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LA DIFESA CIVILISTICA DEL MEDICO NEL DANNO DA AGENTI BIOLOGICI Avv. Renato Ambrosio

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Academic year: 2022

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LA DIFESA CIVILISTICA DEL MEDICO NEL DANNO DA AGENTI BIOLOGICI

Avv. Renato Ambrosio

1. Infezione attribuita a colpa del medico e possibili vie di difesa

Oggigiorno il medico si trova ad operare in strutture sanitarie spesso carenti sotto il profilo dell’igiene. Senza dubbio, ciò pone il medico in una posizione quanto mai difficile: per un verso, infatti, abbiamo regole, ricavabili dalla giurisprudenza, per cui il medico sarebbe sempre tenuto ad accertarsi ed a verificare l’adeguatezza della sala operatoria o delle condizioni dell’ambiente in cui si svolge la fase post-operatoria, con l’obbligo di astenersi dall’intervento o eventualmente di fare trasferire il paziente ogniqualvolta la salute di quest’ultimo sia a rischio; per altro verso non si può certo pretendere che il medico rinvii tutte le operazioni o trovi altre sistemazioni in attesa che qualcosa cambi nella struttura, soprattutto se pubblica.

A parte dunque i casi, in cui il medico incorre in negligenza o imperizia o imprudenza nella predisposizione di quelle misure necessarie ad evitare l’insorgere delle infezioni, si deve rilevare come per le altre ipotesi sia ben difficile per chi agisce fare emergere nel contesto di un’azione civile – e ancora di più nell’ambito penalistico – una responsabilità individuale del medico, o comunque una responsabilità esclusiva dello stesso per il danno cagionato da agenti biologici.

Infatti, soprattutto nel caso del medico dipendente di una struttura ospedaliera, sarà sempre ravvisabile la responsabilità concorrente dell’ospedale, che ha accolto il paziente, ed è su questo dato che si trova in primis a lavorare l’avvocato, che assiste il medico evocato in giudizio dal paziente.

A fronte di questo quadro, una prima conclusione, che si può trarre, è che conviene al medico non rimanere passivo dinanzi alle eventuali carenze dell’ospedale, ma al contrario farsi parte attiva, segnalando per iscritto a chi di competenza le carenze igieniche dell’ambiente in cui opera, oppure le carenze, anche solo numeriche, a livello di personale addetto alla verifica della salubrità della sala operatoria o dei reparti di degenza, o di altri fattori che possono incidere sull’evolversi di un processo infettivo: ciò non solo in vista di possibili azioni legali nei suoi confronti, ma anche per una migliore tutela del paziente cui il medico deve sempre mirare.

La circostanza, che il medico si sia attivato per segnalare le carenze delle strutture, può infatti costituire senz’altro la base per una prima difesa civilistica

Avvocato giurista, Torino

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dello stesso, almeno ai fini della ripartizione della responsabilità con la struttura ospedaliera evocata in giudizio.

Nell’operare tali segnalazioni il medico dovrà chiedere anche lumi circa l’opportunità di proseguire o meno con l’effettuazione degli interventi o delle cure in determinati ambienti non igienicamente adeguati a garantire piena tutela al paziente.

Il medico, ad ogni modo, non può ovviamente ritenere di andare assolto totalmente da responsabilità, una volta che abbia provveduto a tali segnalazioni. Infatti, nel caso in cui l’operazione o la fase di degenza post- operatoria presenti un elevato rischio di infezione dovrà comunque adottare tutte le misure idonee a tutelare il paziente, eventualmente anche astenendosi dall’intervento, sempre che ciò sia possibile in base alle singole circostanze del caso concreto. In altre parole, le condizioni ambientali devono risultare perlomeno “accettabili”, e, se ciò non fosse, il medico potrebbe essere responsabile per avere sottoposto il paziente a rischi, cui andava al contrario sottratto.

Sia sufficiente a quest’ultimo proposito ricordare che la Cassazione1, sia pure in una diversa fattispecie, ha ritenuto responsabile il medico, per avere eseguito un’operazione, malgrado la strumentazione disponibile non consentisse di eseguirla entro margini di sicurezza “accettabili”.

Per accettabilità, a mio avviso, si deve intendere in buona sostanza che le condizioni, in cui si trova ad operare il medico, devono risultare ad un primo esame esenti da situazioni di rischio.

