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La tenuta dell’ordinamento italiano: tra esigenze di giustizia e con-fusioni sistemiche

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Academic year: 2021

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UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE OSSERVATORIO EUROPA

La tenuta dell’ordinamento italiano: tra esigenze di giustizia e con-fusioni sistemiche Abstract:

The present article aims to provide a shortly overview on the ongoing EU jurisdictional assessment starting from the last two more significant cases: Contrada v. Italy and the case (C)- 105/14 Ivo Taricco and Others. If for the ECHR in the Contrada case the crime must be sufficiently clear and foreseeable to be judged according to the common law legality principle, the Eu Court struggles with the implementation of the article 325 TFEU and its arrangement in the regional main principles judicial system.

According to the article 325 (1) TFEU, the Member States have the duty to counter fraud affecting the financial interests of the Union, the so-called “PIF fraud”, in particular, they are required to take the same measures to counter fraud affecting the financial interests of the Union as they take to counter fraud affecting their own financial interests (art. 325 (2)

The EU Court simply asserted that Italian law should be disapplied without having to request or await the prior repeal of those articles by way of legislation or any other constitutional procedure.

At the same time the national court should ensure that its decision to put aside national law is compatible with the suspect’s fundamental rights in observing the principles of legality and proportionality of criminal offences and penalties enshrined in the Italian Constitution.

As a matter of fact the substantive approach, which is followed by the Italian Constitutional Court concerning the regulation of proceedings statute of limitations, can be considered as a question of substantive criminal law and not of criminal procedure and, in such a case, modifications cannot be applied retroactively

The CJEU statement is entitled to have a shattering consequence because such disapplication is contrary to the suspect’s fundamental rights as they are recognized by the Italian constitutional system and moreover, is increasing the conflict between European obligations and Italian fundamental principles to which Italian Constitutional Court should decide if to stand out the regional counter-limit in order to prevent the constitutional order breach.

°°°°°°°°

In questi ultimi mesi stiamo assistendo ad un autentico stravolgimento degli equilibri, sebbene precari, del nostro ordinamento. Non può chiamarsi altrimenti l’introduzione di tipo giurisprudenziale effettuata dalle nostre Corti sovranazionali di istituti di diritto non appartenenti – prima facie – alla tradizione illuministica che surrettiziamente vengono a comporre gli argini entro cui l’identità nazionale sarà costretta a coesistere.

Il contributo intende ripercorrere, brevemente, le criticità rilevate in dottrina1 dalle sentenze della Corte Edu Contrada c. Italia e della Corte di Giustizia UE Taricco c. Italia, focalizzandoci sulle

1 F. Rossi, La sentenza Taricco della Corte di Giustizia e il problema degli obblighi di disapplicazione in malam partem della normativa penale interna per contrasto con il diritto UE, in Diritto penale e processo 12/2015; L.Trucco, L’uso fatto della Carta dei diritti dell’Unione nella giurisprudenza costituzionale (2000-2015) in Consulta On.line 1/2016; F. Palazzo, La sentenza Contrada e I cortocircuiti della legalità, in Diritto Penale e processo 9/2015; R. Rampioni, Principio di certezza e cd. Diritto vivente, in La Giustizia penale, 2015 p. seconda; O. Di Giovine, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in

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problematiche relative al mutamento giurisprudenziale sovranazionale ed all’introduzione nel sistema penale di principi sostanziali di matrice europea.

 La sentenza Contrada ed il principio di legalità italiano.

Trascurando i termini della vicenda giudiziaria che interessano meno in questa sede, occorre considerare, senza pretesa di esaustività, i principi di diritto richiamati nella sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia che stanno occupando da tempo la querelle dottrinaria ma che, soprattutto, rivestono un ruolo di somma importanza per l’officio dell’Avvocato.

Nella sentenza Contrada, partendo dall’erroneo assunto che vi fosse consenso tra le parti circa la derivazione giurisprudenziale del reato di concorso in associazione di tipo mafioso, la Corte EDU fonda la violazione del principio nulla poena sine lege sul rilievo che nel momento in cui Contrada poneva in essere la fattispecie delittuosa, cioè negli anni tra il 1979 ed il 1988, non si era registrata ancora in Italia una giurisprudenza univoca su tale reato.

Afferma la Corte che soltanto con la sentenza Demitry pronunciata dalle sez. unite nel 1994 è stata fornita una chiara elaborazione della materia, sino a quel momento, controversa esponendo le ragioni che negano e che riconoscono l’esistenza del reato in questione cercando di porre fine ai conflitti giurisprudenziali in materia.

Tale disamina sembra basarsi su una visione restrittiva del criterio di ragionevole prevedibilità del precetto penale come esplicitato nel diritto vivente. In essa infatti è dato cogliere delle rilevanti differenze con alcune sentenze come quella del caso Del Rio Prada c. Spagna: mentre in questa si richiamava come elemento determinante la violazione la mancanza di accesso ad una interpretazione giudiziale ragionevolmente prevedibile e la condanna si spiega in ragione del fatto che la dottrina Parrot di interpretazione giurisprudenziale in peius fosse intervenuta in modo imprevedibile nel corso degli eventi, orbene nella sentenza Contrada la Corte non ritiene più sufficiente la mera ragionevole prevedibilità. In tal senso, si può agevolmente rilevare l’evoluzione garantista – imprevedibile – della Corte Edu dove ad esempio nel caso Pessino c. Francia la Corte rilevava come lo Stato francese non poteva produrre alcuna sentenza sia di legittimità che di merito che avesse dichiarato la rilevanza penale della condotta contestata al ricorrente prima che questi venisse condannato - così ancora nel caso Soros la Corte Edu, nell’escludere la violazione dell’art. 7, spiega che il ricorrente doveva perlomeno versare in dubbio circa la liceità della condotta serbata.

