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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne. Prima edizione - 2015

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I Comuni della

Strategia Nazionale Aree Interne

Prima edizione - 2015

Studi e Ricerche

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Studi e Ricerche

I Comuni della

Strategia Nazionale Aree Interne

Prima edizione - 2015

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Fondazione IFEL

A cura di Francesco Monaco (responsabile Area Mezzogiorno e Politiche di Coesione Territoriale ANCI e Dipartimento Fondi Europei e Investimenti Territoriali IFEL) e Walter Tortorella (responsabile Dipartimento Studi Economia Territoriale IFEL)

Gli apparati statistici sono stati sviluppati da Giorgia Marinuzzi

Gli apparati descrittivi sono stati redatti da: Carla Giorgio (Capitolo 1);

Sabrina Lucatelli (Capitoli 2 e 3); Francesco Monaco (Capitolo 4);

Simona Elmo in collaborazione con Anastasia Maria Sforza (Capitolo 5);

Simona Elmo (Capitolo 6); Stefania Farsagli (Capitolo 7); Stefania Farsagli, Carla Giorgio e Giorgia Marinuzzi (Capitolo 8); Walter Tortorella (Capitolo 9) Si ringrazia Massimiliano Sabaini del Dipartimento Finanza Locale IFEL per le eleaborazioni statistiche relative agli investimenti fissi lordi dei comuni

La presente pubblicazione si chiude con le informazioni disponibili al 9 ottobre 2015

Progetto grafico:

Giuliano Vittori, Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli cpalquadrato.it

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Indice

Premessa di Veronica Nicotra Introduzione di Pierciro Galeone Capitolo 1.

Il percorso di definizione fino all’Accordo di Partenariato Capitolo 2.

Quali e cosa sono le aree interne Capitolo 3.

L’obiettivo della coesione territoriale e le cinque innovazioni metodologiche

Capitolo 4.

Il ruolo dei comuni e l’importanza delle gestioni associate Capitolo 5.

L’individuazione delle aree, gli strumenti di attuazione e le risorse

Capitolo 6.

La Strategia nei programmi regionali della coesione Capitolo 7.

Dai comuni di aree interne alle aree progetto Capitolo 8.

Una descrizione dei comuni delle aree pilota Capitolo 9.

Alcune prime considerazioni di mid term Appendice

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9

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Premessa

La Strategia per le aree interne, indicata dal Governo italiano come pro- getto cardine nel Piano Nazionale di Riforma (PNR), interviene su un pro- blema molto avvertito dall’ANCI: lo spopolamento e abbandono di molti comuni interni, per lo più di piccole dimensioni demografiche e di monta- gna, che soffrono peraltro di gravi disagi per le difficoltà di collegamento con i distanti centri urbani di erogazione dei servizi fondamentali (sanità, istruzione, mobilità).

Si tratta di 4.181 comuni (di cui 1.810 appartenenti alla tipologia “peri- ferici” o “ultraperiferici”, distanti più di 40 minuti dal più vicino centro di erogazione di servizi), classificati secondo la metodologia descritta nell’Accordo di Partenariato 2014-2020, adottato con decisione di esecu- zione della Commissione UE 29.10.2014 C(2014) 8021 e recepito dal CIPE il 29 ottobre 2014.

Parliamo di poco meno di un quarto di popolazione che vive in oltre il 60,0% del territorio nazionale.

Investimenti significativi verranno canalizzati in questi comuni, sia con le risorse nazionali sia con quelle disponibili dai vari programmi comu- nitari, su interventi che potenzieranno l’offerta scolastica, miglioreranno la riorganizzazione dei servizi sanitari, ammoderneranno la rete dei col-

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legamenti, materiali e immateriali. Inoltre con le risorse dei Programmi Operativi Regionali potranno essere sostenute iniziative imprenditoriali nel campo dell’agricoltura, dell’uso delle terre pubbliche, del turismo so- stenibile, della valorizzazione paesaggistica e culturale, dell’artigianato.

Scopo della Strategia è invertire il trend demografico negativo e sostene- re crescita economica ed occupazionale.

Serviranno, certo, altri investimenti, non previsti nella Strategia, su disse- sto idrogeologico, tutela della montagna, infrastrutture viarie e ferroviarie.

Il pregio della Strategia è che con l’innovativa metodologia di program- mazione adottata sarà forse possibile far convergere intenzionalmente verso questi comuni altre azioni e risorse (comunitarie, nazionali e regio- nali) per coprire il fabbisogno di intervento.

Nel presente volume curato da IFEL troverete descritta questa nuova me- todologia, il lavoro istruttorio svolto in questi mesi da un Comitato nazio- nale, di cui ANCI è parte insieme alle amministrazioni centrali e regionali, per la selezione delle aree progetto e pilota (ad inizio ottobre 2015 si tratta di 317 comuni su cui verranno fatti i primi interventi) e le norme tecniche dettate dal CIPE per la realizzazione degli investimenti.

L’auspicio è che, dopo una prima fase di analisi su quello che serve, la selezione delle aree e la definizione degli interventi strategici, si passi subito alle realizzazioni.

Sono sicura che l’anno prossimo potremo raccontare, in un altro rappor- to, i risultati conseguiti dalla Strategia, verificando sul campo il miglio- ramento delle condizioni di vita e di lavoro di questa importante parte dell’Italia.

Veronica Nicotra

Segretario Generale ANCI

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Introduzione

La centralità degli interventi previsti dalla Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) trova un chiaro sviluppo sia nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 negoziato dall’Italia con la Commissione europea sia nel Piano Nazionale di Riforma (PNR) che il Governo italiano ha proposto nell’am- bito del ciclo di bilancio europeo.

Gli obiettivi in essa contenuti costituiscono, nel loro insieme, una sfida importante per i comuni e per l’intero paese. Si tratta di un rilievo ancor più evidente se si considera che le amministrazioni comunali coinvolte complessivamente dalla Strategia sono oltre 4.000, popolate da più di 13 milioni e mezzo di cittadini.

La SNAI si rivolge a territori diversificati tra loro, distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili, ma al contempo dotati di risorse con un grande potenziale di attrazione. La sfida è quella di invertire il processo di marginalizzazione che ha colpito queste aree, contrastando la caduta demografica e rilanciando lo svilup- po di queste zone, grazie all’impiego di investimenti derivanti dai fondi ordinari della Legge di Stabilità e dai fondi comunitari rientranti nel nuo- vo ciclo di programmazione europea.

IFEL, collaborando attivamente con il Comitato tecnico aree interne, ha partecipato alla fase di individuazione delle aree su cui la Strategia in- terverrà nei prossimi anni. Il suo contributo scientifico è stato quello di

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fornire analisi ed elaborazioni statistiche attingendo al ricco e aggiornato database comunale di cui la Fondazione dispone.

Proseguendo questo impegno istituzionale e scientifico, con il presente volume IFEL intende proporre un ulteriore contributo di analisi, appro- fondendo il percorso che ha condotto alla definizione della Strategia e la metodologia utilizzata per l’individuazione delle aree interessate dagli in- terventi. In particolare, l’analisi delle variabili socio-demografiche, econo- miche, istituzionali e finanziarie dei comuni insistenti nelle aree seleziona- te e, tra di esse, in quelle scelte come pilota, cerca di fornire un primo test per valutare l’efficacia del metodo di selezione individuato dalla Strategia.

