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La pericolosità della commercializzazione di tabacchi e la responsabilità del produttore - Judicium

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Roberto Carleo

LA PERICOLOSITÀ DELLA COMMERCIALIZZAZIONE DI TABACCHI E LA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE

SOMMARIO: 1. Il danno da fumo attivo e la responsabilità del produttore: i termini della questione. - 2. La responsabilità del produttore e l’art. 2050 cod. civ.: l’aspirazione della S.C. a fissare i termini della questione. - 3. Le persistenti incertezze. - 4. La difficoltà di semplificare un problema oggettivamente complesso.

1. Il danno da fumo attivo e la responsabilità del produttore: i termini della questione.

Il danno da fumo1, ed in particolare quello da fumo attivo2, costituisce un tema piuttosto articolato i cui nodi problematici sono stati oggetto di un crescente e fervido interesse da parte della più attenta dottrina3 e di un ondivago e mutevole approccio da parte della giurisprudenza, la quale, nelle pronunce susseguitesi nell’ultimo quindicennio4, ne ha tracciato una vera e propria parabola evolutiva confluita, da ultimo, nella discussa sentenza della Cassazione, sezione III, 17 dicembre 2009, n. 26516, che ha reputato la commercializzazione dei tabacchi quale attività (ex se) pericolosa, imputando, pertanto, al produttore la responsabilità dei danni subiti dai fumatori ai sensi dell’art.

2050 cod. civ.5.

1 Tale fenomeno, come sottolinea G. BALDINI, Il danno da Fumo. Il problema della responsabilità nel danno da sostanze tossiche, ESI, Napoli, 2008, p. 9 e ss., va inquadrato all’interno della più ampia tematica dei «c.d. toxic torts o illeciti provocati da esposizione ovvero consumo a/di sostanze/agenti tossici» e, di conseguenza, nella categoria degli illeciti di massa o mass torts.

2 Questione diversa, invece, è quella che attiene al fumo passivo. Il ruolo preminente che l’ordinamento riconosce al diritto alla salute del non fumatore ed alla lesione del proprio diritto alla autodeterminazione, costituisce la ragione primaria delle sentenze pronunciate in sede giurisprudenziale sul tema. Tra i tanti vedi G. PONZANELLI, Fumo passivo e tutela nei luoghi di lavoro, in Danno e resp., 2, 1997, p. 174 ss.; G. MAMMONE, La salute dei lavoratori non fumatori, in Ambiente, 5, 1997; in merito ai “profili di responsabilità del produttore, del fumatore e del datore” e, nell’ambito del danno da fumo passivo, G. BALDINI, Il danno da fumo, cit., p. 513 ss.

3 La quale ha compiuto una attenta disamina del fenomeno all’interno dei confini italiani anche sulla scorta della esperienza statunitense (Tobacco litigation) che già dalla metà del secolo scorso si è trovata a dover fronteggiare questo fenomeno. Per un quadro sintetico, seppure esaustivo, in merito all’“evoluzione delle tabacco tort litigations statunitensi” ed i relativi riferimenti, tra gli altri e da ultimo, v. C.M. CASCIONE, La responsabilità per danni da fumo, in Danno e resp., 10, 2010, p. 870 e ss. e P.G. MONATERI, La Cassazione e i danni da fumo: evitare un ennesimo

“isolamento italiano”, in Danno e resp., 2011, 1, p. 61-63.

4 Si è rilevato come alcune pronunce siano solo di “mero principio”, come Cass., sez. II, 30 ottobre 2007, n.

22884, (in Foro it., 2007, I, p. 3379 e in La resp. civile, 2008, p. 210, con nota di F.R. FANTETTI, Il danno da fumo e la recente normativa in tema di class action; in Giust. civ., 2008, I, p. 112, annotata da A. BRIGUGLIO, Danni da fumo in Cassazione: un’occasione sfumata; in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 570, con commento di G. GIACCHERO, Fumo attivo: nuove strategie e vecchi clichè), ossia la nota sentenza relativa al caso Stalteri in cui, la rinuncia in Cassazione a gran parte dei motivi di ricorso operata dalla British American Tobacco, ha, di fatto, impedito alla Suprema Corte di prendere in esame i reali termini della questione.

5 In, Resp. civ., 2010, 5, p. 334 ss., con commento di F.R. FANTETTI, p. 339 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 660 ss. con nota di commento di D.CAVUCCI, Attività pericolosa e responsabilità oggettiva del produttore di sigarette, p. 667 ss.; in Foro It., 2010, 1, p. 870 ss., con nota di A. PALMIERI, Produzione di sigarette e responsabilità per danni al fumatore:l’avanzata irrefrenabile dell’art. 2050 c.c.(anche in assenza di potenziali beneficiari dell’attività pericolosa), p. 880 ss.; in Danno e Responsabilità, 2010, 6, p. 569 ss., con commento di V.

D’ANTONIO, p. 575 ss.; in Corr. giur., 2010, 4, p. 482 ss., con commento di G. PONZANELLI, La produzione di sigarette è attività pericolosa, p. 488; in Guida al diritto, 2010, 8, 20 febbraio, p. 59 ss., con commento di P.G.

MONATERI, Se il fumatore è consapevole del rischio può esser escluso il risarcimento, p. 67 ss. La sentenza, altresì, è

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La complessità della questione si riviene sotto molteplici profili. Accanto a problemi squisitamente giuridici, che riguardano, tra l’altro, il non facile inquadramento sistematico di tale figura nell’ambito della responsabilità civile, sussistono una serie di implicazioni dal rilievo ineludibile, che operano a livello sociale, economico e politico6.

Nell’affrontare il problema nella sua complessità, sia pure al fine di verificare la sussistenza dei presupposti alla stregua dei quali poter utilizzare la categoria della responsabilità aquiliana7 quale strumento per imputare o meno al produttore il danno da fumo attivo, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di indagare ed analizzare tutti i singoli fattori che entrano in gioco in tale dinamica e polimorfica vicenda per approdare a soluzioni divergenti.

In via meramente esemplificativa si può rilevare che, allorquando si voglia affrontare la questione “danno da fumo attivo”, emergono una serie di aspetti ineludibili. Fra questi: la difficoltà di iscrivere l’attività di produzione e commercializzazione delle sigarette all’interno di una precisa categoria giuridica in grado, poi, di inquadrare specificatamente la responsabilità di questo danno all’interno di una fattispecie a dispetto di un’altra; il ruolo da attribuire all’utilizzatore finale del prodotto ed, in particolare, alla sua capacità di interrompere il nesso eziologico tra uso della sigaretta ed evento lesivo; la funzione svolta dalla pubblicità apposta sul prodotto8, in particolare per quanto riguarda la incidenza da assegnare a tali informazioni sul principio di autodeterminazione del fumatore; la rilevanza da attribuire alla nocività del fumo come fatto notorio, in particolare per quanto riguarda la sua correlazione con la presunzione legale di conoscenza in relazione all’insorgere di una dipendenza che vincola la freedom of choice, etc.

Ciascuno di questi fattori, esemplificativamente richiamati, sta a rappresentare solo alcuni degli aspetti che interessano il coacervo di questioni che gravitano intorno al tema del danno da fumo attivo; ognuno di essi postulerebbe un esame approfondito che, tuttavia, esula dal nostro

stata commentata da: P.G. MONATERI, La Cassazione i danni da fumo: evitare un ennesimo “isolamento italiano”, in Danno e Responsabilità, 2011, 1, p. 57 ss., e V. CARBONE, L’attività di commercializzazione di tabacco da fumo integra un’attività pericolosa a norma dell’art. 2050 c.c., in Corr. giur., 2010, 2, p. 164 ss.

