotesi, in quanto, essendo il legame reale, si ipotizza “soltanto”

l’assenza della condotta come fattore condizionante, per quanto riguar- da l’omissione si hanno invece due ipotesi, perché oltre a doversi ipo- tizzare come verificatosi il fattore condizionante della condotta dovuta, si deve ipotizzare anche il legame causale, il quale è offerto dalla effi- cacia di tale condotta a impedire l’evento o a contenere un certo rischio.

Ebbene, se tutto questo è vero, allora si deve concludere che causa- lità attività e causalità omissiva differiscono già sul piano strutturale, perché mentre la causalità attiva è tra fattori reali ed è reale, la causa- lità omissiva è tra fattori reali ed ipotetici ed è doppiamente ipotetica, dovendo l’ipotesi riguardare oltre all’esistenza del fattore anche il lega- me del fattore ipotetico con il decorso reale costituito dall’efficacia im- peditiva. Andando ancora più a fondo si può dire che mentre la causa- lità attiva si basa su una spiegazione ex post, la causalità omissiva si fonda invece su una prognosi ex ante.

E quanto affermato ha enormi conseguenze sul piano del criterio e su quello della certezza dell’imputazione astratta dell’evento. Ed infat- ti, per quanto attiene a questo secondo profilo, appare evidente che la causalità omissiva si caratterizza per una certezza avente – per così di- re – natura diversa, non potendo consistere nella certezza empirico- fattuale assoluta, nomologicamente fondata, propria della causalità at-

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17Si v. G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, 78 s.;

ID., voce Causalità (Rapporto di), in Dig. disc. pen., vol. II, Torino, 1988, 126 s.; G.

GRASSO, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, Milano, 1983, 385 ss. In giurisprudenza si v., più che le sentenze in tema di responsabilità medica, quelle in tema di responsabilità del datore di lavoro per offese ai lavorato-

tiva, ma avendo piuttosto una natura – per così dire – normo-valutati- va, basata cioè più su valutazioni e sulla coerenza argomentativa che giustifica tali valutazioni invece che sui risultati del sapere scientifico:

in sostanza, com’è possibile esigere una certezza empirico-fattuale in chiave esplicativa là dove di empirico e di fattuale non esiste pratica- mente nulla? Sul piano dei criteri, poi, è evidente che vengono in gio- co le leggi scientifiche, tuttavia non in una prospettiva esplicativa, ben- sì meramente prognostico-probabilistica (predittiva), dovendosi inol- tre precisare fin d’ora che l’impiego di tali leggi non è sufficiente per af- fermare l’esistenza della capacità impeditiva, essendo – per così dire – necessario calare tali leggi nel contesto peculiare in cui si sarebbe do- vuto agire al fine di verificare la reale efficacia impeditiva dell’azione doverosa.

In sostanza, e concludendo sulla variante di modello unitario for- giato sull’azione, il suo punto forte è offerto senza dubbio dal fatto che pone in evidenza come rispetto all’azione l’imputazione dell’evento debba basarsi su una spiegazione e quindi essere certa in termini as- soluti sotto un profilo empirico-fattuale nomologicamente conoscibi- le. Ciò tuttavia, come accennato e come vedremo, non significa che il criterio da impiegare per l’affermazione del nesso debba essere costi- tuito soltanto dalle leggi universali, ben potendo essere utilizzate an- che leggi statistiche, senza con ciò intaccare siffatta certezza. Punto decisamente debole è invece l’integrale estensione all’omissione del ra- gionamento esplicativo compiuto per l’azione, quando invece si tratta di una “realtà” prognostica e quindi ipotetica, senza dubbio differente dall’azione sul piano della natura e quindi conseguentemente della struttura, della certezza e del criterio.

2. Il modello unitario di causalità penale forgiato sull’omissione

Come abbiamo accennato, esiste un’altra variante di modello unita- rio, la quale però, invece di forgiare l’unico paradigma sulla causalità attiva, finisce per plasmarlo su quella omissiva17. Punto di partenza è

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ri mediante esposizione ad amianto o per danno da prodotto. In particolare, per il primo filone dell’esposizione all’amianto, v. infra in questo capitolo, par. 3.2. e cap.

III, parr. 2.3.2. e 2.3.2.1.; per il filone del danno da prodotto, cfr. per tutti C. PIER-

GALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-cri- minali, Milano, 2004, 190 ss.

18G. FIANDACA, voce Causalità (Rapporto di), cit., 127.

19G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., 396 s.

proprio l’idea che la causalità omissiva abbia una struttura (doppia- mente) ipotetica, per cui si immagina non soltanto il comportamento dovuto, ma anche la sua stessa efficacia impeditiva. Da ciò si traggono due conseguenze fondamentali sotto il profilo del criterio da impiega- re per stabilire l’esistenza del nesso e della certezza dell’imputazione astratta dell’evento. In ordine al criterio si mette in evidenzia che non possono che entrare in gioco leggi statistico-probabilistiche, nel senso che, mutato il paradigma di riferimento da esplicativo a predittivo, non si può che ragionare in termini di coefficienti percentualistici di- versi da cento ovvero mai coincidenti con cento: è proprio il muta- mento di paradigma che impedisce, perché impossibile, l’impiego di leggi universali. Da qui, poi, si ricava un minor rigore sotto il secondo profilo della certezza dell’imputazione: quanto al problema del grado di certezza raggiungibile nell’accertamento della causalità omissiva, trattandosi di un ragionamento ipotetico, esso non può avere lo stesso rigore esigibile per l’accertamento del nesso causale vero e proprio, con la conseguenza che «ci si accontenta di esigere che l’azione dove- rosa, supposta come realizzata, sarebbe valsa ad impedire l’evento con una probabilità vicina alla certezza»18.

E per quanto riguarda l’azione? Ebbene, con riferimento all’azione, il ragionamento che si compie è il seguente. Una volta appurato che in ordine all’omissione si viene a configurare un giudizio doppiamente ipotetico con conseguente mutamento di paradigma in senso progno- stico-congetturale, ci si chiede se tuttavia si tratti di un vero e proprio mutamento rispetto all’azione, o se, a ben vedere, anche il paradigma della stessa azione non si caratterizzi per una struttura induttiva. E la risposta finisce per essere in quest’ultimo senso: «una volta che si af- fermi la struttura probabilistica di ogni spiegazione causale e la rile- vanza ai fini della decisione anche di leggi statistiche, non si vede il motivo per il quale, nell’ambito dei reati omissivi impropri, debba es- sere richiesto un livello di certezza diverso da quel “grado elevato di credibilità razionale” necessario perché trovi conferma l’ipotesi causa- le nei reati commissivi»19. In sostanza, «se si accoglie la tesi che la stes-

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