Chiaramente le azioni previste dalla Strategia non possono avere la pre- tesa di esaurire tutti i bisogni delle comunità coinvolte, ma costituiscono un passo essenziale per il rilancio dello sviluppo di queste zone, in un’ot- tica di organicità di interventi e di condivisione delle soluzioni da attuare.

Pierciro Galeone

Direttore IFEL

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Il quadro finanziario dei Comuni italiani

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Il percorso di definizione fino all’Accordo

di Partenariato

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11 La Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) è stata costruita utiliz- zando come occasione e leva, finanziaria e di metodo, l’avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari disponibili per il settennio 2014-2020.

L’idea di realizzare un progetto per queste aree viene lanciata ad ottobre 2012 dall’allora Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca, pre- sentata ufficialmente a dicembre dello stesso anno e divulgata nel corso di un seminario tematico(1). Nelle note del Ministro le aree interne sono provvisoriamente definite come «quella vasta e maggioritaria parte del territorio nazionale non pianeggiante, fortemente policentrica, con dif- fuso declino della superficie coltivata e spesso affetta da particolare calo o invecchiamento demografico»(2). Sono indicate a grandi linee le basi metodologiche, le motivazioni e gli obiettivi dell’idea progettuale che nei mesi successivi vengono sviluppate dal gruppo di lavoro appositamente costituito e denominato Comitato tecnico aree interne(3).

1 “Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale: le aree inter- ne”, Roma, 15 dicembre 2012.

2 “Un progetto per le aree interne dell’Italia. Note per la discussione”, ottobre 2012. Dal 2012 la Strategia ha ottenuto il consenso di ben tre Governi (Monti, Letta e Renzi).

3 Il Comitato è composto da: Agenzia per la Coesione Territoriale, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ministero delle Infrastrutture e dei

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Le considerazioni di partenza muovono dalla constatazione che una parte rilevante dell’Italia, le aree interne, dal secondo dopoguerra, ha subito, gradualmente, un processo di marginalizzazione. Si tratta di aree in calo demografico, talora sotto la soglia critica, con problemi legati all’occu- pazione e che rappresentano un costo anche per l’intera nazione. È pro- prio la presa di coscienza dei costi sociali connessi alla condizione in cui versano che fa assumere alla questione aree interne un rilievo ed una portata nazionali. In molti casi queste aree sono caratterizzate da processi di produzione e investimento poco efficienti, a causa della loro scala e della loro tipologia. L’instabilità idrogeologica che si associa alle modalità attuali di uso dei paesaggi ne è un altro esempio. Altri tipi di costi altret- tanto rilevanti sono legati alla perdita di diversità biologica, alle difficoltà sempre più forti riscontrate dall’agricoltura di montagna e alla dispersio- ne della conoscenza pratica (il saper fare locale).

Ulteriore elemento giustificativo di una prospettiva ed un intervento nazionali, che si somma ai costi sociali rilevati, è il basso grado di ac- cessibilità per la popolazione residente ai servizi considerati essenziali per il diritto di cittadinanza, sanità, istruzione e mobilità, cui si aggiunge la connettività virtuale. La ridotta accessibilità ai servizi di base, riduce grandemente il benessere della popolazione locale di queste aree, che rappresenta circa il 23% del totale nazionale, e limita il campo di scelta e di opportunità degli individui, anche dei nuovi potenziali residenti.

Trasporti, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero della Salute, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Dipartimento Affari Regionali, le Auto- nomie e lo Sport e Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ANCI - IFEL, INEA, ISFOL, UPI, regio- ne/provincia autonoma interessata. Il Comitato, coordinato dal Dipartimento per le Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha competenze: sui processi di sele- zione delle aree da finanziare; sulla definizione delle strategie d’area, una volta individuate le aree progetto; sulla verifica del rispetto dei cronoprogrammi degli interventi, una volta individuate le aree progetto.

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13 Il percorso di definizione fino all’Accordo di Partenariato

Le aree interne del paese sono dunque realtà con importanti implicazioni sociali e politiche; ma non sempre area interna è sinonimo di area in diffi- coltà. Alcuni di questi territori sono stati spazio di buone politiche e buo- ne pratiche ad esito delle quali la popolazione è rimasta stabile o è cre- sciuta, i comuni hanno cooperato per la produzione di servizi essenziali e le risorse ambientali o culturali di cui dispongono sono state tutelate e valorizzate. Sono esempi di puntualismo virtuoso, di progetti di qualità nati qua e là per l’Italia, a macchia di leopardo, utili perché dimostrano la non inevitabilità del processo generale di marginalizzazione e la capacità di queste aree di concorrere a processi di crescita e coesione.

In questo contesto nasce la SNAI, per costruire un quadro di riferimento nazionale capace di individuare problemi comuni e sperimentare soluzio- ni condivise in questi ambiti territoriali(4). Punto di partenza sono le azioni private e pubbliche di potenziamento dei servizi e di sviluppo economico già in corso che, coordinate con le politiche nazionali settoriali e comunita- rie in via di definizione, possano avere maggiore forza, efficacia e visione.

Il documento che ha aperto il confronto pubblico in vista della definizione dell’Accordo di Partenariato per l’Italia, “Metodi e obiettivi per un uso ef- ficace dei fondi comunitari” di dicembre 2012(5), riconosce le aree interne come una delle opzioni strategiche, insieme a Mezzogiorno e città, su cui il paese punterà nel nuovo settennio di programmazione.

Le risorse finanziarie individuate per intervenire nelle aree interne sono infatti quelle del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei 2014- 2020 che si sommano alla previsione di risorse ordinarie dedicate in Leg- ge di Stabilità. I fondi europei andranno a finanziare progetti di sviluppo

4 «Esiste in questa ampia parte del paese un forte potenziale di sviluppo che la costruzione di una strategia nazionale, robusta, partecipata e continuativa nel tempo può consentire di liberare», estratto dall’Accordo di Partenariato dell’Italia.

5 “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020”, elaborato dal Mi- nistro per la Coesione d’intesa con i Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali e delle Politiche Agricole, alimentari e forestali, 27 dicembre 2012.

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

locale mentre le risorse nazionali saranno destinate ad assicurare alle comunità coinvolte un miglioramento dei servizi essenziali di istruzione, salute e mobilità.

Alla base della scelta di articolare la Strategia in un duplice binario vi è la constatazione che non vi può essere sviluppo economico senza inclusio- ne sociale. Presenza di servizi e occasioni di sviluppo devono viaggiare insieme per garantire opportunità di vita tali da mantenere e attrarre una popolazione di dimensioni adeguate al presidio di un territorio.

In linea con le innovazioni metodologiche previste da Metodi e obiettivi, per individuare e cogliere i migliori target di area su cui intervenire, ad un tempo più bisognosi ma anche più ricchi di opportunità, la preferenza è quella di “andare” nei luoghi e coinvolgere il territorio e i suoi attori locali, in primis i comuni che insistono nelle aree interessate(6).