6 Per inquadrare la portata della tematica e comprenderne la complessità, che a nostro parere ne costituisce il dato caratterizzante, è sufficiente riflettere sull’“anomalo” ruolo giocato dallo Stato - quale soggetto interessato alla vendita e produzione delle sigarette e, al contempo, promotore dell’emanazione di una severa normativa antifumo (v.

sul punto V. ZENO-ZENCOVICH, IL danno da produzione di tabacchi: problemi teorici e aspetti applicativi, in Resp.

civ. prev., 2002, p. 949 ss.) -, sul gravoso impatto che il danno da fumo provoca a livello sanitario, sul potere economico delle multinazionali produttrici di tabacchi anche per quanto attiene l’aspetto occupazionale, etc.

7 Vedi, G. PONZANELLI, I problemi della tutela risarcitoria da fumo attivo, in Resp. civ. prev., 2005, 959 ss.

8 Al riguardo non ci si può esimere dal richiamare la pronuncia a Sezioni Unite, 15 gennaio 2009, n. 794, che, proprio in relazione al danno da fumo e alla problematica della pubblicità ingannevole, ha enunciato – sulla scorta di orientamenti giurisprudenziali consolidati al riguardo (v.: Cass. Sez. III, 13 febbraio 2007, n. 3086, in Foro it., 2007, 11, p. 3144 ss.; Cass., sez. III, 4 luglio 2007, n. 15131, in Danno e resp., 2008, 5, p. 515 ss. con commento V.

D’ANTONIO, La Cassazione e il danno da fumo attivo:alla ricerca di un orientamento che non c’è, e di Cass. Sez. III, 30 aprile 2009, n. 10120) i seguenti principi di diritto: «L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo “LIGHT” sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento, che vieti l’espressione impiegata»; ed inoltre, che «Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose». Vedi in dottrina: V. D’ANTONIO, Sigarette “LIGHT” pubblicità ingannevole e danni al consumatore:i due principi fissati dalle sezioni unite, in Corr. giur., 2009, 6, p. 773 ss.; R. BIANCHI, Sigarette light e nuovo danno non patrimoniale, in Nuova giur. civ., 2009, 7-8, p. 783 ss.; G. GLIATTA, Il danno da fumo: la tutela dei consumatori dalla pubblicità ingannevole al risarcimento civile del danno, in Resp. civ., 2010, 2, p. 110 ss.; R. DE STEFANIS, Sigarette “Light”, pubblicità ingannevole e risarcimento del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2009, 8-9, p. 853 ss.

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campo di indagine, incentrato ad analizzare la natura dell’attività di commercializzazione dei tabacchi e la connessa responsabilità del produttore.

Il recente orientamento della Cassazione, dal quale traggono spunto le riflessioni che seguiranno, impone, comunque, una preliminare disamina, seppure a grandi linee, del quadro delineato dalla giurisprudenza sulla problematica della responsabilità del danno da fumo attivo, posto che il più recente orientamento giurisprudenziale, volto a configurare la produzione e commercializzazione di sigarette come attività pericolosa ex art. 2050 cod. civ., giunge dopo un lungo e tormentato iter, che non sembra, però, possa considerarsi concluso.

Appare opportuno ricordare come il tema del danno da fumo e la connessa responsabilità che ne consegue, costituiscano una questione che è stata posta al vaglio della giurisprudenza italiana relativamente di recente rispetto all’esperienza maturata negli Stati Uniti con le note vicende della Tobacco litigation9. A ben vedere, infatti, la prima domanda risarcitoria azionata nelle nostre aule giudiziarie da parte dei congiunti di un fumatore morto a causa di un tumore ai polmoni nei confronti del Monopolio dei tabacchi (attuale British American Tobacco Italia) risale solamente al 199710.

Le pronunce che hanno fatto seguito a questa prima sentenza consentono di tracciare una netta linea di demarcazione tra decisioni che, sia pure con una pluralità di distinguo, concordano nel ravvisare la responsabilità del produttore e, quindi, una risarcibilità del danno da fumo attivo11 e altre che, al contrario, la escludono sulla scorta di puntuali argomentazioni1213.

9 Vedi R. RABIN, Il contenzioso per danni da fumo negli Stati Uniti: cinquant'anni di guerra inutile, in Resp.

civ. prev., 2005, p. 938 ss.

10 Trib. Roma 4 aprile 1997, in Danno e resp., 1997, p. 750 ss., con commento di F. CAFAGGI, Immunità per i produttori di sigarette: barriere culturali e pregiudizi di una giurisprudenza debole e in Le nuove aree di applicazione della responsabilità, di G. VISINTINI, 2003, Milano, p. 309 e 310. Una pronuncia, questa, nella quale - come messo in luce da parte della dottrina (G. BALDINI, Il danno da Fumo, cit., p. 166) - era evidente l’intento quasi sbrigativo del collegio di voler «chiudere in maniera rapida ed indolore un contenzioso di notevole valore simbolico implicante profili di responsabilità che, ove riconosciuti, avrebbero potuto costituire precedenti con effetti importanti per gli assetti generali del sistema della responsabilità». Nella sentenza del Tribunale capitolino, l’attenzione è stata rivolta in particolare ad escludere l’esistenza del nesso causale tra l’utilizzo delle sigarette e l’insorgenza della malattia tumorale.

Circostanza, questa, ulteriormente suffragata dal riferimento che nella pronuncia viene rivolto al fatto che «non è chiarito nemmeno in sede scientifica … il meccanismo biologico che causa l’insorgenza della malattia», la quale potrebbe trarre origine da una predisposizione genetica del fumatore oltre che dalla sua esposizione ad altre sostanze nocive, etc.

11 App. Roma 7 marzo 2005, n. 1015, in Corr. giur., 2005, 5, 668 ss., con nota di P.G. MONATERI; I danni da fumo: classico e gotico nella responsabilità civile; in Foro it., 2005, I, 1218 ss., con nota di A. PALMIERI; in Danno e resp., 6, 2005, 641 ss., con commento di V. D’ANTONIO, La risarcibilità del danno da fumo tra "consuetudine "

giurisprudenziale e nuove prospettive: il caso Stalteri ridisegna la materia, p. 648 ss., nonché nota di G. GIACCHERO, Asimmetrie informative e danni da fumo attivo, p. 655 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 326, con nota di G.

ALPA Responsabilità civile. Prodotti da tabacco. Produzione e messa in commercio; in Giust. civ., 2006, I, p. 1304, con commento di F. PALADINI, Responsabilità civile e danni da fumo “attivo”; in Resp. civ. prev., 2005, p. 476, con nota di E. LUCCHINI GUASTALLA, La responsabilità del produttore per i danni da fumo attivo. Tale decisione ha disatteso l’orientamento espresso in primo grado da Trib. Roma 4 aprile 1997, cit., e contro la stessa è stato proposto ricorso in Cassazione cui ha fatto seguito la pronuncia n. 22884 del 30 ottobre 2007.

12 Tra le pronunce che negano la risarcibilità del danno da fumo attivo, in via esemplificativa, vedi: Trib.

Napoli 15 dicembre 2004, n. 12729, in Danno e resp., 6, 2005, 645 ss.; Trib. Roma 4 aprile 2005, in Nuovo Dir., 2005, p. 699, con nota di D. NAZZARO; in Corr. merito, 2005, 793 ss., con commento di E. GIOVANARDI; Trib. Roma 11 aprile 2005, in Danno e resp., 6, 2005, 631 ss., con nota di A. PALMIERI., Il fumo, abitudine nociva che non fa danni (risarcibili) a chi la pratica?; Trib. Brescia 10 agosto 2005, in Danno e resp., 12, 2005, p. 1210 ss., con commento di P.G. MONATERI; Trib. Roma, 11 febbraio 2000, in Corr. Giur., 2000, p. 1639, con nota di M. PACIFICO e in Giur.

it., 2001, 8-9-, 1643 con nota di G.GIACCHERO; in Rass. avv. Stato, 2001, I, 211 ss., con nota di L. MAZZELLA, Trib.

