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Consigli generali USR Cisl Lombardia e Veneto Peschiera del Garda, 25 settembre 2017

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Consigli generali USR Cisl Lombardia e Veneto Peschiera del Garda, 25 settembre 2017

INTERVENTO DI ONOFRIO ROTA Segretario generale Cisl Veneto

a nome di USR Cisl Lombardia e USR Cisl Veneto

Ringrazio i relatori che sono intervenuti per fornirci un quadro generale della vicenda referendum, il suo ancoraggio giuridico e anche le diverse visioni politiche con cui viene valutata la consultazione popolare.

Da parte mia vorrei aggiungere alcune considerazioni che tengono conto sia degli argomenti che abbiamo appena ascoltato che della discussione che stiamo facendo da anni in Cisl sul federalismo e sull’autonomia regionale.

Questioni che rimangono, ancora oggi, irrisolte ed oggetto di controversie spesso strumentali e, di conseguenza, improduttive.

La prima considerazione è, in effetti, una affermazione - permettetemi l’espressione – “senza diritto di replica”.

La Cisl è orgogliosa del suo nome, di ogni parte del suo nome, anche della sua “I” - Italiana, e non intende accettare o rimanere inerte a richiami secessionisti, separatisti e indipendentisti.

Vorrei solo ricordare che proprio il Veneto e la Lombardia ospitarono le grandi manifestazioni sindacali unitarie che si tennero giusto venti anni fa, il 20 settembre 1997.

“L’Italia cresce unita” era lo slogan che portò centinaia di migliaia di lavoratori e pensionati in piazza a Venezia e a Milano.

“L’Italia cresce unita” rimane ancora oggi il nostro slogan.

L’unica versione diversa della nostra “I” è sempre nella nostra storia costituente: “I” di Internazionale.

Questo principio irrinunciabile ha costituito il miglior ancoraggio per affrontare i temi, e i relativi problemi, del decentramento dei poteri dello Stato, compreso quello della sua riorganizzazione in senso federalista.

La Cisl della Lombardia e del Veneto hanno operato fin dalla nascita delle rispettive Regioni affinché tutti gli spazi e le opportunità di autonomia amministrativa venissero sfruttati per migliorare il governo del territorio in considerazione delle sue specificità economiche e sociali.

Hanno sostenuto ed accompagnato i processi di decentramento istituzionale ponendosi nel contempo l’obiettivo di superare il localismo, la frammentazione amministrativa e ogni altra forma di degenerazione particolarista e di antagonismo identitario.

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2 Negli anni ’80 la Cisl ha partecipato alla discussione sulla riorganizzazione in senso federalista dello Stato e ha sostenuto i percorsi finalizzati a dare maggiore autonomia regionale, a condizione che essi si conformassero ai principi di responsabilità e di solidarietà nazionale.

Partendo dal presupposto che la migliore garanzia della praticabilità dell’autonomia sta in uno Stato forte, efficiente e ben integrato nella Unione Europea.

Posizioni mantenute con coerenza e determinazione, anche in questi complessi anni di crisi politica-istituzionale e poi anche economica ed occupazionale, per garantire gli interessi profondi del mondo del lavoro e dell’economia ed il loro futuro.

La seconda considerazione è che stiamo pagando le conseguenze delle insufficienti (e mancate) riforme della Costituzione Repubblicana.

Riforme che si sono tentate negli ultimi trenta anni e anche prima (pensiamo al superamento del bicameralismo perfetto).

Qualcuno ha anche teorizzato la “irriformabilità” della nostra Costituzione e non perché la stessa non lo permetta, ma per la mancanza di “pensiero costituente” nelle forze politiche- parlamentari a cui spetta questo autorevole compito.

Una linea di continuità del “non riuscire a riformare” che è stata interrotta solo nel 2001, con la c.d. riforma D’Alema che intervenne proprio sulla questione delle autonomie locali definite nel Titolo V, assegnando nuovi spazi e ruoli soprattutto alle Regioni.

Nonostante questa del 2001 sia stata l’unica riforma a passare l’esame del referendum confermativo, gli effetti ottenuti (così come avevamo intravisto come Cisl) sono stati controversi.

In particolare la ripartizione delle materie di competenza legislativa tra Stato e Regioni ha infatti acuito le divergenze tra Stato e Regioni, complicato la produzione legislativa e, infine, affaticato la governabilità del Paese.