La Strategia non si configura come un tradizionale programma di inter- vento nazionale chiuso e confinato a risorse date. Piuttosto si va definen- do come un insieme di attori interessati a esperienze progettuali, ispirati da un metodo d’azione e obiettivi condivisi per affrontare e interpretare in modo collettivo il tema aree interne, pur nella diversità delle soluzio- ni concrete(7). Questo metodo partecipato si riscontra anche nella fase di costruzione della Strategia che ha previsto il coinvolgimento pubblico attraverso l’organizzazione di forum dedicati e la predisposizione di uno spazio web per discutere e condividere idee progettuali già in essere nelle aree interne del paese(8).

6 «Sul piano strategico, è stato avviato un processo di co-progettazione da parte delle comu- nità delle aree interne, del mondo dell’impresa e della cultura, delle associazioni che faccia anche affidamento su una ricognizione delle esperienze in corso o recenti, al fine di utilizzar- ne le lezioni. Sarà dunque nell’interesse di ogni grumo locale di intelligenze collaborare con gli altri coaguli di energie positive per fare emergere (…) le linee di un progetto possibile», estratto dal citato documento “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari”.

7 «La scatola progettuale si monta nei luoghi e quindi i primi protagonisti sono le collettività territoriali e i loro referenti di responsabilità intermedia e regionale», estratto dall’Accordo di Partenariato dell’Italia.

8 Seminario “Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale:

le aree interne”, Roma, 15 dicembre 2012; “Forum Aree Interne: Nuove strategie per la pro- grammazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale”, Rieti, 11 e 12 marzo 2013 e

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15 Il percorso di definizione fino all’Accordo di Partenariato

Così concepita, la Strategia nazionale per le aree interne è stata trasmes- sa all’Europa come allegato alla bozza di Accordo di Partenariato per l’Ita- lia a dicembre 2013(9); in tale documento sono state illustrate in maniera puntuale le motivazioni della Strategia, gli obiettivi, le azioni da intrapren- dere, la governance del processo e le risorse finanziarie da attivare(10).

La trasmissione alla Commissione europea della bozza avanzata dell’Ac- cordo a fine 2013, è stata seguita da una fase di interlocuzione informale che ha portato all’invio ufficiale del documento il 22 aprile 2014. Il nego- ziato formale si è concluso il 29 ottobre 2014, con l’adozione, da parte del- la Commissione europea, dell’Accordo di Partenariato per l’Italia(11). Nel contempo la SNAI è stata adottata nel Piano Nazionale di Riforma come uno dei progetti strategici denominato “Criticità e opportunità: un paese che valorizza le diversità”(12).

da ultimo il “Forum dei cittadini delle Aree Interne: ad un anno dal lancio della Strategia Nazionale delle Aree Interne”, Orvieto 8 e 9 maggio 2014. La piattaforma dei cittadini delle aree interne (http://community-pon.dps.gov.it/areeinterne/) ha la funzione di condividere le esperienze che hanno qualcosa da insegnare agli operatori che intendono cimentarsi nella progettazione dello sviluppo delle aree interne, con un chiaro orientamento verso la ricerca di soluzioni alle sfide tipiche della vita in queste aree.

9 “Strategia nazionale per le aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, documento tecnico collegato alla bozza di Accordo di Partenariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013 e disponibile su: http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uplo- ads/2014/01/Strategia-nazionale_AreeInterne.pdf.

10 Il passaggio formale del documento SNAI all’Europa è stato preceduto da incontri tra il DPS, le altre amministrazioni centrali di riferimento e i rappresentanti delle diverse regioni, sancendo l’inizio del negoziato sulle aree interne. Al confronto partenariale è seguita la trasmissione alla Commissione europea di una versione preliminare dell’Accordo il 9 aprile 2013 e una prima interlocuzione sul documento con i servizi della Commissione nei giorni seguenti. Il documento preliminare è stato successivamente rivisto per recepire i commenti della Commissione e anche per addivenire a una maggiore concentrazione delle scelte di intervento su un numero limitato di grandi obiettivi. È stata così elaborata una proposta sulla quale si è tenuto un confronto serrato con le regioni.

11 Il 29 ottobre 2014 è stato approvato dalla Commissione europea l’Accordo di Partenariato 2014-2020 dell’Italia per l’impiego dei fondi strutturali e di investimento europei. Il testo dell’Accordo è disponibile al link http://www.dps.gov.it/it/AccordoPartenariato.

12 Allegato al Documento di Economia e Finanza, 2014, Sezione III, Parte I, “La strategia nazionale e le principali iniziative”, deliberato dal Consiglio dei Ministri l’8 aprile 2014 e successivamente anche nel Documento di Economia e Finanza, 2015, Sezione III, parte I, “Il cronoprogramma del governo”, deliberato dal Consiglio dei Ministri il 10 Aprile 2015, alla

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Nel documento che definisce la strategia, le priorità e le modalità di im- piego efficace ed efficiente dei fondi strutturali e d’investimento europei (SIE) dell’Italia al fine di perseguire gli obiettivi posti dall’Europa (l’Accor- do di Partenariato), la SNAI, insieme alla strategia urbana, rappresenta la principale focalizzazione territoriale per il settennio 2014-2020. A diffe- renza dell’opzione urbana, più allineata ad una dimensione ed attenzione anche europea, le aree interne costituiscono una scelta strategica pro- pria dell’Italia con cui si punta a sollecitare territori periferici e in declino demografico, spesso connotati da vocazione prettamente rurale, verso obiettivi di rilancio socio-economico, anche come contributo alla ripresa del paese nel suo complesso.

voce “La strategia: politica di coesione, mezzogiorno e competitività dei territori”.

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Quali e cosa sono le aree interne

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19 Una parte preponderante del territorio italiano è caratterizzata da un’or- ganizzazione spaziale fondata su “centri minori”, spesso di piccole dimen- sioni, che in molti casi sono in grado di garantire ai residenti soltanto una limitata accessibilità ai servizi essenziali. Le specificità di questi territori sono riassumibili utilizzando l’espressione aree interne.

Le aree interne italiane possono essere caratterizzate nel seguente modo:

• sono significativamente distanti dai principali centri di offerta di servi- zi essenziali (istruzione, salute e mobilità);

• dispongono di importanti risorse ambientali (risorse idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di me- stiere);

• sono un territorio profondamente diversificato, esito delle dinamiche dei vari e differenziati sistemi naturali e dei peculiari e secolari proces- si di antropizzazione.

Questa prospettiva di analisi territoriale fa emergere un carattere fonda- mentale delle aree interne italiane: la loro straordinaria varietà. Vi sono profonde differenze (a tutti i livelli: geografico, economico, sociale, cultu- rale, ecosistemico) tra i sistemi locali che compongono le aree interne. Il riconoscimento delle differenze tra i sistemi locali delle aree interne è il primo passo per il riconoscimento della loro complessità.

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

L’individuazione delle aree interne del paese parte da una lettura policen- trica del territorio italiano, cioè un territorio caratterizzato da una rete di comuni o aggregazioni di comuni (centri di offerta di servizi) attorno ai quali gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale.

I presupposti teorici da cui la mappatura delle aree interne prende le mosse sono i seguenti:

• l’Italia è caratterizzata da una rete di centri urbani estremamente fitta e differenziata; tali centri offrono una rosa estesa di servizi essenziali, capaci di generare importanti bacini d’utenza, anche a distanza, e di fungere da “attrattori” (nel senso gravitazionale);

• il livello di perifericità dei territori (in un senso spaziale) rispetto alla rete di centri urbani influenza la qualità della vita dei cittadini e il loro livello di inclusione sociale;

• le relazioni funzionali che si creano tra poli e territori più o meno peri- ferici possono essere assai diverse.

