Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
1
Cenni fisiopatologico‐clinici, sequele e complicanze del trauma cranico grave
Prof. Giancarlo La Maida*
Un traumatismo cranico tende a produrre effetti diversi (focali e/o diffusi), che collaborano nella creazione di un danno cerebrale con meccanismi vari, riconducibili essenzialmente a fenomeni di contatto (tra capo e superficie contundente) e a fenomeni inerziali di traslazione e/o rotazione da improvvisa accelerazione o decelerazione della massa cerebrale .
Il risultato finale è costituito dall’insorgenza di un quadro clinico con gravità variabile in relazione ad un progressivo interessamento delle diverse strutture nervose (corteccia‐
sottocorteccia‐diencefalo‐mesencefalo).
Dal p.d.v. anatomo‐patologico si distinguono un danno focale, che si manifesta sul piano clinico con un deficit focale di determinate funzioni cerebrali, ed un danno encefalico diffuso con alterazioni dello stato di coscienza .
Il tipo di lesione e la gravità lesionale dipendono dall’entità e dalla modalità di applicazione dell’energia che si distingue in una forma “statica” (con tempo di applicazione superiore ai 200 msec) ed in una “dinamica” (inferiore a 200 msec.) .
La maggior parte dei traumi cranici è la conseguenza di una forza dinamica che può essere applicata direttamente al capo (impatto) o può produrne un movimento improvviso (impulso).
Sotto l’aspetto biomeccanico le forze traumatiche agiscono sulla massa encefalica con meccanismi diversi quali la compressione, la tensione e lo slittamento che, variamente associati tra di loro, sono responsabili sul piano biologico di quella serie di eventi definita “concussione”
cerebrale. Con tale termine si intende un insieme di quadri clinici post‐traumatici caratterizzati da alterazioni dello stato di coscienza con severità diversa a seconda dell’interessamento rostro‐
caudale del danno cerebrale .
Le difficoltà che insorgono nello studio dei traumi cranici nascono dal fatto che tali eventi sono regolati da processi diversi, con numerose variabili determinate dal tipo di insulto, dalla sua intensità, dalle reazioni patologiche con la loro estensione e possibile progressione, dai meccanismi di recupero, dalle eventuali sequele e dal conseguente adattamento.
Nell’osservazione del danno encefalico post‐traumatico è necessario innanzitutto distinguere le lesioni cosiddette “primarie” dalle “secondarie” .
Per lesioni “primarie” si intendono quelle provocate dall’azione meccanica diretta esercitata dal trauma: lesioni delle parti molli, fratture, lesioni meningee, emorragie, lesioni contusive e/o lacerative cerebrali , ematomi intracerebrali ....
Le lesioni “secondarie” sono invece costituite da alterazioni patologiche non dipendenti direttamente dal trauma ma comunque correlate allo stesso mediante l’intervento di altri fattori:
insufficienza circolatoria, ipossia, ipercapnia, ipoglicemia , anemia ...
È importante ricordare il ruolo svolto da questi ultimi fattori dal momento che essi non solo possono aggravare i danni cerebrali primari, bensì sono anche in grado di provocare sofferenze encefaliche in modo relativamente indipendente.
* Neurologo, Primario G. Pini, Milano
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
2 È noto che la localizzazione della lesione primaria è in funzione della meccanica dell’evento traumatico: nell’impatto difatti si ha un brusco aumento della pressione endocranica associato a fenomeni di accelerazione‐decelerazione della massa encefalica e dei diversi componenti della stessa con creazione di forze di torsione , compressione e stiramento in direzioni diverse .
Il danno encefalico che ne deriva , come già detto, può avere carattere focale e/o diffuso . Il danno focale, solitamente visibile con gli accertamenti neuroradiologici (RMN, TAC), si associa abitualmente ad un quadro clinico di alterazione focale delle strutture interessate (es.
paresi) che può essere localizzata nella regione cerebrale sottostante la zona di impatto (lesione da “colpo”) o\e nella zona opposta (“da contraccolpo”) .
Il danno cerebrale diffuso è invece associato ad una estesa disfunzione di strutture neurologiche e non è abitualmente accompagnato da lesioni macroscopicamente visibili .