Un Paese che invece mantiene alto il bisogno di trovare, nel contesto dell’Unione Europea, un nuovo e più costruttivo equilibrio tra le diversità locali, il governo nazionale e la partecipazione delle Parti Sociali e dei cittadini.

Paradossalmente le forze che hanno contrastato questa riforma nel 2001 oggi la utilizzano per il referendum del 22 ottobre.

Come nel gioco dell’oca siamo tornati alla casella iniziale e il 22 ottobre prossimo un quarto degli elettori italiani sono chiamati a rispondere ad un quesito che nella sostanza chiede se sono favorevoli a che le rappresentanze istituzionali di Palazzo Ferro Fini e Balbi e di Palazzo Pirelli Lombardia abbiano maggiore autonomia legislativa, assumendo in proprio poteri ora dello Stato Centrale e nella forma che questo avvenga mediante il percorso previsto dalla Costituzione all’art. 116.

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3 È un quesito che non può lasciarci indifferenti, certamente per la sua rilevanza ma anche perché, in conseguenza del modo con cui siamo arrivati ai referendum, sullo stesso aleggiano ancora interpretazioni differenti e divergenti, fantasmi secessionisti, ideologismi di vario tipo.

Insomma: c’è ancora troppa ambiguità su una domanda a cui viene spontaneo rispondere “Sì, lo voglio!” e quindi sulla interpretazione che sarà data ai Sì (e, naturalmente, anche ai No).

In questo contesto è opportuno, in coerenza con la dovuta attenzione che abbiamo dedicato a questa tematica, esprimere le nostre autonome valutazioni, prima ancora che possibili indicazioni di voto.

Il primo luogo ritengo che dobbiamo confermare il nostro pieno sostegno ai processi e percorsi istituzionali democratici finalizzati ad una maggiore autonomia delle Regioni;

autonomia che sia fondata sul principio di responsabilità e funzionale alla crescita complessiva dell’Italia, ad una visione solidaristica dell’unità nazionale e alla valorizzazione delle specificità e delle potenzialità dei singoli territori.

In questo senso dobbiamo ribadire come sia fondamentale una riorganizzazione dell’assetto delle Regioni al fine di garantire, a tutte e non solo al alcune, una adeguata dotazione economica, demografica e finanziaria e quindi anche le condizioni ottimali per esercitare con efficienza ed efficacia il governo locale.

Poi dobbiamo sottolineare come l’autonomia regionale debba essere supportata da un riequilibrio della ripartizione delle risorse fiscali che, partendo dalle necessità di garantire gli obblighi di bilancio previsti dai trattati europei e dal risanamento dei conti dello Stato quale condizione per disporre di nuove risorse da investire per la crescita economica e sociale del Paese, riconosca una maggiore equità nella loro redistribuzione.

Va dunque completato il percorso del federalismo fiscale avviato nel 2009 e ancora inconcluso.

Questo processo deve essere coordinato e coerente con una riforma del sistema fiscale che migliori l’equità del prelievo ed una riduzione delle tasse a carico del lavoro dipendente, della occupazione e della produttività.

Aggiungiamo anche che l’autonomia legislativa da assegnare alle Regioni deve garantire la uniformità dei diritti fondamentali - enucleati nei Principi della Costituzione della Repubblica - di tutti i cittadini, in particolare in materia di libertà civili, salute, previdenza, istruzione, giustizia e sicurezza.

Allo Stato vanno assicurate le competenze legislative nelle materie determinanti per lo sviluppo economico di tutto il territorio nazionale come l’energia, le infrastrutture di interesse nazionale, la programmazione strategica della ricerca, ecc.; alle Regioni vanno assegnate, superando i pasticci della legislazione concorrente, deleghe sulle materie nelle quali prevale l’interesse e la dimensione locale. In breve: basta referendum No Triv e simili.

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4 Sono le argomentazioni per le quali avevamo visto come positivo l’impianto di riforma degli articoli 116 e 117 del Titolo V previsto dalla legge “Boschi”, compresa la norma sulla cosiddetta "clausola di supremazia" che prevedeva l'intervento del Governo qualora lo avesse richiesto «la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale».

Infine è necessario che le Regioni partecipino direttamente ai processi legislativi nazionali con il superamento del Bicameralismo perfetto e la costituzione del Senato delle Autonomie.

