Res000ntì Consiliari — 3757 — Consiglio Regionale della Sardegna
V LEGISLATURA CLXXXVII SEDUTA 13 LUGLIO 1967
CLXXXVII SEDUTA
(ANTIAIERIDIANA)
GIOVEDI' 13 LUGLIO 1967
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Presidenza del Vicepresidente SOTGIU
INDICE
Congedi 3757
Mozioni concernenti l'indagine della Commissione ri- nascita nelle zone interne a prevalente economia pastorale e il ristabilimento dell'ordine pubblico in Sardegna (Continuazione della discussione con- giunta):
FRAU TOCCO MACIS ELODIA SANNA RANDACCIO
3'757 3763 3774 3777
La seduta è aperta alle ore 10.
FRAU, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta precedente, che è appro- vato.
Congedi.
PRESIDENTE. L'onorevole Zaccagnini ha chiesto cinque giorni di congedo per motivi di salute. Se non vi sono osservazioni, questo con- gedo si intende concesso.
Continuazione della discussione congiunta di mozioni.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta del- la mozione Branca - Contu Anselmo - Corrias -
Serra Giuseppe - Ruiu sulla indagine svolta dalla Commissione speciale per il Piano di ri- nascita della Sardegna nelle zone interne a prevalente economia pastorale; della mozione Congiu - Birardi - Melis Pietrino - Cabras - Nioi - Sotgiu - Raggio - Torrente sulla inda- gine sulle zone interne; della mozione Car- dia - Melis Pietrino - Cabras - Nioi - Birardi sull'intervento del Governo per il «ristabili- mento» dell'ordine pubblico in Sardegna e del- la mozione Pazzaglia - Lippi - Fois - Frau sui più gravi episodi di banditismo.
E' iscritto a parlare l'onorevole Frau. Ne ha facoltà.
FRAU (P.D.I.U.M.). Signor Presidente, o- norevoli colleghi, la relazione della Commissio- ne rinascita a conclusione dei lavori di in- chiesta nelle zone interne dell'Isola riveste u- na importanza insolita e dobbiamo esserne grati ai commissari che con diligenza e anche con sacrificio sono riusciti a condurre una indagine dettagliata, quasi completa ed esau- riente sulla situazione economica e sociale di una delle regioni più depresse d'Europa, cer- tamente d'Italia, certamente della Sardegna, quale è la zona interna della Provincia di Nuo- ro. Ringraziamo da parte nostra i commis- sari che questo studio così approfondito e det- tagliato hanno condotto e ci rincresce di non aver potuto partecipare anche noi a questi lavori ma una inesorabile legge interna del
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Consiglio non ha consentito che alcuno dei monarchici vi facesse parte. Non possiamo pe- rò esimerci dal partecipare alla discussione che troviamo interessante per l'impegno posto dai colleghi dei diversi Gruppi che sono già intervenuti e anche perchè ci sembra oppor- tuno e indispensabile esprimere il nostro punto di vista politico sulle risultanze dell'inchiesta e sulla situazione in generale economica e so- ciale di queste zone interne. Certamente il panorama che ci viene fornito dall'indagine è quanto mai squallido e triste. Le zone in- terne della nostra Isola, per il basso indice di densità demografica, per la carenza di stra- de (soprattutto di strade secondarie, di stra- de di penetrazione agraria), per la partico- lare morfologia dei luoghi, eternamente ugua- li, meritavano effettivamente questo studio e questo impegno da parte dei commissari del- la Commissione rinascita, meritavano uno studio così approfondito e direi anche merita- vano questo sforzo di considerare con obiet- tività i dati che ci vengono offerti in esame.
Meritavano certamente tanto impegno nella ricerca delle cause che nelle zone interne tan- to travaglio hanno determinato nelle persone e nelle cose.
Onorevole Presidente del Consiglio, pur non essendo questa la prima volta che noi ve- niamo chiamati a discutere sui problemi, qua- li questi sollevati il 23 settembre dell'anno pas- sato, soprattutto dalla relazione del Presiden- te della Giunta, in quei giorni, noi siamo del- l'avviso che questa volta, più che nel passato, e meglio che nel passato, si sia approfondi- ta la conoscenza e dunque l'elencazione e per- ciò, diciamo, le considerazioni, l'individuazio- ne dei motivi storici. di ordine umano, socia- le e politico e, più che nel passato e meglio che nel passato, i criteri, i suggerimenti, le in- dicazioni e le critiche che ne sono derivati e ne deriverarmo avranno valore e importan- za. Non tanto, pensiamo (e ci comprenda l'onorevole Presidente Del Rio) per la Giunta, non tanto per il governo di centro-sinistra, quanto per ognuno di noi rappresentanti po- litici qualificati del popolo sardo. Riteniamo ormai giunto il momento di abbandonare (mi passi il termine l'onorevole Marciano) certa
alchimia politica e certi tatticismi che in que- sto momento sarebbero fuor di luogo, visto e considerato soprattutto che oggi, forse co- me non mai nella lunga serie di tristi primati, alla 'espressione di regione depressa, si è aggiunta all'Isola anche quella di zona crimi- nale, come è facile trovare scritto sulla stam- pa isolana, su quella continentale e su quella estera.
Quando nel 1949, onorevole Presidente Del Rio, e poi nel 1953 si discusse nell'aula con- siliare intorno a problemi simili, pur nello sta- to di incertezza e di indecisione delle Giunte di allora, vi era comunque nell'animo nostro un certo senso di fiducia e anche di speran- za. Ricordo che allora il Consiglio fu unanime nell'esprimere apprezzamento positivo sull'o- pera del Presidente della Giunta, che si era li- mitato ad una conferenza stampa, abbondante- mente e sufficientemente diffusa dai giornali e dalla radio; una intervista, noi ricordiamo, di- gnitosa, ferma, in difesa, innanzitutto e soprat- tutto, dei valori spirituali e morali della no- stra gente e di chiara denuncia del deludente intervento dello Stato italiano in ordine alle secolari rivendicazioni e aspettative del popo- lo sardo. La stampa italiana raccolse allora con simpatia la messa a punto del primo cit- tadino della Sardegna, e ricordiamo con pre- cisione che non seguì allora nessun rimprovero per il suo atteggiamento, che non ci fu nes- sun rimbrotto nè da parte del Capo del Gover- no nè tanto meno da parte del Capo dello Sta- to, come succederà — lo diciamo per la cro- naca — alcuni lustri più tardi. Onorevole Pre- sidente Del Rio, noi, in un primo tempo, non conoscevamo il testo del saluto da ella rivolto al Presidente della Repubblica (saluto di de- ferenza e di omaggio) e di cui immediatamen- te si era occupata la stampa locale, presentan- do il contrasto tra Quirinale e Regione come un fatto clamoroso!
L'opinione pubblica, in quel momento, ono- revole Presidente Del Rio, reagì perchè si sen- tì ferita ed offesa nell'apprendere di un certo risentimento del Capo dello Stato e di quanto immediatamente ne seguì e le diremmo che anche noi, da questa parte, ci siamo sentiti a lei vicini in quel momento. Comprendemmo
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allora e ci piacque comprendere che ella, nei modi e nelle forme le più parlamentari, at- traverso un linguaggio corretto, e certamente deferente, indicasse nello Stato italiano di cui è espressione il Governo di centro-sinistra, il grande responsabile della condizione di arre- tratezza in cui vive la Sardegna e soprattutto le zone interne della nostra Isola, e che nello Stato italiano indicasse il maggiore respon- sabile dell'ordine pubblico in Sardegna so- prattutto per le sue inadempienze di ordine economico e di ordine sociale. Questo ci piac- que comprendere. Certamente, a giudicare da questa circostanza, ci pare quanto meno in- genuo chi voglia ancora sperare in una certa comprensione, sensibilità e solidarietà da par- te di chi ci governa. Tra questo episodio, che non va sottovalutato, e il rifiuto di conside- rare il nostro ordine del giorno, a nostro av- viso, non vi è nulla di diverso. E entrambi denotano il persistente stato di punizione in cui si vuole tenere la nostra Isola alla quale, e lei lo può dimostrare e lo ha dimostrato, si vorrebbe persino far comprendere l'inopportu- nità delle sue sollecitazioni nel clima di una politica cosiddetta contestativa.