Tale danno è spesso la conseguenza di uno scuotimento della massa encefalica, causato dall’inerzia, in particolare da un’accelerazione rotazionale. Le sofferenze cerebrali diffuse sono sempre da sospettare in traumatizzati cranici in coma, in assenza di alterazioni macroscopiche rilevabili alla TAC, e possono essere dovute ad un danno assonale diffuso, ma anche ad ipossia cerebrale, ad edema diffuso, a sofferenza vascolare .
Da alcuni anni le osservazioni si sono soprattutto incentrate sul danno assonale, che sembra essere un fattore importante nella genesi degli esiti (specialmente psichici) dei traumi cranici.
Le lesioni sono caratterizzate sul piano istologico da un rigonfiamento dell’assone a cui fa seguito la sua interruzione (prima funzionale e quindi anatomica). La TAC encefalica spesso è normale, mentre la RMN può mostrare la presenza di piccole aree a segnale iperintenso in T2 , riferibili ad aree di edema che possono presentare nel proprio contesto anche emorragie puntiformi .
Tali lesioni appaiono distribuite nella sostanza bianca emisferica (specie nei lobi temporali e frontali, nel corpo calloso, tronco‐encefalo, cervelletto) .
In conclusione il danno assonale diffuso rappresenta un’entità anatomo‐clinica definita, ritenuta la conseguenza di traumi con rapida accelerazione‐decelerazione spesso in assenza di impatto (a causa dello scarso riscontro di fratture, contusioni, ematomi cerebrali), che comporta una immediata perdita della conoscenza seguita da un grave stato di coma .
Una seria difficoltà nella definizione e valutazione di un trauma cranico è data dalla mancanza di un criterio diagnostico comune atto a rendere omogenee le diverse osservazioni.
La valutazione dello stato di coscienza e la durata della sua alterazione sono comunemente ritenute il segno neurologico più importante nell’osservazione di un trauma cranico.
Tra le diverse scale di valutazione proposte, la più diffusa è certamente la Glasgow Coma Scale (Teasdale e Jennett, 1974), basata come è noto su tre tipi di presentazione del soggetto:
l’apertura degli occhi , la risposta verbale, la risposta motoria. Si tratta in sintesi di una scala a punteggio ove ogni possibile risposta (anche la mancanza ) ha un determinato valore. Il punteggio finale consente di collocare il singolo traumatizzato nella categoria dei traumi cranici lievi (GCS 13‐15), moderati (9‐12), gravi (<8). L’applicazione della G.C.S. nella definizione dei traumi cranici costituisce certamente un valido punto di partenza nel tentativo di un linguaggio comune, tuttavia non appare priva di elementi negativi. Difatti ben due delle tre categorie considerate appaiono di modesta utilità: l’apertura degli occhi, ad esempio, non solo può non essere ben valutabile (edema palpebrale) ma anche non correlabile con la quantità del danno cerebrale, mentre la risposta verbale ad esempio appare difficilmente valutabile nel caso di tracheostomia .
Con la risoluzione della fase acuta si rendono maggiormente evidenti i cosiddetti sintomi a focolaio conseguenti a lesioni emisferiche, del tronco cerebrale, cerebellari, plurifocali .
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
3 Come conseguenza di lesioni anatomiche possono infine residuare al trauma deficit di natura centrale (emiplegia , disturbi del linguaggio, disturbi dell’equilibrio ...) e /o lesioni di nervi cranici (anosmia, disturbi della motilità oculare ... ) .
Accanto alle sequele strettamente neurologiche vanno poi considerate quelle psico‐
patologiche costituite da deficit di funzioni cognitive, intellettive, disturbi della personalità ...
Questi ultimi aspetti saranno oggetto di attenzione da parte dei prossimi relatori.
Io accennerò brevemente solo ad alcuni quadri particolari, tralasciando le sequele deficitarie del danno focale, ormai ben conosciute.
Stato vegetativo persistente
Pazienti con trauma cranio‐encefalico possono presentare un prolungamento del coma post‐
traumatico con evoluzione del quadro da una sindrome mesencefalica verso uno stato vegetativo persistente .
