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Diritto delle Relazioni Industriali

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Diritto delle

Relazioni

Industriali

Rivista trimestrale già diretta da

MARCO BIAGI

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Diritto delle Relazioni Industriali

Numero 3/XXV - 2015. Giuffrè Editore, Milano

Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche

Michele Tiraboschi Sommario: 1. Posizione del problema. – 1.1. Malattie croniche e sostenibilità dei

si-stemi sanitari e di welfare pubblici. – 1.2. Impatto delle malattie croniche sulle dinamiche complessive del mercato del lavoro, sulla produttività e sulla organiz-zazione del lavoro. – 1.3. Obiettivi della ricerca. – 2. Malattie croniche: i limiti delle attuali risposte fornite dal diritto del lavoro e dai sistemi di protezione so-ciale. – 3. Dai sussidi, quote di riserva e tutele passive alle politiche di attivazio-ne, conciliazione e retention. – 3.1. La rivisitazione delle politiche di welfare to

work, degli incentivi e dei sussidi pubblici. – 3.2. La rivisitazione delle politiche

di conciliazione e pari opportunità: verso un work-health-life balance. – 4. Segue: promuovere la prevenzione delle malattie croniche nei luoghi di lavoro. – 5. Una prospettiva di relazioni industriali: il nodo della produttività/sostenibilità del

* Professore ordinario di diritto del lavoro, Università degli Studi di Modena e Reg-gio Emilia. Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati DEAL (Diritto, Economia, Ambiente, Lavoro) del Dipartimento di Economia Marco Biagi, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Esperto, per i profili giuslavoristici e del mercato del lavoro, del progetto europeo CanCon – Cancer Control Joint Action (www.cancercontrol.eu) co-finanziato dalla Unione europea nell’ambito dell’EU Health Programme 2014-2017.

Il presente lavoro è dedicato alla memoria di Roberta Scolastici e Simonetta Guerrini e costituisce la premessa, teorica e concettuale, di un innovativo progetto di ricerca sulla occupabilità e il ritorno al lavoro delle persone con malattie croniche promosso da ADAPT (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del La-voro e sulle Relazioni Industriali) in collaborazione con il Coronel Institute of Occu-pational Health dell'Academic Medical Center (Paesi Bassi), l’European Public Health Alliance (Belgio), The Work Foundation della Lancaster University (Regno Unito) e il Warszawski Uniwersytet Medyczny (Polonia).

Per agevolare la lettura, nonché la verifica dei riscontri comparati, si segnala che gran parte dei documenti e dei saggi citati nel presente articolo sono raccolti e pub-blicati nell’Osservatorio ADAPT su Work & Chronic Disease accessibile in modalità open access alla voce Osservatori della piattaforma di cooperazione

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voro e l’importanza di ripensare i concetti di “presenza al lavoro”, “prestazione lavorativa”, “esatto adempimento contrattuale”.

1. Posizione del problema

A causa dell’insorgere e del decorso di una malattia cronica, un numero crescente di persone che rientrano nella fascia di popolazione economi-camente attiva (1) risulta, più o meno temporaneamente, inabile o, co-munque, solo parzialmente abile al lavoro.

Senza entrare in complesse definizioni medico-scientifiche (2), con l’espressione “malattie croniche” intendiamo qui riferirci ad alterazioni patologiche non reversibili che richiedono una speciale riabilitazione e un lungo periodo di supervisione, osservazione, cura. In via meramente esemplificativa: malattie cardiovascolari e respiratorie, disordini mu-scolo-scheletrici, HIV/AIDS, sclerosi multipla, numerose tipologie di tumori, diabete, obesità, epilessia, depressione e altri disturbi mentali. Evidenti, almeno per i profili che rilevano direttamente ai fini del pre-sente studio (3), sono le ricadute di tutte queste malattie, pure tra loro profondamente diverse, sui livelli di reddito e sulle opportunità di oc-cupazione, carriera e inclusione sociale per le singole persone interessa-te e, non di rado, per i loro familiari, a cui spesso competono onerosi compiti di cura e assistenza (c.d. care givers).

Una risposta – più o meno adeguata – a queste specifiche problemati-che è fornita dai diversi sistemi nazionali di protezione sociale in rela-zione alle cause di cessarela-zione anticipata della vita lavorativa che garan-tiscono l’accesso a pensioni o sussidi di invalidità ovvero dalle disposi-zioni di legge e contrattazione collettiva relative alle ipotesi di sospen-sione (totale o parziale) della prestazione di lavoro con relativa (tempo-ranea) integrazione dei trattamenti retributivi (infra, § 2).