Non siamo i soli ad affermare questo e lo ab- biamo potuto constatare dalla lettura della stampa nazionale e da quella estera. I giornali che una volta parlavano delle nostre bellezze paesaggistiche, naturali, oggi parlano di ra- pine, d'estorsioni, di ricatti e di omicidi che vengono consumati, quasi sempre impunemen- te, dai briganti che spadroneggiano nelle zo- ne interne della Sardegna. I commenti che abbiamo potuto leggere e le considerazioni che se ne traggono, mi creda onorevole, ci fan- no rabbrividire. Esse hanno dell'amaro e del grottesco. Ho letto proprio ieri sera sul
«Times» l'articolo intitolato The Sea and Sar- dinia, firmato dal dottor Laurence, dove si dice che «la Sardegna è come nessun luogo»
al secolo ventesimo: «essa giace fuori del cir- cuito della civiltà». «Lo Stato stanzia in suo fa- vore 420 miliardi, a malavoglia», dice il gior- nalista, «da spendere in 12 anni». Per com- prendere «quanto effimera ed inefficace sia questa cifra pure elevata, basta pensare [dice il dottor Laurence] ai 105 miliardi che annual-
mente e puntualmente lo Stato inglese versa a favore dell'Irlanda e basta pensare che recen- temente il Consiglio dei Ministri ha delibera- to lo stanziamento di 1000 miliardi per il pon- te sullo stretto di Messina». «Nella povera Iso- la di Sardegna [continua ancora l'articolo] lo Stato si fa vivo in altro modo, mandando mi- gliaia di poliziotti e battaglioni di carabinieri, nel vano tentativo di catturare i responsabili delle rapine [questo è a carattere di scato- la] al ciglio delle strade».
Non vi parlo poi di che cosa ho potuto leg- gere sul «Neue Zeitung» della Germania oc- cidentale. Sono giornali, onorevole Presidente della Giunta, che vengono letti da milioni di lettori e che io metto a sua disposizione. Sul
«Times» di dieci giorni fa sono persino pubblicate le fotografie dei principali banditi con commenti e considerazioni stampati con grande rilievo tipografico. Al danno, onorevo- le Presidente della Giunta, segue la beffa. Gli imprenditori, e lei lo sa bene, ormai abbando- nano ogni iniziativa; quelle terre, già tanto avare ed aride, vengono abbandonate; i turi- sti sono sempre meno numerosi. Che sia una situazione sconcertante è stato detto e ripetu- to da tutte le parti; sconcertante, noi aggiun- giamo, soprattutto per lei, onorevole Presiden- te, e per i suoi collaboratori di Giunta, inde- cisi come non mai, quasi timorosi non dispo- sti, se possibile, neppure a parlare, discutere dell'intervento massiccio delle forze di polizia, per non essere citati come esponenti di uno stato poliziesco, che necessariamente deve fa- re ricorso a imponenti azioni di polizia per catturare i malviventi...
DEL RIO (D.C.), Presidente della Giunta.
Sta polemizzando con l'onorevole Lippi Serra?
Non ho capito.
FRAU (P.D.I.U.M.). Lo diremo alla fine se stiamo polemizzando...
Non riuscendovi, dicevo, voi tacete quando l'accusa viene riversata su una certa omer- tà, che meglio sarebbe chiamare senso di pau- ra e di sfiducia delle popolazioni, più che mai restie ( per il rischio della soppressione fisica) ad aiutare le forze dello Stato nella loro dif-
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ficile opera. Vi vediamo, vi sentiamo restii co- me non mai ad ammettere che alla situazio- ne attuale si è arrivati per una miriade di errori e per non aver mai voluto affrontare seriamente le necessarie opere di fondo, di ci- vilizzazione sistematica, coerente e permanen- te. Non ci pare sia il caso di nascondercelo, non ci pare sia opportuno non ripetere quan- to altri hanno detto e quanto altri vanno di- cendo che molti paesi delle zone interne dello Stato italiano continuano a conoscere soltanto il carabiniere ed il poliziotto, il giudice, il can- celliere e naturalmente l'esattore delle impo- ste. Di vero vi è una profonda diffidenza ver- so lo Stato, vi è una ostilità ed un silenzio che chiamiamo muro di omertà. Voi sapevate, e lo sapevamo tutti, che in molti paesi, in molti villaggi delle zone interne vi erano del- le inimicizie, delle ostilità che dovevate sana- re con la scuola, con le opere civili e con l'assistenza.
Lo Stato italiano ha, nei nostri riguardi, gravi responsabilità e gravi colpe, altrettan- to gravi di quelle delle Giunte regionali, so- prattutto di queste ultime di centro-sinistra.
Malgrado gli sforzi noi non riusciamo a tro- vare giustificazione per molte azioni politiche, per molte iniziative politiche intraprese dalle Giunte regionali, spesso troppo sfacciatamen- te demagogiche, inopportune, inutilmente di- spendiose. Noi condannammo e condanniamo certe iniziative, condannammo e condannia- mo soprattutto il regime instaurato di prote- zionismi, di clientelismi e di ingiustizie che tanto discredito, tanta sfiducia hanno deter- minato a danno dell'Istituto autonomistico;
sottolineiamo la colpevole, persistente, capar- bia volontà di continuare come prima e peg- gio di prima, tanto da rendere attuale
e
pres- sante il dubbio di molti sulla utilità dello stesso Istituto. Ormai troppi Italiani e troppi Sardi lo ritengono solo uno strumento di po- tere, nelle mani di gruppi e di pochi partiti, da utilizzare in particolari momenti al fine di con- servare il più a lungo possibile, nelle proprie mani, la direzione della cosa pubblica. Sono accuse gravi e giustificate che vanno conside- rate assieme alla responsabilità, alle gravi re- sponsabilità dello Stato italiano e dei suoi go-verni di centro-sinistra. Soltanto a parole, e in occasione di appuntamenti elettorali, essi han- no lasciato sperare in interventi massicci ed im- mediati capaci di strappare alla miseria, alla di- soccupazione e all'abbandono secolare l'Isola e soprattutto le zone interne, da cui sarebbero derivati fiducia e rispetto negli organi dello Stato e della Regione. Le Giunte regionali so- no le prime inadempienti assieme ai governi di Roma. Inadempienti e recidivi, diciamo noi, verso la Sardegna, le prime e i secondi. L'uti- lità dell'attuazione del Piano di rinascita avrà certamente proporzioni meno importanti, me- no considerevoli mancando l'apporto dello Sta- to negli interventi ordinari. L'aggiuntività, la straordinarietà (parlarne ormai è quasi fuo- ri moda), condizioni prime, non esistono più, ed il fatto storico del nostro riscatto economi- co e sociale si sta risolvendo in una beffa, di- ciamo in una truffa a danno delle popolazio- ni la cui situazione è ampiamente, diffusamen- te, profondamente illustrata nell'indagine sot- toposta alla nostra attenzione con cifre, con dati che non richiedono commenti e aggettiva- zioni tanto sono significative.
Era comprensibile, onorevole Presidente Del Rio, che in tanta desolazione della sua Provincia i fuorilegge trovassero un rifugio idoneo. E' facile intuire che dallo stato di abbandono dei villaggi e delle campagne venis- se financo la simpatia di alcuni, ma sempre di troppi, verso chi ripudia le leggi dello Sta- to e del vivere civile, depredando e ucciden- do con ferocia. E' facile capire che la sim- patia verso i giovani in divisa non sarebbe stata generale ed universale nelle popolazioni delle zone interne, composte per la stragrande maggioranza di pastori nomadi, costretti a percorrere sentieri e tratturi impervi per se- guire quasi quotidianamente il proprio gregge nella disperata lotta per la vita, spesso a con- tatto e a colloquio con i fuorilegge, nella so- litudine, nel silenzio, e con l'animo triste ed esacerbato, deluso e offeso da una società che vive meglio e da una classe politica che troppo spesso li ha ingannati. Poveri giovani gettati allo sbaraglio nelle boscaglie e nei dirupi, gio- vani carabinieri, giovani caschi blu, forse stentano a trovare comprensione per la loro
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opera e per le loro azioni e troppo spesso pa- gano con la loro vita il compimento del loro dovere, fatto di umiltà e di dedizione. Abbia- mo saputo che sono, per la maggior parte, ra- gazzi del Veneto, della Toscana, della Lombar- dia, della Liguria a contatto con una realtà nuova e impensata, dinanzi a fatti clamoro- si ed inusitati. Certamente, nel loro animo, non vi è l'intenzione di uccidere o di offen- dere alcuno, certamen1e sono pensosi dinanzi alla povertà e all'abbandono in cui sono co- stretti a vivere cittadini della stessa nazio- ne, cittadini dello stesso paese. E forse por- teranno con loro il ricordo di tanta tristezza, di tanta miseria, probabilmente comprenden- do e giustificando il silenzio delle popolazioni che ncxn per omertà colpevole e riprovevole, ma per diritto alla sopravvivenza non colla- borano con loro nella lotta contro i fuorilegge.
Io non entrerò nel merito del modo e del si- stema con cui la lotta viene condotta, non en- trerò nel merito delle azioni di polizia e non parlerò degli episodi che hanno sollevato di- sapprovazione e critiche. Voglio soltanto riaf- fermare il nostro omaggio e la nostra rico- noscenza ai morti e a tutti coloro delle forze dell'ordine che agiscono e lottano nel tentati- vo di catturare i malviventi, per ristabilire la sicurezza nelle campagne e nei villaggi.
