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L’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis c.p.c. - Judicium

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MICHELE FORNACIARI

L’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis c.p.c.

(scritto già pubblicato in Riv. trim. dir. dir. proc. 2013, 645 ss.)

SOMMARIO: 1. Introduzione: la questione del «filtro» al ricorso per cassazione. – 2. Il problema di fondo posto dall’art.

360-bis: la declaratoria di inammissibilità sulla base di valutazioni di merito. Inquadramento di quelle in que- stione, per entrambe le fattispecie contemplate dalla norma, quali valutazioni di (non) manifesta infondatezza.

– 3. Segue: possibilità che una valutazione di (non) manifesta infondatezza sfoci in una declaratoria di inam- missibilità. Non ricorrenza di tale ipotesi nella fattispecie in esame. Conclusione: si tratta non di inammissibili- tà ma esclusivamente di (non) manifesta infondatezza. – 4. La lettura secondo la quale la valutazione ex art.

360-bis, comma 1°, dovrebbe avere riguardo al momento della formulazione del ricorso e non a quello della decisione. Confutazione. – 5. Inefficacia, ed anzi nocività, del meccanismo introdotto in relazione all’obiettivo di semplificare ed accelerare il giudizio di cassazione. – 6. Riferibilità della pronuncia ex art. 360-bis anche ai singoli motivi e non necessariamente all’intero ricorso. – 7. Portata normativa dell’art. 360-bis: esso non incide in alcun modo, né riduttivo, né ampliativo, sui motivi di ricorso per cassazione, e segnatamente su quello ex art. 360, comma 1°, n. 4. – 8. Segue: eventuale possibile riflesso sulle sorti del ricorso incidentale tardivo. – 9.

Significato prevalentemente ideale della norma, nel senso di un richiamo al rigore nella formulazione dei ricor- si. – 10. Le singole questioni interpretative poste dall’art. 360-bis: la fattispecie n. 1. – 11. Segue: la fattispecie n. 2.

1. – Nel panorama della giustizia civile, nel suo insieme sconfortante, il giudizio di cassa- zione rappresenta, come si sa, una nota particolarmente dolente. Oltre al problema generale dei tempi, per la Corte si aggiunge infatti anche quello, specifico, della sostanziale impossibilità di esercitare in modo realmente significativo la propria funzione principe, vale a dire quella di nomofi- lachia. Per questo da tempo si discute circa l’introduzione di un qualche tipo di filtro, tale da ridurre il carico di lavoro della Cassazione e da consentirle dunque di recuperare pienamente il ruolo asse- gnatole.

Per un breve periodo, a tale scopo – si trattasse poi di una delle ragioni d’essere della previ- sione, di un suo effetto collaterale, più o meno consapevolmente messo in conto, oppure di una de- riva inaspettata – è servito il quesito di diritto, effimero istituto introdotto (art. 366-bis e relativa modifica dell’art. 366, comma 1°, n. 4) dalla riforma del 2006 e cancellato, dopo soli tre anni di non glorioso servizio, da quella del 2009.

Al medesimo scopo – e questa volta dichiaratamente – quest’ultima ha peraltro coniato una nuova norma, l’art. 360-bis, con la quale, mutando strategia (laddove con il quesito di diritto era in questione la formulazione del ricorso, in questo caso si tratta della sua meritevolezza di esame), so- no state introdotte due nuove ipotesi di inammissibilità. A mente della nuova disposizione, il ricorso deve infatti essere dichiarato inammissibile: 1) quando, essendo il provvedimento impugnato in li- nea con la giurisprudenza della Cassazione, i motivi di censura addotti non offrono «elementi per confermare o mutare» tale giurisprudenza; 2) quando risulta «manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo».

Questa novità rappresenta peraltro solo una parte dell’intervento riformatore sul punto. Ad essa il legislatore ne ha infatti affiancato un’altra, di carattere ordinamentale e procedimentale: tra- mite la modifica degli artt. 375 e 376 e l’introduzione dell’art. 67 disp. att., la declaratoria di inam- missibilità in genere (vuoi cioè per i motivi appena riferiti, vuoi per qualunque altro), così come quella di manifesta fondatezza o infondatezza, sono state attribuite ad una nuova sezione (la c.d. se- zione filtro), appositamente creata. A séguito della novella, il meccanismo è cioè il seguente: salvo che il ricorso spetti alle sezioni unite, esso viene senz’altro assegnato alla nuova sezione, dopodi- ché, se questa riscontra la sussistenza di un motivo di inammissibilità, oppure lo ritiene manifesta-

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mente fondato o infondato, emette la relativa pronuncia in camera di consiglio; in caso contrario, il fascicolo ritorna al primo presidente e viene assegnato ad un’ordinaria sezione semplice.

Fermo restando che anche a questo meccanismo occorrerà di far riferimento, ciò che qui in- teressa è in particolare la previsione contenuta nell’art. 360-bis.

Tale previsione, involuta ed ambigua, rappresenta il risultato di un iter normativo assai tra- vagliato. Nella sua versione originaria (quella approvata dalla Camera dei Deputati il 2.10.08), essa era infatti formulata in modo totalmente differente: per un verso prevedeva, in positivo, le ipotesi nelle quali il ricorso sarebbe stato ammissibile (in negativo era formulata esclusivamente la previ- sione del secondo comma, relativa al ricorso per vizio di motivazione); per altro verso contemplava un maggior numero di ipotesi; per altro verso ancora conteneva direttamente al suo interno la dispo- sizione in merito al collegio – dalla composizione differente rispetto a quella della speciale sezione introdotta poi, nella versione definitiva, dai citati artt. 376 e 67 disp. att. – incaricato del vaglio pre- liminare dei ricorsi. Questo il testo di tale originaria versione:

«Il ricorso è dichiarato ammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte; 2) quando il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per con- fermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte; 3) quando appare fondata la censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo; 4) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art.

363.

Non è dichiarato ammissibile il ricorso presentato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, avverso la sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado.

Sull’ammissibilità del ricorso la Corte decide in camera di consiglio con ordinanza non im- pugnabile resa da un collegio di tre magistrati».

In questa formulazione, la norma era in effetti assai chiara. La sensibile restrizione dell’accesso alla Cassazione, che essa produceva, suscitava però non pochi dubbi di costituzionalità, a fronte di un art. 111, comma 7°, cost., il quale garantisce tale accesso in modo generalizzato. Pa- rimenti, ingenerava poi perplessità il fatto che la pronuncia fosse affidata, senza possibilità di rie- same, ad un collegio di tre soli magistrati.

Così, mutato segno, ridotte le ipotesi prese in considerazione1 e accantonata la soluzione del collegio ridotto2, quello che rimane è una disposizione, di difficile e problematica lettura, la quale contempla non più le condizioni generali di ammissibilità del ricorso dal punto di vista dei motivi spendibili, vale a dire l’indicazione delle uniche censure sollevabili avverso il provvedimento im- pugnato, ma si limita ad aggiungere, alle altre già previste (soccombenza, rispetto del termine, ecc.), altre due fattispecie di inammissibilità; mentre, per altro verso, viene introdotto un nuovo iter pro- cedimentale per la loro declaratoria – iter peraltro comune, come detto, a tutte le ipotesi di inam- missibilità ed alla manifesta fondatezza/infondatezza – bensì semplificato, ma senza riduzione del numero dei magistrati componenti il collegio34.

1 L’attuale fattispecie n. 1 rappresenta in qualche modo una maldestra sintesi parziale, in negativo, delle precedenti nn.

1 e 2, mentre la n. 2 riprende (parimenti in negativo e non meno maldestramente) la precedente n. 3.