Tali considerazioni portano a nostro parere a due distinte criticità: l’una attiene alla precedente giurisprudenza CEDU e CGUE relativa all’irretroattività del mutamento giurisprudenziale

Dir. Pen. Cont. Riv. Trim. 1/2013; F. Viganò, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte di Appello di Milano sollecita la Corte Costituzionale ad azionare i contro limiti, in Dir. Pen. Cont. Settembre 2015; Giunta F., Micheletti D., Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzione della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, in Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Giappichelli, Torino, 2003; L. Eusebi, Nemmeno la Corte di Giustizia europea può erigere il giudice a legislatore, Note in merito alla sentenza Taricco in Dir. Pen. Cont. 10 Dicembre 2015; M. Bassini, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza Taricco in Consulta on line, 12/2/2016; A. Bernardi, I difficili rapporti tra fonti interne e fonti sovranazionali, in corso di pubblicazione.

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sfavorevole, l’altra si ravvisa nella problematica legata ai contrasti giurisprudenziali delle camere CEDU ove ciò comporti un disvalore allo stesso ordinamento giuridico o per meglio dire allo Stato che in una seppur lontana declinazione della propria funzione sociale, dovrebbe tendere al rispetto della Convenzione EDU riconosciuta nel precetto costituzionale ex art. 117.

Se vi è la possibilità per l’imputato di non prevedere il comportamento antigiuridico fondato non solo sul precetto ma anche sull’applicazione che di questo viene fatta dalla Suprema Corte, altrettanto accadrà per lo Stato e per la normativa che si trova a dover applicare nel caso in cui risultino non univoci i criteri espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea.

L’incertezza che è dato scorgere nell’arresto della Cedu riguarda proprio un contrasto giurisprudenziale: la Corte viene a censurare il contrasto cioè il presupposto fisiologico dell’esercizio della nomofilachia che è la condizione fattuale per la formazione di quel diritto giurisprudenziale, che sta tanto a cuore alla Corte di Strasburgo. Se dunque il criterio determinante per la violazione dell’art. 7 non è più tanto la soggettiva imprevedibilità delle conseguenze quanto l’oggettiva incertezza derivante dall’esistenza di un contrasto, quali i possibili esiti in molte altre situazioni caratterizzate da non minore incertezza?

In breve: La Corte di Strasburgo, nell’enunciare il principio di legalità dei reati e delle pene, prescinde dal principio di riserva di legge equiparando, sul piano delle fonti del diritto penale, all’atto normativo scritto la fonte giurisprudenziale in quanto concorrente a delineare il diritto vivente la cui osservanza si impone ai consociati. Ad ogni buon conto, recentemente, proprio in materia di mutamento giurisprudenziale, la Corte Costituzionale, con una importante sentenza,2 ha voluto confermare con ricchezza di argomenti il paradigma classico della giuridicità cioè quello fondato sulla prevalenza parlamentare, sulla divisione dei poteri sulla sottoposizione del giudice alla legge e sul primato della legge.

Giusti i requisiti di legalità necessari per la formazione del diritto vivente teorizzati dalla Corte Edu, cioè quelli di accessibilità e prevedibilità, volti a delimitare, secondo una prospettiva individuale, le esigenze di certezza legale che presiedono alla assoggettabilità alla sanzione della condotta punitiva del precetto penale, rimangono sconosciuti i limiti entro cui possano dirsi assodati gli orientamenti giurisprudenziali cui riferirsi per l’esercizio applicativo.

In altri termini è come dire che per dedurre la corretta interpretazione di una norma, sia questa nazionale o europea, sia necessario avere chiarezza interpretativa a tal punto da doversi necessitare un arresto della Grande Camera affinché non vi siano dubbi di sorta sulla prevedibilità della condotta illecita. D'altronde “l’imprevedibilità” del mutamento giurisprudenziale della Corte Edu dimostrato a partire da CR. c. UK, Del Rio Prada c. Spagna passando per Pessino c. Francia e poi Contrada c. Italia, suscitano non pochi dubbi sull’affidabilità degli argini giurisprudenziali a cui il giudice dovrà riferirsi nell’applicazione del nuovo paradigma di legalità ex art. 7 CEDU.

Dunque, se l’incertezza applicativa come tale fosse sufficiente a minare la base normativa della fattispecie, la condanna sarebbe preclusa nei casi, pur marginali che fossero, nei quali sia in discussione, per l’appunto, l’elemento incerto di fattispecie.

Di fatto, estremizzando il concetto, una giurisprudenza di cassazione non univoca inciderebbe sul principio di legalità integrandone una violazione.

2 Corte Cost. sent. 230/2012 in

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=230

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Tuttavia non può sottacersi come sul tema del primato dell’interpretazione, in un sistema retto dal principio di legalità dei reati e delle pene come il nostro, “proprio il rispetto dei principi porta a concludere che non è consentito ritenere la giurisprudenza quale fonte legale.”3

Come rileva la migliore dottrina4 sul punto: “ Occorre distinguere l’improvviso e netto revirement giurisprudenziale sfavorevole, rispetto al quale un argine, una garanzia è assolutamente necessaria, dalla situazione di semplice incertezza applicativa. Escludere in quest’ultima ipotesi la legalità di una condanna, significherebbe impedire qualunque processo di concretizzazione giurisprudenziale delle disposizioni legislative, in palese contraddizione con l’assunto fondamentale della legalità europea secondo il quale alla produzione del diritto concorrono i due formanti, legislativo e giurisprudenziale”.

In tal guisa, il vero rischio che si deve rilevare è la concreta possibilità che il principio di legalità venga sottoposto alla imponderabile – sia qualitativa che quantitativa – dose di interpretazione cui opportunamente si voglia far ricorso5.