Ma mi domando: una volta riconquistata la sicurezza ( se la si riconquisterà), come e per quanto tempo essa verrà assicurata alle no- stre popolazioni se non si inizierà l'opera po- litica della Regione e dello Stato, capace di
rimuovere le cause che a questo fenomeno ine- sorabilmente conducono? Quali sono gli inten- dimenti del Governo romano circa eventuali interventi di ordine economico e sociale (a parte, naturalmente, il potenziamento, la mol- tiplicazione delle caserme dei carabinieri, che certamente in un futuro immediato supereran- no il numero delle scuole in Sardegna)? I vo- stri viaggi a Roma, i contatti con esponenti del mondo economico, del mondo politico roma- no hanno raggiunto almeno lo scopo di far comprendere l'urgente necessità di interveni-
re massicciamente e seriamente nell'opera di risanamento economico e sociale, oppure siete rimasti delusi, avviliti anche voi, componenti
di questa Giunta di centro sinistra del com- portamento e dell'indifferenza con cui siete stati accolti? Il vostro atteggiamento, del re- sto, a noi sembra chiaro. Nei vostri volti di persone leali, sincere, decisamente protese nel- l'opera difficile di amministrare i nostri pae- si, la nostra Sardegna, leggiamo un senso di sfiducia, indecisione, delusione. L'episodio del Capo dello Stato, la ripulsa dell'ordine del giorno-voto» hanno certamente turbato il vo- stro animo (forse fiducioso in principio), e, per quel senso umano che è in noi, non espri- meremo condanna in senso assoluto, senza ap- pello alla vostra fatica, alla vostra opera. Ma quel che è penoso, consentiteci di precisarlo, è registrare l'atteggiamento dei vostri parti- ti, della direzione dei vostri partiti (dei mag- giori, più qualificati esponenti dei vostri par- titi), della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Unificato. Abbandonati come sie- te e come vi sentiamo, comprendiamo il vostro imbarazzo, la vostra indecisione, che, purtrop- po, sono sintomi di debolezza politica, che non vi sottrae neppure dal firmare la relazione di maggioranza insieme con i comunisti e con l'esponente del P.S.I.U.P., conciliando le vo- stre tesi con le loro e accettando le loro indi- cazioni e le soluzioni di ordine politico, rical- cando vecchi temi che fanno parte del baga- glio demagogico a cui non riuscite più a sot- trarvi. Comprendere il vostro imbarazzo certa- mente non significa giustificare i vostri at- teggiamenti rinunciatari e il tono dimesso del- la vostra politica contestativa.
E', evidentemente, il fallimento del centro- sinistra di Cagliari é di Roma; è il fallimen- to d'una politica che non soltanto non ha ope- rato nel senso di dare fiducia alle popolazio- ni, ma ha disarmato le coscienze e sbricio- lato le iniziative per i provvedimenti poco chiari, per l'abbondanza eccessiva di minaccia- te riforme di struttura mai messe in essere.
Il fallimento è chiaro dal perdurare della cri- si nella agricoltura e nella zootecnia, lasciate alla deriva, oppure colpite da disordinati, tal- volta inutili se non addirittura dannosi inter- venti.
L'agricoltura e la zootecnia di cui parlia- mo è quella, onorevole Del Rio, delle cambia-
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li agrarie, con greggi e mandrie vincolate, con ipoteche sui terreni per decine e decine di miliardi, forse più di cento, malgrado l'abbuo- no d'una certa fascia di debiti. Vi è stato uno sforzo (perchè non dobbiamo riconoscerlo?) dei privati anche nelle zone interne per miglio- rare le loro campagne, per migliorare le loro terre e i loro armenti, proprio in risposta alle sollecitazioni e agli inviti, in virtù dei contri- buti statali e soprattutto regionali, ma lo sfor- zo ora si è attutito e molte campagne, che pur avevano tratto beneficio da una certa boni- fica, sono abbandonate e tornate, naturalmen- te, al pascolo brado. E' subentrato un senso di sfiducia (e non da ora) dopo anni di speran- ze, di delusioni; oggi è difficile una ripresa ed un risveglio, visto che i più vorrebbero libe- rarsi persino della loro proprietà terriera per dedicarsi ad altri settori, ad altre attività me- no rischiose, meno incerte e più remunerative.
Dicevamo altre volte, onorevole Presidente Del Rio, che la Regione avrebbe dovuto fare cose semplici, facili in questo settore. Avreb- be dovuto costruire strade di penetrazione a- graria, assicurandone in qualche modo la ma- nutenzione, la conservazione e non assiste- re al loro sfacelo; costruire ricoveri di bestia- me, case coloniche e assicurare assistenza tec- nica gratuita, assieme alla più sollecita de- finizione delle pratiche di contributo che spes- so rimangono mesi e anni senza risposta. A- vrebbe dovuto assistere in ogni modo il pro- duttore, che troppo spesso trova difficoltà, e quasi impossibilità, a vendere il suo prodotto a prezzi giustamente remunerativi. In un set- tore in movimento certamente non avrebbero trovato collocazione gli assenteisti.
Ma oggi, alle molteplici cause che hanno con- sigliato l'abbandono delle terre, si aggiunge un altro terribile male: l'insicurezza, il peri- colo, la paura e il terrore. In un momento co- me questo noi pensiamo che non si poteva fa- re a meno di invocare l'intervento dei batta- glioni della polizia e dei carabinieri, perchè senza questo intervento avremmo avuto in Sardegna addirittura il caos. Noi siamo con- vinti che sia urgente (e ne riconosciamo la necessità improrogabile) un corretto e sollecito funzionamento della macchina giudiziaria e un
ammodernamento e potenziamento delle com- pagnie barracellari; ma ci dev'essere contempo- raneamente un'azione rinnovata da parte di chi ha la direzione amministrativa e politi- ca del governo regionale. Si deve dare una nuova direzione ai suoi interventi per debel- lare, attraverso riforme possibili, attuabili,
(che si chiamano poi strade, scuole, acquedot- ti, corsi di qualificazione, assistenza) il feno- meno che deriva da questo stato di incertezza, di abbandono, di miseria; cioè per debellare alla radice la delinquenza. Non tanto, onore-
vole Del Rio, nella speranza, nella certezza che mai più vi saranno nel Supramonte dei fuorilegge, non tanto nella speranza che mai più vengano consumati Crimini, quanto per riguadagnare alla fiducia e al rispetto dello Stato le popolazioni di tutte le zone interne.
Ciò non si può fare certo attraverso le invo- cazioni demagogiche di cui fa bella prova la relazione di maggioranza, della nuova maggio- ranza che ha aperto il suo arco fino ai comu- nisti. Questa non è una Giunta di prestigio po- litico, a nostro avviso, capace di imprimere un nuovo corso alla vita economica e sociale sarda, per le riprove dei fallimenti eclatanti nella politica contestativa che si concluderà, abbiamo questa sensazione, con la giornata di protesta.
Questa non è la Giunta nuova delle prote- ste e delle rivendicazioni, ma è una Giunta de- bole, che ha subito amarezze ed affronti, è una Giunta disarmata. Amarezze e affronti per i rappresentanti democristiani (e in pri- mo luogo per lei, onorevole Presidente della Giunta), amarezze e affronti per i rappresen- tanti socialisti, lasciati, abbandonati persino dai Ministri del loro partito, per niente preoc- cupati o interessati quanto meno delle loro dif- ficoltà, ma severi nell'imporre loro_ di resiste- re sulle posizioni di governo, sulle posizioni di comando.
In altri tempi, non solamente avremmo as- sistito alle dimissioni dagli incarichi gover- nativi, ma avremmo assistito persino all'ab- bandono del partito nello intento di riaffer- mare il diritto al riscatto e alla giustizia. Que- stione di sensibilità, mi si potrà obiettare, ma dobbiamo pur dare una risposta agli 8.000 di-
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soccupati delle zone interne, dobbiamo pur da- re una risposta alle migliaia di emigrati a cui si era promesso il rientro in Sardegna.
Non pensiamo si possano ignorare le miglia- ia di braccianti senza una qualifica nelle zo- ne interne, ai quali è possibile assicurare sol- tanto un lavoro di poche settimane all'anno e i cui bilanci costituiscono una permanen- te vergogna per uno stato che si chiama de- mocratico e repubblicano fondato sul lavoro, per un governo regionale che dice di essere di centro-sinistra, ma in realtà disorientato, in- capace di imprimere un nuovo corso alla poli- tica delle cose.