2 Per la dettagliata ricostruzione dell’iter parlamentare v. DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, La riforma del 2009, curato da Consolo assieme a de Cristofaro nonché a Zuffi, Milano 2009, p. 236 ss.; RAITI, Note esegetiche a prima lettura sul «filtro» in Cassazione secondo la legge di riforma al codice di rito civile n. 69 del 18 giugno 2009, in www.judicium.it, § 1; REALI, in La riforma del giudizio di cassazione. Commentario al D.

Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, capo I e alla L. 18 giugno 2009, n. 69, capo IV, a cura di Cipriani, Padova 2009, p.126 ss.

3 In assenza di indicazioni in merito al numero dei componenti dell’apposita sezione, non vi sono evidentemente appigli per sostenere che essa presenterebbe una compagine più ristretta rispetto a quella ordinaria (in tal senso v. RAITI, Note esegetiche, cit., § 6 in fine).

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Non per questo l’idea del filtro è venuta meno tout court. Anche in relazione alla nuova ver- sione, ed a maggior ragione a causa della sua sibillina formulazione, proprio questo è risultato infat- ti, fin da sùbito, al centro del dibattito: se ed in quale misura l’art. 360-bis abbia introdotto uno sbar- ramento per l’accesso al giudizio di legittimità. In particolare, due sono i punti di vista dai quali, a questo proposito, esso può venire in considerazione: a) per un verso in quanto fonte di due nuovi motivi di rigetto in rito, vale a dire di due nuovi presupposti processuali, tali da precludere, ove as- senti, l’esame nel merito del ricorso; b) per altro verso in quanto fonte di una restrizione dei possibi- li motivi di ricorso. Ben si comprende, dunque, come questo aspetto sia destinato a rivestire un ruo- lo di primo piano nell’analisi della norma. Non, beninteso, che per il resto essa non ponga problemi interpretativi. Tutt’altro. Per un verso, però, tali problemi risultano comunque secondari, rispetto a quello, di fondo, del quale si è appena detto. Per altro verso, una volta risolto quest’ultimo (in senso negativo, si può già sin da ora anticiparlo), e più in generale appurata l’effettiva portata della dispo- sizione (pressoché nulla, sia detto anche questo fin da sùbito), essi, come vedremo, sono destinati a perdere, in concreto, gran parte della loro rilevanza.

Ciò premesso, per quanto concerne l’ordine della trattazione, come prima cosa ci concentre- remo in particolare sul punto di vista sub a) (quello secondo il quale l’art. 360-bis avrebbe introdot- to due nuovi motivi di rigetto in rito), la cui analisi, come riscontreremo, risulta in effetti assai arti- colata. Del punto di vista sub b) (quello secondo il quale l’art. 360-bis avrebbe prodotto una restri- zione dei motivi di ricorso in cassazione), che del resto si riferisce esclusivamente alla seconda del- le due fattispecie contemplate dalla norma (quella relativa alla manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo)5 e che, per quanto potenzialmente assai di- rompente, ad una lettura non forzata si rivela in realtà innocuo, ci occuperemo invece in un secondo tempo.

2. – Come detto, l’art. 360-bis, nella versione concretamente introdotta, prevede due ipotesi di inammissibilità del ricorso. L’inquadramento di tali ipotesi risulta peraltro problematico. La dif- ficoltà che esse pongono è evidente: essa consiste nel fatto che da un lato la norma parla espressa- mente di inammissibilità, dall’altro quelle in questione sono però, altrettanto espressamente, valuta- zioni di merito. Da qui l’immediata, istintiva, sensazione di un’intrinseca contraddittorietà. La cate- goria dell’inammissibilità evoca infatti una sfera, quella delle valutazioni di rito, che non solo è di- versa da quella delle valutazioni di merito, ma le si contrappone tout court. Com’è dunque possibile – questo l’interrogativo che non può non porsi [ed a maggior ragione si pone, dal momento che le sezioni unite, fin dal loro primo intervento sulla nuova disposizione6, hanno espressamente statuito

4 Per quanto concerne l’àmbito operativo della nuovo meccanismo, la Cassazione lo ha ritenuto applicabile anche al re- golamento di competenza [Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, in Foro it. 2010, I, c. 3333, con osservazione di COSTANTINO e nota di SCARSELLI, Circa il (supposto) potere della Cassazione di enunciare d’ufficio il principio di di- ritto nell’interesse della legge; in Giur. it., 2010, p. 1991; ivi, 2011, p. 885 (solo massima), con nota di CARRATTA, L’art. 360 bis c.p.c. e la nomofilachia «creativa» dei giudici di cassazione; in Giust. civ., 2011, I, p. 123; ivi, p. 403 (so- lo massima), con nota di TERRUSI, Il filtro di accesso al giudizio di cassazione: la non soddisfacente risposta delle se- zioni unite; in Giusto proc. civ., 2010, p. 1131, con nota di LUISO, La prima pronuncia della Cassazione sul c.d. filtro;

in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 167, con nota di CARNEVALE, La Corte di Cassazione ridimensiona il «filtro»

dell’art. 360 bis cod. proc. civ.; in Guida dir., 38/2010, p. 32, con nota di FINOCCHIARO, La valutazione rispetto ai pre- cedenti va compiuta al momento della decisione; Cass., (ord.) 16 giugno 2011, n. 13202; Cass., (ord.) 8 febbraio 2011, n. 3142, in Riv. dir. proc., 2012, 490, con nota di FERRARIS, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «filtro» in Cassazione].

5 La cosa è invero abbastanza intuitiva. Sul punto v. comunque infra n. 7.

6 Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, cit. Per la successiva applicazione di tale indirizzo v. Cass., sez. un., 19 aprile 2011, n. 8923, in Riv. dir. proc., 2012, p. 490, con nota di FERRARIS, Primi orientamenti, cit., e Cass., (ord.) 8

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che quella in questione, e segnatamente quella concernente la prima delle due fattispecie contem- plate (inidoneità dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedimento impugnato sia in linea), è una pronuncia non di inammissibilità, bensì di manifesta infondatezza] – com’è possibile, dicevamo, che una valutazione del secondo tipo (di merito) possa tradursi in un giudizio di ammissibilità/inammissibilità del ricor- so, anziché, come logica vorrebbe, in uno circa la sua fondatezza/infondatezza? Com’è possibile, detto in termini più semplici ed immediati, che un ricorso possa essere dichiarato inammissibile in quanto infondato7?

Per cercare di venire a capo del problema, il primo passo consiste intanto nel capire di che tipo di valutazioni di merito si tratti.

Per quanto concerne la seconda – quella relativa alla manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo – la risposta (impregiudicati gli altri proble- mi interpretativi sollevati dalla disposizione) è invero scontata: in questione è, appunto, una valuta- zione di (non) manifesta infondatezza. Per quanto concerne questa ipotesi, il precetto della norma consiste cioè in questo: laddove la Cassazione (l’apposita sezione di cui all’art. 376) ritenga che la censura, sollevata dal ricorrente in punto di violazione dei suddetti princìpi, sia manifestamente in- fondata, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Per quanto concerne la prima – quella relativa all’inidoneità dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedimento im- pugnato sia in linea – il discorso risulta invece meno intuitivo. Ad una prima lettura, la norma non offre infatti elementi tali da far pensare ad una valutazione sommaria, e dunque alla mera delibazio- ne circa la non manifesta infondatezza dei motivi addotti. Ad una più attenta riflessione, emerge pe- rò che proprio questo è, anche qui, ciò di cui si tratta. In particolare, a convincere in tal senso è la considerazione dinamica della fattispecie.