(1) La forza-lavoro intesa, in senso tecnico, come la somma di occupati e disoccupati.

(2) Per una definizione scientifica di malattia cronica cfr. S. VARVA (a cura di),

Malat-tie croniche e lavoro: una rassegna ragionata della letteratura di riferimento,

ADAPT University Press, 2014.

(3) Per una valutazione più complessiva dell’impatto delle malattie croniche sulle

so-cietà post industriali, che vada oltre i meri indicatori economici e ponga altresì

atten-zione alle sue determinanti socio-economiche, cfr., tra i tanti, P. BRAVEMAN, L.

GOTTLIEB, The Social Determinants of Health: It’s Time to Consider the Causes of the Causes, Public Health Reports, 2014, Supplement 2, 20-31, e ivi ampia letteratura

di riferimento. Cfr. altresì, a livello istituzionale, UNITED NATIONS DEVELOPMENT

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Ancora poca attenzione riceve, per contro, l’impatto complessivo dei costi delle malattie croniche sulla tenuta dei sistemi sanitari e di welfare (4), le cui criticità sono ora accentuate, in termini economici e di soste-nibilità nel medio e ancor più nel lungo periodo, dall’innalzamento del-la aspettativa di vita (5) e dal conseguente riallineamento verso l’alto – e in termini restrittivi – dei criteri di accesso alla età di pensione (6).

1.1. Malattie croniche e sostenibilità dei sistemi sanitari e di welfare pubblici

Eppure è noto come l’aumento della longevità delle persone conduca, per un verso, a una domanda di servizi sanitari e prestazioni sociali maggiore e per un periodo di vita più lungo con conseguente incremen-to della spesa relativa (7). I vincoli di bilancio pubblico e il conseguente irrigidimento dei parametri (soggettivi e oggettivi) di accesso ai tratta-menti pensionistici e assistenziali, per l’altro verso, impongono alle persone carriere lavorative più lunghe e la necessità, non di rado, di

(4) Il punto è bene evidenziato da R. BUSSE,M.BLÜMEL,D.SCHELLER-KREINSEN,A.

ZENTNER, Tackling Chronic Disease in Europe: Strategies, Interventions and Chal-lenges, European Observatory on Health Systems and Policies, World Health

Organi-zation, 2010, qui 19, dove si sottolinea come «there is considerable evidence on the epidemiology of chronic disease, but little on its economic implications». Cfr. altresì,

a livello istituzionale, UNITED NATIONS, World Population Ageing 2013, Department

of Economic and Social Affairs, 2013, qui 75.

(5) Cfr. D.E. BLOOM, E.T. CAFIERO, E.JANÉ-LLOPIS, S. ABRAHAMS-GESSEL, L.R.

BLOOM, S. FATHIMA, A.B. FEIGL, T. GAZIANO, M. MOWAFI, A. PANDYA, K. PRETTNER, L. ROSENBERG, B. SELIGMAN, A.Z. STEIN, C. WEINSTEIN, The Global Economic Burden of Noncommunicable Diseases, Geneva, World Economic Forum,

2011. Nello specifico contesto europeo, nell’ultimo cinquantennio l’aspettativa di vita

è aumentata di 10 anni. Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Demography Report: Older,

More Numerous and Diverse Europeans, Commission Staff Working Document,

Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2011, 33.

(6) Cfr. OECD, Pensions at a Glance 2013: Retirement-Income Systems in OECD and

G20 Countries, 2013, e EUROPEAN COMMISSION, Pension Adequacy in the European

Union 2010-2050, 2012. In dottrina: M. SZCZEPAŃSKI,J.A.TURNER (eds.), Social Se-curity and Pension Reform: International Perspectives, Upjohn Institute, Kalamazoo,

2014; A. GRECH, Assessing the Sustainability of Pension Reforms in Europe, in

Jour-nal of InternatioJour-nal and Comparative Social Policy, 2013, 143-162.

(7) Cfr. F. BREYER,F.COSTA-FONT,S.FELDER, Ageing, Health, and Health Care, in

Oxford Review of Economic Policy, 2010, 674-690, e M. SUHRCKE,D.K.FAHEY,M.

