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Uno strumento d’indagine utile in campo medico legale e all’interno di un approccio integrato della valutazione del danno alla persona

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ESAME NEUROPSICOLOGICO IN MEDICINA LEGALE Uno strumento d’indagine utile in campo medico legale e all’interno di un approccio integrato della valutazione

del danno alla persona

Dr. Angelo Bianchi - Neuropsicologo, Arezzo Dr. Saverio Luzzi - Neurologo, Arezzo

Esame neuropsicologico: Misurazione del funzionamento cognitivo

La neuropsicologia si occupa dei rapporti tra cervello e funzioni cognitive. La gran parte della neocorteccia cerebrale umana, unitamente a numerose strutture sottocorticali e limbiche, è quasi interamente dedicata all’analisi, immagazzinamento ed elaborazione dell’informazione proveniente dall’ambiente, ed alla produzione di informazione verso l’ambiente. Attenzione, percezione, memoria, linguaggio, ragionamento, pianificazione dell’azione etc. sono solo alcuni dei nomi utilizzati per descrivere le diverse componenti del nostro straordinario sistema di trattamento dell’informazione.

La neurologia classica, nonostante una enfasi particolare sulle funzioni sensorimotorie e sui nervi cranici, ha da sempre prestato attenzione alle cosiddette “funzioni corticali superiori”, producendo tra l’altro (si pensi ai contributi di Broca, Wernicke, Luria, Goldstein) descrizioni di sindromi ancor oggi largamente utilizzato: afasia, aprassia, agnosia, alessia ed agrafia, acalculia ecc. Già nella neurologia classica, peraltro, alcuni pensavano (Marie, Head, Lashley) che il cervello non possedesse alcuna rigida specializzazione funzionale, per cui un qualunque danno cerebrale avrebbe comunque indebolito la generale capacità cognitiva del soggetto, da cui le nozioni - anche queste ancora ben radicate - di “danno organico cerebrale” e “sindrome psicorganica”.

La moderna neuropsicologia, ultima arrivata tra le neuroscienze (si fa risalire ad Hécaen il suo inizio, nei primi anni ’60), ha ereditato ed insieme profondamente innovato questa tradizione, grazie all’introduzione di tecniche sofisticate per la misurazione del funzionamento cognitivo, in gran parte derivate dalla psicologia applicata e dalla psicometria. In questi ultimi due decenni, in particolare, sono stati sviluppati test e batterie di test neuropsicologici altamente validi - misurano effettivamente ciò che pretendono di misurare - ed affidabili nelle stesse circostanze producono gli stessi risultati.

Accanto ai tradizionali esami di tipo neurofisiopatologico e neuroradiologico, e fino alla disponibilità su larga scala di tecniche d’imaging funzionale, l’esame neuropsicologico deve pertanto considerarsi lo strumento diagnostico d’elezione in tutte quelle situazioni ove sia utile descrivere e misurare il funzionamento cognitivo del soggetto affetto da patologia neurologica presunta od accertata, condizione questa assai frequente in contesti medico legali. Evidenze neuropsicologiche riguardanti il tipo e la gravità dei disturbi cognitivi, il loro significato prognostico, le implicazioni terapeutico-assistenziali, sono di importanza centrale nelle procedure per la concessione di benefici sociali, come pure nella valutazione del danno alla persona.

Fatte queste necessarie premesse, illustreremo brevemente alcune delle principali applicazioni medico legali della metodologia neuropsicologica.

La valutazione del funzionamento cognitivo premorboso

Uno degli scopi principali dell’esame neuropsicologico in contesti medico legali consiste nell’accertare se il soggetto presenti attualmente un funzionamento cognitivo simile a quello premorboso o se abbia invece subito un deterioramento dovuto alla malattia, per esempio un trauma cranico. A questo scopo, l’esame neuropsicologico deve essere in grado di fornire una

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misura indiretta del livello di funzionamento premorboso, oltre che di quello attuale. Solo questo tipo di comparazione, infatti, può consentire l’attribuzione di un nesso di causalità tra evento morboso ed eventuali anomalie osservate. La comparazione normativa (cioè il confronto con le prestazioni di soggetti dello stesso gruppo d’età) è, a rigore, solamente in grado di collocare il soggetto esaminato in un punto della distribuzione normale (per esempio, al 5° percentile, oppure due deviazioni standard sotto la media, ecc.), ma non consente alcuna inferenza sulle possibili cause della situazione attualmente osservabile. Questo tipo di inferenza è possibile solo sulla base di una comparazione intraindividuale, prima e dopo l’evento patologico.