Non bisogna infatti dimenticare che, in virtù del meccanismo di cui all’art. 376, all’apposita sezione, ivi contemplata, spetta esclusivamente la valutazione circa l’ammissibilità/inammissibilità del ricorso, mentre poi, se tale valutazione sortisce esito positivo, il ricorso passa ad un’ordinaria sezione semplice, la quale, anche ammesso che sia vincolata alla valutazione della prima, nel senso che non può più, laddove dissenta da tale valutazione, dichiarare l’inammissibilità del ricorso8, di certo rimane però totalmente libera di giudicarne la fondatezza o meno nel merito. Essa ben può cioè, a dispetto dell’opinione dell’apposita sezione circa l’idoneità dei motivi, ritenere viceversa la loro infondatezza ed emettere pertanto una pronuncia di rigetto. Detto in termini più immediati, l’apposita sezione non può insomma, con la propria valutazione positiva, «ordinare» alla sezione semplice di accogliere il ricorso. Ebbene, salvo accettare che la fondatezza dei motivi sia sottoposta ad una duplice valutazione piena, prima per valutarne l’ammissibilità, poi per valutarne la fondatez- za – ciò che è manifestamente assurdo9 – non resta dunque, quale unica lettura plausibile, se non quella per la quale quella dell’apposita sezione è una valutazione sommaria, relativa esclusivamente alla (non) manifesta infondatezza dei motivi, ferma poi restando la valutazione piena, da parte della sezione semplice.

Tale conclusione va peraltro meglio precisata. La disposizione in esame fa infatti riferimen- to, com’è noto, non solo al mutamento dell’orientamento della Cassazione, ma anche alla sua con-

febbraio 2011, n. 3142, cit. Diversamente, per la declaratoria di inammissibilità, v. invece Cass., 27 gennaio 2011, n.

2018, in Giust. civ., 2011, I, p. 885, con nota di DIDONE, Il «rasoio di Guglielmo da Ockham» e l’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.: frustra per plura quod potest fieri per pauciora.

7 Sull’incongruenza in questione v. per tutti CARRATTA, L’art. 360 bis, cit., 889, ed ivi ulteriori indicazioni.

8 La questione non riveste, ai presenti fini, particolare rilevanza e può dunque rimanere impregiudicata.

9 Sul punto v. anche infra n. 3.

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ferma. Questo riferimento (frutto infelice della semplicistica ed acritica fusione parziale, nel testo definitivo, delle ipotesi nn. 1 e 2 di quello originario, senza mettere in conto gli effetti del mutamen- to di segno della previsione e dell’ingresso in campo dei motivi del ricorso10) risulta infatti alquanto misterioso. Per dargli un senso – posto che, com’è ovvio, i motivi addotti dal ricorrente non posso- no che essere in direzione della riforma della sentenza impugnata, e dunque del mutamento dell’orientamento della Cassazione alla quale essa si è allineata – l’unico modo sembrerebbe quello di ipotizzare che tali motivi (o magari quelli della controparte11), pur non risultando fondati nel sen- so voluto dal loro autore, offrano comunque lo spunto per precisare o meglio motivare il suddetto orientamento12.

Anche in quest’ottica, si ripropone però, a quanto mi pare, il problema «dinamico» del quale si è detto sopra: così come l’apposita sezione non può «ordinare» alla sezione semplice di accoglie- re il ricorso, modificando la precedente giurisprudenza, neppure può «ordinarle» di precisarla o di meglio argomentarla. In questione, anche in questa prospettiva e per gli stessi motivi, non può dun- que essere se non una valutazione sommaria, in merito alla presumibile necessità, alla luce dei mo- tivi addotti, di una conferma migliorativa della suddetta giurisprudenza.

Così stando le cose, è però allora abbastanza evidente che la lettura più ragionevole è in real- tà un’altra. Proprio perché in questione è necessariamente una valutazione sommaria – ed a maggior ragione in quanto essa non può in alcun modo condizionare il giudizio della sezione semplice – non ha molto senso che essa sia già orientata in direzione della modifica oppure della conferma miglio- rativa del precedente orientamento. Piuttosto, ciò di cui si tratterà, abbassando per così dire l’asticella, sarà, più genericamente, un giudizio in merito alla meritevolezza di un più attento esame del ricorso, al fine di valutare, alla luce dei motivi addotti, se il precedente orientamento sia da con-

10 Per un rilievo analogo v. NELA, Per una interpretazione dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2012, p. 143 nota 15.

11 Per tale ipotesi v. RAITI, Note esegetiche, cit., § 4 in fine, testo e nota 22 (sia pure evidenziando l’effetto paradossale per il controricorrente, le cui argomentazioni, volte al rigetto dell’impugnazione, finirebbero tutto all’opposto per con- sentire a quest’ultima di superare il vaglio di ammissibilità) e RORDORF, Nuove norme in tema di motivazione delle sen- tenze e di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 140.

12 In tal senso l’opinione dominante [v. ad es. CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze dopo la legge n. 69 del 2009, Padova 2009, p. 517; GENOVESE, Ricorso per cassazione, in Nuovo processo civile, Il ci- vilista, luglio-agosto 2009, p. 50 s.; GIORDANO, Giudizio di cassazione, in ASPRELLA-GIORDANO, La riforma del pro- cesso civile, dal 2005 al 2009, supplemento a Giust. civ., 6/2009, p. 77; MENCHINI, in BALENA-CAPONI-CHIZZINI- MENCHINI, La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, To- rino 2009, p. 117; NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione2, Torino 2011, p. 66; ROR- DORF, Nuove norme, cit., p. 140 s.; SALMÈ, Il nuovo giudizio di cassazione, in Foro it., 2009, V, c. 441 (il quale pro- spetta anche l’opportunità/necessità di ribadire l’orientamento della Cassazione in presenza di un persistente contrasto fra tale orientamento e quello della giurisprudenza di merito)].

Diversamente RICCI, Ancora insoluto il problema del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 110, e ID., La riforma del processo civile – Legge 18 giugno 2009, n. 69, Torino 2009, p. 66 ss., il quale ipotizza il riferimento della previsione all’impugnazione di provvedimenti difformi dall’orientamento della Cassazione. Si tratta peraltro di una lettura che appare difficile condividere, alla luce della chiara indicazione, contenuta nella norma, circa il fatto che il provvedimento impugnato deve essere in linea con tale orientamento (i ricorsi avverso i provvedimenti difformi, come vedremo, devono invece ritenersi senz’altro ammissibili, a prescindere dai motivi addotti dal ricorrente). Ancora diver- samente NELA, Per un’interpretazione, cit., p. 143 ss., per il quale la previsione si riferisce al caso dell’inesistenza di un orientamento univoco della Corte, ciò che risulta però a sua volta in contrasto con il chiaro tenore della norma. Ulte- riormente, secondo REALI, in La riforma, cit., p. 136 ss., dovrebbe pensarsi al caso nel quale «la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, ma l’esame dei motivi offra elementi per ritenere che il principio di diritto, correttamente enunciato dal giudice di merito, sia stato però applicato male o in modo diverso rispetto a come la Cassazione l’aveva sino a quel momento applicato», come ad esempio nel caso in cui

«il principio di diritto, seguito dal giudice a quo, sia corretto in astratto, tanto da dover essere riaffermato dalla S.C., ma non sia applicabile alla fattispecie concreta dedotta in giudizio».

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fermare (se del caso precisandolo o meglio motivandolo) oppure da modificare. Quella affidata all’apposita sezione va cioè intesa come una delibazione a carattere per così dire neutrale, vale a di- re riferita esclusivamente al fatto che i suddetti motivi siano o meno tali da giustificare l’esame del- la sezione semplice, non solo, ciò che è ovvio, impregiudicato l’esito di tale esame, ma anche senza alcun tipo di prognosi in merito ad esso13.