Sulla base di queste premesse la scelta metodologica di classificazione delle aree interne si fonda sul grado di perifericità di tali realtà da quei comuni che si pongono come centri di offerta di servizi essenziali(1). Si ricorda che una lettura del territorio legata alla distanza dai centri e sup- portata da indicatori di accessibilità è riscontrabile sia nell’organizzazione delle politiche territoriali di diversi paesi (ad esempio il caso del Canada(2)) come anche nelle ultime analisi e definizioni della ruralità sviluppate sia in ambito Europeo che OCSE(3). In Italia l’Unità di valutazione degli inve- stimenti pubblici (UVAL) ha sviluppato in nuce questo tipo di approccio in una serie di analisi valutative nella seconda metà del duemila(4).

1 Per maggiori informazioni sulla metodologia di definizione delle aree interne, cfr. la “Nota Metodologica per la definizione delle aree interne” disponibile sul sito http://www.dps.gov.

it/it/arint/Cosa_sono/index.html.

2 “Rural Policy Reviews: Québec, Canada”, OECD publishing, Parigi, 2010.

3 “Rural-Urban Partnership: An Integrated Approach to Economic Development”, OECD pub- lishing, Parigi, 2013.

4 “Servizi socio-sanitari nell’Umbria rurale”, S. Lucatelli, S. Savastano, M. Coccia, Materiali UVAL, Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Roma, 2006; “Ruralità e pe-

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21 Quali e cosa sono le aree interne

La scelta dei poli come centri di offerta dei servizi è stata effettuata dopo un approfondimento tematico. Il percorso ha preso le mosse da una pri- ma ipotesi che individuava i poli nei centri con popolazione residente su- periore o uguale a 35.000 unità, definiti “urbani”. Tuttavia, le analisi suc- cessivamente condotte allo scopo di supportare con evidenze statistiche la scelta della soglia di popolazione adottata o, in alternativa, individuare una soglia più appropriata, hanno portato a concludere la non esistenza di una corrispondenza necessaria tra dimensione “fisica” del centro e la capacità di offrire determinati servizi.

L’individuazione dei poli nei comuni che offrono un insieme specifico di servizi è sembrata la strada migliore da percorrere, pur con la necessaria approssimazione insita nella selezione dei servizi considerati. Nella scelta operata si è sostituito il criterio della dimensione urbana, approssimato mediante l’entità della popolazione, con quello della dimensione cittadi- na, che guarda alla capacità dei centri di essere inclusivi in senso sociale e quindi di cambiare il semplice abitante in cittadino. Questo approccio ha permesso da un lato di identificare centri, anche piccoli, ma dotati di tutti i servizi prescelti e dall’altro di cogliere, anche in questo caso in via approssimata, il fenomeno dell’intercomunalità, ossia la capacità delle amministrazioni comunali di fare rete mettendo in comune i servizi.

L’individuazione dei comuni poli, secondo il criterio di capacità di offerta dei servizi essenziali, ha consentito di classificare i restanti comuni in 4 fasce: aree di cintura; aree intermedie; aree periferiche e aree ultraperife- riche, in base alle distanze dai poli misurate in tempi di percorrenza.

La mappatura delle aree interne del paese così elaborata è, dunque, prin- cipalmente influenzata da due fattori: i criteri con cui selezionare i centri di offerta di servizi, i poli, e la scelta delle soglie di distanza per misurare il grado di perifericità delle diverse aree.

rifericità: analisi territoriale dei servizi alla persona in Calabria”, S. Lucatelli, E.A. Peta, Mate- riali UVAL, Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Roma, 2010.

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

La scelta che si è operata riguardo agli indicatori deputati all’individuazio- ne dei poli è la seguente:

• l’offerta completa di scuole secondarie superiori;

• la presenza di strutture sanitarie sedi di DEA di I livello;

• la presenza di stazioni ferroviarie di tipo almeno “silver”, corrisponden- ti ad impianti medio-piccoli.

La caratterizzazione indicata in questo modo ha permesso di individuare 4.261 comuni di aree interne, ossia amministrazioni comunali che distano oltre 20 minuti di percorrenza rispetto ad un polo o ad un polo intercomu- nale (centro di offerta di servizi fondamentali). In particolare i comuni che distano oltre 75 minuti dal polo o dal polo intercomunale più prossimo sono considerati ultraperiferici, quelli compresi tra 40 e 75 minuti, peri- ferici, mentre sono definiti intermedi i comuni che distano tra i 20 e i 40 minuti di percorrenza dal polo più vicino.

Sulla base di queste scelte metodologiche, su un totale di 8.092 comuni, il 52,7% risulta essere di aree interne, il 2,7% un polo, l’1,3% un polo in- tercomunale e il 43,4% di cintura (Tabella 1 e Figura 1).

Questa prima classificazione si basa sui dati del Ministero dell’Istruzione del 2011, del Ministero della Salute e della Rete Ferroviaria Italiana (RFI) del 2012, ma sarà suscettibile di modifiche sulla base degli aggiornamenti dei numeri sulla dotazione di servizi scolastici, ferroviari e sanitari dei comuni(5).

5 Per effetto della riorganizzazione delle strutture sanitarie, scolastiche o dei servizi di tra- sporto, infatti, un comune, da un anno all’altro, può perdere la classificazione di polo o polo intercomunale per diventare area di cintura o anche area interna, o viceversa, comuni che non soddisfacevano il criterio di offerta completa di servizi, in seguito all’acquisizione di nuovi servizi possono diventare polo o polo intercomunale. Per effetto di tali riorganizzazio- ni, ad inizio ottobre 2015, i comuni classificati come aree interne sono 4.181.

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23 Quali e cosa sono le aree interne

I comuni di aree interne sono ampiamente diffusi su quasi tutto il territo- rio nazionale, anche se è possibile rilevarne un numero maggiore nelle regioni del centro-sud e lungo la dorsale appenninica. I comuni ultraperi- ferici risultano concentrati nella parte centro-meridionale della Basilicata, lungo la costa nord-occidentale della Calabria al confine con la Campa- nia, in Sardegna, nell’estremità nord e a sud lungo la fascia orientale e in alcune zone delle Alpi centrali (Figura 2).

Tabella 1. La classifi cazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012

Tipologia N. comuni

v.a. %

Centri

A - Polo 219 2,7%

B - Polo intercomunale 104 1,3%

C - Cintura 3.508 43,4%

Aree interne

D - Intermedio 2.377 29,4%

E - Periferico 1.526 18,9%

F - Ultraperiferico 358 4,4%

Totale* 8.092 100,0%

*La classifi cazione operata nel 2012 dal DPS si riferisce agli 8.092 comuni italiani esistenti in quell’anno. Si segnala che al 30 gennaio 2015 i comuni italiani sono 8.047.