Noi non siamo d'accordo con quanti, ono- revoli colleghi, difendono in chiave politica e sociale i privilegi di pochi a danno della co- munità, quando questi privilegi suonano offe- sa a quanti rivendicano il diritto ad un vi- vere civile ed umano in seno alla società, il diritto al lavoro e alla occupazione. Facciamo però una considerazione: siano lo Stato e la Regione, prima d'ogni altro, a fare un esame dei privilegi sfacciati creati in seno agli enti governativi, paragovernativi e regionali. Os- servino attentamente quanti privilegi e per quanti fortunati vanno copiosi i milioni del pubblico contribuente. Guardino gli sperperi, considerino gli scandali e i miliardi sottratti alla pubblica amministrazione. E diano l'esem- pio, per ridare fiducia e per riconquistare l'au- torità e il prestigio sacrificati sull'altare della demagogia. Solamente partendo da queste considerazioni e da questi presupposti può na- scere sensibilità e solidarietà soprattutto per quelle povere zone interne della nostra Isola.
Solamente così saranno possibili riforme e ri- scatto e mai più si dirà che la situazione del- la Sardegna, delle zone interne soprattutto, è tragica quanto in nessun'altra parte d'Italia.
Ma è possibile ritenere che lo Stato e la Regio- ne pensino alla necessità di considerare inu- tili e improduttive (per non dire di peggio) cer- te spese, proprio ora in regime di nazionaliz- zazioni, in regime di enti? Dove troveranno il Governo e la Giunta i mezzi per strappare alla disperazione i paesi delle zone interne, oc- cupati come sono in ben altri affari e in ben altre alchimie politiche?
E' l'ora, è stato detto, della resa dei conti, dei nodi che tornano al pettine, è l'ora, noi aggiungiamo, della verità. Inutile ricercare le cause di tanto sfacelo nella sola rendita fon- diaria assenteista, che, pur criticabile e con- dannabile (e noi la condanniamo), non è però che una minima cosa dinanzi al malgoverno, ai soprusi e agli sperperi di ogni genere. E pur tuttavia si continua a percorrere sempre la stessa strada, onorevole Presidente della Giunta, e noi ne soffriamo; noi che non com- prendiamo il tanto peggio tanto meglio. (Con- sensi a destra).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'ono- revole Tocco. Ne ha facoltà.
TOCCO (P.S.U.) Signor Presidente, onore- voli colleghi, il mio intervento sarà breve, non intendendo ora ripetere cose tanto chiaramen- te dette dai colleghi dei diversi settori del Consiglio, ma mirando piuttosto a completare, per comune intesa del Gruppo socialista, il no- stro pensiero sull'argomento in discussione.
Mi limiterò quindi ad alcune considerazioni sul nesso intercorrente tra la possibile levita- zione della economia delle zone interne e lo sviluppo industriale delle stesse. Sull'argomen- to debbo dire subito che mi sembra un erro- re affrontare (quindi svolgere una conseguen- te azione) questi problemi delle zone interne, che sono problemi economici e sociali ai quali sono strettamente legati i fenomeni della cri- minalità, astraendo la loro tematica dal con- testo del problema generale dell'Isola, che ri- siede fondamentalmente nella ricerca, nella creazione di nuovi posti di lavoro, nella cresci- ta fisiologica della domanda globale di con- sumo, nella acquisizione di un nuovo assetto più ricco di possibilità, più ricettivo, più mo- derno, che valga a bloccare la tragica emor- ragia emigratoria, a creare prospettive di la- voro decente per le nuove generazioni che pre- mono alla porta, a far sì che divenga pos- sibile il rientro degli emigrati, e che si tra- durrebbe infine nella generale elevazione del tenore di vita dell'Isola ed in particolare del- le sue zone più depresse. Potrebbe in proposito apparire ozioso aggiungere (e giova ripetere
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a noi stessi certe cose semplici), che questa finalità e la strumentazione atta a raggiun- gerla dovranno essere contestualmente appog- giate da un'azione rapida e incisiva, che mi- ri a trasformare l'ambiente, a bonificare, a modernizzare il tessuto sociale nel quale tan- to facilmente attecchisce il fenomeno storico della delinquenza. Un'azione, questa, che do- vrebbe tendere a trasformare rapidamente l'habitat, ad aumentare le possibilità di traf- fico, a creare condizioni -di vivere civile nelle zone interessate, come peraltro è stato più volte ricordato in questo consesso e ampiamente illustrato dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. I pubblici poteri, lo Stato, gli Enti locali, e in primo luogo la Regione hanno ora di fronte a sè un compito arduo, difficile, ma allo stesso tempo imperativo e improcrastinabile.
Dovrà essere compiuto uno sforzo formida- bile in tempi estremamente ravvicinati per aggredire l'ambiente da più parti, senza tre- gue, senza soste, senza tentennamenti. Un compito esaltante per tutta la classe politica sarda che deve però tradurlo in maniera con- creta, responsabilizzando l'Istituto regionale, facendo sì che l'Amministrazione regionale si trovi pronta ad intervenire tempestivamente ed organicamente in tutti i sensi di sua com- petenza. La stessa classe politica ha però an- che il dovere di responsabilizzare i poteri centrali dello Stato e in primo luogo il Gover- no della Repubblica, perchè non è concepibi- le, non è storicamente consentito, che il Go- verno centrale stia a guardare come spetta- tore, mentre dovrebbe in questo particolare tragico momento della nostra storia interve- nire in forma massiccia, tangibile, concreta, dando testimonianza una volta per tutte che la Nazione è veramente una e indivisibile.
Dobbiamo chiedere e pretendere dal Gover- no centrale un intervento veramente straordi- nario ed eccezionale, perchè straordinaria ed eccezionale è la situazione nella quale si tro- va oggi la Sardegna. Un intervento che non si esaurisca soltanto nella erogazione attraverso i canali burocratici di contributi in danaro, ma che si sostanzi oltre che in contributi in danaro in una serie di iniziative che valgano
ad avviare le nostre zone interne verso una trasformazione che deve uscire assolutamen- te dalla ordinarietà, pena il fallimento delle stesse misure che noi come istituto regionale potessimo iniziare.
Il discorso sulle zone interne è stato fatto più volte in questo Consiglio, in forma peral- tro impegnata e articolata. Consentitemi però di ripetere che la vastità e la tragica urgenza del momento impongono a noi stessi, alla clas- se politica regionale, un approfondimento an- cora più rigoroso, una puntualizzazione veri- tiera, concreta, consapevole, che vada al di là della logica strumentale delle parti per anco- rare ad una presa di coscienza, cruda se vo- gliamo, spregiudicata forse, ma vera e reale.
In proposito consentitemi di dire che riten- go sarebbe un errore gravido di conseguenze negative per lo sviluppo della società sarda, il voler concepire le zone interne della Sardegna come realtà a sè stanti nella più vasta real- tà sarda, e quello di concepire conseguente- mente l'economia agro pastorale di tali zone come la struttura portante capace, se oppor- tunamente sviluppata e razionalizzata, di pro- muovere la crescita economica e quindi an- che civile di tali zone. Un errore questo di concepire l'economia agro pastorale come set- tore traente dello sviluppo economico delle zone interne, che potrebbe essere gravido di incognite per il futuro.
Sarebbe sufficiente una disamina anche a grandi linee del problema per rendersene con- to. Basterebbe in fondo considerare nella sua realtà il triste fenomeno della emigrazione, che caratterizza con tinte drammatiche il qua- dro di queste zone, per convincersi che il pro- blema delle zone interne ha complessità, im- plicanze e addentellati tali con la realtà gene- rale dell'Isola, da legittimare la convinzione che soltanto creando canali di collegamento sociale ed economico con il resto della Sarde- gna, questa tensione, questa somma di proble- mi delle zone interne, potranno, anzi dovran- no scaricarsi su altri condensatori che sta a noi di individuare.
Certo, e su questo vorrei essere chiaro, non intendo contestare lo sforzo che si dovrà fa- re per sviluppare la attività pastorale in for-
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ma e termini moderni, per razionalizzare la attività agricola di tali zone, per far sì che si approdi ad una omogenea attività agro pa- storale impostata in termini sani e competi- tivi e che costituisca uno strumento primario per la trasformazione dell'ambiente e quindi del vivere delle popolazioni interessate. Una prospettiva questa che ci trova, è ovvio, tut- ti concordi.
Ma il problema si ripropone in altri ter- mini ove si consideri che raggiunto un tale traguardo ci troveremo certamente di fronte ad un appariscente fenomeno di ulteriore e- spulsione di unità lavorativa di queste zone, proprio perchè più razionalizzata e più orga- nizzata l'attività agro pastorale. E mentre di- venterà più incalzante il fenomeno emigrato- rio più si appaleserà la esistenza dei sottoc- cupati e più drammatica diventerà la situa- zione delle nuove leve senza posto di lavoro e senza prospettive in quel quadro economi- co agro pastorale. E' necessario quindi ri- cercare altri canali di collegamento, altri sboc- chi, altre prospettive per superare la sottoc- cupazione, per dare una collocazione dignito- sa alle nuove leve, per consentire quel rientro degli emigrati che noi tutti ci auguriamo.