Il precetto contenuto nella norma consiste dunque in questo: laddove la Cassazione (l’apposita sezione di cui all’art. 376) ritenga che i motivi addotti dal ricorrente non siano tali da sollecitare una riconsiderazione, possibilmente anche confermativa, del proprio orientamento, il ri- corso deve essere dichiarato inammissibile14.

Ciò chiarito, ed appurato in tal modo che, da questo punto di vista, le due fattispecie con- template dall’art. 360-bis sono omogenee, che in entrambi i casi ciò di cui si tratta è cioè una valu- tazione di (non) manifesta infondatezza, sia pure con oggetto differente (nella fattispecie n. 1 circa la meritevolezza di riconsiderazione dell’orientamento della Cassazione, nella fattispecie n. 2 circa la violazione dei princìpi del giusto processo), l’analisi del problema principale dal quale siamo par- titi, vale a dire quello relativo alla quantomeno apparente contraddittorietà di un giudizio di ammis- sibilità/inammissibilità sulla base di una valutazione circa il merito del ricorso, può essere svolta unitariamente.

3. – In relazione al problema appena rammentato, il discorso deve prendere le mosse da due considerazioni ovvie, e che nondimeno è a mio avviso utile ricordare.

La prima è quella per la quale il fatto che una certa circostanza rappresenti un requisito di ammissibilità, o, detto diversamente, un presupposto processuale, significa che, per accogliere la domanda, occorre da un lato che sussista tale requisito (valutazione di rito), dall’altro che la do- manda sia fondata (valutazione di merito). La seconda, conseguente e del resto già incontrata15, è che non ha alcun senso fare della fondatezza della domanda un requisito di ammissibilità. Sulla ba- se di quanto appena detto, ciò significherebbe infatti che, per accogliere la domanda, occorrerebbe da un lato (valutazione di rito) che essa fosse fondata, dall’altro (valutazione di merito) che essa fosse … fondata. Il che, anche senza bisogno di scomodare Occam, non ha evidentemente alcun senso, essendo semplicemente assurdo.

Detto questo, quello che dobbiamo successivamente chiederci è se altrettanto valga anche laddove in questione sia non già la fondatezza tout court della domanda, bensì la sua non manifesta infondatezza (in generale o riferita ad un qualche specifico aspetto di essa). E’ cioè possibile, detto in termini più espliciti, fare della non manifesta infondatezza un requisito di ammissibilità?

13 In quest’ottica, pare di poter affermare, BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge n. 18 giugno 2009, n. 69, in Giusto proc. civ., 2009, p. 789 ss. e www.judicium.it, § 18; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 248 ss.; GRAZIOSI, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio di cassa- zione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 47 s.; LUISO, La prima pronuncia, cit., § 1.

14 La lettura di cui al testo potrebbe risultare (non senz’altro smentita, ma comunque) non necessitata, nell’ottica secon- do la quale la valutazione in discorso dovrebbe limitarsi all’idoneità dei motivi a sollecitare una riconsiderazione dell’orientamento della Cassazione al momento della proposizione del ricorso, impregiudicati i possibili mutamenti nel- la giurisprudenza della Cassazione medesima intervenuti medio tempore e dunque l’eventualmente sopravvenuta dif- formità del provvedimento impugnato da tale, sopravvenuta, giurisprudenza; differenziando cioè sotto il profilo tempo- rale la valutazione dell’apposita sezione da quella che, superato in ipotesi il giudizio di ammissibilità, dovrebbe essere poi compiuta dalla sezione semplice (per tale lettura cfr. TERRUSI, Il filtro). In quest’ottica, in effetti, la prima di tali va- lutazioni, in quanto differente – quanto al parametro temporale, appunto – dalla seconda, potrebbe anche essere piena.

Come vedremo più avanti (n. 4), tale interpretazione non può tuttavia essere condivisa.

15 V. retro n. 2.

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In generale, la risposta deve essere senz’altro negativa. Ragionando come abbiamo fatto so- pra, questo significherebbe infatti che, per accogliere la domanda, occorrerebbe che essa fosse non manifestamente infondata e poi fondata. Il che non è meno assurdo di quanto visto nell’ipotesi pre- cedente.

In questo caso il discorso non può però arrestarsi qui. La risposta fornita vale infatti, come appena detto, in generale. Essa non è cioè assoluta, potendo darsi che, in casi particolari, le cose stiano diversamente. Il che in effetti avviene, per la precisione in due ipotesi: la prima è quella nella quale la valutazione di non manifesta infondatezza sia affidata ad un organo differente da quello al quale spetta, una volta superato il vaglio rappresentato da tale valutazione, la cognizione piena (si pensi al giudizio di costituzionalità); la seconda è quella nella quale, pur trattandosi dello stesso giudice, il processo abbia però una struttura bifasica, con una prima fase a cognizione sommaria ed una seconda, destinata ad aprirsi solo in caso di esito positivo della prima, a cognizione piena [si pensi al giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione dello stato di paternità o di mater- nità naturale (art. 374 c.c.), prima della sua declaratoria di incostituzionalità]. In questi casi, data la particolare struttura del processo, ha in effetti senso configurare la non manifesta infondatezza qua- le requisito di ammissibilità.

Ciò chiarito, e venendo a questo punto all’art. 360-bis, il quale, secondo quanto poc’anzi ap- purato, contempla per l’appunto due valutazioni di non manifesta infondatezza (relative a due aspet- ti specifici: la meritevolezza di riconsiderazione dell’orientamento della Cassazione e la violazione dei princìpi del giusto processo), con riferimento a questo è senz’altro fuori gioco la prima delle due ipotesi appena riferite. Senz’altro più vicina è viceversa la seconda. In un certo senso, il passaggio dall’apposita sezione e poi, nel caso in cui questa non ritenga sussistente l’una o l’altra fattispecie, il ritorno al primo presidente e l’assegnazione ad una sezione semplice, potrebbe infatti essere letto nell’ottica di un processo bifasico. A tale lettura ostano tuttavia, pare di poter affermare, almeno due considerazioni.

La prima è quella per la quale il ritorno al primo presidente – vale a dire la chiusura dell’ipotetica prima fase, laddove le due fattispecie non vengano ritenute sussistenti – non è scandi- to da alcuno specifico provvedimento, il quale attesti (la non manifesta infondatezza e dunque) l’ammissibilità (tanto che, come accennato16, si pone il problema se a tal punto la sezione semplice sia vincolata alla valutazione dell’apposita sezione oppure possa, andando di diverso avviso, dichia- rare ugualmente l’inammissibilità per la sussistenza di una delle suddette fattispecie).

La seconda è quella per la quale l’iter procedimentale in discorso vale non solo per l’art.

360-bis e per gli altri requisiti di ammissibilità, ma anche per la manifesta infondatezza della do- manda in genere ed inoltre – e soprattutto – per la sua manifesta fondatezza, il che rende la lettura in chiave bifasica decisamente improponibile. Infatti, essa ancora potrebbe reggere con riferimento alla manifesta infondatezza in genere, anche se, in tale ottica, anche quest’ultima, al pari di quella riferita ai due specifici aspetti di cui all’art. 360-bis, dovrebbe a tal punto essere letta in chiave di requisito di ammissibilità (tale sarebbe giocoforza, a prescindere dalla sua qualificazione in tal sen- so, dato che la non manifesta infondatezza rappresenterebbe la condizione per il passaggio – vale a dire per l’ammissione – alla seconda fase)17. Di certo la lettura in chiave bifasica risulta però in- compatibile con la possibilità che l’apposita sezione chiuda il processo, non già rigettando la do- manda, bensì accogliendola per manifesta fondatezza. Tale evenienza manifesta dunque in modo

16 V. retro n. 2.

17 E’ peraltro importante notare che, anche in tal caso, si assisterebbe comunque ad un’assimilazione fra la previsione dell’art. 360-bis e la non manifesta infondatezza in genere, sia pure in direzione opposta rispetto a quella che qui si sta prefigurando: laddove la conclusione alla quale perverremo è che neppure la prima dà vita ad un requisito di ammissibi- lità, nella prospettiva del processo bifasico si avrebbe, all’opposto, che tale sarebbe anche la seconda.