Esistono due procedure principali per stimare il livello di funzionamento cognitivo premorboso: una basata sull’utilizzo delle informazioni demografiche ed anamnestiche disponibili (in particolare la storia scolastica e lavorativa, la familiarità, l’anamnesi remota), l’altra sull’utilizzo di test particolarmente resistenti al danno neurologico (per esempio il subtest di Vocabolario della scala WAIS, oppure test che esplorano l’abilità di lettura di parole ad accentazione irregolare, come il TIB, Test d’Intelligenza Breve).

Problemi di diagnosi differenziale

L’esame neuropsicologico riveste un ruolo centrale nella diagnosi differenziale tra disturbi cognitivi organici e funzionali. Da una parte, esistono numerose condizioni neurologiche che possono manifestarsi con sintomi erroneamente interpretabili come funzionali, specialmente se scarsamente sopportate da evidenze neuroradiologiche o neurofisiopatologiche per esempi:

atrofie corticali circoscritte, focolai epilettogeni in regioni temporo-mesiali e fronto-basali, quadri di danno assonale diffuso post-traumatico, ecc. La grave amnesia conseguente ad aneurisma della comunicante anteriore, ad esempio, potrebbe facilmente essere considerata del tutto sproporzionata dal danno anatomico eventualmente rilevabile, ed alla sostanziale integrità sensorimotoria.

D’altro canto, molti quadri psichiatrici presentano disturbi cognitivi, in particolare della memoria, che possono facilmente essere scambiati per disturbi organici. In questi casi, il corpo delle conoscenze attualmente disponibili circa l’organizzazione ed il funzionamento delle abilità cognitive permette di interpretare le prestazioni del singolo paziente come plausibili oppure no plausibili dal punto di vista neuropsicologico, secondo criteri a volte divergenti rispetto al senso comune. Per esempio, lo studio di pazienti gravemente amnesici (per esempio dopo asportazione bilaterale dell’ippocampo) ha mostrato abilità di apprendimento residuo in particolari condizioni, per esempio in compiti di memoria implicita. Chiaramente, un paziente con deficit di apprendimento in questo tipo di compiti mostrerebbe un comportamento poco plausibile dal punto di vista neuropsicologico, più verosimilmente indicativo di disturbo funzionale.

Un altro problema di diagnosi differenziale dove l’esame neuropsicologico riveste un ruolo centrale è quello tra demenza iniziale, pseudodemenza depressiva e deterioramento dovuto al semplice invecchiamento fisiologico. Anche in questo caso, l’analisi attenta del comportamento prima e durante l’esame, come pure il profilo delle abilità cognitive compromesse e di quelle preservate, possono consentire al neuropsicologo clinico inferenze altrimenti assai difficoltose.

Più recentemente, l’esame neuropsicologico si è rivelato estremamente efficace nella identificazione presintomatica dei disturbi cognitivi in soggetti a rischio per patologie neurodegenerative familiari.

Il problema della simulazione

Trattandosi di un esame del comportamento in condizioni controllate, la validità dell’esame neuropsicologico dipende in larga misura dal livello di cooperazione del soggetto esaminato. Tra

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le possibili cause di scarsa cooperazione, la simulazione riveste un’importanza centrale in ambito medico legale. L’incidenza della simulazione risulta particolarmente elevata soprattutto nelle situazioni post-traumatiche.

Rispetto ai primi studi pionieristici, basati prevalentemente sull’osservazione qualitativa del comportamento di simulatori e di soggetti normali ai quali veniva chiesto di simulare un qualche disturbo, la nostra conoscenza dei fenomeni di simulazione durante l’esame neuropsicologico si è oggi arricchita di nuovi e sofisticati strumenti d’indagine, che vengono di solito indicati in modo riassuntivo come indicatori di validità dei sintomi. Il prototipo di questo tipo di strumenti è rappresentato dalle ben note scale di validità dell’inventario di personalità MMPI, largamente utilizzato anche nel nostro paese. Più recentemente, sono tali proposti altri test neuropsicologici di tipo quantitativo (per esempio, il Digit Memory Test) che si sono rivelati particolarmente efficaci nell’identificazione dei casi sospetti.

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni esposte, si può senz’altro concludere che l’esame neuropsicologico rappresenti uno degli strumenti d’indagine più utili in campo medico legale, auspicandone una più estesa e rigorosa applicazione.

Correttamente collocato all’interno di un approccio integrato alla valutazione del danno alla persona, l’esame neuropsicologico può inoltre rappresentare una feconda occasione di incontro e di arricchimento interdisciplinare.

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Riferimenti

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