D'altronde un confronto tra la densità del- la popolazione agricola esistente oggi nel re- sto dell'Italia, in Europa e nelle nazioni più progredite, con quella incidente in Sardegna, ci conforta della nostra tesi. In Italia gli ad- detti all'agricoltura rappresentano il 23,50 per cento di tutte le unità lavorative. Se confron- tiamo questo 23,50 per cento con il 45 per cento circa che è la percentuale di popolazio- ne agricola in Sardegna dobbiamo dedurre che in un quadro più evoluto dello sviluppo eco- nomico sardo quale noi ce lo auguriamo, la percentuale degli addetti all'agricoltura in Sar- degna dovrà scendere e di molto, per avvici- narsi quanto meno al livello della percentua- le nazionale (che è già alta), cioè al 23,50 per cento. E si tenga presente che anche questa percentuale in un futuro prossimo dif- ficilmente si manterrà in campo nazionale e che tenderà ad uniformarsi a quelle molto più ridotte del resto del continente europeo.
Queste considerazioni mi inducono a ritene-
re che si avrà nel prossimo futuro una ulte- riore espulsione di forze lavorative dal set- tore agricolo. E nel ritenere ciò sono in buo- na compagnia, se lo stesso piano quinquenna- le ipotizza che un certo numero di unità la- vorative, credo intorno alle 20 mila, dovreb- be abbandonare il settore agricolo per tro- vare più idoneo collocamento e sistemazione in altri settori che non siano quelli dell'agricol- tura e della pastorizia.
E' altrettanto evidente, lo ribadisco, che le misure che ci sono state presentate e illustra- te per razionalizzare l'agricoltura e la pastori- zia, vanno adottate, e subito. Però noi dobbia- mo ricercare parallelamente altre occasioni, al- tre prospettive di lavoro. I dati sullo spopola- mento di certi paesi e villaggi dell'interno, al- cuni dei quali sono stati riportati anche in una relazione di minoranza, assumono un vol- to tragico e dànno un carattere drammati- co, urgente, al problema che òggi stiamo af- frontando. Basterebbero questi dati a convin- cerci che bisogna provvedere il più rapida- mente possibile con una azione energica alla quale si dovrà dare il carattere di assoluta straordinarietà, per la creazione di nuovi po- sti di lavoro fuori dell'ambito dell'agricoltu- ra e della pastorizia.
Tutto ciò, è evidente, pone dei problemi nuo- vi di impostazione per lo sviluppo delle zone interne, domanda l'adozione di misure diver- se, comunque adeguate ad una situazione com- plessa e in continuo movimento. Ciò pone il problema del superamento, della lotta alla mo- noeconomia, che ha sempre irrigidito l'econo- mia dell'Isola, rappresentando un fattore di freno al suo sviluppo. Perchè se un errore è stato commesso dalla classe politica sarda nel passato, è stato proprio quello di considerare l'attività agro pastorale della Sardegna come attività primaria e fondamentale dell'Isola, co- me struttura portante della sua economia, su- scettibile se migliorata di far acquistare al- la Sardegna traguardi di civiltà economica a- vanzata e meritevole quindi di cure prima- rie da parte della stessa classe politica. E tale visione, peraltro conservatrice, perché an- corata ad uno schema arcaico, pur giustifican- dosi nel panorama estremamente povero del
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tessuto industriale dell'Isola (se ci eccettuano Cagliari, Sassari-Portotorres e il Sulcis, tutto il resto dell'Isola si basa sulla monoeconomia agro pastorale) sappiamo che non risponde og- gi nè alla realtà oggettiva dello sviluppo eco- nomico in atto nè alle esigenze che ha la Sar- degna di crescere rapidamente, in termini di urto, per adeguarsi al contesto della Peniso- la in continuo evolversi. E se di ciò assumia- mo veramente coscienza, allora bisogna tradur- re in azione la nuova concezione e non abban- donarsi al comodo rifacimento di strade già fatte sulla traccia di remoti sentieri, già per- corsi nei tempi, ma anzi di cercare, indivi- duare, raggiungere nuove strade, nuove diret- trici.
Io sono tra coloro che hanno sempre cre- duto nella prospettiva di una industrializza- zione della Sardegna, una industrializzazione articolata ma allo stesso tempo tale, per di- mensione, per novità, per aggiornamento nel
processo produttivo, da dare il colpo d'urto iniziale al trend di sviluppo e di avviare l'in- tero processo della crescita economica. E con ciò non voglio dire che il problema delle zone interne si debba risolvere con la industrializza- zione dei villaggi interni della Sardegna, per- chè non credo alle soluzioni miracolistiche, aprioristiche, al qualunquismo nelle scelte che poi diviene delittuoso sul piano delle struttu- re economiche. Io non credo, infatti, che si possa giungere a industrializzare tutti i pae- si della Sardegna e che anzi si debba dare in proposito una risposta seria, motivata, ma altrettanto rigorosa alle mille pretese e alla fioritura di richieste di industrializzazione che giungono da tutti i villaggi. Una risposta che sia sintomo di un rinnovato costume politico, non demagogico, non arrendevole. ma forte- mente consapevole della responsabilità che pe- sa sui pubblici poteri, sulle rappresentanze politiche, sui sindacati, attraverso le auall vie deve maturarsi una crescita civile, deve rafforzarsi la società democratica, deve tale società assumere coscienza dei suoi problemi In termini veritieri e reali.
Certo, è difficile dire la verità quando da tutte le contrade giungono richieste per in- frastrutture, per l'insediamento di stabilimen-
ti industriali, per il riconoscimento di aspira- zioni, legittime nel quadro tragico dell'isola, ma non suscettibili di essere accolte senza de- formare la fisionomia di una moderna, coe- rente linea di sviluppo. Io ritengo invece che si debba arrivare alla creazione di altre «isole»
di industrializzazione nell'isola, verso le qua- li le popolazioni dell'interno dell'isola devono gravitare; «isole», che poi tali non saranno perchè la Sardegna in sè è un mondo trop- po piccolo per non essere rapidamente influen- zato dalla crescita di qualunque sua contrada, con alti livelli salariali, con capacità di forte occupazione e con la presenza di massicce con- centrazioni industriali, che comporteranno in prosieguo di tempo, come logica e necessaria conseguenza, la possibilità concreta per il sor- gere di altre industrie satelliti o complemen- tari a valle di tali insediamenti. In tale modo noi possiamo veramente pensare di dare l'av- vio, il colpo di accelerazione al processo di sviluppo industriale, favorendo una dinamica in tutto il quadro economico, incidente anche sulle attività terziarie, con il conseguente au- mento o allargamento della domanda globale di consumo, soprattutto nei centri di residenza di quei lavoratori. E quando dico «nuove isole» voglio significare la ricerca di un nuo- vo equilibrio, di una dimensione territoriale che non si perda nei mille rivoli delle riven- dicazioni campanilistiche, non rinnovi in un tessuto nuovo quale il nostro il peccato origi- nale delle grandi concentrazioni abitative, del- la disordinata concentrazione urbanistica che, se giustificato nel periodo pionieristico del- l'industria, mal si giustificherebbe oggi.
La ricerca, dicevo, di una nuova dimensio- ne territoriale, in prospettiva anzi la previsio- ne di «città regione» dove si possono conci- liare le ragioni produttivistiche-infrastruttu- rali delle concentrazioni industriali, con le ra- gioni altrettanto valide del «vivere civile», della dimensione umana del centro abitativo, del polmone d'aria per l'infanzia, del tessuto urbanistico per generazioni al di là da venire che avranno a loro disponibilità più tempo libero. Ciò richiede, è chiaro, uno sforzo an- che di impostazione, una puntualizzazione ri- gorosa dei nostri obiettivi e dei valori econo-
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miei e non, da tutelare e perseguire, una te- sviluppo, devono diventare il tessuto portan- stimonianza insomma di noi stessi nel mo-
mento più decisivo che abbia mai attraver- sato la storia tormentata dell'Isola. Una stra- da nuova da percorrere dunque: da una par- te la ricerca di un equilibrio territoriale, la configurazione di un tessuto geografico visto nella sua dinamica civile ed economica, dall'al- tra la ricerca di una formula che superi, che respinga la monoeconomia, per approdare ad una unione, ad un collegamento tra il momen- to industriale e il momento agricolo, visti entrambi come stadi di un più generale pro- cesso di sviluppo. Ci arriveremo? Io mi augu- ro di sì.