MCKEE, Economic Aspects of Chronic Disease and Chronic Disease Management, in

E. NOLTE,M.MCKEE (eds.), Caring for People with Chronic Conditions: A Health

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convivere al lavoro con problemi fisici, psichici, psicosomatici e psico-sociali (tra cui stress, ansia, panico, depressione, emotività, deteriora-mento cognitivo, affaticadeteriora-mento, debolezza muscolare) che comportano limitazioni più o meno rilevanti rispetto alle normali funzioni lavorative e, di regola, maggiori tassi di assenteismo (8).

Non esistono, allo stato, dati e proiezioni attendibili relativamente alla incidenza complessiva delle malattie croniche sulla popolazione eco-nomicamente attiva (9) e sui rapporti di lavoro (10). Questo anche per-ché, al fine di evitare ripercussioni negative sulle prospettive retributive e di carriera, il lavoratore non sempre ritiene opportuno comunicare la propria reale condizione di salute al datore di lavoro.

Il network europeo per la promozione della salute nei luoghi di lavoro ha tuttavia stimato che in Europa quasi il 25% della popolazione in età di lavoro soffre i disturbi di almeno una malattia cronica (11) e che la

quota di malati cronici che lavora sia pari al 19% della forza-lavoro (12). Per contro le proiezioni al 2020 e al 2060 del tasso di

(8) Cfr. il rapporto comparato curato nel 2014 per conto della European Foundation

for the Improvement of Living and Working Conditions su Employment opportunities

for people with chronic diseases, realizzato nell’ambito dell’European Observatory of

Working Life – EurWORK (www.eurofound.europa.eu). Con riferimento all’Italia cfr. il già richiamato rapporto ISTAT, Limitazioni nello svolgimento dell’attività

lavo-rativa delle persone con problemi di salute, cit.

(9) Cfr., per singole tipologie di malattia cronica, i dati contenuti in OECD, Health at

a Glance: Europe 2012, OECD Publishing, 2012, qui 34-48. Cfr. altresì WORLD

HEALTH ORGANIZATION, Noncommunicable Diseases Country Profiles 2011, WHO Library Cataloguing-in-Publication Data, 2011 (vedi, in particolare, pag. 98 per i dati di sintesi sull’Italia).

(10) Con riferimento all’Italia cfr. ISTAT, Limitazioni nello svolgimento dell’attività

lavorativa delle persone con problemi di salute, Report maggio 2013, secondo cui

ben 6,5 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni (pari al 16,5% della popolazione in età di lavoro) dichiarano di essere affette da una o più malattie croniche o da problemi di salute di lunga durata che incidono, più o meno pesantemente, sulla attività lavorativa.

(11) Cfr. EUROPEAN NETWORK FOR WORKPLACE HEALTH PROMOTION, PH Work –

Promoting Healthy Work for People with Chronic Illness: 9th Initiative (2011-2013),

2013. Più dettagliati i dati disponibili negli Stati Uniti dove si è stimato che nella fa-scia di età tra i 20 e i 44 anni il 40,3% della popolazione sia soggetta almeno a una malattia cronica e il 16,8% a 2 o più; nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni la percen-tuale della popolazione colpita da almeno una malattia cronica sale addirittura al 68%,

mentre il 42,8% ne registra 2 o più. Cfr. G. ANDERSON, Responding to the Growing

Cost and Prevalence of People With Multiple Chronic Conditions, Johns Hopkins

Bloomberg School of Public Health, 2010, 8.

(12) Il dato è contenuto nelle Recommendations from ENWHP’s ninth initiative

Pro-moting Healthy Work for Employees with Chronic Illness – Public Health and Work,

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ne al mercato del lavoro in Europa degli over 55 – e cioè della fascia di popolazione economicamente attiva maggiormente soggetta a un signi-ficativo rischio di abilità solo parziale o intermittente al lavoro (13) – registrano, rispettivamente, un incremento di 8,3 e 14,8 punti percen-tuali (14). Nell’area dell’Euro l’impatto stimato è ancora più marcato con un incremento degli over 55 di 10 punti percentuali da qui al 2020 e di 16,7 punti percentuali nel 2060 (15).

Certo è che, nel lungo periodo, la partecipazione al mercato del lavoro di persone affette da malattie croniche diventerà imprescindibile per af-frontare il declino dell’offerta di lavoro e la carenza di forza-lavoro qualificata in uno con le pressioni sui sistemi pensionistici indotte da un drastico invecchiamento della forza-lavoro (16), con Paesi come Italia, Giappone e Spagna destinati a registrare nel 2050 un picco di over 65 pari a un terzo della intera popolazione (17).