Su queste premesse possiamo andare più nello specifico dei referendum del 22 ottobre, mettendo in evidenza gli aspetti che sono chiari e coerenti con la nostra visione e quelli sui quali rimangono, a nostro avviso, dubbi e ombre e quindi servono delucidazioni e spiegazioni.

I punti chiari e coerenti

 La richiesta avanzata da Lombardia e Veneto è in linea con il principio per cui la Regione che riceve maggiore autonomia debba avere una «condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio»;

 in entrambi i quesiti referendari si chiede ai cittadini di esprimersi con un Si o un No sulla possibile attribuzione di una maggiore autonomia alla Regione sulla base di quanto previsto dalle norme costituzionali vigenti (Costituzione Parte II, Titolo V, art.116);

 i referendum ed i quesiti (pur diversamente impostati) sono stati dichiarati legittimi dalla Corte Costituzionale;

I punti critici

 i referendum sono inutili ed inefficaci nel percorso previsto dalla Costituzione per l’applicazione dell’art. 116 invocato dai referendum stessi;

 l’iter con cui si è arrivati ai referendum consultivi è frutto, e qui parlo del Veneto, di un iter legislativo confuso ed ambiguo;

 entrambe le Amministrazioni Regionali hanno presentato un elenco generico e onnicomprensivo delle materie per le quali si richiede l’attribuzione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”;

 nessuna delle due Amministrazioni Regionali ha coinvolto le Parti Sociali sulla definizione delle materie per le quali si chiede maggiore autonomia, diversamente da quanto è avvenuto in Emilia Romagna.

 i referendum, sotto il profilo della propaganda, sono stati caricati di attese destituite di ogni fondamento (in particolare sulla gestione delle risorse fiscali) e di significati che esulano dal contenuto dell’oggetto della consultazione (ad esempio l’ottenimento di uno Statuto Speciale);

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 la concretizzazione dell’obiettivo di una maggiore autonomia richiede l’avvio di un serio negoziato tra Stato e Governo centrale e Amministrazione regionale fondato su un pacchetto di richieste precise, attuabili, discusse e concordate con le rappresentanze sociali locali. Negoziato di cui oggi non vi è traccia ma sul cui mancato avvio vi è un rimpallo di responsabilità;

Proprio perché siamo convinti che l’autonomia regionale sia una opportunità da perseguire e non un puro oggetto di scontro strumentale ad altri obiettivi, avanziamo 4 richieste ben precise ai soggetti istituzionali coinvolti.

I. La prima è che i Presidenti Maroni e Zaia si esprimano in modo chiaro e netto per un percorso di autonomia regionale scevro da qualsiasi retro pensiero separatista- secessionista- indipendentista;

II. La seconda è che si formalizzi subito, prima della scadenza referendaria, un tavolo di concertazione con le Parti Sociali per scrivere un “Patto per l’autonomia regionale”

che indichi in modo dettagliato le materie nelle quali si intende ottenere maggiore autonomia. Possiamo già anticipare il nostro interesse a sostenere richieste di ulteriori forme di autonomia in materia di politiche del lavoro, istruzione e formazione professionale e politiche sociali;

III. La terza è di concordare con in Governo per la costituzione di un Tavolo comune di confronto con tutte le rappresentanze regionali che sono interessate ad una maggiore autonomia e che, a questo scopo, hanno prodotto atti legislativi conformi.

IV. Al Governo infine di dare, o di confermare, la sua disponibilità al negoziato.

Una ultima considerazione: alle Amministrazioni Regionali e al Governo in carica spetta l’impegno di dare avvio a questo percorso di negoziazione e concertazione.

Un percorso che deve proseguire indipendentemente dai risultati dei referendum e anche dalle variazioni delle formule governative che possono succedersi tanto a livello nazionale che regionale.

Cari amici, prendiamoci nota di tutte le polemiche che questi referendum hanno prodotto, prendiamoci nota delle forzature con cui stiamo arrivando al 22 ottobre, prendiamoci anche buona nota dei milioni di euro che saranno spesi in un momento in cui le risorse pubbliche scarseggiano.

Detto e considerato tutto questo, facciamo sì, come è nostro carattere, che anche questa difficoltà si trasformi in una vera opportunità per chi rappresentiamo.

L’Italia, le nostre regioni, non hanno bisogno di ulteriori divisioni, ma, al contrario di nuove e più forti connessioni.

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