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012

Figura 1. La classificazione dei comuni italiani in centri ed aree interne, 2012

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 Aree interne 52,7%

4.261 comuni

Centri 47,3%

3.831 comuni

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I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Figura 2. I comuni di aree interne, per grado di perifericità, 2012

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012 D - Intermedio

E - Periferico F - Ultraperiferico

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25 Quali e cosa sono le aree interne

In valore assoluto il maggior numero di comuni di aree interne, 515, si trova in Lombardia (Tabella 2) mentre la più alta percentuale di comuni di aree interne sul totale dei comuni della regione si rileva in quelle del sud.

In particolare, oltre il 96% delle amministrazioni comunali della Basilicata è di aree interne. Valori superiori a quello medio nazionale (52,7%) si os- servano anche nelle realtà comunali della Sardegna (84,4%), della Cala- bria (77,8%), della Sicilia (76,4%), del Molise (75,0%), dell’Abruzzo (70,8%) e della Puglia (56,2%). Al centro, percentuali di comuni di aree interne superiori al dato nazionale si rilevano nel Lazio (72,5%) e nell’Umbria (66,3%). Al nord, in Trentino-Alto Adige, su un numero complessivo di 333 comuni, l’82,6%, 275, è di aree interne e dei 74 comuni della Valle d’Aosta 44 sono di aree interne (il 59,5% dei comuni della regione).

Tabella 2. I comuni di aree interne in Italia, per regione, 2012

Regione Numero comuni

di aree interne (a) Numero comuni

della regione (b) % comuni di aree interne (a/b)

Piemonte 505 1.206 41,9%

Valle d'Aosta 44 74 59,5%

Lombardia 515 1.544 33,4%

Trentino-Alto Adige 275 333 82,6%

Veneto 191 581 32,9%

Friuli-Venezia Giulia 86 218 39,4%

Liguria 106 235 45,1%

Emilia-Romagna 149 348 42,8%

Toscana 128 287 44,6%

Umbria 61 92 66,3%

Marche 118 239 49,4%

Lazio 274 378 72,5%

Abruzzo 216 305 70,8%

Molise 102 136 75,0%

Campania 286 551 51,9%

Puglia 145 258 56,2%

Basilicata 126 131 96,2%

Calabria 318 409 77,8%

Sicilia 298 390 76,4%

Sardegna 318 377 84,4%

Totale 4.261 8.092 52,7%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012

(27)

26

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Il 70,2% dei comuni del paese con popolazione inferiore a 2.000 unità e oltre la metà (51,4%) di quelli con un numero di abitanti compreso tra 2.000 e 4.999 residenti è di aree interne (Tabella 3). In generale all’au- mentare della classe di ampiezza demografica, la percentuale di comuni di aree interne sul totale di ciascuna classe decresce sensibilmente, fino ad azzerarsi in corrispondenza della fascia demografica più popolosa con oltre 250.000 residenti. Solo il 4,3% delle amministrazioni comunali con popolazione tra 60.000 e 249.999 residenti è di aree interne.

Oltre 13 milioni e mezzo di abitanti, il 22,8% della popolazione nazionale, risiede in un comune di aree interne (Tabella 4). Esistono forti differenze a livello geografico. Si passa dal 74,7% della popolazione dei comuni della Basilicata che vive in un comune di aree interne all’8,8% dei cittadini delle realtà comunali della Liguria. In generale nelle regioni del sud la percen- tuale di popolazione residente nei comuni di aree interne sulla popolazio- ne regionale è superiore al dato nazionale; unica eccezione è rappresenta- ta dalla Campania, in cui il 15,9% della popolazione risiede in un comune di aree interne. Al centro, oltre un terzo della popolazione umbra vive in un comune di aree interne; percentuali superiori alla media paese si osserva- no anche nei comuni del Lazio (24,3%). Al nord, oltre la metà dei residenti dei comuni del Trentino-Alto Adige risiede in un comune di aree interne;

Tabella 3. I comuni di aree interne in Italia, per classe demografi ca, 2012 Classe di ampiezza

demografi ca Numero comuni di aree interne (a)

Numero comuni della classe demografi ca (b)

% comuni di aree interne (a/b)

0 - 1.999 2.472 3.520 70,2%

2.000 - 4.999 1.109 2.156 51,4%

5.000 - 9.999 417 1.188 35,1%

10.000 - 19.999 183 709 25,8%

20.000 - 59.999 76 415 18,3%

60.000 - 249.999 4 92 4,3%

>= 250.000 0 12 0,0%

Totale 4.261 8.092 52,7%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, 2012

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27 Quali e cosa sono le aree interne

tale percentuale scende al 30,5% per ciò che concerne la popolazione dei comuni della Valle d’Aosta pur mantenendosi sopra la media nazionale.

I comuni di aree interne coprono nel complesso una superficie pari a 183.959 kmq, pari al 61,0% della superficie totale del paese. I comuni di aree interne della Basilicata si estendono sul 92,3% della superficie complessiva dei comuni della regione. Percentuali superiori all’80% si osservano anche in Trentino-Alto Adige (89,8%) e in Sardegna (84,5%).

Tabella 4. La popolosità e l’estensione territoriale dei comuni di aree

interne, per regione, 2011

Regione

Popolazione residente nei comuni di aree interne

Superfi cie (kmq) dei comuni di aree interne v.a. % su pop.

dei comuni

della regione v.a. % su sup.

dei comuni della regione

Piemonte 639.479 14,7% 12.520 49,3%

Valle d'Aosta 38.680 30,5% 2.337 71,6%

Lombardia 1.046.793 10,8% 11.049 46,3%

Trentino-Alto Adige 574.062 55,8% 12.221 89,8%

Veneto 892.029 18,4% 6.926 37,6%

Friuli-Venezia Giulia 167.905 13,8% 4.227 53,8%

Liguria 138.269 8,8% 2.783 51,3%

Emilia-Romagna 598.881 13,8% 9.955 44,4%

Toscana 495.636 13,5% 12.020 52,3%

Umbria 297.448 33,6% 4.947 58,5%

Marche 287.226 18,6% 4.811 51,4%

Lazio 1.336.255 24,3% 10.207 59,2%

Abruzzo 376.181 28,8% 7.172 66,6%

Molise 133.985 42,7% 3.308 74,5%

Campania 916.017 15,9% 8.856 65,2%

Puglia 1.180.592 29,1% 9.816 50,7%

Basilicata 431.512 74,7% 9.228 92,3%

Calabria 995.959 50,8% 11.896 78,9%

Sicilia 2.137.718 42,7% 19.330 75,2%

Sardegna 856.897 52,3% 20.350 84,5%

Totale 13.541.524 22,8% 183.959 61,0%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS ed Istat, 2012

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28

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Osservando i principali indicatori demografici, economici ed istituzionali dei comuni di aree interne rispetto a quelli classificati come centri e alla media dei comuni del paese, si possono cogliere alcuni segnali che indi- cano una maggiore sofferenza rispetto agli altri (Tabella 5).

In dieci anni, dal 2001 al 2011, la popolazione residente nei comuni di aree interne è cresciuta circa la metà (il 2,2%) rispetto ai centri (4,9%) e alla media dei comuni italiani (4,3%). Analogamente anche la densità abitati- va nei comuni di aree interne, pari a 73,6 abitanti per kmq, è oltre cinque volte inferiore rispetto a quella dei comuni classificati come centri (391,0 abitanti per kmq) e circa tre volte meno di quella media dei comuni del paese (197,2 ab./kmq).