Quando penso a Nuoro, e alle sue due Ba- ronie (e chiedo scusa se non amo immaginar- le nel futuro coperte ancora di greggi di pe- core), alle sue felicissime condizioni climati- che, alla sua dislocazione geografica, alle sue potenzialità, e constato una serie di felici conseguenze, allora penso anche che in tale zona ci sono possibilità concrete, e augurabi- li, per far sorgere alcune «isole» industriali e nel contempo per far sviluppare in molte delle sue contrade una agricoltura moderna, avanzata, razionalizzata, che tenda verso la produzione di prodotti dell'agricoltura di al- ta specializzazione e di alto valore. E in tan- te di queste contrade, dove c'è il clima, la ter- ra, il sole e l'acqua, io vedrei volentieri un prossimo domani le serre, cioè il primo passo verso la industrializzazione del processo agri- colo, e la conseguente dinamica produttiva e commerciale che ne scaturirebbe. E in tal mo- do si aprirebbe uno sbocco alla occupazione, soprattutto alla occupazione femminile che sta per sorgere già ora come un problema pres- sante in Sardegna, dove la donna attende or- mai di essere inserita di pieno diritto nel tes- suto economico dell'isola, con diritto a sala- rio equo, alla busta paga, alla previdenza e assistenza, con diritto insomma ad una col- locazione autonoma al di là della tradiziona- le funzione casalinga.
Queste due Baronie, dicevo, alle quali si volge tutta la mia simpatia, non soltanto u- mana, (che c'è) ed emotiva, ma soprattutto razionale perchè zone suscettibili di grande
te del Nuorese per la sua trasformazione eco- nomica. Se a questo arriveremo, non vi è al- cun dubbio che un grande passo in avanti si sarà fatto verso la razionalizzazione dell'a- gricoltura e quindi verso un assetto più mo- derno, più ricco di possibilità, di tali zone. Ma è altrettanto evidente che bisogna in pari tempo perseguire l'aggiornamento della pasto- rizia nei modi più moderni, attraverso l'ac- corpamento delle greggi, la razionalizzazione della produzione di quel formaggio nostro in- torno al quale discutiamo da diciotto anni e che ancora non è riuscito a tipicizzarsi suf- ficientemente e che è soggetto a crisi ricor- renti nei mercati esteri, in parte per ragioni di concorrenza, in parte perchè trattasi di un prodotto che non è mai eguale e del quale non ci si può costanteinente fidare e per qua- lità e per pezzatura.
Anche sotto tale aspetto c'è da percorrere ancora tanta strada per dare al Nuorese, alle zone interne e quindi alla Sardegna tutta una prospettiva di una pastorizia nuova, di una industria nuova, di una agricoltura nuova che vada verso la produzione sfruttando le condi- zioni climatiche ottime, il sole, l'acqua, del- le poche ma fertili pianure per portare a pro- dotti più liberamente, più facilmente commer- ciabili, di nuovo prezzo e di nuovo inserimen- to in Italia e in Europa. In questa strada io credo che il problema delle zone interne troverà soluzione, così come invece non tro- verà soluzione se noi lo estrapoleremo a viva forza dal contesto del problema generale del- l'Isola e pretenderemo di risolverlo non nel contesto del più generale problema di svilup- po della Sardegna, ma come singolo, quasi isolato problema agricolo che ha in se la ca- pacità di risolvere i problemi di quelle popo- lazioni. Dopo aver appreso le non felici noti- zie che ci sono giunte sul MEC e sul «Ken- nedy Round», dopo che a chiare lettere ci è stato detto che l'Italia nell'Europa dei pros- simi anni potrà tutt'al più pensare ad un allargamento delle esportazioni ortofrutticole, del vino, del riso, dopo tutto ciò, che certamen- te non rallegra noi, io cercherei di fare i con- ti con la realtà e di individuare quale è lo spa-
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zio che rimane alla Sardegna in questo con- testo, con l'Olanda che ci fa concorrenza pro- prio con il prodotto numero uno della nostra pastorizia, cioè con il formaggio. Ed è venuto il momento di domandarci se per caso il po- sto che rimane alla Sardegna, il suo ruolo co- me regione produttiva, vada collegato ad una produzione più moderna, più avanzata, più ric- ca, anzichè ancorarlo a quella tradizionale che fa acqua per tanti versi.
E' dell'altro giorno la notizia della concor- renza spietata che ci sta facendo la Spagna, la notizia della Germania che compra il vino, lo trasforma e lo rivende nei mercati tradi- zionalmente favorevoli all'Italia. E' proprio nella stampa di ieri un'altra notizia che as- sume particolare significato, e cioè che gli Stati Uniti avrebbero deciso di diminuire la loro produzione di grano duro. Ciò parreb- be favorire noi che siamo tipici produttori del grano duro. Ma in Europa si stanno affac- ciando altri paesi sottosviluppati che stanno immettendo nel mercato il grano duro a prez- zi inferiori a quelli fino all'altro giorno con- trollati sia nel MEC sia attraverso il «Ken- nedy 1-tound». Ed anche questo deve farci ri- flettere se non sia il caso di vagliare e studia- re attentamente il problema e di ricercare fin d'ora una via d'uscita per dare sbocco al- la nostra agricoltura attraverso la creazione di nuove colture proiettate verso l'avvenire, che dia prodotti i più ricchi possibile.
E qui il discorso si riallaccia alle serre, alla trasformazione dei prodotti agricoli, alla ne- cessità di incorporare ai prodotti della no- stra agricoltura del valore aggiunto, senza di che tali prodotti rimangono vili e alla mercè dei venti del mercato europeo. Tutto ciò de- ve essere motivo di attenta riflessione.
Io credo che se noi riuscissimo a incremen- tare la piana di Tortolì, ad esempio; se riuscia- mo a far scendere altra gente dall'Ogliastra verso quelle pianure, a insediare altre indu- strie diversificate dalla cartiera, noi rende- remmo veramente il più concreto e segnalato servizio all'Ogliastra e al nuorese tutto. La Car- tiera di Arbatax ha veramente raddoppiato i suoi impianti e non posso sottrarmi in pro- posito dal ricordare che tale raddoppio com-
porterà la occupazione di 150 persone in più di quelle già occupate con il primo impianto.
E 150 occupati in più non sono certamente la soluzione per la disoccupazione dell'Oglia- stra. Ciò nonostante, e l'occasione è utile per ribadirlo, non concordo con le critiche, talvol- ta aspre, che ho sentito sollevare in proposito.
Certo, il raddoppio della cartiera lo si vede- va e lo si vede in parte anche oggi come uno strumento per allargare massicciamente la ca- pacità occupativa di quella zona.
Non va però dimenticato che, una volta sor- ta la Cartiera, una volta fatta la scelta, il raddoppio diventava una esigenza aziendale as- solutamente necessaria, perchè senza il nuo- vo impianto si rischiava di scendere a costi non competitivi e il danno che ne sarebbe de- rivato nel quadro generale della economia re- gionale sarebbe stato di gran lunga maggio- re di quello che hanno ipotizzato i colleghi che, giustamente dal loro punto di vista, la- mentano che un tale investimento di capitale per il raddoppio serva soltanto ad occupare 150 operai.
E guai se non si fosse fatto il raddoppio perchè avremmo forse compromesso anche la occupazione in atto. Il raddoppio quindi è una misura indispensabile oggi e costituisce nel contempo una misura che serve a impedire guai domani. E in tal senso io dico che ben venga il raddoppio, così come stava avvenen- do, ma ben venga altresì la diversificazione in questa industria, che non penetra ora nel ter- reno della diversificazione perchè ciò pone problemi di radice sociale, di scelte, di mer- cato, di attenzione, di ricerca, perchè insom- ma ciò rappresenterebbe un impegno non tra- scurabile e non leggero. Sennonchè noi dob- biamo insistere perchè nella Cartiera di Arba- tax ci si avvii verso la diversificazione, ver- so la produzione di carte più pregiate (chè non è soltanto la carta di imballo e la carta da giornale che costituisce l'ossatura per un tale tipo di industria). Diversificando la pro- duzione si arriva ad attività più ricche, più manuali se così si potesse dire, che richiedono una maggiore incidenza di unità lavorative.
E ciò costituirebbe, è indubbio, uno sfogo no- tevole alla pressione dei disoccupati e sottoc-
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•cupati dell'Ogliastra. (Interruzione dell'onore- vole Nioi).
Io ti chiedo scusa, ma ti assicuro che non sono venuto a parlare qui... (interruzioni).