Applicando l’insegnamento europeo nel quotidiano italiano, sarebbe forse inappropriata la richiesta dell’avvocato che, deducendo l’imprevedibilità dell’illecito penale – in situazioni di contrasto giurisprudenziale – citando la sentenza Contrada, chiedesse l’assoluzione?

Il punto di rottura che si viene a creare risulta di magnitudo crescente in ragione della stratificazione che poco a poco si forma tra la struttura dell’ordinamento di civil law e l’applicazione del diritto vivente, in particolare della giurisprudenza sovranazionale. La divisione che man mano si va frapponendo in tal senso rischia, se non ben arginata dai (contro) limiti posti dalla Corte Costituzionale, di inibirne l’azione nel momento in cui tardivamente dovesse essere chiamata ad operare. La distanza presente, a quel punto, fra principi oramai assodati in ambito europeo ed identità nazionale, all’uopo demodé, risulterebbe con buona probabilità incolmabile.

Il vero problema non risiede però nella mutevolezza degli arresti sovranazionali, sebbene la legalità ivi affermata appaia di complicata inclusione nell’ordinamento di civil law, finché sia ordinato sul brocardo in dubio pro reo. La criticità nasce, piuttosto, quando l’affermazione della prevalenza del diritto unionale bypassa la verifica di specie costituzionale. Ferma restando la vincolatività delle disposizioni contenute nella Convenzione così come interpretate dalla Corte EDU, sta proprio alla Corte Costituzionale la delicata opera di inserimento del principio convenzionale nell’ordinamento interno con l’accortezza, ben inteso, di verificarne la compatibilità costituzionale ancor prima che questo acceda nell’ordinamento nazionale.

 Sulla disapplicazione della prescrizione.

Inquadramento sistematico dell’istituto della prescrizione. Natura processuale o sostanziale?

3 R. Rampioni, Principio di certezza e cd. Diritto vivente, in La Giustizia penale, 2015 p.

seconda, cit. pag 515. L’autore ricorda che la C. Cost. con sentenza 230/2012 ha sancito che pure l’orientamento delle Sezioni Unite ha valore “essenzialmente persuasivo” ed è suscettivo di essere disatteso “in qualunque tempo e da qualunque giudice della Repubblica, sia pure con l’onere di adeguata motivazione”.

4 F. Palazzo, La sentenza Contrada e I cortocircuiti della legalità in Diritto Penale e processo 9/2015 cit. pag. 1063

5 Diffusamente sul punto: O. Di Giovine, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Dir. Pen. Cont.

Riv. Trim. 1/2013 164 e ss.

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Va premesso che tale questione lo scorso 18 settembre è stata opportunamente rimessa alla Consulta dalla Corte di Appello di Milano, invitandola ad opporre dinanzi alle limitazioni di sovranità dell’UE l’arma dei controlimiti6.

È quindi opportuno indicare quale posizione sistemica riveste l’istituto in parola nell’ordinamento italiano così da chiarirne le successive implicazioni.

Invero, la natura sostanzialistica dell’istituto della prescrizione, quantomeno in base alla dottrina prevalente7 nonché alla magistratura prevalente8, non risultava essere oggetto di incertezze.

Altrettanto vero, però, è che la Corte di Cassazione ha di già ratificato l’operato della CGUE rispondendo affermativamente al quesito relativo alla disapplicazione degli artt. 160 cpv e 161 c.p.

poiché verosimilmente pregiudizievoli degli obblighi imposti agli Stati membri dal Diritto dell’Unione.

Si ritiene necessario chiarire, ancor prima di pervenire a deduzioni, apparentemente scontate, quale posizione viene rivestita dall’istituto della prescrizione all’interno della nostra Carta fondamentale:

6 “…In particolare la Corte di Appello di Milano ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sull'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene ordinata l'esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona, "nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost." in www.penalecontemporaneo.it : cit. da“Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte di Appello di Milano sollecita la Corte Costituzionale ad azionare i contro limiti” di F. Viganò

7 Fra gli autori di concezione sostanzialistica si ricorda: Pisa P. voce Prescrizione – Diritto penale, in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986; Panagia S. voce Prescrizione del reato e della pena, in Dig. disc. pen.,

vol. IX, Torino, 1995; Molari A., voce Prescrizione del reato e della pena (Diritto penale), in Noviss. dig. it., vol. XIII, Torino, 1966.

8Di tale avviso, parte della magistratura che specularmente afferma come”… Attribuire alla prescrizione (istituto sostanziale) funzioni (anche) di regolamentazione della durata del processo è allora scorretto, sul piano sistematico. Del resto, basterebbe riflettere su come sia all’evidenza irrazionale attribuire alla discrezionalità del singolo interessato (come in effetti oggi avviene, mancando alcuna “sterilizzazione del tempo del processo” al fine della prescrizione del reato) la possibilità di posticipare i tempi di trattazione del procedimento fino al momento in cui maturi il suo diritto all’oblio ovvero in cui egli “sia divenuto persona diversa” da quella che commise il fatto per il

quale si sta procedendo…” di Carlo Citterio in

http://www.associazionemagistrati.it/doc/1812/riflessioni-sparse-sulla-prescrizione- dei-reati.htm.

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successive speculazioni critiche sull’afflato europeo, non possono prescindere da un’analisi ontologica dell’ordinamento che si trova a recepire principi di diritto sì innovativi.

Se da una parte le deduzioni europee, recepite dalla Cassazione, appaiono gravemente incuranti dei principi già espressi dalla giurisprudenza9 sul punto, non può trascurarsi, d’altra parte, come la meritevolezza dell’affidamento del cittadino nei termini affrontati dall’Avvocato Kokotte nella sentenza Taricco ha dei limiti, probabilmente coincidenti con l’ampiezza dell’art. 7 Cedu. Se il soggetto può dunque confidare nell’irretroattività delle norme penali incriminatrici o aggravatrici del trattamento sanzionatorio non può, d’altro canto, riporre nel disservizio della giustizia rectius funzionamento esemplare della stessa – sistematicamente in ogni caso imperfetto – le proprie speranze di impunità.