Altrettanto certo è che un investimento sulla salute e il benessere delle persone – e della popolazione economicamente attiva in particolare – diventerà sempre più un «imperativo (anche) economico» per gli Stati (18) in funzione della sostenibilità dei loro sistemi sanitari e di protezio-ne sociale.

Da non sottovalutare, a fronte di un arretramento del lavoro industriale, sono del resto le opportunità occupazionali e di (ri)qualificazione pro-fessionale in un settore cruciale del mercato del lavoro come quello di cura della persona (assistenza e sanità) che pure registra rilevanti criti-cità. Ciò non solo in ragione, come è ampiamente noto, di un ciclico di-sallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro di medici e infermieri (19), ma anche proprio per l’assenza di figure professionali con le

(13) Cfr. K. KNOCHE,R.SOCHERT.K.HOUSTON, Promoting Healthy Work for

ers with Chronic Illness: A Guide to Good Practice, European Network for

Work-place Health Promotion, 2012, 7.

(14) Cfr., in dettaglio, EUROPEAN COMMISSION, The 2012 Ageing Report: Economic

and Budgetary Projections for the 27 EU Member States (2010-2060), European

Economy 2012, n. 2, 63.

(15) Ibidem.

(16) Così: OECD, Sickness, Disability and Work: Breaking the Barriers – A Synthesis

of Findings Across OECD Countries, 2010, 22.

(17) Ancora OECD, Sickness, Disability and Work…, cit., qui 24.

(18) Cfr. HEALTHY WORKING LIVES, Managing a Healthy Ageing Workforce: A

Na-tional Business Imperative, NHS Health Scotland, 2012.

(19) Cfr., sul punto, T. ONO, G. LAFORTUNE, M. SCHOENSTEIN, Health Workforce

Planning in OECD Countries: A Review of 26 Projection Models from 18 Countries,

OECD Health Working Paper, 2013, n. 62, cui adde M. SCHOENSTEIN, Health Labour

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Work-petenze necessarie per (prima) comprendere (20) e (poi) gestire operati-vamente le problematiche del ritorno in azienda e sul mercato del lavo-ro dei malati clavo-ronici.

Già oggi, in Europa, si stima una spesa di 700 miliardi di euro per la cura di malattie croniche, per un valore che oscilla tra il 70 e l’80% dell’intero budget sanitario (21). Aumenta costantemente, del pari, il numero di persone che richiede congedi per malattia o anche pensioni anticipate e assegni di invalidità di lungo periodo che, in alcuni Paesi, già oggi riguardano il 10% della forza-lavoro (22).

Uno studio condotto a livello globale dalla Harvard School of Public Health (HSPH) per il World Economic Forum (23) stima inoltre che, tra il 2011 e il 2030, si registrerà una perdita cumulata di output di 47 mila miliardi dollari a causa di malattie croniche e di malattie mentali in termini di prestazioni sanitarie e previdenza sociale, ridotta produttività e assenze dal lavoro, disabilità prolungata e conseguente riduzione dei redditi per i nuclei familiari interessati.

Anche a prescindere dalla attendibilità di siffatte analisi e stime, già oggi, in area OECD, l’1,2% del PIL risulta assorbito da prestazioni di invalidità (il 2% se si includono le prestazioni di malattia): quasi 2,5 volte tanto il costo dei sussidi di disoccupazione (24). Misurato come

percentuale della spesa sociale pubblica totale, il costo della disabilità è

force Alliance Forum Recife, 11 November 2013. Per una sintesi ragionata in italiano

cfr. A. SANTOPAOLO,F.SILVAGGI,G.VIALE, La programmazione dei fabbisogni di

medici e infermieri nei Paesi OCSE: verso un modello multi-professionale per ri-spondere alle sfide dell’invecchiamento e delle malattie croniche, in Boll. ADAPT,

2014, n. 31.

(20) Importante, in questa prospettiva, lo spunto contenuto nel regolamento

2013/1291/UE dell’11 dicembre 2013, n. 1291, che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione (2014-2020), Orizzonte 2020. Cfr. l’allegato 1, parte III, Sfide

per la società, ove si fa esplicito riferimento alla emergenza causata dalle malattie

croniche e dai loro crescenti costi economici e sociali.