Nel corso della prima o delle prime due settimane dopo l’insulto i pt. sono in uno stato di coma profondo; successivamente iniziano ad aprire gli occhi, inizialmente in risposta a stimoli dolorosi e poi spontaneamente; quindi gli occhi tendono a muoversi spostandosi da un lato all’altro dando l’impressione (errata) di seguire qualcosa . In realtà il pt. non mostra alcun segno di consapevolezza dell’ambiente e\o dei propri bisogni .
La reattività è limitata a movimenti posturali primitivi ed a movimenti riflessi . L’assenza di risposte , anche emozionali , caratterizza lo stato del paziente .
Automatismi “ primitivi” orali (stereotipie di masticazione, deglutizione, digrignamento dei denti) accompagnano il quadro clinico .
Segni di disfunzione vegetativa sono costantemente presenti : tachicardia, tachipnea, iperidrosi, seborrea .
Inizia successivamente una tendenza al recupero delle funzioni corticali superiori (fase di remissione) con riduzione degli automatismi, presenza di reazioni emozionali inizialmente in risposta a stimoli dolorosi e più avanti con riconoscimenti di volti familiari ...
Segue la fase della sindrome di Klüver‐Bücy (suddivisa classicamente in tre stadi) e poi, attraverso uno stadio che ricorda la sindrome di Korsakoff (labilità emozionale, deficit della memoria a breve termine, confabulazioni), si giunge alla fase ultima di recupero (sindrome psico‐
organica) che evolve nella stabilizzazione del danno (defect stage ).
Lo stadio di difetto si può presentare con quadri clinici diversi, variamente mescolati:
a) prevalenza di disturbi extrapiramidali associati a deficit della motilità oculare.
b) prevalenza di una sindrome pseudobulbare con spasticità (disartria, disfonia, segni piramidali) c) prevalenza di deterioramento intellettivo fino ad un quadro di demenza organica.
d) prevalenza di disturbi cerebellari con atassia, turbe dell’equilibrio . . .
Infine alle sequele sopra descritte possono aggiungersi i danni riferibili alle lesioni focali prodotte dal trauma (es. emiparesi . . . )
Ai fini prognostici si può considerare che in media lo stato vegetativo persistente post‐
traumatico (Rosenberg 1999), riesaminato ad un anno di distanza dall’evento traumatico, può aver subito una delle seguenti evoluzioni: exitus nel 33% dei casi; persistenza dello stato vegetativo nel 15%; quadro di grande invalidità nel 28%; moderata invalidità nel 17%; buon recupero nel 7%.
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
4 È importante sottolineare che lo stato vegetativo persistente post‐traumatico può in taluni casi condurre ad una remissione di assenza di sintomi difettuali o, in percentuale maggiore, con presenza di esiti tali da consentire un reinserimento nell’ambito della propria vita relazionale.
Epilessia post‐traumatica
Nei trattati è comunemente ricordato che l’epilessia post‐traumatica (E.P.T.) è conosciuta sin dai tempi più lontani, figurando difatti già all’epoca di Ippocrate (V‐IV.sec av.C.), il quale osservava come una ferita in regione temporale sn. potesse causare convulsioni all’emicorpo di dx e viceversa. È necessario comunque premettere che le espressioni di “crisi epilettica post‐
traumatica” ed “epilessia post‐ traumatica” non sono sinonimi ma rappresentano concetti diversi dal momento che un soggetto può avere una o più crisi epilettiche senza mai sviluppare la malattia.
Difatti con l’espressione “epilessia post‐traumatica” s’intende una malattia cronica caratterizzata dal ripetersi delle crisi.
Partendo da tale premessa notiamo che le crisi epilettiche dopo trauma cranico si possono dividere in due gruppi:
1) crisi “precoci”, che si riscontrano a breve distanza dal trauma. Autori diversi hanno stabilito intervalli variabili da un giorno (crisi “immediate”) ad un mese (“precoci”). Discretamente condivisa l’opinione di Jennet (1975) che stabilisce in una settimana il limite temporale .
L’incidenza varia dal 2 al 5% dei traumi cranici (non selezionati ). Tali crisi, in prevalenza focali, sono più frequenti in età infantile e sono espressione il più delle volte di lesioni parenchimali (soprattutto nell’adulto).