Ad ogni modo, la prescrizione continua ad essere al centro di un’irrisolta controversia sulla sua natura sostanziale o processuale e sulla sua stessa configurazione nell’ambito del modello costituzionale italiano.

- Le dottrine a confronto -

Orbene, parte della dottrina10 rinviene nella natura del meccanismo prescrizionale una connotazione di tipo garantistico che riflette la stessa logica di quell’orientamento di pensiero che conclude per “…l’inammissibilità delle pene perpetue, le quali, là dove previste, disconoscono il fondamentale diritto di ciascuno a vivere da uomo libero”11.

In particolare, i principi posti alla base della prescrizione, secondo tale insegnamento, non vanno ricercati in un determinato nomen juris presente nella nostra carta fondamentale, bensì all’interno di tutte quelle disposizioni che afferiscono al riconoscimento dei diversi diritti sociali in capo al cittadino: anzitutto va richiamato l’art. 2 Cost., che garantisce la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come il diritto alla vita, che viene appunto salvaguardato dalla delimitazione del potere dello ius puniendi. Focalizzando l’attenzione sulla prospettiva penalistica, possono rinvenirsi negli artt. 27 c. 3 e 111 Cost. i corollari dell’istituto della prescrizione quali i principi di durata ragionevole del processo e della funzione rieducativa della pena.

D'altronde, come la più attenta dottrina12 rileva sul punto: “…L’analisi della voluntas legislatoris non lascia spazio a dubbi di sorta, essendo pacifico che l’intenzione dei compilatori del codice fosse quella di assegnare all’istituto della prescrizione natura sostanziale. E ciò non solo per l’opzione terminologica compiuta, ma anche per alcuni passaggi dei Lavori preparatori13, che appaiono assolutamente netti sul punto”.

9 Cfr. infra nota 2.

10 BARTOLO P., voce Prescrizione del reato, in Enc. giur. Treccani, vol. XXIV Roma, 2006, p. 2¸STORTONI L., Prescrizione e irretroattività fra diritto e procedura penale, in Foro. it., 1998, V, cit. pag. 321.

11 GIUNTA F., MICHELETTI D., Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzione della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, in Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Giappichelli, Torino, 2003 cit., p. 45

12 L. Eusebi, Nemmeno la Corte di Giustizia europea può erigere il giudice a legislatore, Note in merito alla sentenza Taricco in Dir. Pen. Cont. 10 Dicembre 2015, cit. pag. 4.

13Si riporta integralmente quanto acutamente evidenziato da L. Eusebi relativamente alla voluntas del legislatore: …” Nella Relazione del Guardasigilli di accompagnamento

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Di senso opposto, invece, le parole della Cassazione14 che brutalmente riportano la speculazione dottrinaria alla cruda realtà, chiarendo che, a ben vedere, sebbene la provenienza dell’istituto non possa formalmente riconoscersi nell’ambito sistemico processuale, di fatto la prescrizione “è un espediente escogitato dal legislatore per «realizzare quella finalità di carattere sostanziale costituita dalla “durata ragionevole” del processo penale, che è tutelata dall’art. 6 della Convenzione europea”.

I tentativi di conferire alla prescrizione una connotazione processualistica, smentendo, così, la predominante (e maggiormente fondata) tesi della sua natura sostanziale si sono attestati, in passato, sulla sua funzione di tutela dell’efficacia dimostrativa delle prove penali dagli effetti del tempo: essa si giustificava, infatti, «con la difficoltà di provare adeguatamente un reato quando troppo tempo sia trascorso dalla sua commissione15».

Depone a favore, in tal senso, l’interpretazione legislativa dell’istituto, nell’accezione che è data riscontrarsi nella novella del 2005 n. 251, «non provvede in alcun modo a garantire al processo le condizioni per poter avanzare piú celermente»16, sicché l’unico effetto che può derivarne alla durata dei processi è che la prospettiva di una più facile impunità induca un pronto e solerte contegno negli organi della giustizia (pubblici ministeri, giudici, cancellerie, apparato burocratico), evitando quelle inerzie e lungaggini procedurali (i cosiddetti «tempi morti», periodi di stasi tra le varie fasi in cui non si svolgono attività processuali) che dilatano irragionevolmente i tempi del processo17.

al testo definitivo si legge, infatti, che le cause estintive “si riferiscono al rapporto giuridico nascente dal reato, e non già al rapporto giuridico processuale nascente dal promovimento dell’azione penale” (Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. V, cit., p. 198). Cosi come, nella Relazione del Guardasigilli al testo del nuovo codice penale, si legge, con specifico riferimento al principio di comunicabilità degli effetti sospensivi e interruttivi della prescrizione (art. 161 c.p.): “è logico che deve trattarsi di reati connessi, perché la prescrizione non è un istituto di diritto processuale, ma di diritto sostanziale” (Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. VII, Testo del nuovo Codice penale con la Relazione a Sua Maestà il Re del Guardasigilli (Rocco), Roma, 1930, p. 78) da Note in merito alla sentenza Taricco di L. Eusebi, in Dir. Pen. Cont. 10 Dicembre 2015, cit.

pag. 3.

14 Cass., Sez. I, 21 aprile 1986, Colussi, in Giust. Pen., 1988, III, cit. pag. 18.

15 Corte cost., sent. 23 novembre 2006, n. 393, in Guida al Dir., 47/2006, cit. pag. 58.

16 D. Silvani, La nuova disciplina della prescrizione del reato, in Dir. Pen. e Proc., 2006, cit. pag 305.

17 Nel documento si segnala come il regime della prescrizione potrà fare da supporto al principio costituzionale della durata ragionevole «soltanto se oculatamente rivolto (...) a contenere tempi morti e inerzie degli organi giudiziari», con il necessario e contestuale supporto di «correttivi che favoriscano sotto altri profili l’accorciamento dei tempi del processo (con interventi, ad esempio, sul regime delle notificazioni e delle impugnazioni)», in Consiglio direttivo dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, in Cass. Pen., 2005, cit. pag. 340.