(21) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, The 2014 EU Summit on Chronic Diseases –

Con-ference Conclusions, 3-4 April 2014, qui 1.

(22) Cfr. OECD, Sickness, Disability And Work Keeping On Track In The Economic

Downturn, OECD Background Paper, 2009, 10.

(23) Cfr. lo studio di D.E. BLOOM,E.T. CAFIERO, E.JANÉ-LLOPIS, S. ABRAHAMS

-GESSEL,L.R.BLOOM,S.FATHIMA,A.B.FEIGL,T.GAZIANO,M.MOWAFI,A.PANDYA, K.PRETTNER,L.ROSENBERG,B.SELIGMAN,A.Z.STEIN,C.WEINSTEIN, The Global Economic Burden of Noncommunicable Diseases, cit., qui 29.

(24) Così: OECD, Sickness, Disability And Work Keeping…, cit., 13, ove si precisa che

(9)

circa il 10% in media in tutta l’area OECD con punte del 25% in alcuni Paesi.

Non sorprende che le proiezioni di spesa su assistenza sanitaria e sicu-rezza sociale segnalino, per i prossimi decenni (25), talune preoccupanti criticità economiche connesse al costante incremento delle malattie croniche che, va comunque precisato (26), aumentano con un ritmo su-periore a quello dell’invecchiamento della popolazione; ciò anche in conseguenza dei costanti progressi della medicina, della prevenzione e della ricerca scientifica rispetto a malattie un tempo ritenute mortali. Vero è, peraltro, che alcune malattie croniche (come obesità, malattie respiratorie, depressione e altri disturbi mentali) si manifestano oggi già in età giovanile (27) complicando ulteriormente il quadro fenomenolo-gico e concettuale di riferimento e le relative risposte politiche e istitu-zionali.

Considerato che in molti Paesi europei – segnatamente quelli che adot-tano il c.d. “modello Bismark” e cioè Belgio, Estonia, Francia, Germa-nia, LituaGerma-nia, Lussemburgo, Paesi Bassi, PoloGerma-nia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria (28) – la spesa sanitaria (e non solo quella pensionistica) è finanziata dai contributi versati da la-voratori e imprese (29), ne deriva un incremento della c.d. old-age

(25) Ancora EUROPEAN COMMISSION, The 2012 Ageing Report: Economic and

Budg-etary Projections for the 27 EU Member States (2010-2060), cit.

(26) In questo senso cfr. il testo della audizione del rappresentante di Farmindustria

presso la Camera dei Deputati nella seduta n. 5 di lunedì 29 luglio 2013, 19 (in

www.camera.it).

(27) Cfr., tra i tanti, J.C. SURIS,P.A. MICHAUD,R. VINER, The Adolescent with a

Chronic Condition. Part I: Developmental Issues, in Archives Disease in Childhood,

2004, 938-942.

(28) Cfr. il rapporto per Comitato delle Regioni della Unione europea curato da P

RO-GRESS CONSULTING,LIVING PROSPECTS, La gestione dei sistemi sanitari negli Stati

membri dell’UE. Il ruolo degli enti locali e regionali, Unione europea, 2012, qui

98-102. Anche in Italia il finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) avveniva, in passato, con il versamento di contributi sociali da parte di lavoratori e imprese suc-cessivamente aboliti dall’art. 36 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Ora il SSN ita-liano è finanziato dal bilancio dello Stato, da entrate proprie, nonché dalla fiscalità generale delle Regioni con tasse come IRAP e IRPEF che colpiscono le attività pro-duttive e il reddito delle persone fisiche. Cfr. Opzioni di Welfare e integrazione delle

politiche, Rapporto CEIS Sanità, VIII edizione, giugno 2012, qui 96.

(29) Per dati comparati sulla spesa per la protezione sociale in Europa (vecchiaia,

inva-lidità, disoccupazione, famiglia, abitazione, malattia e cure sanitarie) cfr. T. ACETI,

M.T. BRESSI (a cura di), Emergenza famiglie: l’insostenibile leggerezza del Welfare,

XI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità del CnAMC(Coordinamento

(10)

pendency ratio con un numero via via minore di contributori attivi,

at-traverso la loro partecipazione al mercato del lavoro, rispetto a coloro che risultano ammissibili alle relative prestazioni. Secondo le previsioni della Commissione europea, in particolare, si stima nei prossimi decen-ni un raddoppio della old-age dependency ratio, dal 26% del 2010 al 52% del 2060 (30), con un robusto incremento della spesa sanitaria e as-sistenziale di lungo periodo legata appunto al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione (31).