Ti assicuro che la nuova «continua» deve fare carta di giornale; stai tranquillo che non è credibile si voglia fare carta diversi- ficata con una continua larga cinque metri e 50. La nuova continua è più larga della vec- chia, tant'è che anzichè un nastro di cinque metri ne ha uno di cinque metri e 50, cioè il nastro caratteristico della carta da giornale moderno. E aggiungo che è stata impostata indubbiamente una produzione di carta da giornale e si produrrà carta da giornale per-
chè è oggi per la azienda la via più co- moda, più agevole per il mercato di vendita e di assorbimento. E non starò qui a ribadire, tra una interruzione e l'altra, che sono d'ac- cordo nel sostenere che non abbia senso essere contrari, così semplicemente, alla produzione di carta da giornale. Dico molto più serenamen- te che io sono per una linea produttiva più larga, e aggiungo che bene fa la cartiera a pro- durre carta da 5,50, ma altrettanto bene fa- rebbe a diversificare la sua produzione Se in- fatti si dovesse giungere a una tale diversifi- cazione, ripeto, si darebbe un concreto e se- rio contributo al problema della occupazione di tale zona.
C'è un altro tema, onorevoli colleghi, che voglio portare alla vostra attenzione. Mi rife- risco al collegamento che con la problematica delle zone interne hanno le industrie di base che si sono stanziate in Sardegna, dalla Pe- trolchimica, alla Rumianca, alla Marfili di Si- niscola. Per quanto attiene alla Rumianca, noi Sardi possiamo ben dire di aver ottenuto un successo nel momento stesso in cui dalla Ru- mianca diparte un canale che arriva a Villa- cidro dove dalla materia prima si passa al fi- lato per gradi, fino al filato nobilitato. Ma anche da Portotorres ci si avvia ad una verti- calizzazione oltre che ad una diversificazione della produzione. Nel mentre anche a Sini- scola la Marfili, pur tra le note difficoltà ini- ziali, comincia a muoversi. E non starò qui a ricordare quanto e con quale impegno la Am- ministrazione regionale, la Giunta e in primo
luogo il Presidente Dettori e gli Assessorati della finanza e dell'industria fecero e opera- rono per evitare la catastrofe di quella azien- da, che se fosse sopravvenuta avrebbe avuto ripercussioni fortemente negative su tutta l'a- rea del Nuorese. E' proprio di questi giorni la notizia delle gravi difficoltà nelle quali versa l'originario imprenditore della Marfili e dei licenziamenti che si stanno effettuando nel suo stabilimento di Ponzone. Fatti questi che ci danno la dimensione di ciò che sarebbe po-
tuto accadere se non si fosse giunti a quella faticosa ma preveggente operazione che con la partecipazione e il tramite delle banche creditrici, con il subingresso di due importan- ti complessi finanziari — industriali, ha per- messo che oggi si guardi con tranquillità e serenità all'avvenire della azienda, che verrà a costituire una ulteriore centrale attraverso la quale si produrrà il filato con i cascami del nylon.
Avremo quindi nel panorama industriale sardo tre centrali di produzione di filati: quel-
la di Sassari che verrà alimentata dalla SIR di Portotorres, quella di Siniscola con la Mar- fili, quella di Villacidro con il complesso in- dustriale dei fratelli Beretta e della SNIA VISCOSA. Tutte e tre le centrali produrran- no filati, filati nobilitati a Villacidro, no- bilitati certamente anche a Siniscola, non so in quale forma e misura a Sassari.
L'industria petrolchimica in Sardegna tro- vasi oggi, dunque, sufficientemente imposta- ta e strutturata, ma vi è da dire che su di essa incombe il preciso obbligo sociale di ag- giornare, con opportune espansioni, le poten- zialità di tutto il ciclo delle produzioni, man- tenendole costantemente al livello di quelle principali aree economiche europee e mondia- li, il che è garanzia per la loro competitivi- tà e in pari tempo per la redditività e con- tinuità dell'impresa e conseguentemente per la continuità e accrescimento delle possibilità di lavoro delle masse lavoratrici sarde.
Siamo di fronte ad un settore in continuo movimento, e che si muove, bisogna pur dir- lo, nella direzione giusta. C'è anzi da augurar- si che i progetti di diversificazione, di am- pliamento e di verticalizzazione (anche per la
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SARAS si è impostato un progetto di verti- calizzazione diretta che offre promettenti pro- spettive, specie sotto l'aspetto occupativo) va- dano avanti e vengano portati a compimento il più rapidamente possibile e ciò non soltanto per soddisfare la nostra improcrastinabile esi- genza di trovare nuovi posti di lavoro, ma anche perché gli altri imprenditori, in Italia e fuori, non stanno a guardare e un ritardo an- che di poco tempo nell'adeguare a nuove e più massicce misure produttive gli impianti esi- stenti, la minima esitazione nell'intraprendere nuovi processi diversificativi, potrebbe essere fatale non soltanto per l'ulteriore sviluppo dei complessi oggi operanti, ma per la sussistenza stessa di tale iniziativa. Nel quadro che bre- vemente si è tracciato si apre la prospettiva concreta in Sardegna di avere una produzio- -ne tessile rilevante e altamente incidente nel-
l'economia generale dell'Isola.
Una prospettiva che crea anche dei proble- mi, se è vero che entro un biennio circa tale produzione in termini rilevanti sarà disponi- bile sul mercato e, ove non si insedi una rete industriale capace di assorbirla, sarà av- viata al continente e all'estero per essere tra- sformata in tessuti che poi torneranno, al- meno per il 30 per cento, nella stessa isola e nel Meridione (stando ai dati di assorbi- mento dei tessuti indicati dall'ISTAT per il Sud). E in tale ipotesi ne deriverebbe una no- tevole dispersione di capitale e soprattutto si lascerebbe in altre regioni, tutte economica- mente più avanzate della Sardegna, il notevole valore aggiuntivo costituito dall'ultima e più ricca trasformazione del filato in tessuto. Una via da seguire, quindi, vi è sotto questo a- spetto, e tale da portare, soprattutto nelle ul- time fasi, a grosse possibilità occupative e a fenomeni di lievitazione economica in tutta l'isola veramente interessanti. Ed in questo senso noi tutti dovremmo fare uno sforzo ve- ramente intenso, impegnato, univoco, per far sì che nell'Isola si apra finalmente una pro- spettiva concreta di avanzamento economico e quindi di crescita civile.
E questo compito richiederà 'una battaglia seria e consapevole della classe politica sarda e costituisce già oggi una rivendicazione pos-
sibile, e comunque augurabile, nei confronti dell'azienda di Stato, perchè la solidarietà del- lo Stato verso l'isola si concreti e dia segni tangibili, perché attraverso aziende di Stato si possa completare, con una dimensione pro- duttiva pari alla portata del processo in at- to, l'ultimo anello della catena tessil - chimica.
Quando faccio questa affermazione ho presen- te quanto ha dichiarato giorni or sono il Mini- stro Pastore in relazione ad uno studio sulla chimica che interessa il nostro Paese ed in particolare il Mezzogiorno d'Italia, e quanto ha dichiarato in merito il Comitato dei Mi- nistri per il Mezzogiorno, laddove asserisce che la linea di condotta da seguire è quella di realizzare ovunque sia possibile impianti per la successiva lavorazione delle materie pri- me. E mi domando se per caso sia accettabi- le e sopportabile da parte nostra una tale impostazione che contrasta quella prospettiva che innanzi vi accennavo. Perché è evidente che per la Sardegna, che nei tre complessi in- dicati produrrà circa il dodici per cento del- la intera produzione di filati italiana, tali a- ziende rappresenterebbero veramente un pe- so morto, una struttura coloniale, senza sboc- co e senza utilità per l'Isola. E verrebbe me- no l'originario disegno di muovere l'economia attraverso questa via nuova e interessante.
Dobbiamo quindi batterci contro questa im- postazione. Chiedere, chiedere, rivendicare l'intervento massiccio della azienda di Stato per la lavorazione di questa altissima mole di filati, con conseguenti investimenti che siano adeguati alla produzione di base. Dobbiamo cioè liberarci dalla ipoteca semicoloniale delle zone produttrici di materie prime che frut- tano altrove il valore aggiunto. Una batta- glia, un appuntamento, onorevoli colleghi, al quale non si può mancare.
Finora si è parlato di filati, che costitui- scono già un tema largamente interessante. Ma aggiungo che sul piano della industria petrol- chimica, o chimica in generale, dobbiamo pen- sare ad altri sbocchi, ad altre vie. Dicevo pri- ma che va seguita la via della diversificazio- ne, oltre quella della verticalizzazione pura e semplice. E con ciò voglio dire che si deve giungere all'insediamento di altre industrie
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che utilizzino le altre materie prime ricava- bili dal processo petrolchimico o esistenti nel- l'isola in quantità e qualità tali da consenti- re uno sfruttamento economico. Anche in que- sto campo ci sono infatti larghe possibilità di sviluppo.