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incontrovertibile che in questione non è la prima fase di un processo bifasico, bensì, più semplice- mente, una modalità semplificata di decisione. In buona sostanza, nient’altro che una variante del modello della decisione in camera di consiglio; un arricchimento, per così dire – ma in realtà, come vedremo18, un appesantimento – di tale modello, consistente nel coinvolgimento, possibilmente solo interlocutorio (questo l’inconveniente), di una particolare sezione.

Su tale base, diventa allora inevitabile concludere che l’art. 360-bis, a dispetto della termino- logia utilizzata, non introduce due nuove ipotesi di inammissibilità. Al contrario, in questione sono e rimangono esclusivamente due casi di (non) manifesta infondatezza. Posta la loro natura di valu- tazioni di merito, e segnatamente, appunto, di (non) manifesta infondatezza, in tanto, come visto, le valutazioni in discorso potrebbero infatti dar luogo ad ipotesi di inammissibilità, in quanto il mec- canismo processuale che le concerne potesse essere inteso quale prima fase di un processo bifasico.

Così però, come appena riscontrato, non è: il processo di cassazione, anche nella sua attuale struttu- razione, rimane comunque un processo monofasico, sia pure con un iter diversificato a seconda del tipo di decisione da adottare, e questo preclude la lettura delle fattispecie in esame in chiave di ipo- tesi di inammissibilità. Tutt’al più, potrà semmai parlarsi di «inammissibilità ai sensi dell’art. 360- bis»; con questo intendendo però appunto che in realtà si tratta non di un’inammissibilità reale, ben- sì di una solo convenzionalmente qualificabile come tale, vuoi a fini pratici di sintesi, vuoi, soprat- tutto, in funzione dell’applicazione degli artt. 375, n. 1 e 376, comma 1°, e dunque della definizione del giudizio da parte dell’apposita sezione di cui al secondo di tali articoli.

Alla luce di tale conclusione, ne consegue inoltre che parimenti scorretta, quantomeno da questo punto di vista, risulta la qualificazione della previsione in discorso in termini di «filtro»19. Tale qualificazione, propriamente intesa, rimanda infatti per l’appunto a profili di inammissibilità, che, come appena detto, nel caso di specie sono però assenti. Di «filtro», anche qui convenzional- mente, potrà dunque semmai parlarsi in un altro senso, vale a dire con riferimento al fatto che nelle ipotesi contemplate dall’art. 360-bis il processo viene definito secondo un meccanismo semplifica- to, con conseguente riduzione delle ipotesi nelle quali la Cassazione deve seguire il rito ordinario.

Ciò detto, un interrogativo non si può peraltro a questo punto fare a meno di porlo, per quan- to non strettamente riferito alla norma qui in esame, bensì più in generale al suddetto meccanismo (il problema è di carattere più generale in quanto, come detto, tale meccanismo non si applica solo alle ipotesi di cui all’art. 360-bis, ma più in generale a tutti i casi di inammissibilità ed inoltre alla manifesta fondatezza/infondatezza). Vale a dire se esso sia realmente efficace nella direzione volu- ta, e cioè quella di determinare una semplificazione, e dunque un’accelerazione, del giudizio di Cassazione, o se invece non rischi di rivelarsi, a seconda dei casi, un elemento di ulteriore compli- cazione, e dunque di rallentamento, di tale giudizio.

Prima di affrontare questo interrogativo, occorre peraltro dare atto di una possibile differente lettura dell’art. 360-bis.

4. – Le sezioni unite, nella loro già citata prima pronuncia sulla norma20, oltre a sancire, co- me riferito21, che quella relativa alla prima delle fattispecie ivi contemplate (inidoneità dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedimento impugnato sia in linea) è una pronuncia di manifesta infondatezza e non di inam-

18 V. infra n. 5.

19 Sul fatto che con la formulazione adottata il filtro è venuto totalmente meno, v. PROTO PISANI, La riforma del proces- so civile: ancora una legge a costo zero (note a prima lettura), in Foro it., 2009, V, c. 222.

20 Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, cit.

21 V. retro n. 2.

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missibilità, hanno anche statuito che la valutazione in questione deve essere riferita «allo stato della giurisprudenza della Corte al momento della decisione sul ricorso, non al momento della decisione di merito né a quello in cui il ricorso è proposto». In particolare, è con riferimento a tale momento che deve essere verificata la conformità o meno del provvedimento impugnato alla giurisprudenza della Cassazione; con la conseguenza che, sebbene esso risultasse, all’epoca, conforme all’orientamento allora in essere, laddove questo sia successivamente mutato il ricorso deve essere ritenuto senz’altro ammissibile, a prescindere dai motivi spesi, in quanto diretto contro una pronun- cia allo stato difforme dalla propria, modificata, giurisprudenza.

Criticamente rispetto a tale pronuncia, si è osservato che, proprio perché è la stessa Cassa- zione a ragionare nell’ottica per la quale l’art. 360-bis avrebbe introdotto un «filtro», la valutazione in discorso dovrebbe viceversa essere riferita al momento della proposizione del ricorso e non a quello della decisione. Più precisamente, il giudizio circa la conformità o meno del provvedimento impugnato all’orientamento della Cassazione andrebbe riferito al tempo della sua emissione; il giu- dizio circa l’idoneità o meno dei motivi spesi ad indurre una riconsiderazione di tale orientamento andrebbe riferito al tempo della proposizione del ricorso. Con la conseguenza che, laddove così non sia, la pronuncia dovrebbe essere nel senso dell’inammissibilità, a prescindere dal fatto che l’orientamento sia nel frattempo mutato ed il provvedimento impugnato risulti allo stato in contrasto con esso22.

In tale ottica, è evidente che quanto detto sopra, a proposito della natura della valutazione di cui all’art. 360-bis, risulterebbe smentito. In questo modo, tale valutazione avrebbe infatti un conte- nuto, bensì relativo alla fondatezza del ricorso, ma differente, sotto il profilo temporale, rispetto a quello al quale, superato il vaglio da parte dell’apposita sezione, è poi chiamata la sezione semplice.

Dunque, nulla osterebbe alla sua configurazione in termini di giudizio di ammissibilità e non di (non) manifesta infondatezza.

Non pare però che la lettura in questione possa essere ritenuta corretta.