Tali crisi non costituiscono l’epilessia post‐traumatica e secondo molti autori rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo dell’epilessia.
2) crisi “tardive”: compaiono a distanza variabile dal trauma (settimane o mesi o anni) e costituiscono la vera epilessia post‐traumatica (E.P.T.).
Dalle casistiche dei numerosi studiosi emerge che in media circa i due terzi delle crisi hanno inizio entro i primi due anni dal trauma, anche se sono state descritte anche a distanza di oltre dieci anni.
Il tipo di crisi è classicamente focale, con disturbi a semeiologia semplice o più spesso complessa, talvolta con successiva generalizzazione .
La sede lesionale (focus irritativio) può essere corrispondente al trauma o nella zona del contraccolpo.
Nei diversi studi emerge un’ampia variazione dell’incidenza della E.P.T. (dopo grave trauma cranico), che va dal 7% al 57%.
Tali notevoli differenze sono in gran parte dovute ai diversi metodi di valutazione dei pazienti (clinici e\o neuro‐radiologici) .
Per Jennet e coll. (1975) l’incidenza di E.P.T. nei gravi traumi cranici è del 5% nei traumi chiusi e del 57% nei traumi fratturativi, con lesione parenchimale. È comunque accertato che il rischio di sviluppare E.P.T. è correlato alla severità del trauma.
Annegers e coll. (1980) hanno, nella loro casistica, riportato un’incidenza di E.P.T. (al 5° anno dopo il trauma ) del 18,6% nei traumi gravi, del 2,3% dei traumi moderati e del 0,7% nei traumi lievi.
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
5 Se calcoliamo che si ritiene che l’incidenza dell’epilessia in media rappresenti lo 0,3‐0,5%
della popolazione, vediamo che nei traumi cranici lievi l’epilessia tende a presentarsi occasionalmente (sec. Darwinsky 1996, è pari a 0,9%).
Il riconoscimento dei fattori di rischio per lo sviluppo di un’epilessia p.t. è importante in funzione della valutazione (medico‐ legale) di un possibile danno futuro. Dai vari studi in merito emerge una chiara correlazione con la gravità del trauma: l’estensione della perdita tissutale, la natura penetrante del trauma, la durata delle p.d.c. superiore a 24 ore, la presenza di segni focali al I° esame, il riscontro di emorragia intracerebrale, lesioni combinate cortico‐sottocorticali, il riscontro di lesioni fronto‐temporali. Oltre a ciò la presenza di crisi epilettiche “precoci” come, pure a distanza di un anno, il rilievo alla RMN di depositi di emosiderina costituiscono fattori di rischio. Alcuni autori (ricordo Marasco e coll. 1996) hanno proposto delle formule per una valutazione matematica dei fattori prognostici sopraelencati .
Trauma cranico e morbo di Alzheimer
La malattia di Alzheimer si può definire una demenza degenerativa della corteccia cerebrale.
La sua incidenza aumenta marcatamente al di là dei 65 anni. Si distinguono forme diverse della malattia: una forma sporadica ed una familiare, a sua volta quest’ultima suddivisa in una forma ad esordio precoce ed una tardiva. Tale distinzione è importante, dal momento che, nella forma familiare, sono stati identificati alcuni fattori genetici che hanno fornito agli studiosi la possibilità di collocare in una luce nuova i cosiddetti fattori di rischio ambientale .
Precisamente nella forma ad inizio precoce il gene della proteina precursore della beta‐
amiloide (sul cromosoma 21) ed i geni delle presenilina 1 (sul cromosoma 14) e 2 (sul cromosoma 1); mentre nella forma ad inizio tardivo è stato identificato il gene della APO ‐lipoproteina E (cromosoma 19).
Mutazioni geniche sarebbero pertanto responsabili delle alterazioni istopatologiche riscontrate nelle forme ad esordio precoce mentre per quelle tardive oggi si può solo riconoscere al gene della APO‐lipoproteina e l’importanza di fattore predisponente alla malattia.
Nelle osservazioni sull’argomento gli studiosi riconoscono diversi fattori di rischio ambientale:
tra questi si colloca, in un piano non secondario secondo alcuni, il trauma cranico.