In quest’ottica, bisogna altresì rilevare come una difesa tutta impostata sulla responsabilità concorrente (od anche esclusiva della struttura ospedaliera) sarà più agevole per il caso del medico dipendente; mentre nell’ipotesi inversa del medico che opera in una struttura privata consigliata dal medesimo al paziente, siffatto tipo di difesa potrà incontrare qualche difficoltà in più: infatti, il medico, indicando al paziente una determinata struttura privata, ne garantisce – sempre unitamente alla struttura stessa – anche la qualità dei servizi, con un rischio più elevato di un suo concorso di responsabilità.

Altra difesa, che può utilizzare il medico, è di provare che l’evento o gli eventi, da cui è scaturita l’infezione, esulavano dalla sfera del suo controllo, così come definita nei suoi confini dalla giurisprudenza sulla base dei concetti di diligenza nell’adempimento della prestazione professionale medica.

Certamente, una difesa di questo tipo richiede l’ausilio di un medico legale e di uno specialista infettivologo, che dovranno analizzare il percorso seguito dal microrganismo individuando gli eventuali accorgimenti che il medico, per impedire il verificarsi dell’infezione, era tenuto ad utilizzare o avrebbe dovuto

1 Ad es. Cass., 27-07-1998, n. 7336, in Resp. civ. Prev., 1999, 996.

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applicare in base alle conoscenze acquisite nel campo della scienza medica al momento del fatto.

Nel caso, in cui poi effettivamente l’infezione rientrasse nella sfera di controllo del medico, quest’ultimo potrà adottare come difesa l’inevitabilità dell’insorgere dell’infezione. Ma in questa ipotesi dovrà altresì provare di avere adeguatamente informato il paziente sull’ineluttabilità di questa conseguenza, nonché dimostrare di avere comunque adottato tutte le misure idonee e acquisite alla scienza medica per evitare l’insorgere del processo infettivo.

Quest’ultimo tipo di difesa risulta così decisamente articolata e irta di ostacoli, a partire dal noto problema del consenso informato e dei limiti che incontra, sul piano della responsabilità, il semplice fatto che il medico abbia adeguatamente spiegato al paziente i rischi dell’intervento.

Senza entrare nel merito della problematica della responsabilità per omessa informazione, si deve ad ogni modo rilevare che non basta per il medico dimostrare di avere ottenuto correttamente il consenso del paziente, essendo invece necessaria la prova di avere comunque operato secondo tutti i crismi, che caratterizzano la professione medica.

E’ bene poi precisare che tutte queste difese possono concorrere l’una con l’altra, ovviamente a seconda di ogni singolo caso concreto.

2. Il processo infettivo come via di difesa del medico

Fin qui abbiamo esaminato quelle che possono essere le possibili difese civilistiche del medico nei casi di azioni promosse nei suoi confronti per il danno da agenti biologici, e cioè nelle ipotesi in cui la responsabilità dell’infezione sia attribuita, per intero o in concorso con la struttura sanitaria, allo stesso.

Mi sembra tuttavia opportuno rilevare come nella diversa ipotesi, in cui il medico sia evocato in giudizio sulla base di un suo asserito errore nell’esecuzione dell’intervento, la prova di un nesso causale tra il danno subito dal paziente e un processo infettivo potrebbe costituire un’ottima difesa civilistica per il medico, qualora lo stesso sia in grado di dimostrare la sua totale estraneità all’insorgenza dell’infezione.

In questo caso la sussistenza di un processo infettivo potrebbe trasformarsi essa stessa in una strada difensiva a favore del medico, andando o ad interrompere il nesso di causa oppure, quanto meno, a diminuire la responsabilità in presenza di un classico errore professionale.

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3. Osservazioni conclusive: tutela civilistica del medico e questioni assicurative

Sempre ed in ogni caso il medico deve premunirsi con coperture assicurative, che devono risultare “adeguate” per la sua effettiva tutela.

Ciò implica anche che il medico deve conoscere preventivamente le garanzie che la polizza gli riconosce, e deve preoccuparsi che il massimale sia rivisto annualmente alla luce dell’inflazione, dell’eventuale incremento del quantum dei risarcimenti e dell’ingresso, sempre possibile, di nuove voci di danno.