In primo luogo va intanto chiarito che una cosa è trarre le conseguenze della concezione del- la previsione in discorso quale «filtro», un’altra sostenere che questa sia senz’altro la corretta inter- pretazione della norma. Finché ci si limita alla prima operazione, evidenziando la contraddittorietà della decisione delle sezioni unite, nulla quaestio. Laddove viceversa ci si volesse più incisivamente spingere nella seconda direzione, si cadrebbe in una petizione di principio abbastanza evidente. Una siffatta visione darebbe infatti per scontato che quelle in questione siano ipotesi di inammissibilità, con funzione di «filtro», laddove, alla luce della contraddittorietà fra la loro qualificazione in tali termini ed il trattarsi di valutazioni relative alla fondatezza del ricorso, questo rappresenta invece proprio ciò che occorre dimostrare. Detto più chiaramente, il punto è cioè il seguente: posto che la qualificazione in termini di inammissibilità ed il trattarsi di valutazioni relative alla fondatezza del ricorso, essendo reciprocamente contraddittorie, si escludono a vicenda, è evidente che, per supera- re il conflitto, occorre «sacrificare» uno dei due termini di questo, e dunque o escludere che quelle in questione siano effettivamente ipotesi di inammissibilità, oppure (non escluderne il riferimento alla fondatezza del ricorso, ciò che è impossibile, ma) modulare il loro contenuto e/o l’iter proces- suale in termini tali da rendere sensato che esse possano comunque svolgere un ruolo di «filtro» di ammissibilità; tanto l’una quanto l’altra soluzione sono astrattamente possibili; di certo, però, nes- suna di esse può essere sostenuta semplicemente dando per scontata una certa interpretazione relati- vamente all’altro termine del contrasto; come non potrebbe cioè sostenersi che, dovendo la valuta- zione essere riferita al momento della decisione, in questione non possono essere ipotesi di inam- missibilità23, così, specularmente, non può neppure sostenersi, come appunto la lettura in esame,

22 In tal senso TERRUSI, Il filtro, cit.

23 Questo in effetti, nella sostanza, il ragionamento delle sezioni unite.

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che, trattandosi di ipotesi di inammissibilità, la valutazione deve essere riferita al momento della proposizione del ricorso.

In secondo luogo va poi osservato che tutto questo concerne esclusivamente la prima delle due fattispecie contemplate dall’art. 360-bis (quella relativa all’inidoneità dei motivi di censura ad indurre la conferma o la modifica della giurisprudenza della Cassazione, con la quale il provvedi- mento impugnato sia in linea), laddove la lettura in chiave di effettiva inammissibilità, essendo tale qualificazione riferita anche alla seconda fattispecie (quella relativa alla manifesta infondatezza del- la censura relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo), dovrebbe coinvolgere anche quest’ultima; ciò di cui la ricostruzione in esame invece non si preoccupa.

In ultimo non si può infine non rilevare che tale ricostruzione non produrrebbe comunque alcun reale vantaggio, in termini di riduzione del carico di lavoro della Cassazione. È bensì vero, infatti, che, per questa via, verrebbero eliminati (in assenza di validi motivi di impugnazione) tutti i ricorsi rivolti contro provvedimenti che, pur essendo allo stato in contrasto con il sopravvenuto orientamento della Cassazione, al momento della loro proposizione erano viceversa conformi a quello allora in essere. Specularmente, e dunque con risultati complessivamente nulli, ne risultereb- bero però ammessi tutti quelli rivolti contro provvedimenti che, pur essendo allo stato conformi all’orientamento sopravvenuto, al momento della loro proposizione erano viceversa in contrasto con quello allora in essere.

Con peraltro un’incongruenza, tutt’altro che secondaria, che fa a mio avviso inclinare deci- samente in senso contrario rispetto alla prospettazione in discorso; vale a dire che, dal punto di vista del compito primario della Cassazione, vale a dire la nomofilachia, risulta assurdo che, sia pure in funzione di filtro, ci si misuri con l’orientamento superato anziché con quello attuale: a parità di funzione filtrante, secondo quanto appena visto, appare decisamente preferibile eliminare i ricorsi avverso pronunce conformi all’attuale orientamento piuttosto che quelli avverso pronunce difformi da esso24.

Ciò detto, e confermata dunque la conclusione precedentemente raggiunta, circa il fatto che quelle introdotte dall’art. 360-bis sono ipotesi non di inammissibilità, bensì di manifesta infonda- tezza del ricorso, possiamo a questo punto passare all’interrogativo che avevamo posto in coda a ta- le conclusione, vale a dire quello, riferito in generale al meccanismo di definizione del processo ad opera dell’apposita sezione, circa la funzionalità o meno di tale meccanismo nella direzione della semplificazione, e dunque dell’accelerazione, del giudizio di Cassazione.

5. – Quello appena ricordato essendo l’interrogativo da affrontare, non pare eccesso di di- sfattismo affermare che ben difficilmente esso potrebbe ricevere risposta positiva. Certo, laddove l’apposita sezione dichiari l’inammissibilità, respinga per manifesta infondatezza o accolga per ma- nifesta fondatezza, il giudizio si chiude rapidamente. Ma intanto tale rapidità non è maggiore di quella che si avrebbe, a parità di decisione in camera di consiglio, laddove, in assenza dell’apposita sezione, il ricorso venisse assegnato direttamente ad una sezione semplice. In questa evenienza, l’istituzione dell’apposita sezione non produce cioè alcuna accelerazione e risulta dunque, dal punto di vista della semplicità e della durata del processo, totalmente ininfluente. Soprattutto, poi, occorre mettere in conto anche l’altra evenienza, vale a dire quella che l’apposita sezione non chiuda il giu-

24 Sul fatto che all’eventuale difetto di argomenti, nel ricorso o nel controricorso, in relazione al mutato orientamento della Corte, potrà essere ovviato mediante la memoria o in sede di discussione, v. LUISO, La prima pronuncia, cit., § 2.

Nel senso che il ricorso deve essere ritenuto ammissibile tanto in caso di contrarietà originaria quanto in caso di contra- rietà sopravvenuta, e dunque sempre, in presenza di un mutamento di giurisprudenza, ciò che però dilata forse un po’

troppo le maglie della norma, NAPPI, Il sindacato, cit., p. 68 s.

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dizio, ed in tale ipotesi il meccanismo del doppio passaggio – prima da tale sezione e poi dalla se- zione semplice – non si limita a risultare ininfluente, ma determina una complicazione ed un rallen- tamento della vicenda processuale nient’affatto marginali e decisamente improvvidi.

Anche a prima impressione, è infatti del tutto evidente che quello che si determina in tale evenienza è un iter processuale macchinoso25, inevitabilmente più inefficiente di ciò che accadrebbe con la diretta assegnazione del ricorso alla sezione semplice. Più in dettaglio, sia pur nei limiti di quanto qui rilevante e senza pretendere di procedere ad un’analisi puntuale dell’art. 376, quattro so- no, a quanto pare di poter affermare, i profili sotto i quali si manifesta tale macchinosità ed ineffi- cienza.

Da un primo punto di vista viene in considerazione il problema, già incontrato26, se la sezio- ne semplice sia o meno vincolata al giudizio di non inammissibilità (per quelli di non manifesta fondatezza/infondatezza il vincolo non può neppure essere ipotizzato, dato che la decisione circa la fondatezza o meno della domanda rappresenta il compito precipuo della sezione semplice). Quale che sia la relativa risposta, è evidente che già il porsi di tale problema non può non rappresentare un inconveniente, che l’assegnazione del ricorso direttamente alla sezione semplice consentirebbe di evitare. Inutile poi dire che, laddove la soluzione dovesse essere nel senso dell’inesistenza del vin- colo, l’inconveniente sarebbe ancora maggiore. In tal caso, il passaggio dall’apposita sezione risul- terebbe infatti sostanzialmente inutile – e pertanto tempo perso – dal momento che la sezione sem- plice potrebbe senz’altro ripetere, con il segno invertito, la valutazione già compiuta dalla prima.

Da un secondo punto di vista, anche ammesso il vincolo al giudizio di non inammissibilità, rimane nondimeno, per quanto specificamente concerne le ipotesi di cui all’art. 360-bis, la duplica- zione della valutazione già compiuta. Al di là del riferimento alla categoria dell’inammissibilità, ri- mane infatti che quella operata dall’apposita sezione, con riferimento alle suddette ipotesi, è una va- lutazione di non manifesta infondatezza, come tale destinata inevitabilmente a venire ripetuta dalla sezione semplice, più approfonditamente, al momento della decisione circa l’accoglimento o meno del ricorso.