Il tasso migratorio, inteso come differenza tra iscritti e cancellati all’ana- grafe ogni 1.000 abitanti, consente di avere una misura dell’attrattività dei

Tabella 5. I principali indicatori demografi ci, economici ed istituzionali relativi ai comuni di aree interne (un confronto con i centri ed il totale dei comuni italiani)

interneAree Centri Totale comuni italiani Var. % popolazione residente 2001/2011 2,2% 4,9% 4,3%

Densità abitativa (ab./kmq) 2011 73,6 391,0 197,2

Tasso migratorio (per 1.000 ab.) 2014 10,2 22,2 19,5 Incidenza degli stranieri residenti 2014 6,3% 8,6% 8,1%

Reddito imponibile IRPEF per contribuente

(migliaia di euro) anno d'imposta 2011 20,12 24,36 23,48

% comuni specializzati nel primario 2013 72,9% 43,4% 58,9%

% comuni specializzati nel secondario 2013 19,9% 44,1% 31,4%

% comuni specializzati nel terziario 2013 7,2% 12,5% 9,7%

% comuni in Unioni di Comuni (ottobre) 2015 30,6% 27,6% 29,2%

% comuni in Comunità Montane 2014 30,2% 10,3% 20,8%

% comuni attuatori di progetti FESR 2007-2013

(febb.) 2015 52,8% 38,1% 45,8%

Dove non diversamente specifi cato, i dati si riferiscono alla data del 1° gennaio di ciascun anno.

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati DPS, Istat, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Infocamere, Anci, Ancitel, anni vari

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29 Quali e cosa sono le aree interne

comuni di aree interne rispetto ai centri e alla media dei comuni italiani.

In particolare, mentre nei comuni di aree interne il tasso migratorio nel 2014 si ferma a 10,2 ogni 1.000 abitanti, nei centri il dato sale a 22,2 ogni 1.000 residenti; valore quest’ultimo superiore al dato medio nazionale (19,5 per 1.000 abitanti).

Nei comuni di aree interne si registra una concentrazione di popolazione straniera residente più bassa rispetto ai comuni classificati come centri e alla media nazionale. Gli stranieri residenti nei comuni di aree interne rappresentano nel 2014 il 6,3% della popolazione di questi comuni, con- tro l’8,6% dei centri e l’8,1% della media dei comuni italiani.

Il reddito imponibile ai fini IRPEF può permettere di misurare e confron- tare la ricchezza economica dei comuni di aree interne rispetto agli al- tri comuni. Nell’anno d’imposta 2011 l’ammontare di reddito imponibile medio per ciascun contribuente residente in un comune italiano è stato pari a 23,48mila euro. Nei centri il reddito medio, pari a 24,36mila euro, si attesta sopra la media nazionale, mentre nei comuni di aree interne il dato si riduce a poco oltre i 20mila euro pro capite.

Considerando l’incidenza delle imprese attive in un determinato settore economico in ogni comune rapportata al totale delle imprese attive nel co- mune stesso, si misura l’indice di specializzazione economica(6). Un comu- ne può essere definito “specializzato” se tale rapporto risulta maggiore dello stesso rapporto calcolato a livello nazionale. L’analisi è stata svolta relativamente ai tre settori economici: primario (agricolo), secondario (in- dustriale) e terziario (i servizi). Le realtà comunali italiane, nel complesso, manifestano una vocazione imprenditoriale agricola: nel 58,9% delle am- ministrazioni comunali tale specializzazione è prevalente. Nei comuni di aree interne il dato si amplifica: il 72,9% di essi è specializzato nel settore

6 Da un punto di vista analitico si è proceduto al calcolo, per ciascun comune, dei quozienti di localizzazione (QL) dei tre settori (primario, secondario e terziario). A ciascun comune è stata poi attribuita la specializzazione economica corrispondente al massimo valore di QL osservato.

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30

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

primario. I comuni classificati come centri mostrano invece una minore propensione al settore agricolo con il 43,4% specializzato in tale settore.

I comuni di aree interne specializzati nel settore secondario sono meno del- la metà rispetto ai centri (19,9% i primi e 44,1% i secondi). Analogamente i comuni di aree interne specializzati nei servizi sono il 7,2% del totale, con- tro il 12,5% ed il 9,7% dei centri e della media nazionale rispettivamente.

Da rilevare il dato sulla percentuale di comuni di aree interne partecipanti a forme di gestione associata di funzioni, quali Unioni di Comuni e Comu- nità Montane, rispetto alla media nazionale e ai comuni centri.

Poco meno di un terzo dei comuni di aree interne, il 30,6%, fa parte di un’U- nione di Comuni (ottobre 2015) e, nel 2014, oltre il 30% di una Comunità Montana (30,2%). Nei centri tali percentuali si riducono al 27,6% e al 10,3%

rispettivamente, mentre a livello nazionale risalgono al 29,2% per quanto riguarda le Unioni di Comuni e al 20,8% per le Comunità Montane.

Da rilevare il dinamismo dei comuni di aree interne per quanto riguarda l’attuazione degli interventi finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Re- gionale (FESR) nel ciclo di programmazione 2007-2013. Infatti il 52,8% dei comuni di aree interne è attuatore di progetti FESR contro il dato medio nazionale del 45,8% e il 38,1% dei centri.

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L’obiettivo della coesione territoriale e le cinque

innovazioni metodologiche

3

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33 La Strategia e l’obiettivo della coesione territoriale

Negli ultimi due decenni, la riflessione sulle politiche europee, in riferi- mento sia alla politica agricola che a quella di coesione, si è evoluta fino al riconoscimento di tre importanti necessità:

• rinforzare l’approccio “place based”, così da rispondere propriamente ai bisogni specifici dei territori;

• riconoscere in maniera più adeguata l’interdipendenza tra i territori, prescindendo dalle frontiere amministrative (le cosiddette aree funzio- nali, come ad esempio quelle che riconoscono i legami esistenti tra le aree urbane e quelle rurali);

• rendere maggiormente equa la distribuzione degli investimenti sui territori.

Dopo il lancio del periodo di programmazione 2007-2013, nel periodo 2007-2009, una serie di lavori e di iniziative testimoniano questa evolu- zione(1). Il trattato di Lisbona, adottato nel 2009, fa della coesione territo-

1 Il disegno di una politica marittima integrata (PMI, 2007), che offre un quadro di coor- dinamento a tutti gli attori del mondo del mare e dei suoi litorali. È la prima iniziativa a livello di Unione europea che mira a coordinare un insieme di politiche per lo sviluppo di un’area specifica. La pubblicazione del Libro Verde della Commissione sulla Coesione Territoriale (2008). La diffusione del Rapporto Barca: “An Agenda for a reformed cohesion

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34

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

riale un obiettivo dell’Unione europea e riconosce il carattere fortemente diversificato dei territori che la compongono. Gli obiettivi chiave della coesione territoriale sono la promozione di uno sviluppo più equilibrato, di una maggiore solidarietà tra territori e di un accesso equilibrato dei cittadini ai servizi di base. Si tratta anche di rendere operativi alcuni prin- cipi organizzativi propri della coesione territoriale: perseguire fluidità tra i diversi livelli territoriali all’interno di forme di governance multi-livello e non gerarchizzate; facilitare il coordinamento tra politiche territoriali e settoriali e perseguire strategie integrate e cooperazione tra territori.