Roma 4 aprile 1997, in Danno e resp., 1997, 750 ss., con nota di F. CAFAGGI. Più recenti sono: Trib. Roma n. 23877 del 2007;Trib Roma, sez. II, 5 gennaio 2008, in Giust. civ. 2008, I, 1789,con nota di R. CARLEO, Danno da fumo attivo e autoresponsabilità; Trib. Roma, Sez. XII, 4 aprile 2008, n. 7242, in Danno e resp., 2009, p. 1079, con nota di B.

TASSONE, Tobacco litigation all’italiana e responsabilità civile che va in fumo; Trib. Roma, Sez. XIII, 29 agosto,

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Il filone favorevole ad imputare al produttore una effettiva responsabilità nell’ambito della produzione e commercializzazione di sigarette, anche se si biforca in due direttrici che fanno capo, rispettivamente, all’art. 2043 cod. civ. e all’art. 2050 cod. civ., poggia il proprio convincimento su una serie di specifiche ragioni. In primo luogo l’attenzione è stata posta sul rapporto e la coesistenza di due diritti costituzionali che entrano in gioco nella relazione instaurata tra consumatore finale di sigarette e produttore di tabacchi ossia, da un lato, il diritto alla salute (art. 32 Cost.) del fumatore e, dall’altro, il diritto all’impresa (art. 41 Cost.) del produttore. Ebbene, la preminenza che l’ordinamento riconosce al diritto alla salute fa si che il produttore di tabacchi sia considerato responsabile per il danno da fumo attivo allorquando, dalla attività di produzione e commercializzazione di tabacchi, derivi la lesione del diritto alla salute del consumatore finale.

Lesione, quest’ultima, che si connette ad un’altra indiscutibile argomentazione: il fumatore, sino all’intervento legislativo del 199014 in forza del quale è stata resa obbligatoria sui pacchetti di sigarette l’apposizione di specifiche avvertenze sugli effetti che provoca il fumo, non è stato reso edotto sugli effettivi rischi che l’uso della sigaretta comportava sulla salute15. In quest’ottica si evidenzia ancora che il consumo della sigaretta non può, comunque, fondarsi sulla consapevole assunzione del rischio del fumatore in ragione dello stato di dipendenza che la nicotina produce e che induce ad un effettivo abuso del tabacco più che ad una normale assunzione. Questa dipendenza involontaria finisce quindi per inibire la capacità del soggetto di porre in essere scelte volontarie come quella di smettere di fumare16.

In ordine alla questione del nesso di causalità, poi, si è osservato che, in base ai risultati cui sono approdate le ultime ricerche scientifiche in materia, il consumo delle sigarette costituisce una causa, se non certa, senza dubbio probabile della lesione del diritto alla salute17.

2008; Trib. Roma, 28 gennaio, 2009, n. 1828; in Danno e resp., 2009, p 1084; Trib. Roma, n. 10431 del 2010; Trib.

Roma, n. 15377 del 2010.

13 Questa dicotomia riscontrabile in seno alla giurisprudenza darebbe luogo, secondo P.G. MONATERI, I danni da fumo: classico e gotico nella responsabilità civile, cit., p. 668 ss., a due diverse interpretazioni delle norme che disciplinano la responsabilità civile, definite una gotica e l’altra classica.

14 Art. 46 della L. 29 dicembre 1990, n. 428 successivamente abrogato dall’art. 11 del d. lgs 24 giugno 2003, n.

184 e sostituito dall’art. 6 di tale decreto.

15 Sia la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza sopra menzionata, che già la stessa Corte di Appello di Roma, 7 marzo 2005, cit., osservano che, pur in assenza, prima del 1991, di una espressa prescrizione normativa che imponesse ai produttori di indicare sui pacchetti delle sigarette specifiche avvertenze sui gravi effetti che il fumo provoca alla salute, tale esigenza doveva comunque essere avvertita attesa la natura del bene salute che va preservato mediante l’adozione di tutte le cautele possibili (come, del resto, accade nell’ambito della materia degli emoderivati).

Sulla scorta di tale orientamento, che, come vedremo anche in seguito appare ormai consolidato, la condotta del produttore dovrebbe ritenersi illecita nel momento in cui la commercializzazione delle sigarette non è accompagnata da una adeguata informazione sulle conseguenze che provoca il consumo del tabacco, informazione che rappresenterebbe, in concreto, una delle poche misure e cautele atte ad evitare il danno.

16 A tal riguardo, pertanto, si è prospettata la possibilità che la dipendenza da nicotina costituisca un fattore idoneo ad escludere la colpa del consumatore. Come osserva M.D. BEMBO, L’irrisarcibilità del danno da fumo:la conferma del tribunale di Roma, in La resp. civ., 2, 2009, p. 162, «questa dipendenza … incidendo sulla capacità di smettere di fumare, potrebbe consentire di ravvisare un nesso eziologico diretto tra la commercializzazione del prodotto e il danno alla salute del consumatore». Tuttavia si rileva come in alcune pronunce, tra cui Trib. Brescia, 10 agosto 2005, si sia evidenziato come il riconoscimento dello stato di dipendenza non precluda totalmente la possibilità di scegliere se continuare o meno a fare uso di sigarette. V. sul punto, anche P.G. MONATERI, Responsabilità del produttore di sigarette per danni da fumo attivo, in Danno e resp. 2005, 12, p. 1222. Ancora una volta per una approfondita ricognizione su questo aspetto si rinvia a G. BALDINI, Il danno da Fumo, cit., p. 211 ss.

17 V. App. Roma Sez. I, 7 marzo 2005, in cui si afferma che «Esiste un rapporto causale tra cancro polmonare e fumo di sigaretta, nel senso che l'evento malattia può inquadrarsi tra le conseguenze normali ed ordinarie del fumo, ponendosi, quindi, nell'ambito delle normali linee di sviluppo della serie causale, secondo un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, pur in difetto di certezza assoluta, al di là di ogni ragionevole dubbio». Tra le altre, cfr. anche Trib. Roma, 5 dicembre 2007, n. 23877. La Corte di Appello di Roma, mutuando l’insegnamento della nota sentenza Franzese - Cass. Pen., Sez. Unite, 10 luglio 2002, n. 30328-, si è avvalsa del criterio dell’alto ed elevato grado

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Coloro i quali, di converso, escludono che possa rintracciarsi un qualsiasi profilo di responsabilità del produttore di tabacchi muovono da considerazioni opposte.

Sostanzialmente nell’attività di produzione e commercializzazione di sigarette, si sostiene, il produttore si limita ad esercitare un’attività che trova fondamento nel dettato dell’art. 41 della Costituzione che, pertanto, la rende lecita18 e priva di qualsiasi profilo di antigiuridicità.

L’esclusione di una condotta contra ius, oltretutto, troverebbe il proprio fondamento nel fatto che il consumatore, nel momento in cui fa uso di sigarette, è totalmente conscio degli effetti che il fumo produce, proprio perché ormai noti 19 e, ciononostante, ne accetta il rischio in piena consapevolezza20.

Per quanto attiene al nesso di causalità21, invece, in diverse pronunce22 si è evidenziato che, allo stato dell’attuale scienza medica, non è possibile asserire con assoluta certezza la sussistenza di un rapporto eziologico tra consumo di fumo ed insorgenza di alcune specifiche malattie, attesa la pluralità di concause e fattori esterni che potrebbero intervenire nella nascita di tali patologie.