Da Hejman e coll. (1984) fino a O’Meara e coll. (1997), passando attraverso numerose altre osservazioni epidemiologiche, il trauma cranico è ritenuto un importante fattore di rischio per lo sviluppo di una m.d.A. .
Accanto a ciò studi istochimici, incentrati sul riscontro di depositi di proteina beta‐amiloide in soggetti deceduti per trauma cranico, tendono a stabilire un legame ulteriore tra m.d.A. e trauma cranico.
Segnalo tuttavia che un importante studio multicentrico italiano, (Amaducci e coll., 1986) non riconosce al trauma il ruolo di fattore di rischio, così come recentemente uno studio epidemiologico olandese (Mehta e coll., 1999) si colloca su una posizione analoga.
Trauma cranico e morbo di Parkinson
In letteratura sono riportate numerose segnalazioni di sindromi parkinsoniane post‐
traumatiche insorte sia dopo traumi cranici ripetuti che dopo un singolo evento traumatico . È necessario premettere che la m. di Parkinson è oggi ritenuta un disordine multifattoriale che nasce da una complessa interazione tra età, fattori ambientali e predisposizione genetica (Calme 1989, Johnson e coll. 1990, Stern 1991, Semciuk e coll. 1993, Veldman e coll. 1998) .
Nonostante il fatto che gli studi epidemiologici non diano risultati del tutto convincenti, oggi si ritiene possibile che il trauma cranico possa essere uno dei diversi fattori di rischio capace, in un
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
6 soggetto predisposto, di far precipitare la catena di eventi patologici che culminano poi nella ma.
di Parkinson.
Si pensa che il trauma cranico, alterando la barriera emetoencefalica, possa esporre le cellule nervose di un soggetto predisposto all’azione lesiva di sostanze (tossine?, antigeni?) in grado di scatenare o accelerare il processo patologico che conduce al quadro clinico della m. di Parkinson.
Trauma cranico e neoplasie cerebrali
Numerose osservazioni relative a singoli casi (Shear 1940, Maiuri e coll. 1978, Witmann 1981, Schmidt 1983, Trost e coll. 1984, Schiffer 1985, Perez Diaz e coll. 1985, Ceino e coll. 1991, Marmo e coll. 1995...), come pure studi epidemiologici diversi (Preston Martin e Coll. 1982‐83, Hochberg e coll. 1984, Bunin e coll. 1994, Gurney e coll. 1996, Preston Martin e coll. 1998 ...) tendono a dimostrare un rapporto fra trauma cranico e sviluppo di un tumore cerebrale.
È stato ipotizzato che l’insulto cerebrale aumenti le probabilità di sviluppo di un tumore come risultato della proliferazione cellulare che si presenta nel corso del processo riparativo, dopo il danno traumatico.
Per quanto concerne il tipo di neoplasia riscontrato dopo un trauma, ricordo che Hochberg e coll. (1984) segnalano uno stretto legame tra trauma cranico grave e glioblastoma, Bunin e coll.
(1994) fra traumi nei bambini e insorgenza di tumori astro‐gliali. Preston Martin e coll. (1998), confrontando 1178 gliomi e 330 meningiomi con 2236 soggetti di controllo trovano una netta significatività per l’insorgenza di meningiomi nei soggetti maschi con severo trauma cranico subito molti anni prima (15‐24).
Accanto a tali studi tuttavia è necessario ricordare altre osservazioni che non hanno riscontrato relazioni tra traumi e sviluppo di tumori. (Annegers e coll. 1979, Carpenter e coll. 1987, Schlehofer e coll. 1992, Mc Credle e coll. 1994, Burch e coll. 1987).
Si può comunque concludere osservando che tutti gli studiosi rimandano la conclusione a studi “futuri” e che comunque già nel 1974 Dunsmore e Roberts pubblicavano un lavoro dal titolo
“Trauma as a Causa of brain tumor: a medico‐legal dilemma”.
Trauma cranico e sclerosi laterale amiotrofica
Dopo la descrizione di Charcot (1880), numerose segnalazioni hanno ipotizzato un ruolo esercitato dal trauma (non solo cranico) nello sviluppo della S.L.A.