Pensiamo ad esempio alla industria chimi- ca della fluorite che possa verticalizzare la produzione di Silius, alla industria della bari- te, ai profumi, etc... tutta una vasta gamma di possibilità concrete, reali, nelle quali si può, si deve misurare la nostra capacità a recepire in termini moderni i problemi nuovi dello svi- luppo industriale. Ma sia chiaro, e non ho timo- re alcuno ad affermarlo, che per poter reggere una situazione dinamica come l'attuale, per po- ter inserirsi con prepotenza in un mercato complesso e difficile come quello europeo degli anni avvenire, tali aziende, che mi auguro pos- sano sorgere, non dovranno essere di piccole o medie dimensioni ma di portata e dimen- sione tale, per capitale investito, per sboc- co commerciale, per aggiornamento tecnico e scientifico, da poter non soltanto reggere una situazione concorrenzial2 già in se pesante ma decollare direttamente dalla Sardegna verso orizzonti europei e mondiali.
Dimensione che sarà domani la miglior ga- ranzia per la continuità delle aziende stesse e quindi per il rafforzamento del tessuto econo- mico sardo. E quando noi auspichiamo un ta- le tipo di aziende stiamo sì favorendo l'irro- bustimento della struttura industriale sarda, ma nel contempo stiamo ponendo le premesse per una ulteriore possibile diversificazione, do- mani, delle piccole e medie aziende, che co- stituiranno il corollario naturale e necessario di queste aziende di base, e diciamo di «base»
rispetto ad una augurabile futura diversifica- zione, anche se sono a valle rispetto alla pro- duzione delle materie prime già in atto.
Vorrei ricordare un episodio che ha fatto
«notizia» in questi giorni. Mi riferisco al pro- getto dell'Alfa Sud, intorno al quale tanti di- battiti e discussioni si sono accesi in questi giorni. Io posso ben dire di essere testimone, consentitemi l'espressione, oculare, che la scel- ta di Pomigliano d'Arco, dove ho avuto la ventura di lavorare giovanissimo alla prima
officina Alfa Romeo che fabbricava aeropla- ni, è una scelta conseguente per l'Alf a Romeo, che ha a Pomigliano d'Arco un addentellato da quarant'anni. E c'è una promessa, ormai divenuta storica, di sviluppare l'Alfa Romeo in quella regione, promessa peraltro mai man- tenuta. Quindi nessuno più di me è convinto della scelta e comprende come tale scelta sia stata fatta. Ma un fatto mi ha colpito. In- fatti in tutto questo frastuono di voci, non c'è giornale che da un mese non parli dell'Alfa Sud. Dal primo all'ultimo giornale d'Italia, ciascuno esprime il suo parere; Ministri, sot- tosegretari, uomini politici, popolazioni, diri- genti di aziende, la stessa Fiat, che ha volu- to fare addirittura una comunicazione, tutti hanno interloquito, espresso pareri, vagliato l'iniziativa. A questo punto debbo dire che evi- dentemente la prassi seguita non è stata tra le più ortodosse. E questo non per la localiz- zazione scelta o addirittura per l'iniziativa imprenditoriale adottata, ma per il modo con il quale l'impresa e la localizzazione sono state rese di pubblico dominio. Mentre noi tutti infatti affermiamo la ineluttabilità della programmazione, il suo imperativo qua- si morale in una logica di costume nuovo che a tutti i sovrappone, mentre noi tutti affer- miamo la necessaria rigidità della programma- zione, appare improvvisamente, con evidenza solare, che tutto è relativo e che una fabbrica, una iniziativa di tali dimensioni e di tale incidenza, pur non essendo programmata, pur mancando una previsione, sarà realizzata nel Meridione con una spesa di circa 300 miliar- di.
E per realizzare questa iniziativa, che po- trà comportare l'occupazione di circa 15 mi- la unità e quella indiretta di circa 30 mila, si è già stabilito come e quando si farà fronte alla spesa necessaria per l'investimento; e tut- to ciò si apprende attraverso la stampa: 45 miliardi saranno rappresentati da contribu- ti; 110 miliardi si ricaveranno a mezzo di ob- bligazioni IRI, il resto sì avrà attraverso pre- stiti di non so quale natura. Invece, mi sia consentito dirlo, quando si parla a Roma del- la Sardegna scaturisce fermo, inflessibile, il volto «rigido» della programmazione, e si ap-
Resoconti Consiliari — 3772 — Consiglio Regionale della Sardegna
V LEGISLATURA CLXXXVII SEDUTA 13 LUGLIO 1967
prende che per le nostre cose mancano i mezzi (e purtroppo noi sappiamo che non si tratta soltanto di mancanza di mezzi), che difettano le «previsioni» nella programmazione nazio- nale, e così via. Dinanzi a un tale stato di cose, di fronte ad una situazione di questo tipo, ad una disinvoltura decisionale che crea precedenti pericolosi (ricordiamo i cantieri navali?) devo esprimere il mio rammarico e riaffermare, in questa sede che ha visto na- scere e poi crollare tante nostre speranze, che la centrale di tiro della programmazione de- ve essere una sola, che il «costume» della pro- grammazione come metodo, come volontà po- litica di un paese civile va rispettato e seguito sempre e dovunque, che le scelte devono nasce- re e svilupparsi all'interno di tale costume, di tale metodo, con gli strumenti previsti dalla legge e non tramite questo o quel capo politi- co, questo o quell'ente, questo o quel partito politico. Non si ha il diritto, proprio nel mo- mento di avvio della programmazione, quan- do ci si deve sforzare di fare acquistare que- sta nuova frontiera alla coscienza del Pae- se, non si ha il diritto di giocare a carte con- traddicendo la programmazione stessa. Abbia- mo anzi tutto il diritto a esigere, a pretendere che la programmazione sia rigida, articolata, riconosciuta da tutti e da tutti pubblicamente conosciuta, in modo che si sappia ciò che com- pete a noi, ciò che compete agli altri, quali sono le previsioni, quali le scelte che peraltro debbono scaturire, ripetiamolo ancora una vol- ta, dall'interno del sistema.
E in proposito debbo confessare che mi ha veramente colpito il dualismo ora esistente tra il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e il C.I.P.E. Infatti recentemente il C.I.P.E.
è stato investito in certe sue legittime respon- sabilità; è caduto qualche Comitato dell'indu- stria, giustamente assorbito dal C.I.P.E. che è il Comitato per la pianificazione economica e quindi dovrebbe legittimamente assorbire tutti gli organismi che debbono provvedere alla programmazione economica. Sennonchè esiste ancora il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno con funzioni e compiti tipici, che sono poi di pianificazione. E ciò costituisce un duplicato che può far nascere, per la logica
stessa della macchina politico-burocratica, delle gravi contraddizioni. Va quindi affer- mato, qui e altrove, che una tale situazione va risolta, va superata in una direzione uni- taria e globale dei problemi connessi alla pia- nificazione.
Se poi aggiungiamo a questi due organismi anche gli organismi più propriamente eco- nomici dello Stato, constatiamo che le centra- li di tiro sono più di due. Una situazione quindi che va chiarita quanto prima e senza oziare su cavilli metodologici o su ragioni di potere, perchè è in gioco la fisionomia stessa della programmazione, la sua capacità di inci- dere sul tessuto vivo della economia. Io, dice- vo prima, posso comprendere come tutto ciò sia accaduto per l'Alfa Sud. Siamo ancora al- la fase iniziale della programmazione, ci stia- mo facendo le ossa, stiamo ancora creando e imparando ad usare gli strumenti della pro- grammazione. Ma è bene che si rimanga agli sbagli iniziali e non si vada oltre. Dobbiamo ora non soltanto mettere a fuoco la program- mazione in tutti i suoi aspetti, ma fissare pun- ti chiari e non equivoci. Noi Sardi abbiamo specifico interesse alla chiarezza e dobbiamo portare agli organi ministeriali, al Governo, la nostra voce, come peraltro sono certo che farà il Presidente della Giunta.
Noi dobbiamo insistere per avere un pano- rama politicamente e strumentalmente più pulito, per sapere in definitiva chi è che de- termina, chi indica, chi realizza. Solo così po- tremmo anche noi, dopo tante attese, avere fiducia nella programmazione, sentirla come fatto nostro, come impegno anche nostro.
Ma voglio tornare per pochi minuti all'e- pisodio dell'Alfa Sud per rimarcare a noi tut- ti un aspetto veramente curioso del costume oggi imperante. La notizia del progetto Alfa Sud ha provocato, come ricorderete, una pronta e articolata reazione della Fiat, che in sostanza poneva la problematica della ne- cessità o meno di un'altra industria automo- bilistica in Italia, di quelle dimensioni e con quella capacità produttiva, asserendo che era più utile, più economico nel quadro ge- nerale italiano, continuare a servirsi di uno strumento (FIAT) già esistente, che poteva