Contemporaneamente all’elaborazione della proposta della Commissio- ne europea, anche i ministri responsabili della gestione del territorio dei 27 Stati membri hanno iniziato a considerare ai più alti livelli la questione della coesione territoriale. Si è così arrivati all’adozione, nel maggio 2011, sotto la presidenza ungherese del Consiglio europeo, della “Agenda terri- toriale dell’UE 2020: Verso un’Europa inclusiva, intelligente e sostenibile, fatta di regioni differenti”. Cinque proposte di questo documento sono interessanti dal punto di vista della Strategia in favore delle aree interne:

• realizzare la Strategia UE 2020 in linea con i principi della coesione territoriale;

• valorizzare le specificità dei territori e il loro capitale territoriale per assecondare il loro sviluppo anche attraverso la messa in rete dei ter- ritori stessi e le azioni di cooperazione territoriale;

• rinforzare la dimensione territoriale della programmazione dei fondi europei (ovvero FEASR, FESR, FSE) a tutti i livelli (definizione delle priorità e degli interventi; valutazione; impatto e controllo);

• incoraggiare gli approcci sperimentali di sviluppo locale integrato nei diversi contesti territoriali;

• facilitare l’integrazione della dimensione territoriale nelle politiche (ivi comprese quelle settoriali) e assicurare il coordinamento di queste politi- che a tutti i livelli implicati nei processi amministrativi e della governance.

policy” (2009). L’adozione da parte del Consiglio europeo di una Strategia macro-regionale per il Mar Baltico (2009).

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35 L’obiettivo della coesione territoriale e le cinque innovazioni metodologiche

La Strategia costituisce sicuramente un unicum in Europa, sia dal punto di vista della sperimentalità che da quello dell’approccio territoriale del- le politiche settoriali, in questo caso quella dell’istruzione, della salute e della mobilità.

I legami tra la città e le aree rurali vengono analizzati dall’OCSE in relazio- ne a tre diverse dimensioni territoriali: le città metropolitane e le aree peri- urbane; i legami tra città di medie dimensioni; le aree rurali periferiche e le “piccole città mercato”. I risultati di una serie di casi di studio in corso in diverse aree dell’Europa sono stati discussi nel corso della IX Conferen- za OCSE sulle politiche di sviluppo rurale di Bologna “Partenariati rurali- urbani: un approccio integrato allo sviluppo economico(2)” (OCSE 2013).

Le aree prototipali selezionate dalle diverse regioni del paese hanno ca- ratteristiche che rientrano in queste tre tipologie individuate dall’OCSE, ci sono infatti aree interne a ridosso di città metropolitane (il caso dell’An- tola Tigullio e Genova, Mugello-Bisenzio-Valdisieve sopra Firenze); aree che costituiscono vere e proprie reti di città di piccole e medie dimensioni (l’Appennino Basso Pesarese e Anconetano nelle Marche e la Sud-Ovest dell’Orvietano in Umbria); aree periferiche dai bassissimi livelli demo- grafici e caratterizzate da reti di comuni di piccolissime dimensioni (Valli Maira e Grana in Piemonte e Alta Marmilla in Sardegna).

La Strategia nazionale per le aree interne dell’Italia costituisce uno degli esempi più interessanti ad oggi, nel contesto europeo, di perseguimento dell’obiettivo della coesione territoriale, sia sul piano dei contenuti che del suo obiettivo ultimo: restituire alle aree interne un ruolo importante nel concorrere alla ripresa dello sviluppo economico del paese, sia sulla governance prescelta, che punta su aree vaste rappresentate da associa- zioni di comuni, sia sulla forte cooperazione richiesta tra Stato, regione e associazioni di comuni interessati.

2 “Rural-Urban Partnership: An Integrated Approach to Economic Development”, OECD pub- lishing, Parigi, 2013.

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36

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Le cinque innovazioni metodologiche

La prima innovazione della Strategia è rappresentata dall’intervento con- giunto e concomitante in favore dello sviluppo (in un’ottica di mercato) e in favore della cittadinanza (upgrading e facilitazione dell’accesso ai servizi).

Nel breve periodo, la Strategia ha il duplice obiettivo di adeguare la quan- tità e qualità dei servizi di istruzione, salute, mobilità (cittadinanza) e di promuovere azioni di sviluppo che valorizzino il patrimonio naturale e culturale di queste aree, puntando anche su filiere produttive locali (mer- cato). Al primo obiettivo sono assegnate le risorse nazionali previste ap- positamente dalla Legge di Stabilità 2014 e 2015; al secondo obiettivo le regioni destineranno i fondi comunitari (FESR, FSE, FEASR, FEAMP) 2014-2020, nei diversi programmi interessati. La Strategia è partita nel 2014 dando il via all’identificazione da parte di ogni regione e dalla pro- vincia autonoma di Trento di un’area pilota(3).

Nel lungo periodo, l’obiettivo della SNAI è quello di invertire le attuali tendenze demografiche delle aree interne del paese.

Per realizzare gli obiettivi della Strategia, gli interventi per lo sviluppo delle aree interne saranno perseguiti con due classi di azioni congiun- te. Da un lato l’adeguamento della qualità/quantità dell’offerta dei servizi essenziali. Il miglioramento dell’organizzazione e della fruizione di servi- zi (tra cui in particolare quelli sanitari, dell’istruzione e della formazione professionale e i servizi alla mobilità) costituisce una condizione sine qua non per lo sviluppo, l’occasione per il radicamento di nuove attività eco- nomiche e un fattore essenziale per l’effettivo successo dei progetti di sviluppo locale. Se nelle aree interne non sono offerti quei servizi consi- derati “essenziali” per il godimento del diritto di cittadinanza, in queste aree non si può vivere e quindi non è immaginabile alcuna sostenibilità a lungo termine dei progetti promossi.

3 A settembre 2015 hanno deliberato 17 regioni e la Provincia Autonoma di Trento; la Pro- vincia Autonoma di Bolzano non ha aderito alla Strategia. La Sicilia e la Lombardia hanno deliberato, in accordo con il Comitato tecnico aree interne, due aree pilota ciascuna, di cui una sperimentale.

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37 L’obiettivo della coesione territoriale e le cinque innovazioni metodologiche

Dall’altro lato la realizzazione di interventi in favore dello sviluppo locale inquadrati in progetti territoriali, orientati a generare domanda di lavoro attraverso il re-utilizzo del capitale territoriale. I progetti avranno natura integrata e dovranno riguardare almeno due dei settori chiave individuati dalla Strategia nazionale aree interne: la valorizzazione delle risorse natu- rali, culturali e il turismo sostenibile; il sostegno ai sistemi agroalimentari e alle iniziative di sviluppo locale; il risparmio energetico e le filiere locali di energia rinnovabile; il saper fare artigianato.

Entrambe le classi di azioni vengono realizzate in aree progetto composte da gruppi di comuni (anche a cavallo di più province e regioni) e identi- ficate dalle regioni d’intesa con il Centro, attraverso un processo di dia- gnosi aperta.