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La dottrina18 sul punto, fornendo una lettura sistemica, afferma che il carattere processuale sarebbe dimostrato dalla permanenza di diversi effetti giuridici di carattere penale nonostante la dichiarazione di intervenuta prescrizione. Tale ultimo aspetto potrebbe dedursi ad esempio dal fatto che l’intervento della prescrizione lascia comunque residuare conseguenze penali non irrilevanti – specie nel campo delle misure di sicurezza – tali da risultare abnormi ove non si postulasse la permanenza delle ragioni sostanziali della illiceità19. Ed ancora, il perdurante diritto ad ottenere il risarcimento anche del danno non patrimoniale qualora la prescrizione maturi in epoca successiva alla pronunzia di primo grado a mente dell’art. 578 c.p.p. dimostra la permanenza di effetti connessi alla qualificazione del fatto proprio quale illecito penale.

Tra l’altro, esaminando la dottrina che aderisce all’indirizzo sostanzialista, diversamente dal decisum della CGUE che vuole la prescrizione quale istituto processuale, questa involge il portato ermeneutico che riconduce le norme dettate in materia di prescrizione allo statuto penalistico contenuto nell’art. 25, 2° comma Cost. con la diretta conseguenza che ivi opera la riserva di legge e lo speculare divieto di analogia ma soprattutto il divieto di retroattività di modifiche in malam partem.

Più concretamente, considerando la giurisprudenza di legittimità sul punto, veniva già chiarita la soluzione cui la stessa Corte Costituzionale addiveniva sin dalla sentenza n. 275/1990, sebbene incidentalmente, ma soprattutto nella più recente pronuncia n. 394/2006, laddove il tema controverso era invero speculare a quello in esame, concernendo l’applicabilità retroattiva della lex mitior (segnatamente, il caso riguardava la declaratoria di incostituzionalità della norma transitoria che regolava l’entrata in vigore dei nuovi termini previsti dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 c.d. ex Cirielli). Assai chiare, in questo senso, le affermazioni della Corte per cui “l’adozione di pronunce in malam partem in materia penale osta non già una ragione meramente processuale… ma una ragione sostanziale intimamente connessa al principio della riserva di legge sancito dall’art. 25, 2° c. Cost.”.

A completamento, va rammentato che il giudice delle leggi20 precisava che l’interpretazione, se fungesse da integrazione del contenuto della norma, tradirebbe altresì il principio di determinatezza: difatti ciò che risulta primario, per garantire la vigenza di quei principi illuministici posti alla base del sistema penale è “garantire la concentrazione nel potere legislativo della produzione della regula juris; assicurare al destinatario del precetto penale la conoscenza preventiva di ciò che è vietato…”21.

Questo orientamento può dirsi sostenuto sia dalla giurisprudenza di legittimità22, sia dalla Corte costituzionale23 che non hanno esitato ad affermare che la copertura del principio di legalità si estende alle norme in tema di prescrizione. Ad ulteriore specificazione dei corollari scaturenti dal

18 PAGLIARO A., Il fatto di reato, Palermo, 1960 Volume 15° della Collana di studi penalistici diretta da G. Bettiol.

19 MICHELETTI D., Prescrizione del reato e della pena, in Digesto pen., aggiornamento, vol. IV, Utet, Torino, 2008, 767 cit., pag. 355,

20 C. Cost. sent. 230/2012 in Cass. Pen. 2013 p. 628 s.

21 R. Rampioni, Principio di certezza e cd. Diritto vivente, in La Giustizia penale, 2015 p. seconda, cit. pag 516.

22 Su tutte, cfr. Cass., sez. un., n. 21833/2007 in http://www.cortedicassazione.it

23Corte Cost. sent. n. 324/2008 in http://www.cortecostituzionale.it

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principio costituzionale, non solo la dottrina24, ma soprattutto recenti arresti del giudice delle leggi25 impongono l’operatività, anche con riguardo al meccanismo prescrizionale, del principio di retroattività delle norme più favorevoli al reo, sancito dall’art. 2, 4° comma c.p..

Chiarita la posizione che l’istituto in parola possiede nella dottrina e nella giurisprudenza nazionale, posto che il rango che ricopre risulta prima facie necessario per valutarne l’opposizione dei contro limiti dinanzi all’affermazione del primato del diritto (primario) dell’Unione europea, occorre comprendere quali sono le fonti normative su cui si basa la costruzione della legislazione penale europea.

Quando ci si rapporta con l’UE la situazione risulta ben distinta dal sistema convenzionale: invero solo quello unionista è un autentico ordinamento cui è stata ceduta una porzione di sovranità ex art. 11 Cost. dunque solo quel sistema è legittimato a produrre diritto auto applicativo e prevalente.

La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e quindi non è autorizzata a creare norme direttamente applicabili26.

- Gli strumenti normativi europei -

Considerando ora agli strumenti provenienti dal legislatore europeo in materia di politica criminale, si può affermare che le sfere di competenza penale relative allo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” che l’Unione intende offrire ai suoi cittadini (art. 3, par. 2 TUE) si iscrivono in una prospettiva politica più ampia e meno vincolante, rispetto a quella della tutela degli interessi finanziari europei, essendo finalizzata a realizzare – tramite “misure appropriate”, aventi ad oggetto, fra l’altro, nientemeno che la “prevenzione e lotta alla criminalità” – il necessario pendant del mercato unico senza frontiere interne, per promuovere la libera circolazione delle persone, oltre che dei servizi, delle merci e dei capitali, e raggiungere gli articolati obiettivi delle

“politiche” dell’Unione27.