Oltretutto, si è osservato ancora, un ruolo preminente nella causazione del danno da fumo è svolto anche dallo stesso consumatore: questi, informato dei noti effetti che il fumo produce, decide consapevolmente di accettarne comunque il rischio, concorrerendo con il suo comportamento a

di credibilità razionale o probabilità logica per accertare la sussistenza o meno del nesso eziologico tra consumo di sigarette ed insorgenza del cancro ai polmoni del fumatore. Secondo questa impostazione, pertanto, il nesso causale sussiste allorquando, dopo una preliminare indagine volta a verificare l’elevata “probabilità scientifica” della riconducibilità della malattia al consumo del fumo ed il successivo accertamento teso ad escludere la sussistenza di fattori di rischio esterni, sia certo o altamente probabile che l’insorgenza della patologia derivi dall’uso di sigarette e dalla assenza di altri fattori di rischio.

18 V. Trib. Brescia Sez. II, 10 agosto 2005, in Danno e resp., 2005, 12, p. 1210 e ss ove si osserva che

«Neppure può il produttore di sigarette ritenersi responsabile per i danni da fumo ex art. 2043 c.c. posto che la produzione e vendita di sigarette è attività lecita, regolarmente autorizzata dallo Stato e che il fumo è un'abitudine, non una forma di dipendenza: nonostante smettere di fumare sia difficile, milioni di persone vi riescono e non è corretto affermare che i fumatori perdono il controllo delle loro capacità decisionali. Inoltre, con sicurezza sin dagli anni ‘30, i rischi che il fumo comporta erano largamente noti all’intera società italiana, sicché i fumatori, ben sapendo della nocività del fumo, e iniziando a fumare - e continuando - hanno accettato il rischio delle conseguenze di tale condotta:

il danno che ne è derivato non è quindi risarcibile, ex art. 1227 c.c., non potendosi dolere dei danni subiti colui che tiene una condotta negligente non adottando cautele minime ed ampiamente conosciute di prudenza».

19 Con particolare riguardo al periodo antecedente all’entrata in vigore della legge L. 29 dicembre 1990, n. 428 (che ha imposto al produttore, come già esposto in precedenza, di indicare sui pacchetti di sigarette gli effetti che il fumo produce sulla salute), tale obbligo informativo si riteneva che non potesse essere desunto dalla clausola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. a causa dell’assenza di espresse norme al riguardo, della non configurabilità delle sigarette come prodotto intrinsecamente pericoloso e della notorietà della nocività del consumo di tabacchi (in forza della quale lo stesso consumatore non avrebbe potuto non rappresentarsi gli effetti dell’uso del tabacco). Vedi Trib. Brescia, sez. II, 10 agosto 2005, in Danno e resp., cit., p. 1210 e ss., ove si afferma che «Non è ipotizzabile la responsabilità extracontrattuale dei produttori di sigarette per omessa informazione del consumatore sui pericoli del fumo, posto che l’obbligo gravante sul produttore, quando non sia stato espressamente sancito da specifiche disposizioni di legge, può ragionevolmente sussistere solo nel caso in cui il prodotto posto in commercio abbia una pericolosità intrinseca e sempre che l’utilizzatore non sia stato posto in grado di rappresentarsi la possibilità di eventuali conseguenze dannose correlate ad un determinato uso. Siccome la nocività del fumo e la difficoltà a smettere sono fatti noti, l'eventuale colpa omissiva dei produttori non può che essere assorbita dalla colpa della vittima ex art. 1227 c.c. in base al principio della c.d. assunzione del rischio».

20 Sul fatto che l’assunzione del rischio costituisca una causa di giustificazione che esclude l’antigiuridicità della condotta, v. G. PONZANELLI, I problemi della tutela risarcitoria da fumo attivo, cit., p. 963.

21 Il cui accertamento, sostiene C.M. CASCIONE, op. cit., p. 875, costituisce il presupposto logico antecedente rispetto a quello della forma.

22 V. ex multis, Trib. Roma 4 aprile 1997; Trib. Napoli 15 dicembre 2004 ove si è osservato che: «La malattia cancerosa è il frutto di una serie di fattori concomitanti, personali ed ambientali, che fanno sì che patologie come quella subita dall'attore possano insorgere anche in soggetti che non hanno mai fumato: ciò comporta che il fumo, da solo, pur costituendo elevato fattore di rischio di patologie similari, non soddisfa il concetto di “condizione necessaria” richiesto per la configurazione del nesso eziologico di cui all’art. 2043 c.c.».

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cagionare il danno ai sensi dell’art. 41 cod. pen.23 e a integrare la causa diminuzione e/o esclusione del risarcimento ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.24.

Dalla succinta e, di certo, non esaustiva esposizione delle principali argomentazioni utilizzate dalla giurisprudenza – che il più delle volte si è limitata ad avallare le differenti tesi della dottrina – per escludere ovvero riconoscere la responsabilità del produttore per i danni da fumo provocati ai consumatori di sigarette, si evidenza la netta dicotomia delle diverse posizioni assunte sul tema, in particolare dalle Corti di merito.

Nell’individuare i punti focali della questione, tuttavia, abbiamo tralasciato deliberatamente l’argomento principe utilizzato da coloro che hanno inteso ricondurre la responsabilità dei produttori di sigarette nell’alveo delle attività pericolose di cui all’art. 2050 del cod. civ. Soluzione, questa, cui è di recente approdata anche la stessa Corte di Cassazione25 che, sulla scorta della nota sentenza della Corte di Appello di Roma26, sembra far propria quella tesi che reputa il danno da fumo soggetto alla disciplina speciale dettata dall’art. 2050 cod. civ.27. Questa impostazione, che non rappresenta dunque una novità, anche se trova nella pronuncia della Cassazione un’autorevole conferma, è contrastata, in radice, da un ampio filone della giurisprudenza di merito sull’assunto che l’attività di produzione (ivi compreso l’uso dei macchinari impiegati per la realizzazione delle sigarette) e commercializzazione di sigarette, in forza dei parametri fissati dall’art. 2050 cod. civ., non può ascriversi nell’ambito dell’attività pericolosa, anche in ragione del fatto che la dannosità delle sigarette non deriva da una loro intrinseca pericolosità, quanto, piuttosto, dal consapevole abuso che ne fa il fumatore28.

2. La responsabilità del produttore e l’art. 2050 cod. civ.: l’aspirazione della S.C. a fissare i termini della questione.

La decisione del dicembre 2009 rende evidente l’aspirazione della Suprema Corte: porre una sorta di punto fermo in una questione delicata e dibattuta. Difatti, come è stato esattamente rilevato, si tratta di «una sentenza assai importante, che è stata fortemente voluta dai giudici della Cassazione, i quali oggi consegnano negli spazi di un obiter dictum quella che, da domani, sarà la vera e propria ratio decidendi del contenzioso italiano in tema di responsabilità del produttore»29.

Al fine di verificare se e quanto si siano dissolte le perplessità che hanno da sempre accompagnato la responsabilità sul danno da fumo, giova ripercorrere brevemente quello che è stato

23 La condotta del fumatore, in buona sostanza, è stata considerata, alla stregua del dettato dell’art. 41 c.p., causa da sola idonea a cagionare l’evento.

24 V. Trib. Napoli 15 dicembre 2004, n. 12729, in Danno e resp. 2005, p. 645 e ss., ove si afferma che: «I danni subiti dal fumatore in seguito al consumo di tabacco devono essere ricondotti all’area normativa della disponibilità, sancita da secondo comma dell’art. 1227 cod. civ, in quanto potevano essere evitati usando l’ordinaria diligenza, da osservare sia nella fase iniziale del rapporto con la sigaretta sia nella fase avanzata, posto che non esistono fattori che incidano concretamente sulla volontà del fumatore». Così in dottrina P.G. MONATERI, I danni da fumo: classico e gotico nella responsabilità civile, cit., p. 668 e ss.

25 Il riferimento è sempre a Cass. Civ., Sez. III, 17 dicembre 2009, n. 26516, che ha cassato la pronuncia del Giudice di pace di Napoli, 22 marzo 2005.