Da un terzo punto di vista occorre considerare il problema dei rapporti fra l’apposita sezione e la sezione semplice per quanto concerne l’assurda divisione fra di esse delle materie di cui all’art.

375. Anche in questo caso, quale che sia la risposta da fornire all’interrogativo circa la competenza dell’una o dell’altra nei casi dubbi, il solo porsi del problema rappresenta evidentemente un intral- cio. Nella fattispecie oltretutto particolarmente deplorevole, dato che esso non è imprescindibilmen- te connesso all’introduzione del vaglio da parte dell’apposita sezione, ma rappresenta più specifi- camente il frutto di una regolamentazione (la suddetta divisione delle materie di cui all’art. 375 fra tale sezione e la sezione semplice) che nulla, anche una volta introdotto tale vaglio, imponeva di adottare. Ma non basta. Sempre a questo proposito occorre infatti tenere presente che le due compe- tenze sono fatalmente destinate ad incrociarsi, in modo tale da ostare all’effettivo rispetto della divi- sione tracciata sulla carta. In particolare, in presenza di un difetto di contraddittorio l’apposita se- zione non potrà definire il processo per la manifesta fondatezza, che pur dovesse riscontrare (quanto alla manifesta infondatezza la cosa è più dubbia). La sanatoria di tale difetto spetta infatti alla se-

25 Il rilievo è diffuso: cfr. CARRATTA, Il «filtro» al ricorso in cassazione fra dubbi di costituzionalità e salvaguardia del controllo di legittimità, in Giur. it., 2009, p. 1564 s. e 1567; DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 243 ss.; MENCHINI, in La riforma, cit., p. 124 testo e nota 290; PROTO PISANI, La riforma, cit., p. 222;RASCIO, in AULETTA- BOCCAGNA-CALIFANO-DELLA PIETRA-OLIVIERI-RASCIO, Le norme sul processo civile nella legge per lo sviluppo eco- nomico, la semplificazione e la competitività, Napoli 2009, p. 77 s.; REALI, in La riforma, cit., p. 145; RICCI, La rifor- ma, cit., p. 75 ss.; SASSANI-TISCINI, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 200, n. 69), a cura di Saletti-Sassani, con la collaborazione di Giorgetti-Salvaneschi-Tiscini, Torino 2009, p. 175.

26 V. retro nn. 2 s.

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zione semplice, alla quale il ricorso dovrà dunque essere rimesso27. Dopodiché, regolarizzato il con- traddittorio, quid iuris: il ricorso dovrà tornare all’apposita sezione per il completamento dell’esame a questa spettante oppure esso deve a tal punto ritenersi definitivamente assegnato alla sezione semplice e sarà dunque questa, se del caso, ad accogliere per manifesta fondatezza? Il buon senso imporrebbe ovviamente la seconda soluzione. Ma da un lato non ci sarebbe purtroppo da stupirsi dell’affermarsi della prima. Dall’altro, ancora una volta, rimane comunque il fatto dell’inconveniente derivante dal porsi del problema, quale che ne sia la soluzione.

Da un quarto punto di vista bisogna infine mettere in conto l’interrogativo se la pronuncia dell’apposita sezione si riferisca ai singoli motivi oppure al ricorso nel suo complesso. Se, detto meglio, l’apposita sezione possa pronunciare soltanto laddove l’intero ricorso risulti inammissibile o manifestamente fondato/infondato, oppure possa farlo anche con riferimento ai singoli motivi, il ricorso passando poi alla sezione semplice per quelli non definiti28. Intanto, al solito, già il solo por- si del problema, essendo fonte di incertezza, rappresenta un danno in sé (è forse il caso di notare che, nell’ottica dell’assegnazione del ricorso direttamente alla sezione semplice, tale interrogativo risulterebbe sostanzialmente privo di rilevanza; davanti a tale sezione, in questione è infatti esclusi- vamente l’alternativa fra la decisione in camera di consiglio e quella in udienza, e nella contempo- ranea presenza di alcuni motivi inammissibili o manifestamente fondati/infondati e di altri che tali non sono non c’è dubbio che la scelta non potrebbe che orientarsi unitariamente nel secondo senso).

Ma non si tratta solo di questo. Laddove dovesse ritenersi che la risposta all’interrogativo sia la se- conda (vale a dire quella secondo la quale l’apposita sezione può pronunciare solo sull’intero ricor- so), il problema della duplicazione delle valutazioni – e dunque l’inutilità del passaggio davanti all’apposita sezione – risulterebbe drammaticamente amplificato. In buona sostanza, ogni volta che non potesse ritenersi l’inammissibilità o la manifesta fondatezza/infondatezza dell’intero ricorso, la pur riscontrata inammissibilità o manifesta fondatezza/infondatezza, possibilmente anche della maggior parte dei motivi, non vincolerebbe in alcun modo la sezione semplice. Con la conseguenza che tutto il lavoro in proposito dell’apposita sezione risulterebbe solo tempo perso. Inutile poi ag- giungere che, in questa prospettiva (quella della possibilità per l’apposita sezione di pronunciare so- lo sull’intero ricorso), anche il terzo dei problemi sopra illustrati è fatalmente destinato ad accre- scersi, essendo sufficiente che esso insorga anche per un solo motivo per coinvolgere l’intero ricor- so, anche con riferimento ai motivi per i quali esso non si porrebbe.

Tutto questo, si noti, al netto degli ulteriori problemi che, come vedremo nel prosieguo, po- ne l’interpretazione della maldestra formulazione dell’art. 360-bis; problemi che, sommandosi ai precedenti, contribuiscono a fare della trovata del legislatore, dal punto di vista della finalità accele- ratoria perseguita, un vero e proprio boomerang.

In sostanza, e riepilogando, il punto è che, laddove l’apposita sezione definisca il giudizio, non si guadagna nulla, dato che un risultato del tutto analogo, in termini di rapidità della decisione, si sarebbe ottenuto anche assegnando il ricorso direttamente alla sezione semplice. Laddove vice- versa ciò non accada, il doppio passaggio serve solo a complicare le cose, e pertanto, inevitabilmen- te, ad allungare l’iter processuale. Anche al netto dei problemi derivanti dall’infelice introduzione dell’art. 360-bis, sarebbe stato dunque molto meglio evitare di creare passaggi intermedi, lasciando l’assegnazione direttamente alla sezione semplice, con facoltà poi, per questa, di decidere in camera di consiglio i ricorsi che, vuoi per ragioni processuali, vuoi per ragioni sostanziali, apparissero di più semplice definizione.

27 Diversamente COSTANTINO, Il nuovo processo in Cassazione, in Foro it., 2009, V, c. 305, secondo il quale l’apposita sezione deve ragionevolmente poter valutare anche i profili di cui all’art. 375, nn. 2 e 3.

28 Il problema verrà affrontato nel n. 6.

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6. – Il discorso, per quanto concerne il meccanismo in questione, non è peraltro ancora ter- minato. Ulteriore questione da affrontare, in merito ad esso, è infatti quella relativa all’interrogativo, poc’anzi incontrato, circa l’oggetto della pronuncia dell’apposita sezione. Ciò che occorre chiarire, come detto, è cioè se questa possa pronunciare solo laddove l’intero ricorso risulti inammissibile o manifestamente fondato/infondato29, oppure la sua pronuncia possa riferirsi anche ai singoli motivi30, riducendo così il numero di quelli sui quali è destinata ad incentrarsi la pronun- cia della sezione semplice.