Anziché dalla tassativa posizione di obbligatorietà che si evince dall’art. 325 TFUE, l’esercizio delle competenze penali di cui all’art. 83 TFUE è caratterizzato infatti dalla discrezionalità politica del legislatore europeo, che è sancita dal testo letterale delle formulazioni normative: Parlamento e Consiglio “possono” stabilire “norme minime” mediante direttive, sia per contrastare sfere di criminalità particolarmente grave e transnazionale (art. 83, par. 1, TFUE), sia per garantire

“l'attuazione efficace di una politica dell'Unione”, se il ricorso anche al diritto penale si riveli

“indispensabile”, con il solo limite, giuridicamente vincolante, che si tratti di un “settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione” (art. 83, par. 2 TFUE).

Ben si comprende la distanza fra le due disposizioni, l’una di tipo precettivo e speciale, l’altra di mero ravvicinamento dei reati e delle sanzioni.

Tuttavia, per quanta autonomia possa cedersi all’UE, soprattutto se si tratti di interessi economici transnazionali, la Corte costituzionale28 sin dagli anni ‘70 ha statuito che : “… in base all’art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni

24 NOBILI M., Prescrizione e irretroattività fra diritto e procedura penale, in Foro. it., 1998, V.

25 C. Cost. sent. 393/2006 in http://www.cortecostituzionale.it

26 Sul punto Corte Cost. sent. 348/2007; 349/2007 e sent. Corte Cost. 80/2011.

27 cfr. art. 3, par. 3 TUE e Titolo I della menzionata seconda parte TFUE.

28 Sent. 183/73 in Giurisprudenza Costituzionale, I, 1973, p. 2401.

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concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma – sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini – possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana..”.

A questo punto occorre risolvere una questione delicata. Posto che per talune fattispecie di reato il legislatore vorrebbe allungare il termine massimo prescrizionale o, quantomeno, disapplicare l’istituto della prescrizione affinché lo ius puniendi “unionale” possa trovare il giusto epilogo, appare scontata la considerazione che esistono almeno due tipi di fattispecie criminose: quelle di facile inquadramento e della cui esplicazione processuale non si dubita possa essere verosimilmente composta nei termini già previsti dal legislatore, e poi quelle che, secondo il legislatore, non devono essere soggette ad un contingentamento dei tempi della giurisdizione non solo a causa della particolare difficoltà di accertamento processuale ma anche, e forse soprattutto, per l’oramai cronica incapacità del sistema di pronunciarsi definitivamente prima dello scadere dei termini ex art. 157 c.p..

Invero, le fattispecie che vengono ricondotte, quantomeno statisticamente, a quel nucleo di processi che trovano definizione nel mero accertamento prescrittivo sono assai variegate: vuoi per la pena comminabile che ne determina la vita processuale, vuoi per la non inclusione nei delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis, ter e quater c.p.p., che non pone limiti all’estensione del prolungamento complessivo dei termini prescrizionali, di fatto molti non trovano ancora giusta collocazione quantomeno in un’ottica di politica criminale29. A tal proposito alcuni dubbi sorgono volgendo lo sguardo al sistema valoriale dell’Unione, analizzando la produzione legislativa

“comunitaria”, quasi esclusivamente concentrata nella difesa dei propri interessi economici. Potrà sembrare illusorio credere fermamente in quel nucleo di principi individuati nella Cedu ed anche dalla CFDUE teoricamente impermeabili a qualsivoglia interesse diverso dalla salvaguardia dei diritti umani che li rende, dunque, esegeticamente primari tuttavia, ad oggi, hanno più volte ceduto il passo ad una prospettiva “mercantilistica che per lungo tempo ha caratterizzato la costruzione comunitaria”30.

Ciò premesso, è evidente l’insostenibilità dell’ingerenza della competenza penale europea negli istituti di parte generale31 senza prevederne una rielaborazione sistemica vieppiù ove questi

29 Nella classificazione operata per ”grande voce di reato” sui procedimenti definiti con prescrizione del reato, si evidenzia un dato allarmante: alla voce “imposte dirette ed iva” si registra un aumento di soli 10 casi rispetto al 2013. Tale dato, sebbene negativo, appare irrilevante se posto in comparazione con altri titoli di reato quali quelli relativi agli stupefacenti che fanno segnare un aumento di 140 casi sempre

rispetto al 2013. Fonte: Corte di Cassazione-

http://www.cortedicassazione.it/cassazione-

resources/resources/cms/documents/AG2015_PENALE.pdf

30 M. Bassini, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza Taricco in Consulta on line, 12/2/2016 , cit. pag. 109.

31 “…Essa non appare (oggi) neppure opportuna, sia politicamente che sistematicamente, perché l’ipotetica parte generale valida per il diritto penale europeo posto a tutela degli interessi finanziari dell’Unione dovrebbe poi convivere con le parti

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rivestano massima espressione dei principi fondamentali cui la nostra carta fondamentale risulta ordinata.

Cercando di prevedere quale sarà l’epilogo del portato europeo , qualora dovesse valere l’interpretazione della CGUE in punto di diritto circa la natura processuale della prescrizione, l’unica questione apparentemente esclusa dalla querelle sarebbe quella relativa alla applicabilità o meno della retroattività del decisum Taricco, per il semplice fatto che la nuova disposizione dovrebbe poter dispiegare il proprio effetto solo negli illeciti penali posti in essere successivamente alla propria prevedibilità. Principio32 che, d’altra parte – per reiterata affermazione della Corte di giustizia dell’Unione europea – trova riconoscimento anche nel diritto dell’Unione, in quanto riconducibile ad una condivisa tradizione costituzionale comune agli Stati membri.