26 Il riferimento è ad App. Roma 7 marzo 2005 n. 1015 in Corr. giur., cit, p. 668 ss. La pronuncia è stata confermata da Cass. 30 ottobre 2007, n. 22884, cit.

27 Per una approfondita ricostruzione della responsabilità del produttore per esercizio di attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. e le applicazioni possibili della norma ai danni provocati da sostanze pericolose e, quindi, anche al danno da fumo, vedi G. BALDINI, Il danno da Fumo, cit., p. 352 e ss.

28 V. Trib. Roma 28 gennaio 2009, n. 1828, in Danno e resp., 2009, p. 1084; Trib. Roma 4 aprile 2008, n. 7242, in Danno e resp., 2009, p. 1079; Trib. Roma, 5 dicembre 2007; Trib. Brescia, 10.08.2005, in Danno e resp., 2005, p.

1210; Trib. Roma, 11 aprile 2005, in Danno e resp., 2005, p. 631; Trib. Roma, 11 febbraio 2000, in Corr giur., 2000, p.

1639; Trib Roma, 4 aprile 1997, in Danno e resp., cit., p. 750 , Trib. Napoli, 15 dicembre 2004, in Danno e resp., 2005, p. 645.

29 Così, in termini, G. PONZANELLI, La produzione di sigarette è attività pericolosa, cit., p. 490.

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definito «un breve trattatello sull’ambito di applicazione dell’art. 2050, tutto incentrato sull’affermazione per cui “...non vi è base normativa per limitare tale forma di responsabilità al momento della produzione”»30.

Nell’analizzare per sommi capi la pronuncia in commento, invero, si può osservare come la Suprema Corte, nel motivare le ragioni che l’hanno indotta ad accogliere ovvero rigettare i motivi di ricorso presentati dal ricorrente, abbia sgombrato dal campo qualsiasi dubbio sul fatto che la circolazione delle sigarette costituisca attività pericolosa, in considerazione del fatto che proprio il consumo dei tabacchi rappresenta lo scopo della produzione di sigarette, cui la commercializzazione è inscindibilmente connessa rappresentandone solo la fase successiva.

Muovendo da tale assunto, la Corte si sofferma nell’evidenziare che il pericolo che caratterizza tale attività deve rintracciarsi «nell’attività del produttore-commerciante» nonché nel fatto che i prodotti conservano e diffondono la portata lesiva che connota «il mezzo adoperato e per esso l’attività che li ha come oggetto, alla quale (…) necessariamente si collegano». Il prodotto, in definitiva, è stato realizzato con quella potenzialità dannosa per l’uso normale che il consumatore ne fa in una situazione del tutto consueta, non eccezionale né imprevedibile31.

La Corte, poi, nel constatare come la fattispecie di cui all’art. 2050 cod. civ. sia stata oggetto, soprattutto in sede giurisprudenziale, di una interpretazione estensiva, si sofferma nell’osservare come tale circostanza abbia consentito di ampliare il giudizio di pericolosità sino «al bene finale dell’attività produttiva».

Successivamente, dopo un’elencazione delle diverse previsioni normative volte ad attestare il riconoscimento da parte dell’ordinamento della pericolosità del tabacco, la Corte puntualizza che, a dispetto di altre materie, la pericolosità del prodotto è tale in forza della qualificazione che il legislatore compie in ordine alla nocività e velenosità del tabacco, e non in base alla disciplina relativa alla produzione e commercializzazione dello stesso. L’intrinseca pericolosità del prodotto, pertanto, induce la Suprema Corte ad escludere in radice la ricostruzione del problema all’interno del paradigma della responsabilità del produttore da prodotto difettoso32.

La Corte, poi, nel focalizzare l’attenzione sul consumatore, ritiene che non possa escludersi la responsabilità del produttore ex art. 2050 cod. civ. in considerazione del fatto che il fumatore sia consapevole del rischio e della pericolosità del prodotto che consuma33. Gli estremi di tale fattispecie, infatti, sarebbero integrati a prescindere da questi fattori, i quali, al contrario, potrebbero assumere valore solo circa il nesso di causalità con l’evento dannoso.

La pericolosità di un’attività, prosegue poi la Corte, non rende quest’ultima illecita e proibita di per sé, poiché il tutto deve essere valutato attraverso un contemperamento tra «il diritto del produttore ad esercitare la propria impresa e quello del terzo a non essere danneggiato». In merito all’art. 2050 cod. civ. simile bilanciamento risiede, sia pure in via del tutto teorica, nella necessità che «l’esercente l’attività pericolosa provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno».

Sulla scorta di quanto sostenuto dalla recente dottrina e giurisprudenza34, la Corte rivolge la propria attenzione nell’inquadrare la fattispecie di cui all’art. 2050 cod. civ. entro i confini della categoria della responsabilità oggettiva nonostante l’espressa prova liberatoria prevista dall’articolo in questione. La Corte, infatti, precisa che la norma postula la necessità di compiere una valutazione

30 Così, ancora, G. PONZANELLI, La produzione di sigarette, cit., p. 490.

31 A conferma della interconnessione tra produzione e prodotto commercializzato, la Corte richiama anche l’art.1 della L. 10 agosto 1988, n. 357, il quale prevede, «anche al fine di ridurre i fattori di rischio connessi al fumo», la concessione di finanziamenti all’AAMS per la ristrutturazione ed ammodernamento dei proprio impianti.

32 Come, invece, era stato paventato in dottrina. In merito alla ricostruzione del tema secondo «i principi della c.d. legislazione consumeristica», v. G. BALDINI, Il danno da Fumo, cit., p. 399 ss.

33 Condizioni, queste, che, secondo la Suprema Corte, potrebbero comportare invece, il mancato accoglimento della domanda risarcitoria.

34 La Corte richiama Cass. 4 maggio 2004, n. 8457.

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sull’«attività intesa nella sua globalità» e, quindi, anche in ordine all’adozione o meno delle misure adeguate ad evitare il danno. Pertanto, è responsabile colui che aveva «il controllo dell’attività al momento del danno» sul solo presupposto della mancanza delle misure protettive idonee ad evitarlo35. Nella responsabilità oggettiva, quindi, il rapporto di causalità tra fatto ed evento dannoso viene imputato ad un soggetto individuato dal legislatore a prescindere dalla valutazione di qualsiasi altro elemento integrativo della fattispecie di responsabilità rimesso al sindacato del giudice. Il nesso causale, ne consegue, risulta accertato solo sulla base della mera verifica del fatto che l’evento lesivo sia ricompreso nell’ambito di quelli che rientrano nella sfera di imputazione di un soggetto per il solo accadere dello stesso.

Non condivisibile, per la Corte, è l’ulteriore tesi espressa in dottrina secondo cui, potendosi usare «la strict liability nei soli casi di prevenzione unilaterale degli incidenti», la fattispecie del danno da fumo non potrebbe essere ricompresa nell’art. 2050 cod. civ., nonché nell’alveo della responsabilità oggettiva, dal momento che, in tale caso, «la prevenzione del danno è bilaterale» e il consumatore danneggiato non sarà risarcito se in colpa, ovvero lo sarà parzialmente se abbia concorso a cagionare il danno ex art. 1227 cod. civ.

Al riguardo la Corte ribatte, da un lato, che esistono fattispecie legislative di responsabilità soggettiva (sia pure con presunzione di colpa) nelle quali il danneggiato non può fare nulla per evitare l’evento dannoso (ad esempio: il trasportato in un’auto, che non ha alcun modo di evitare l’incidente) e, dall’altro lato, che il comportamento colposo del danneggiato «si inserisce dall’esterno nella serie causale tipizzata dalla specifica norma»: in altri termini la condotta del fumatore è elemento esterno al paradigma normativo e non costituisce fattore di perfezionamento della fattispecie legale prevista dall’art. 2050 cod. civ. Del resto, aggiunge ancora la Corte, l’art.