La seconda innovazione è l’approccio di strategia d’area e una forte atten- zione al risultato. Prima di passare alla fase progettuale, infatti, ciascuna delle aree selezionate dovrà elaborare una visione di medio-lungo termi- ne. Per evitare che l’intervento in ogni area progetto diventi una somma- toria di progetti frammentati, le aree progetto scelte saranno impegnate prima di tutto a elaborare un documento di strategia d’area, che indichi un’idea guida per indirizzare il cambiamento, lavorando sull’individuazio- ne e la creazione di una “filiera cognitiva” trainante. Il documento sarà fondato sull’identificazione dei soggetti innovativi (che determineranno la scelta della filiera stessa) e dei centri di competenza dell’area e indiche- rà come si intende dare loro impulso.

Le strategie dovranno pertanto prevedere dei risultati attesi e misurabili, coerenti con gli obiettivi della Strategia, e verificabili attraverso un meto- do aperto. Solo e soltanto se le comunità esprimeranno e faranno propri questi risultati attesi, allora si potrà creare la pressione sociale necessaria per provocare effettivamente il cambiamento da perseguire. La prepara- zione della strategia sarà pertanto costruita attraverso un confronto aper- to con il territorio, e un intenso lavoro di campo, con gli attori rilevanti del partenariato(4).

4 “Codice europeo di condotta sul partenariato”, Commissione europea, 2014.

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38

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Nelle diverse fasi di costruzione della strategia d’area inizia la fase cen- trale di animazione e coprogettazione degli interventi attraverso lo scou- ting dei soggetti che possono portare un contributo alle linee di azione identificate, il coinvolgimento sul territorio dei soggetti rilevanti negli am- biti prioritari, l’immissione di competenze specifiche e il confronto con altre esperienze.

La terza innovazione è quella di aver scelto di lavorare esclusivamente con associazioni tra comuni(5). I comuni costituiscono il soggetto pubblico di riferimento della Strategia, «l’unità di base del processo di decisione politica e - in forma di aggregazione di comuni contigui (sistemi locali in- tercomunali), sono partner privilegiati per la definizione della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti di sviluppo»(6). I comuni di ogni area progetto devono pertanto realizzare forme appropriate di gestione associata di funzioni (fondamentali) e servizi. Perché la Strategia possa perseguire i suoi obiettivi, tali sistemi intercomunali devono diven- tare permanenti, e non essere il frutto di occasioni partenariali create da opportunità di progettazione (come ad esempio nel passato i PIT e i GAL).

La quarta innovazione è quella di un forte tentativo di concentrazione ter- ritoriale. L’efficacia della Strategia dipende dalla capacità di concentrare risorse finanziarie e umane scarse nelle aree dove si combinano elevati bisogni, opportunità e capacità di coglierle. Questa concentrazione av- viene attraverso il processo di selezione di poche aree (realizzato tramite esercizi di pianificazione territoriale) alle quali destinare l’intervento in ciascuna regione. Nel 2014 è stato realizzato un processo di selezione pubblico e aperto, che è partito dalle proposte dei territori e delle regio- ni - relative a sistemi di comuni interni. La selezione, che ha seguito il metodo sopra descritto, ha individuato ad oggi 61 aree progetto, nelle quali vivono 1,7 milioni di abitanti, composte per circa il 58% da comuni periferici ed ultraperiferici.

5 Tali forme associative si sono realizzate attraverso Unioni di Comuni o convenzioni.

6 Accordo di Partenariato per l’Italia.

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39 L’obiettivo della coesione territoriale e le cinque innovazioni metodologiche

La quinta ed ultima innovazione riguarda il metodo aperto, il lavoro par- tenariale sui territori e il coinvolgimento dei diversi attori sociali sia nella fase di selezione delle aree che in quella del disegno della Strategia e della coprogettazione. In particolare, sia il lavoro di costruzione degli in- dicatori e della matrice “open aree interne”, che quello di costruzione e follow up delle strategie con il contributo delle compagini locali, è stato possibile grazie al metodo innovativo di forte collaborazione interistitu- zionale costruito all’interno del Comitato tecnico aree interne.

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Il ruolo dei comuni

e l’importanza delle gestioni associate

4

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43 Come anticipato nel Capitolo precedente, i comuni sono i principali pro- tagonisti della Strategia nazionale aree interne.

In ogni area progetto selezionata quale beneficiaria degli interventi essi dovranno individuare forme appropriate di gestione associata di funzioni (fondamentali) e servizi (nelle forme previste dall’ordinamento: convenzio- ni o Unioni) che siano «funzionali al raggiungimento dei risultati di lungo periodo degli interventi collegati alla strategia e tali da allineare pienamen- te la loro azione ordinaria con i progetti di sviluppo locali finanziati»(1). I comuni interessati, in sostanza, superando localismi non più giustificati e ritrosie a cooperare in progetti di sviluppo di dimensione sovracomuna- le, attraverso la gestione associata di funzioni o servizi, «dovranno prova- re di essere in grado di guardare oltre i propri confini»(2).

È questo un punto qualificante della Strategia.

La gestione associata è assunta quale prerequisito essenziale della Stra- tegia di sviluppo e segnala l’esigenza di pervenire ad un diverso assetto della gestione territoriale dei servizi comunali, in grado di assicurare effi- cienza (ambiti ottimali) ed efficacia (tramite coordinamento intercomuna- le) alla gestione medesima, nonché garantire un livello più appropriato di intervento territoriale per l’esercizio delle funzioni fondamentali.

1 Accordo di Partenariato per l’Italia.

2 Ibidem.

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44

I Comuni della Strategia Nazionale Aree Interne

Dal punto di vista della governance del territorio, cioè dell’insieme di mi- sure che regolano i poteri di intervenire su un dato contesto economico e sociale, la gestione associata è così assunta come una modalità organizza- tiva di esercizio delle prerogative pubbliche che consente ai titolari di quei poteri (i comuni) di esprimere quella maggiore capacità di progettazione e attuazione dell’azione collettiva di sviluppo locale richiesta dalla SNAI. Ciò quale condizione per assicurare universalità e migliore qualità dei servizi di cittadinanza, nonché il perseguimento dei risultati attesi degli investi- menti in termini di sviluppo economico, sociale ed occupazionale.

In effetti, gestire funzioni e servizi in forma associata significa lavorare di fatto alla costruzione di una piattaforma territoriale unica, capace di superare confini amministrativi e limitazioni di competenze ed offrire di- mensioni adeguate per far sprigionare dalle attività di gestione economie di scala (dove possibile) o punti di equilibrio e sostenibilità più avanzati nell’erogazione di servizi e beni pubblici(3).

Ma come si soddisfa tale prerequisito? Che relazioni vi sono fra questo e il tema dell’obbligatorietà della gestione associata di funzioni per i comu- ni di minori dimensioni demografiche, fissata dalla normativa vigente (a partire dal DL n. 78\2010 fino alla Legge 56\2014)?

La verifica in sede istruttoria del prerequisito associativo, come detto, è discriminante ai fini dell’ammissibilità delle aree progetto alla Strategia e quindi alla sottoscrizione dell’Accordo di Programma Quadro che dà attuazione alla Strategia medesima.

Innanzitutto, bisogna considerare che tale prerequisito non si considera soddisfatto dall’esistenza di aggregazioni temporanee costruite «su e per

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