Anche autori italiani (Rizzati 1940, Volpe 1951, Magrì 1954) hanno sostenuto l’esistenza di tale relazione .
Più recentemente Gallagher e Sanders (1987), in uno studio effettuato su 181 pazienti affetti da S.L.A., riscontrano un’elevata incidenza (76% di soggetti con inizio precoce della malattia prima dei 45 anni, mentre abitualmente ha inizio dopo i 50) che avevano avuto qualche anno prima severi traumi cranici o ad una spalla o all’arto superiore.
Tali autori ritengono che un trauma severo debba essere ritenuto un fattore di rischio importante per lo sviluppo di una S.L.A.
Nel 1990 uno studio epidemiologico condotto su 821 soggetti con trauma cranico severo (Williams e Cole) giungeva alla conclusione che non vi è alcun rapporto tra T.C. e S.L.A. Il problema è ancora aperto.
Trauma cranico e sclerosi multipla
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
7 Un rapporto di causalità è stato sostenuto da Mc Alpine (1952 , 1972 ), Miller (1964), Millar (1971), Walton (1977) mentre è stato escluso da Keschner (1950), Sibley e coll. (1991, 1993).
Porer (1987) ha sostenuto che poiché nella patogenesi della S.M. un ruolo importante è svolto dall’aumento della permeabilità della barriera emato‐encefalica, l’evento traumatico, provocando un’alterazione di tale barriera, può essere responsabile di una esacerbazione della malattia o della manifestazione sul piano clinico di forme infracliniche.
Lo studio epidemiologico di Siva e coll. (1993) ha escluso un rapporto fra trauma ed S.M. ma non sembra aver chiuso la discussione.
BIBLIOGRAFIA
AMADUCCI L., FRATTIGLIONI L , ROCCA W. e coll.
“Risk factors for clinically diagnosed Alzheimer’s disease” . Neurology 36: 922‐31, 1986
AMBROSIO A., COLANGELO F. e coll.
“Traumi cranici e tumori cerebrali ”.
Rass. Med. For. 115: 180, 1977
ANGELERI F., MAJKOWSKI J ., CACCHIO’ G . e coll.
“Post‐traumatic epilepsy. Risk factors: one‐year prospective study after head injury ”.
Epilepsia , 40: 1222‐30, 1999
ANNEGERS J., LAWS E. e coll.
“Head trauma and subsequent brain tumors” . Neurosurgery , 4: 203‐206, 1979
ANNEGERS J ., CRABOW J ., GROOVER B ., LAWS E ., ELVEBACK L ., KURLAND L . “Seizures after a head trauma: a population study” .
Neurology, 30: 683‐9, 1980
ANNEGERS J ., HAUSER W . e coll.
“A population‐based study of seizures after traumatic brain injures”.
N. England J. Med., 338: 20‐4, 1998
ASIKAINEN I ., KASTE M ., SARNA S .
“Early and late post‐traumatic sejzures in traumatic brain injures”.
Epilepsia , 40 : 584‐89, 1999
BORROMEI A ., CARAMELLI R ., CIPRIANI G ., GIANCOLA L ., GUERRA L ., LOZITO A .
“Neuro‐Traumatologia ed epilessia post‐traumatica”
Minerva Medica: Vol. 78, 1687‐1705 , 1987
BUNIN G., BUCKLEY J. e coll.
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
8
“Risk factors for astrocytic glioma and primitive neuroectodermal tumor of the brain”.
Cancer Epidem. Biomarkers Prev. 3 : 197‐204 , 1994
BURCH J. e coll.
“An exploratory case‐control study of brain tumors” . J. Natl. Cancer Inst.
78 : 601‐9 , 1987
CARPENER A. e coll.
“Brain cancer and non occupational risk factors” . Am. J. Public Health 77: 1180‐2 , 1987
CEINO A., MARCO C.
“Traumi e tumori . Problematiche medico‐legali” . Minerva Medico‐legale 3: 103, 1991
DE MICHELE G., FILLA A. e coll.