1227 è una norma che opera in qualsiasi figura di responsabilità (contrattuale e d extracontrattuale) e, quindi, anche per le ipotesi di responsabilità oggettiva.

Sulla questione della volontaria assunzione del rischio da parte del danneggiato, la Corte precisa altresì, ribadendo un principio già espresso, che essa non è neppure prospettabile qualora il fumatore di sigarette “lights” agisca contro il produttore per il risarcimento del “danno da pubblicità ingannevole” (e non, quindi, del “danno da fumo”), derivante dall’erroneo convincimento di ridurre il rischio di danno fumando tali sigarette.

Per la Corte, quindi, l’attività di commercializzazione di sigarette integra una attività pericolosa ex art. 2050 cod. civ. 36.

35 Il diverso orientamento – prosegue la Corte - che ravvisa nell’art. 2050 cod. civ. una presunzione di colpa alla luce di quanto espresso nella Relazione al codice civile e quale conseguenza dell’influenza della tradizione romanistica, nonché di parte della dottrina classica tedesca, si scontra con le legislazioni moderne improntate a riconoscere ipotesi di responsabilità oggettiva. La responsabilità oggettiva, tuttavia, non può essere pura – ritiene la Suprema Corte -, ma temperata dalla presenza di criteri di natura oggettiva, i quali svolgono le medesime funzioni che da sempre sono proprie dei criteri soggettivi di imputazione dei fatti illeciti. Tali criteri di imputazione causale infinita nelle fattispecie di responsabilità oggettiva sono fissate dal legislatore “con una qualificazione del soggetto, su cui viene fatto ricadere il costo del danno”. E’ un criterio oggettivo e non la colpa, quindi, la ragione sottesa all’attribuzione del costo del danno ad un soggetto determinato.

36 Ed ancora, in questa stessa pronuncia, la Corte, poi, ritiene fondato ed accoglie il motivo di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. avanzato dalla ricorrente, la quale, citata in giudizio per il risarcimento del danno per pubblicità ingannevole ex art. 2043 cod. civ., veniva condannata dal giudice di pace per danno causato da attività pericolosa circa la commercializzazione di sigarette da fumo ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. La domanda avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, infatti, è “diversa e nuova” rispetto a quella che attiene alla responsabilità aquiliana e si fonda su presupposti differenti rispetto alla prima. Circostanza, questa, che determina la nullità della sentenza.

La Corte, invece, rigetta, il motivo di ricorso con il quale la ricorrente si duole del fatto che nella sentenza impugnata il giudice non abbia provveduto ad accertare la propria condotta illecita, dolosa o colposa, atteso che il provvedimento dell’Autorità garante nonché la direttiva comunitaria 2001/37/CE vietano la dicitura “Lights” solo dal 2003. La Corte, infatti, ha cura di evidenziare che, sebbene il divieto di apporre sulle scatole di sigarette la suddetta dicitura sia entrato in vigore dal 30 settembre 2003, tale parola, quale fatto doloso o colposo richiamato dall’art. 2043 cod. civ., può comunque aver prodotto una lesione della posizione giuridica altrui idonea ad integrare la suddetta fattispecie. In ordine all’art. 10 del d.lgs n. 184 del 2003 - attuativo della direttiva comunitaria citata - secondo cui “le

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Questo passaggio porta a considerare in maniera unitaria e indifferenziata il dettato normativo sia che si guardi alle norme con riferimento al profilo del responsabile, cioè alla responsabilità del produttore, sia che si guardi ad esse con riferimento al mezzo tramite cui il danno è stato cagionato, cioè il “prodotto”37.

Invero, la scelta tesa a superare il riferimento all’attività – utilizzato come criterio giuridicamente rilevante al fine di dar rilievo ai profili organizzativi quali elementi atti a ricostruire la fattispecie in tema di imputazione della responsabilità – per giungere a ritenere che conta solo il risultato, cioè il prodotto, è chiaramente finalizzata a favorire la vittima.

Difatti, visto che la pericolosità è oggettiva (e perciò, a differenza di quanto espressamente sancito per il difetto del prodotto, non va provata), e posto che il nesso di causalità tra il pericolo e il danno subito si presume, al danneggiato resta soltanto l’onere di provare il danno subito.

Da una parte, quindi, si accentua la unitarietà che sussiste tra attività e prodotto, esaltandone le intime connessioni; dall’altra si accentuano le differenze tra prodotto pericoloso e prodotto

sigarette non conformi alle disposizioni del presente decreto possono essere commercializzae fino al 30 settembre 2003”, poi, sancisce solo che sino a quella data la commercializzazione di sigarette non costituisce un illecito amministrativo, ma, al contempo, non legittima il produttore a cagionare un danno ingiusto.

La Corte, altresì, precisa, che, comunque, al di là del divieto imposto all’utilizzo della parola “light” sul pacchetto di sigarette, la richiesta risarcitoria dell’attrice atteneva alla ingannevolezza del messaggio pubblicitario utilizzato, materia, questa, oggi regolata dal codice del consumo.

Sugli ulteriori motivi di ricorso afferenti il mancato accertamento in sentenza della condotta illecita, dolosa o colposa del ricorrente stante l’assenza di una attività finalizzata ad ingenerare nel consumatore il convincimento “della minore nocività delle sigarette lights”, nonché il non aver preso in esame il nesso causale ovvero il ruolo svolto dal fumatore nell’interrompere tale nesso, nonostante la Corte accolga i citati motivi, ritiene infondato il rilievo mosso al comportamento del consumatore. La Corte osserva come il giudice di pace avrebbe dovuto attenersi all’accertamento dei “presupposti informatori della responsabilità civile” di cui agli articoli 2043 e 2059 cod. civ. sulla scorta di quanto puntualizzato già nella nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 794 del 15 gennaio 2009, sebbene il ricorrente non possa pretendere che attrice ed interventrice dimostrino la condotta dolosa di quest’ultima diretta ad ingannare i consumatori, atteso che l’unico requisito sufficiente ai fini risarcitori è la mera colposa diffusione di un messaggio “idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento intorno alle caratteristiche e agli effetti del prodotto”. Focalizzando l’attenzione sulla tipologia del danno invocato dall’attrice, la Corte evidenzia la non rilevanza del ruolo svolto dall’attore ai fini della interruzione del nesso causale tra il produttore delle sigarette ed il danno da fumo e l’esclusiva responsabilità del fumatore ai sensi del primo comma dell’art. 1227 cod. civ. Il danno invocato dall’attrice, invero, attiene al danno da pubblicità ingannevole ossia quello subito dal fumatore che aveva deciso di fumare le sigarette lights al fine di ridurre il rischio della nocività di tali sostanze. La Corte, pertanto, esclude la prospettabilità di una volontaria assunzione del rischio da parte del tabagista. Ne consegue, quindi, il rigetto del motivo concernete la mancanza di motivazione in relazione all’accertamento dell’interruzione del rapporto di causalità per via della condotta del fumatore.

In tema di danno ex art. 2043, la Corte sottolinea come, sulla scorta dei principi di cui agli articoli 1223 e 2056 cod. civ. quest’ultimo debba essere oggetto di specifica prova, atteso che non coincide con l’evento, quale mero elemento del fatto produttivo del danno. Erroneamente il giudice di pace ha fatto gravare sul convenuto l’onere dell’inesistenza del danno lamentato senza che l’attore si fosse premurato di provarlo.

Nella sentenza, si puntualizza, altresì, che il danno alla salute deve essere provato tramite accertamento medico legale laddove il fumatore, una volta deciso di passare alla sigarette lights, non abbia conseguito il risultato sperato

Si precisa, inoltre, che il danno da pubblicità ingannevole non costituisce danno non patrimoniale di cui all’art.