D'altronde è la stessa Corte di Lussemburgo che colloca il diritto CEDU al vertice del sistema delle fonti UE attraverso la macrocategoria di “diritto originario dei principi generali del diritto comunitario33”. Sebbene tutto ci appaia possibile, dopo il revirement della sentenza Contrada, basandoci sulla giurisprudenza34 già citata, appare auspicabile il “dovere” di interpretazione conforme in capo alla CGUE al principio di cui all’art. 7 CEDU, ed in particolare al suo corollario relativo alla retroattività della lex mitior così come indirettamente sancito nella sentenza Scoppola c. Italia. D’altro canto, però, non si può ignorare il fatto che la paventata natura processuale dell’istituto e delle norme che dunque lo regolano, determinino l’applicazione anche ai processi in corso del novum giurisprudenziale in termini di tempus regit actum. Altra opzione che si offre alla Corte è quella declinata in dottrina35 che vede dichiarare carente il requisito della rilevanza, partendo dall’assunto che una modifica delle norme sulla prescrizione, ammesso e non concesso che queste vengano incluse nel principio di legalità, non potrebbero trovare applicazione retroattiva poiché sfavorevoli rispetto la normativa preesistente. L’unica criticità di tale verosimile epilogo della questione di legittimità costituzionale si ravvisa proprio nell’assunto che le norme in esame siano o meno afferenti al precetto costituzionale di legalità, da cui ne discenderebbe la copertura dell’art. 25 c.2.. Diversamente, come frettolosamente licenziato dai giudici di

generali dei singoli codici nazionali, valide per tutti gli altri settori e reati: il che appare ancor meno praticabile della stessa mancata armonizzazione di parte generale…” Le basi giuridiche per l’introduzione di norme penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della procura europea, di Prof. Lorenzo Picotti in Dir. Pen. Cont. riv. telem.

trim. passim.

32 Corte giustizia C.E., Sez. II, 8 febbraio 2007, causa C-3/06 P, Groupe Danone c.

Commissione; Corte giustizia C.E., Grande Sezione, 28 maggio 2005, cause riunite C- 189/92 P e C-202/02 P, da C-205/02 P a C-208/02 P, C-213/02, Dansk Rørindustri A/S e a. c. Commissione.

33 Ex plurimis: Rohleder , Grundrechtsschutz in europaiscen Mehrebenen System, Baden Baden, cit. pagg. 365 ss.

34 Cfr. nota 33.

35Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte di Appello di Milano sollecita la Corte Costituzionale ad azionare i contro limiti” di F. Viganò, in Dir.

Pen. Cont. 21 settembre 2015.

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legittimità36, facendosi scudo dell’arresto della Corte Costituzionale37, non ritenendo la specifica norma coperta dall’art. 25 Cost. e dunque dall’art. 7 Cedu, e considerando altresì la natura dichiarativa delle sentenze della CGUE, non si consumerebbe alcuna applicazione retroattiva di norme penali incriminatrici sanzionatorie. Non depone a favore, in tal senso, la nozione di

“materia penale” che viene fornita dalla giurisprudenza CEDU che esclude vi si possa ricomprendere l’esecuzione della pena. In particolare risulta poco confortante, altro differente inquadramento che veniva fornito con la sentenza Kafkaris c. Cipro, in cui persino l’istituto della liberazione condizionale viene considerata semplice esecuzione della pena.

Ebbene appare a chi scrive che la questione, per trovare giusta copertura in un’ottica regionale ed il cauto distacco dall’interpretazione unionista, fondato sulla cogenza costituzionale regionale, non potrà che sciogliersi su di una considerazione meramente identitaria. Cercando di non somigliare troppo alla Germania, va però accolta con favore la decisione del 15 dicembre 2015 della Corte Costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht) nel caso R secondo cui la protezione dei diritti inalienabili garantiti dalla Costituzione tedesca (Grundgesetz) prevale sull’applicazione della legislazione unionale38.

Concludendo.

Appare di tutta evidenza che l’ampliamento del regime prescrizionale porterà, senz’altro, ad una dilatazione del tempus dei processi con buona pace della CEDU che illo tempore condannò l’Italia per la loro eccessiva durata. Ora, atteso che la modifica dell’istituto in parola si pone distante da una rivisitazione sistemica che consentirebbe l’effettiva risoluzione di problematiche processuali oramai risalenti – dimostrando verosimilmente quale unico effetto l’allungamento dello ius puniendi in capo allo Stato – quali effetti possono derivare dalla disapplicazione degli artt. 160 cpv. e 161 c.p.?

La conclusione appare scontata e non incoraggiante a meno che non si voglia sostenere che il meccanismo prescrittivo riesca ad incidere anche sul buon funzionamento del sistema giudiziario.

In realtà, l’istituto della prescrizione “non è istituzionalmente vocato ad assicurare la ragionevole durata”; semmai esso può, laddove ben calibrato, “indirettamente sollecitare una giustizia più rapida e, qualora fallisca, impedirne una dall’irragionevole durata39.

In conclusione, come sapientemente rilevato in dottrina40: “Qualunque natura si voglia attribuire all’istituto della prescrizione del reato (rientri esso nel diritto penale sostanziale ovvero in quello

36 Corte di Caasazione sez. 3°, sent. n. 2210/2016 del 22.01.2016 in http://www.cortedicassazione.it

37 Corte Cost. n. 236/2011 in

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=236

38 Per il puntuale commento si rimanda integralmente al contributo di Nicola Canestrini dal titolo: Questione di dignità? L’identità costituzionale degli stati membri come controlimite al primato del diritto comunitario, da Melloni a R. (aspettando la decisione sul caso Taricco) in Cass. Pen. 2016 fasc. 4°.

39 GIOSTRA G., Il problema della prescrizione penale: aspetti processuali, in Per una giustizia penale più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli, Atti del convegno di studio

“Enrico De Nicola” organizzato dal Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, 2006 cit. p. 2221.