Per la verità, in astratto è prospettabile anche una terza ipotesi, vale a dire quella per la qua- le, fermo restando che la decisione dell’apposita sezione ha carattere generale, sarebbe sufficiente l’inammissibilità o la manifesta infondatezza di un solo motivo per attrarre alla relativa pronuncia l’intero ricorso. Tale soluzione va però senz’altro esclusa. Essa risulta infatti totalmente priva di qualunque plausibile giustificazione, che non sia quella – della quale non c’è ovviamente bisogno di argomentare l’inconsistenza – per la quale qualunque scusa è buona pur di sfoltire il numero dei ri- corsi. Che si tratti di una via non percorribile risulta del resto anche dal fatto che, come diremo me- glio fra breve, a proposito della prima ipotesi (pronuncia dell’apposita sezione solo laddove l’intero ricorso risulti inammissibile o manifestamente fondato/infondato), in presenza di alcuni motivi di ricorso inammissibili e di altri manifestamente infondati, la pronuncia unitaria risulterebbe impossi- bile.

Tolta dunque senz’altro di mezzo tale improbabile soluzione, e ristretta l’alternativa alle precedenti due, va detto che la lettera della legge è indubbiamente a favore della prima, vale a dire della possibilità di pronuncia solo laddove l’intero ricorso risulti inammissibile o manifestamente fondato/infondato. In tal senso sono infatti sia l’art. 360-bis (che riferisce l’inammissibilità al «ri- corso»), l’art. 375, nn. 1 e 5 (che fa riferimento alla dichiarazione di inammissibilità ed alla dichia- razione di manifesta fondatezza/infondatezza del «ricorso» principale e di quello incidentale), l’art.

376, comma 1° (secondo il quale gli atti sono rimessi al primo presidente se l’apposita sezione «non definisce il giudizio»), l’art. 380-bis, comma 1° (secondo il quale il relatore dell’apposita sezione deposita la propria relazione «se appare possibile definire il giudizio»), l’art. 380-bis, comma 3° (il quale disciplina l’iter davanti alla sezione semplice per l’ipotesi nella quale «il ricorso non è dichia- rato inammissibile»).

Unico, minoritario, elemento in contrario, da tale punto di vista, è la descrizione delle ipotesi di inammissibilità contenuta nell’art. 360-bis (il quale fa all’uopo riferimento ai «motivi» ed alla

«censura»).

Ciononostante, non mi pare che la suddetta soluzione possa dirsi realmente imposta.

Volendosi attenere strettamente al disposto normativo, e segnatamente a quello dell’art. 375, si rischia infatti di incorrere in risultati difficilmente tollerabili. Per cogliere il problema, occorre considerare che l’articolo in questione contempla, distintamente fra loro, da un lato la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale, dall’altro il loro accoglimento o ri-

29 In tal senso BRIGUGLIO, Ecco il «filtro»! (l’ultima riforma del giudizio di cassazione), in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, III, 1, Ricorso per cassazione, Padova 2009, p. 50 ss. e www.judicium.it., § 2; BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova 2009, p. 148; CARRATTA, Il «filtro», cit., p. 1565; DAMIANI, in La riforma del giudizio di cassazione. Commentario al D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, capo I e alla L. 18 giugno 2009, n. 69, capo IV, a cura di Cipriani, Padova 2009, p. 276; NAPPI, Il sindacato, cit., p. 73 s.;

REALI, in La riforma, cit., p. 131 ss.; SASSANI-TISCINI, in Commentario, cit., p. 161 s.

30 In tal senso DE CRISTOFARO, in Codice di procedura civile, cit., p. 248 (solo però per l’inammissibilità, non anche per la manifesta fondatezza/infondatezza, dovendo questa riferirsi all’intero ricorso); MONTELEONE, Il punto sul nuovo art.

360 bis c.p.c. (sull’inammissibilità del ricorso alla cassazione civile), in Giusto proc. civ., 2010, p. 974;RAITI, Note esegetiche, cit., § 3; RORDORF, Nuove norme, cit., p. 139.

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getto per manifesta fondatezza/infondatezza. Già dunque sembrerebbe che la pronuncia fosse con- sentita solo laddove la sorte del ricorso principale e quella del ricorso incidentale fossero identiche.

Ma anche volendosi limitare al solo ricorso principale (od al solo ricorso incidentale), è sufficiente prospettare le varie ipotesi possibili, per rendersi conto che la norma non può essere seguìta in mo- do realmente rigoroso.

Infatti: in presenza di alcuni motivi manifestamente fondati e di altri manifestamente infon- dati, non sussistono problemi, dato che il risultato è comunque l’accoglimento del ricorso, con pie- no rispetto, dunque, della lettera del n. 5; in presenza, con riferimento ai diversi motivi, di più cause di inammissibilità, stesso discorso, la pronuncia essendo comunque di inammissibilità, con rispetto, dunque, della lettera del n. 1; ancora nessun problema si presenta nella contemporanea presenza di alcuni motivi inammissibili e di altri manifestamente fondati, dato che in questo caso, al pari di quanto visto nel primo, il risultato è comunque, nel rispetto della lettera del n. 5, l’accoglimento del ricorso; altrettanto non può però dirsi laddove alcuni motivi risultino inammissibili ed altri manife- stamente infondati; in questo caso, infatti, non è possibile una pronuncia unitaria, ma occorre di- chiarare in parte l’inammissibilità ed in parte l’infondatezza; dunque, in questa ipotesi, posto che non si integra né il n. 1 né il n. 5, volendo rispettare rigorosamente la legge il ricorso dovrebbe esse- re rimesso alla sezione semplice.

Posto che tale risultato è manifestamente incongruo e che il buon senso si ribella ad una pro- spettiva di questo tipo, è giocoforza ammettere che la pronuncia può anche avere contenuto diffe- rente per i singoli motivi di ricorso.

Se così è, non pare però allora che il passaggio ulteriore, vale a dire quello di ritenere am- missibile una pronuncia – non solo con contenuto differente per i singoli motivi, ma – limitata solo ad alcuni di essi, con rimessione alla sezione semplice quanto agli altri, rappresenti una prospettiva così improponibile. Se poi si considera che, come già sopra argomentato31, volendo ammettere la pronuncia dell’apposita sezione solo a condizione che essa riguardi l’intero ricorso il risultato sa- rebbe la totale inutilità, in un grandissimo numero di casi, del lavoro della sezione medesima, non avrei dubbi sulla necessità di ammettere senz’altro la possibilità di una pronuncia concernente solo alcuni motivi. Pronuncia, si aggiunga, avverso la quale non mi pare del resto che, concettualmente, si frappongano ostacoli particolari.

7. – Chiarito questo, e tornando a questo punto più specificamente all’art. 360-bis, ciò su cui, riprendendo il filo del discorso, occorre continuare ad interrogarsi è quale sia l’effettiva portata normativa della disposizione.

A tale proposito, appurato, alla luce della trattazione precedentemente svolta32, che quelle in questione altro non sono se non manifestazioni specifiche della (non) manifesta infondatezza, e dato dunque che, come tali, esse rientrerebbero senz’altro nella relativa, preesistente e più generica, valu- tazione ex art. 375, n. 5, la suddetta portata è affidata a due possibili aspetti: da un lato la riduzione, o al limite l’ampliamento, dei motivi di ricorso in cassazione, eventualmente ricollegabile alla pre- visione; dall’altro le conseguenze, diverse da quelle della manifesta infondatezza, eventualmente derivanti dal fatto di aver classificato, sia pure impropriamente, secondo quanto detto, le ipotesi in discorso in termini di inammissibilità.

Quanto al primo aspetto, il problema si pone, abbastanza manifestamente, solo con riferi- mento alla seconda fattispecie (quella relativa alla manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei princìpi del giusto processo). Quanto infatti alla prima (quella relativa all’inidoneità

31 V. retro n. 5, in fine.

32 V. retro nn. 2 s.

Riferimenti

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