“Enviromental and genetic risk factors in Parkinson’s disease” . Movement Disorders 11: 17‐23, 1996
DE SANTIS A ., SCANZERLA E ., SPAGNOLI D., BELLO L ., TIBERIO F.:
“Risk factors for post‐traumatic epilepsy” . Acta Neurochir. , 55: 64‐67, 1992
DEVINSKY O.
“ Epilepsy after minor head trauma ” . J. of Epilepsy, 9: 94‐97, 1996
DUNSMORE R., ROBERTS M.
“Trauma as cause of brain tumor : a medico‐legal dilemma” . Conn. Med. , 38: 521‐523, 1974
ENNET W ., VAN DE SANDE H . :
“EEG prediction of post‐raumatic epilepsy” . Epilepsia , 16: 251, 1975
FACTOR S., WEINER W.
“Prior history of head trauma in Parkinson’s disease” . Movement Disorders 6: 225‐9, 1991
GALLAGHER J., SANDERS J.
“Trauma and amyotrophic lateral sclerosis : a report of 78 patients” . Acta Neurol. Scand. 75: 145‐50, 1987
GRAVES A., WHITE E. e coll.
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
9
“The association between head trauma and Alzheimer’s disease” . Am. J . Epidemiol. 33: 491‐501, 1990
GURNEY J., PRESTON‐MARTIN S. e coll.
“Head injury as risk factor for brain tumors in children”.
Epidemiology , 7: 485‐489, 1996
HOCHBERG F., TONIOLO P., COLE P.
“Head trauma and sejzures as risk factors of glioblastoma”.
Neurology , 34: 1511‐1514, 1984
HUBBLE J., CAO T. e coll.
“Risk factors for Parkinson’s disease” . Neurology 43: 1693‐7, 1993
LEES A.
“Trauma and Parkinson disease”.
Rev. Neurol. 153 : 141‐146 , 1997
MAGRI’ R.
“La S.L.A post‐traumatica”.
Arch . Psicol . Neurol . Psich. 15: 438‐54, 1954
MARASCO M ., RINALDI R ., CIPOLLONI L ., MANCUSO G ., SPALLETTA M.
“Aspetti neurologici e medico‐ legali dell’epilessia post‐traumatica: revisione critica e casistica del ventennio 1974‐1993” .
Neurologia, Psichiatria, Scienze umane: Vol. 16, 485‐510, 1996
MARMO C., SABBI T.
“Un caso di glioma post‐traumatico” . Minerva Medico‐legale 121: 133, 1995
MAYEUX R., OTTMAN R. e coll.
“Synergistic effects of traumatic head injury and apo‐lipoprotein‐epsilon 4 in patients with Alzheimer’s disease” .
Neurology 45: 555‐7, 1995
MC ALPINE D., COMPSTON N.
“Some aspects of the natural history of disseminated sclerosis” . Q. J. Med. 21: 135‐167, 1952
MC ALPINE D. e coll.
“Multiple sclerosis”
Williams‐Wilkins, Baltimore, 1992
MC CANN S., LECOUTEUR D. e coll.
“The epidemiology of Parkinson’s direase in an Australian population” .
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
10 Neuroepidemiology 17: 310‐7, 1998
MEHTA K., OTT A. e coll.
“Head trauma and risk of dementia and Alzheimer’s disease” . Neurology 53: 1959‐62, 1999
MILLAR J.
“Multiple sclerosis” .
Thomas, Springfield, 1971
NEMETZ P., LEIBSONC C. e coll.
“Traumatic brain injury and time to onset of Alzheimer’s disease” . Am. J. Epidemiol. 149: 32‐40, 1999
O’ MEARA E., KUKULL W. e coll.
“Head injury and risk of Alzheimer’s disease by Apolipoprotein E genotype” . Am . J . Epidemiol. 146: 373‐84, 1997
PAGNI C.
“Post‐traumatic epilepsy . Incidence and prophylaxis” . Acta Neuroch. (suppl .), 50: 38‐47, 1990
PEREZ‐DIAZ C e coll.
“Oligodendrogliomas arising in the scar of a brain contusion”.
Surg. Neurol. 24: 581‐6, 1985
POHLMAN‐EDEN B., BRUCKMEIR J.:
“Predictors and dynamics of post‐traumatic epilepsy” . Acta Neurol. Scand., 95: 257‐262, 1997
POSER C. M.