Il medico deve cioè prevenire l’eventuale problema di un’azione futura intrapresa contro di lui e certo non potrà sottovalutare questo profilo, pensando di lesinare sull’assicurazione professionale a tal punto da investire su di essa meno di quanto spende normalmente per assicurare la propria auto di media cilindrata.

Del resto, quando il medico si assicura, deve vedere ciò nell’ottica non solo di salvaguardare se stesso, ma di fornire tutela al paziente che opera.

Tali premesse mi sembrano opportune, poiché un medico ben garantito sotto il profilo assicurativo ben difficilmente subirà quantomeno ripercussioni di carattere economico da un’azione civile intrapresa nei suoi confronti e vinta dall’attore.

Il che significa che nei casi in cui l’azione avviata dalla vittima risulti, almeno parzialmente fondata, è conveniente per il medico insistere, affinché la sua compagnia assicuratrice tenti, in modo serio, di addivenire ad una transazione bonaria, eventualmente fornendo subito a quest’ultima tutti gli elementi a lui sfavorevoli, affinché possano essere oggetto di idonea valutazione dagli esperti dell’assicurazione.

Il medico non deve cioè limitarsi ad effettuare una denuncia alla propria assicurazione, ma deve anche pretendere di essere informato delle proposte transattive che la stessa va ad effettuare, oppure delle motivazioni che hanno condotto la compagnia assicuratrice alla decisione di non cercare accordi. E questo specialmente, quando si ritiene in qualche modo responsabile.

Una transazione civilistica lo aiuterà senza dubbio anche nelle eventuali pendenze penali.

In vari casi, il medico ha del resto tutto l’interesse in una pronta soluzione risarcitoria da parte dell’assicurazione: infatti, un’eventuale transazione, oltre risparmiargli l’incertezza che deriva dalla lunghezza e complessità dei processi civili, può altresì conservare un buon rapporto con il paziente.

Il medico dovrà anche interessarsi nel tentativo di influenzare la scelta dell’avvocato operata dalla compagnia assicuratrice, così come delle linee difensive messe in atto dalla stessa, e comunque della scelta degli specialisti medici qualificati ai fini della tutela sua personale.

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Il medico deve quindi pretendere di venire coinvolto nelle varie scelte fondamentali per la sua difesa.

L’assicurazione non attenta alle indicazioni del proprio assicurato potrà in alcuni casi anche essere chiamata a rispondere dell’eventuale esito sfavorevole della causa ed eventualmente a risarcire anche gli eventuali danni all’immagine che il medico potrà avere subito. E questo sempre solo in seguito ad una specifica, corretta e preventiva diffida.

Ovviamente, queste sono indicazioni del tutto generali, pur tuttavia molti dei problemi, che il medico incontra quando il paziente riporta un danno e agisce nei suoi confronti, attengono proprio, almeno in prima battuta, alla risposta che proviene dalle compagnie assicuratrici2.

Peraltro, mi sembra opportuno rilevare come anche gli avvocati, che assistono le vittime, devono iniziare a porsi di più nell’ottica del ricercare una transazione prima di decidersi ad avviare le azioni giudiziarie, con grave pregiudizio per l’immagine del medico, specialmente in seguito alla proposizione dell’azione penale.

Il ricorso allo strumento della repressione giudiziaria del medico richiede del resto a mio avviso maggiore cautela: infatti, certamente le negligenze del medico non sono giustificabili sul piano giuridico, ma molte di esse risultano comprensibili almeno sul piano umano, date anche le carenze che caratterizzano le nostre strutture sanitarie.

In quest’ottica, forse, il ricorso alla via della transazione può risultare di beneficio a tutti, sia al medico, che anche quando commette degli errori non può essere criminalizzato, sia al paziente, che nella maggior parte dei casi non cerca vendetta, ma solo un sostegno economico per fare fronte alle esigenze, che scaturiscono dagli errori.

2 Non bisogna dimenticare che quando il comportamento del medico responsabile è improntato ad un rapporto umano con il paziente quest’ultimo, ancora oggi, è disposto a giustificare l’evento avverso che lo ha interessato e non a rivolgersi al giudice. Cfr. Farneti, La responsabilità del primario, in Tagete, settembre 2000.

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