40 Ernesto Lupo, La Primauté del Diritto UE e l’Ordinamento penale nazionale,

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processuale), l’applicazione della sua disciplina non può essere affidata a scelte giudiziarie sostanzialmente libere, perché non aventi parametri predeterminati dalla legge…”. È la stessa ampiezza del principio di legalità riconosciuta dalla nostra Costituzione che obbliga il giudice a non potersi adoperare in un esercizio talmente al di fuori delle sue prerogative da potersi sostituire al legislatore per decidere quale frode sia “grave” e se, sistematicamente, l’istituto della prescrizione così come strutturato dal legislatore italiano ne impedisca la punizione. Va da sé che tali conclusioni, se non saranno frutto di un rapido intervento legislativo teso a dare efficacia e formale riconoscimento – questo forse, tra breve, ad opera della Corte Costituzionale – dell’art.

325 par. 1 TFUE, rischiano di essere portate a termine dal giudice comune che, qualora dovesse scegliere di non rappresentare il problema alla Corte Costituzionale, rischierà, suo malgrado, di determinare una inevitabile approssimazione con possibili disuguaglianze. Forse, proprio in questo passaggio può comprendersi ciò che l’Ue non può chiedere al nostro ordinamento cioè quello sforzo integrativo – non interpretativo – estraneo al nostro ordinamento, che colmerebbe la genericità del precetto europeo.

Se da un lato l’integrazione che la Grundnorm europea può offrire alla Carta Costituzionale può rappresentare l’unico motivo che impedisca l’innalzamento dei contro limiti, risulta imprescindibile che da tale commistione possa determinarsi un ampliamento valoriale della disposizione regionale tale da ripercuotersi positivamente sull’intero sistema di protezione dei core rights. Diversamente, la disposizione europea non potrà irrompere nel sistema nazionale per cambiarne i “connotati”.

Come acutamente osservato “…Se la flessibilizzazione del tipo legale libera la creatività del giudice, l’evaporizzazione dell’oggetto di tutela consente ulteriori ampliamenti dell’area del penalmente rilevante…”41.

Ciò posto, stridono ancor più i principi affermati della Cassazione42 ove si afferma nel par. 16 che : “…in ogni caso occorre disapplicare la norma sulla interruzione perché nella specie anche le singole evasioni raggiungono ognuna la soglia della gravità…” quando, invece, poco prima – par.

15 – rimette nelle mani del giudice comune tale decisione citando il caso Granital (sent.

170/1984).

Al di là della contraddizione, stupisce a nostro avviso, la leggerezza con la quale si supera ogni valutazione circa l’indeterminatezza che il precetto europeo, limitatamente alle modalità descritte dalla CGUE, rischia di provocare non solo dinanzi all’esercizio ermeneutico dell’interprete ma anche nel quisque de populo cui la norma si riferisce. Più avvedute, in tal senso, appaiono le parole della IV° sezione43 che evidenzia l’indeterminatezza del parametro fornito dalla CGUE per comprendere la gravità della frode. Nel caso di specie i giudici di legittimità, poggiandosi sull’analisi fattuale effettuata dal giudice comune che ometteva di contestare l’aggravante di cui all’art. 61, 7° comma c.p., trovano uno strumento da cui desumere la non gravità della frode contestata. La deduzione, sebbene frutto di una personale interpretazione dell’arresto Taricco,

Riflessioni sulla sentenza Taricco, in Dir. Pen. Cont. 02/2016.

41 R. Rampioni, Principio di certezza e cd. Diritto vivente, in La Giustizia penale, 2015 p. seconda, cit. pag 516

42 Sent. 2210/16 Cass. 3° sez Pen. in http://www.cortedicassazione.it

43Cassazione, sez. IV, sent. 25 gennaio 2016, n. 7914, Pres. Ciampi, Est. Pavich, imp.

Tormenti e a. in http://www.cortedicassazione.it

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appare quantomeno strutturato su un parametro sostanziale che difficilmente potrà essere confutato a meno che non venga chiarita con maggiore precisione quale debba essere la soglia sopra la quale dichiarare grave la frode commessa.

Riassumendo, la portata del diritto vivente, di per sé, se applicata senza la struttura costituzionale del principio di legalità, si spinge sino a rielaborare la struttura tipica della fattispecie o addirittura

“sostituendo l’oggetto di tutela, mette in atto scelte di politica criminale in grado di condizionare il momento fondante del sistema punitivo” 44.

La verità è che per quanto esistano sistemi multilivello di protezione dei diritti dell’uomo che potenzialmente – sebbene non perfettamente calibrati – tendano ad un’effettiva garanzia dei principi, fintanto che il legislatore “delegherà” interamente le proprie attività di produzione normativa all’interpretazione giurisprudenziale europea e di rimando a quella della Corte Costituzionale, il principio di riserva di legge non troverà mai effettiva applicazione sancendo, una volta e per tutte, la modifica del nostro ordinamento giuridico in quello di pseudo-Common law.

Al di là delle provocazioni, per vero, ciò che più preoccupa è il risultato che potrà ottenersi nell’integrazione fra ordinamenti portata avanti senza una coordinazione sistemica che possa mettere al riparo i principi cardine sanciti nella Carta fondamentale. Lungi dal voler spalleggiare il sistema penale nazionale, senza dubbio afflitto da numerose criticità, sono le approssimazioni45 attraverso le quali viene a consumarsi l’armonizzazione che mettono a repentaglio la stessa tenuta del nostro sistema.

Roma, 30 maggio 2016

L’Osservatorio Europa

44 R. Rampioni, Principio di certezza e cd. Diritto vivente, in La Giustizia penale, 2015 p. seconda,cit. pag 517

45 A. Bernardi, I difficili rapporti tra fonti interne e fonti sovranazionali, in corso di pubblicazione cit., par. 11.

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