“Trauma and multiple sclerosis” . J. of Neurol. 234 : 155‐159, 1987
PRESTON MARTIN S. e coll.
“An international case‐control study of adult glioma and meningioma: the role of thead trauma” .
Intern. J. of Epidem. 27: 579‐86, 1998
PRESTON‐MARTIN S., YUO M. e coll.
“Risk factors for meningiomas in men”.
J. Natl. Cancer Inst. , 70 : 863‐866, 1983
PRESTON‐MARTIN S., POGODA J. e coll.
“An international case‐control study of adult glioma and meningioma: the role of head trauma” .
Intern. J. of Epidem. , 27: 579‐586, 1998
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
11
RIZZATTI E.:
“Considerazioni critiche sui rapporti fra trauma e S.L.A” . Arch. Antrop Crim . 60: 1‐23, 1940
ROSENBERG R.
“Atlas of clinical Neurology” . Philadelphia, 1998
SCHIFFER J., AVIDAN D. e coll.
“Post‐traumatic meningioma” . Neurosurgery 14: 84‐87, 1985
SCHLEHOFER B., BLENTER M. e coll. :
“Medical Risk factor and the development of brain tumors” . Cancer, 69: 2541‐7, 1992
SCHMITT H.
“Trauma and tumor” .
Fortschr. Neurol. Psych. 51: 227‐231, 1983
SCHOFIELD P., TANG M. e coll.
“Alzheimer’s disease after remote head injury” . J . Neurol . Neuros. Psych. 62: 119‐24 , 1997
SEIDLER A., HELLENBRAND W. e coll.
“Possible enviromental, occupational and other etiologic factors for Parkinson’s disease” . Neurology 46: 1275‐84, 1996
SEMCHUCK K., LOVE E.
“Effects of agricultural work and other proxy‐derived case‐control data on Parkinson’s disease risk estimates ” .
Am. J. Epidem. 141: 747‐54, 1995
SIBLEY W.
“Phisical trauma and multiple sclerosis” . Neurology 43: 1871‐1874, 1993
SIBLEY W., BAMFORD C.
“A prospective study of phisical trauma and multiple sclerosis” . J. Neurol. Neurosurg. Psych. 54: 584‐9, 1991
SIVA A., RADHAKRISHNAN K. e coll.
“Trauma and multiple sclerosis” . Neurology, 43: 1878‐1882, 1993
Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
12 STERN M.
“Head trauma as a risk factor for Parkinson’s disease” . Movement Disorders 6: 95‐97, 1991
STERN M., DULANEY E. e coll.
“The epidemiology of Parkinson’s disease”.
Arch. of Neurology 48: 903‐7, 1991
TROST D., TULLEKEN C.
“Malignant glioma after bombshell injury” .
Neuropathol. Appl. Neurobiol. 10: 235‐239, 1984
VAN DUIJN C., CLAYTON D. e coll.
“Interaction between genetic and enviromental risk factors for Alzheimer’s disease” . Genetic Epidem. 11: 539‐51, 1994
VELDMAN B.,WIJN A. e coll.
“Genetic environmental risk , factors in Parkinson’s disease” . Clin. Neurol. Neurosurg. 100: 15‐26, 1998
VOLPE A.
“La SLA post‐traumatica” . Cervello 27: 170‐91, 1951
WILLIAMS D., ANNEGERS T. e coll.
“Brain injury and its Neurological Sequelae” . Neurology 40 (suppl. 1) 419, 1990
WILLIAMS D., ANNEGERS T. e coll.
“Brain injury and neurologic sequelae” . Neurology 41: 1554‐7, 1991
WITZMAN A., JELLINGER K. e coll.
“Glioblastoma multiforme developing after a gunshot injury of the brain” . Neurochirurgia 24: 202‐206, 1983
ZAMPIERI B., MENEGHINI F., GRIGOLETTO F.
“Risk factors for cerebral glioma in adults” . J. Neuro‐oncol., 19: 61‐67, 1994
ZULCH K. J.
Tumori cerebrali Piccin ed. 1974