2059 cod. civ., poiché non c’è una specifica norma al riguardo e, dovendosi ricondurre all’art. 41 della Costituzione che attiene ai rapporti economici, non si rinviene una violazione dei diritti inviolabili della persona che legittimerebbe un danno non patrimoniale. Si richiama inoltre il diritto all’autodeterminazione sulla scorta dell’art. 2 del codice del consumo ed, in merito al pericolo di ammalarsi, evidenzia la Corte, si è fatto riferimento in dottrina al danno da pericolo elaborato dalla Sezioni Unite (21 febbraio 2002, n. 2515) “quando è stato ritenuto risarcibile il danno morale soggettivo lamentato da coloro che avevano subito un turbamento psichico…a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita”, ma tale ipotesi, osserva il Collegio, non è applicabile nel caso di specie, atteso che simile soluzione è stata accolta nel caso in cui sussisteva un reato di disastro ex art. 185 c.p.

37 Si rinvia sul punto alle osservazioni di S. SICA e V. D’ANTONIO, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in P. STANZIONE e A. MUSIO ( a cura di), La tutela del consumatore, Torino 2009, p. 595.

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difettoso, escludendo che possa applicarsi la disciplina del codice del consumo nelle fattispecie che trovano una compiuta risposta nell’applicazione di quanto disposto dall’art. 2050 cod. civ.

3. Le persistenti incertezze.

La responsabilità civile del produttore di sigarette viene quindi affermata, tramite l’applicazione dell’art. 2050 cod. civ., ricorrendo ad un criterio di imputazione oggettivo38 che consente di addossare al produttore il rischio per le conseguenze negative che derivano dalla sua attività, volta a commercializzare beni tendenzialmente (ancor più che potenzialmente) dannosi (ancor più che pericolosi).

Sembra, tuttavia, che la decisione, malgrado la chiara ambizione ad essa sottesa, abbia suscitato più dubbi che certezze.

In primo luogo, anche coloro che hanno sostanzialmente apprezzato la sentenza, hanno avanzato perplessità sulla evidente volontà della Suprema Corte di indicare, proprio quando non gli era richiesto, una puntuale opzione; la critica, invero, appare più significativa ove si consideri che, in precedenti occasioni, quando più opportunamente avrebbe potuto dare un indirizzo, la Corte si è posta «alla ricerca di un orientamento che non c’è»39, tanto da indurre a ritenere che, fino al 2009, si dovesse parlare di «un’occasione sfumata» per i danni da fumo in Cassazione40.

In coloro che non hanno condiviso la decisone sotto il profilo sostanziale, più che perplessità, ha suscitato critiche il relegare ad una mera «occasione» la proclamazione di un principio di diritto

«che non era quello disputato davanti al giudice di prime cure»41.

Difatti, la sentenza della Suprema Corte trae origine da una decisione del giudice di pace di Napoli che aveva ritenuto responsabile la British American Tobacco, Bat Italia s.p.a, per i danni provocati da pubblicità ingannevole ex art. 2050 cod. civ., malgrado l’attore avesse impostato la sua pretesa risarcitoria sull’art. 2043 cod. civ.; a tale riguardo, rileva la Cassazione, il giudice di pace, sostituendo alla domanda proposta quella «diversa e nuova» di cui all’art. 2050 cod. civ., ha violato il principio posto dall’art. 112 cod. proc. civ. ed è incorso nel principio di ultrapetizione.

La nullità della sentenza costituisce, dunque, l’occasione per riaffrontare in via generale il problema della responsabilità civile del produttore di sigarette e per affermare che la produzione e la vendita di tabacchi lavorati integrano un’attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ.

In realtà, più che la produzione, è la commercializzazione di tabacco da fumo a integrare una attività pericolosa a norma dell’art. 2050 cod. civ.42: il giudizio di pericolosità si estende dall’attività, che di per sé non è pericolosa, al bene, o meglio, al consumo del bene, che ha una potenzialità lesiva proprio in quella che è la sua destinazione finale.

38 La Corte, infatti, mediante la cost-benefit analysis, dà dell’art. 2050 cod. civ. un’interpretazione in termini di mera responsabilità oggettiva. Tale aspetto è puntualmente evidenziato anche da A. PALMIERI, Produzione di sigarette e responsabilità per danni del fumatore: l’avanzata irrefrenabile dell’art. 2050 c.c. (anche in assenza di potenziali beneficiari dell’attività pericolosa), cit., p. 881, il quale osserva come la Suprema Corte, a dispetto dell’orientamento seguito nei decenni scorsi, abbia consolidato l’attuale concezione invalsa in sede giurisprudenziale (come citato dall’Autore nella nota 2 p. 881) che trova conferma in Cass. 4 maggio 2004, n. 8457, in Foro It., I, 2378, e nota di A. SORRENTINO, Responsabilità derivante da attività pericolosa e somministrazione di energia elettrica, in La resp. civile, 2005, p. 618.

39 Così V. D’ANTONIO, La Cassazione e il danno da fumo attivo: alla ricerca di un orientamento che non c’è, cit., p. 515 ss., a commento di Cass. 30 ottobre 2007, n. 2284.

40 Così A. BRIGUGLIO, Danni da fumo in Cassazione: un’occasione mancata, in Giust. Civ., 2008, I, p. 112.

41 Così, in particolare P.G. MONATERI, Se il fumatore è consapevole del rischio può essere escluso dal risarcimento, cit., p. 67 ss., il quale afferma, fra l’altro, che “Ci si può legittimamente chiedere se tutto ciò sia compatibile con le regole che pur governano ancora il processo in Cassazione”.

42 In termini, con estrema chiarezza, v. per molti V. CARBONE, L’attività di commercializzazione di tabacco da fumo integra un’attività pericolosa a norma dell’art. 2050 c.c., cit., p. 164 ss.

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La potenziale carica di nocività per la salute, secondo il principio di diritto espresso dalla Corte, è di per sé, giova ribadire, elemento unico e sufficiente a integrare l’attività pericolosa a norma dell’art. 2050 cod. civ.

La forza innovativa di questo principio sembra, però, andare ben oltre una mera interpretazione estensiva dell’art. 2050 cod. civ.43.

Senza dubbio, è ormai saldamente acquisita la tendenza ad estendere il concetto di

“pericolosità” anche alle ipotesi in cui il rischio riguardi il bene finale dell’attività produttiva44, ogni qual volta tale bene ne abbia conservato la potenzialità lesiva nei confronti dei consumatori-utenti.

Peraltro, già con specifico riguardo al fumo si era fatto, talvolta, ricorso all’attività pericolosa per la ragione che i tabacchi contengono in sé, per la loro stessa natura e per la loro composizione biochimica, una intrinseca possibilità di determinare un danno alla salute45.

Pertanto, anche se il produttore ha rispettato formalmente le prescrizioni della disciplina normativa del settore, non è esente da responsabilità: questa, difatti, si collega automaticamente alla messa in circolazione del bene, in considerazione della notorietà degli effetti lesivi per la salute, che dovrebbero indurre il produttore alla ricerca di cautele che vanno ben al di là delle disposizioni di legge46.

L’uso normale diviene, così, elemento atto a qualificare il bene – e, quindi, anche l’attività – come pericoloso, a prescindere dalle modalità di consumo, ossia a prescindere dal comportamento del (potenziale) danneggiato, che «non costituisce un elemento necessario» ai fini del perfezionamento della fattispecie di cui all’art. 2050 cod. civ.

Tuttavia, le stesse argomentazioni utilizzate dalla Corte per giustificare l’applicabilità dell’art. 2050 cod. civ. – la nocività del prodotto e la sua intima connessione con l’attività della sua produzione e vendita – sembrano averla condotta ben oltre il suo intento, lasciando affiorare qualche contraddizione: se è vero che l’attività pericolosa, per tale solo fatto, non diventa illecita, e cioè proibita, posto che «il problema va risolto attraverso il bilanciamento del diritto del produttore ad esercitare la propria impresa e quello del terzo a non essere danneggiato», e se è vero che «tale bilanciamento, all’interno dell’art. 2050 c.c., è stato trovato nella necessità (e nel contempo nella sufficienza) che l’esercente l’attività pericolosa provi di aver adottato tutte le misure idonee ad

43 Critico sulla decisione della Corte volta a rinvenire il requisito della pericolosità nell’attività di produzione di sigarette con conseguente applicabilità dell’art. 2050 cod. civ. al danno fumo è, fra i molti, A. PALMIERI, Produzione di sigarette e responsabilità per danni del fumatore: l’avanzata irrefrenabile dell’art. 2050 c.c. (anche in assenza di potenziali beneficiari dell’attività pericolosa), cit., p. 882 e ss.

44 Sul punto si rinvengo in giurisprudenza diverse pronunce in tema di produzione e distribuzione delle bombole del gas che trovano, peraltro, espresso richiamo nella stessa sentenza in commento (v. Cass. 30 agosto 2004, n.

17693; Cass. 4 giugno 1998, n. 5484; Cass. 19 gennaio 1995, n. 567). Al riguardo la Suprema Corte ha più volte osservato come la produzione di bombole di gas, unitamente alla manipolazione del gas, costituiscano attività pericolose di per sé in grado di rendere pericoloso anche il bene cui le stesse sono destinate a produrre (a tale riguardo esaustive sono le riflessioni critiche svolte sull’argomento da P.G. MONATERI, Se il fumatore è consapevole del rischio può essere escluso dal risarcimento, cit., p. 68 e 69). Più recente, sul punto che ritiene presenti intime connessioni con la produzione di sigarette, si segnala: Cass. 19 luglio 2008, n. 2006, con nota di: A. MAIETTA, Scoppio di bombola a gas: esercizio di attività pericolosa o danni da prodotto difettoso?, in Danno e resp., 2009, p.

655; A.L. BITETTO, Pericolosità del prodotto e obblighi di «precauzione» del distributore, in Foro it., 2009, I, p. 1163;

F. ROSSETTI, Brevi riflessioni a margine di una sentenza della Cassazione in tema di attività pericolose, in Resp. civ., 2009, p. 302. Più in generale, altresì, vedi V.TROVATO, Esercizio di attività pericolosa ed efficacia causale esclusiva, in Danno e Resp., 2010, 10, p. 927. In merito alla “doctrine delle res pericolosae” e alla relazione tra l’art. 2050 cod.

civ. e l’art. 2051 cod. civ. con riferimento al prodursi del danno vedi ancora P.G. MONATERI, La Cassazione e i danni da fumo: evitare un ennesimo “isolamento italiano”, , p. 61-63.

45 V. in part. App. Roma 7 marzo 2005, n. 1015, in Corr. giur., cit., p. 668 ss.

46 Così, con estrema chiarezza, F. CAFAGGI, Immunità per i produttori di sigarette, cit., p. 76, per il quale, al di là degli obblighi di legge, sussiste «un complesso dovere di condotta del produttore diretto a ridurre il rischio di danno».

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evitare il danno», diventa allora davvero difficile continuare a sostenere la liceità dell’attività di produzione-commercializzazione di sigarette.

Non si vede, infatti, quali potrebbero essere le cautele da adottare per prevenire il danno, visto che, allo stato, così come si preavverte nella vendita del prodotto, non sembra possibile produrre e commercializzare sigarette “sicure”, tali, cioè, da eliminare anche solo le eventualità di un danno alla salute. E posto che l’abuso o l’uso scorretto – ossia il comportamento del danneggiato – rileva solo per quanto riguarda la quantificazione del danno, ne discende che, qualora l’attività venga svolta nel rispetto dei parametri di legge, non potendo sussistere misure idonee a prevenire il danno di fronte al potenziale pericolo del prodotto, la sola misura idonea a prevenirlo potrebbe essere il non uso. Del resto, l’inevitabilità del pericolo è riconosciuta dalla stessa Corte, la quale rileva che «il prodotto è stato realizzato (sia pure per mancanza di diversa alternativa) con quella potenzialità lesiva per l’uso normale effettuato dal singolo acquirente in una situazione normale e non eccezionale».

Di conseguenza, può allora affermarsi che si tratta di un’ipotesi nella quale il pericolo, sia pure definito potenziale, non è eventuale (possibile o probabile), ma inevitabile.

Orbene: se la pericolosità del prodotto discende, come precisato dalla Corte, dalla

«qualificazione, da parte dello stesso legislatore, del tabacco come prodotto velenoso o nocivo» e se il pericolo è inevitabile, sorge allora il dubbio che il prodotto “tabacco” sia da qualificare non soltanto come prodotto “pericoloso”, ma anche come prodotto “non sicuro” ai sensi dell’art. 103 cod. cons.: tale norma, infatti, definisce come “sicuro” il prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili (…) non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza delle persone» [art. 103, lett. a), cod. cons.]; e come “pericoloso”: «qualsiasi prodotto che non risponda alla definizione di prodotto sicuro di cui alla lettera a)» [art. 103, lett. b), cod. cons.].

A ben vedere, dunque, nella fattispecie in esame vengono in rilevo concetti diversi e normative diversi, che la Corte si è preoccupata di affrontare e specificare solo in parte.

Da non confondere è, in primo luogo, il rapporto tra “difettosità” e “pericolosità”, ben potendo esistere «prodotti pericolosi in sé ma per nulla difettosi» e «prodotti normalmente del tutto innocui che diventano assai pericolosi allorché difettosi»47. Invero, sotto questo aspetto, appare da condividere l’esclusione dell’applicabilità della disciplina sulla responsabilità del produttore, posto che la sigaretta non può essere considerata come prodotto difettoso ai sensi dell’art. 117 cod. cons.

Ciò posto, la Corte, dopo aver distinto l’attività-prodotto “pericoloso” dal prodotto “difettoso”48, non si sofferma sui profili di coordinamento tra il regime generale di responsabilità e quello di derivazione comunitaria49, mantenendo un modello differenziato di responsabilità del produttore che, in virtù di una interpretazione estensiva della disciplina codicistica, sembrerebbe offrire una maggiore tutela al consumatore.

Tuttavia, come già accennato, il prodotto che secondo le conoscenze tecnico-scientifiche si definisce «nocivo» sembra non soltanto un prodotto pericoloso, ma un prodotto “insicuro”. Lascia

47 Così U.CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, 1974, p. 284. Al riguardo, v. anche P.G.

MONATERI, La responsabilità da prodotti, in Tratt. Bessone, vol. X, t. II, Torino, 2002, p. 243; E. BELLISARIO, sub artt. 103 e 117, in Commentario al codice del consumo, a cura di G. Alpa e L. Rossi Carleo, Napoli, 2005.

48 La distinzione fra la responsabilità del produttore e la responsabilità dell’esercente di attività pericolosa è ben evidenziata da autorevole dottrina, la quale evidenzia che il produttore si assume la responsabilità per il rischio della messa in circolazione di prodotti destinati ad un consumo di massa che possono cagionare un danno, mentre l’esercente una attività pericolosa assume un rischio che riguarda l’attività e non il risultato dell’opera che si materializza nella messa in circolazione del prodotto insicuro, cosi M. FRANZONI, Fatti illeciti. Artt. 2043-2059, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. GALGANO, sub art. 2050, Bologna-Roma, 1993, p.538.

49 Sulla “preemition” del diritto comunitario v. P.G. MONATERI, La Cassazione e i danni da fumo: evitare un

“ennesimo isolamento”, cit., p. 64 ss.

Riferimenti

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