Analogo discorso può tuttavia essere svolto anche con riferimento a Paesi con diversi sistemi di finanziamento del welfare, specie quelli come l’Italia con un tasso di occupazione regolare molto basso, che, a seguito dei cambiamenti demografici e dell’invecchiamento della popo-lazione, registrano oggi rilevanti pressioni sulla spesa pubblica (previ-denziale e sanitaria) in ragione della inattualità dello storico principio del c.d. pay-as-you-go e cioè del criterio di finanziamento a ripartizione (32).

1.2. Impatto delle malattie croniche sulle dinamiche comples-sive del mercato del lavoro, sulla produttività e sulla or-ganizzazione del lavoro

Le criticità riguardano, a ben vedere, non solo i sistemi sanitari e di welfare. Significativo, ancorché poco o nulla monitorato (33), è anche l’impatto delle malattie croniche sulle dinamiche complessive del

(30) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, The 2012 Ageing Report: Economic and Budgetary

Projections…, cit., 60-61 e anche 159-161.

(31) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, The 2012 Ageing Report: Economic and Budgetary

Projections…, cit., qui (per i dati di sintesi) 34-36 e 40-41. Cfr. altresì cfr. D.E.

BLOOM, E.T. CAFIERO, E. JANÉ-LLOPIS, S. ABRAHAMS-GESSEL, L.R. BLOOM, S. FATHIMA,A.B.FEIGL,T.GAZIANO,M.MOWAFI,A.PANDYA,K.PRETTNER,L.R OS-ENBERG,B.SELIGMAN,A.Z.STEIN,C.WEINSTEIN, The Global Economic Burden of

Noncommunicable Diseases, cit.

(32) Sul punto cfr., diffusamente e in chiave comparata, N. SALERNO, Le risorse per il

welfare del futuro. Insufficienza del pay-as-you-go e disegno multipilastro, che segue

in q. Sezione.

(33) Significativo, al riguardo, è il recente invito del Consiglio della Unione europea a

valutare l’impatto del fenomeno – e delle relative riforme dei sistemi sanitari naziona-li – sull’andamento del mercato del lavoro, sulla produttività e sulla competitività in

generale. Cfr. COUNCIL OF EUROPEAN UNION, Council Conclusions on the Reflection

Process on Modern, Responsive and Sustainable Health Systems, Employment, Social

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cato del lavoro e, a livello micro, sulla organizzazione del lavoro nelle singole imprese chiamate a gestire la presenza o il ritorno in attività di una forza-lavoro non solo tendenzialmente – e inevitabilmente – meno produttiva, ma anche, almeno secondo recenti studi, maggiormente soggetta al rischio di infortuni (34) e incidenti gravi sul lavoro (35). È noto, rispetto alle proiezioni demografiche e di spesa da qui al 2060, come sia il c.d. input di lavoro ad agire quale principale leva della cre-scita in Europa in un contesto, tuttavia, di complessivo invecchiamento e contrazione della popolazione economicamente attiva ed abile al la-voro (36). Le malattie croniche, lungi dal sollevare unicamente questioni di protezione e inclusione sociale, incidono, di conseguenza, anche sul-le dinamiche della produttività del lavoro, impattando sia sulla compe-titività di imprese e sistemi economici nazionali sia sui percorsi profes-sionali e di carriera dei singoli lavoratori.

Non va del resto sottovalutato il fatto che, in un numero crescente di casi, il fenomeno in esame è connesso a fattori di rischio professionale legati alle mansioni lavorative (37) o, comunque, a patologie maturate negli ambienti di lavoro (38) o a causa del lavoro (39): una sorta di

(34) Un recente studio americano segnala un aumento del rischio di infortuni sul

lavo-ro pari al 14% in caso di asma, al 17% in caso di diabete, al 23% in caso di malattie

cardiache e al 25% in caso di depressione. Cfr. K.M. POLLAK, Chronic Diseases and

Individual Risk for Workplace Injury, in Occupational and Environmental Medicine,

2014, 155-166.

(35) In questo senso cfr. J. KUBO, B.A. GOLDSTEIN, L.F. CANTLEY, B. TESSIER

-SHERMAN, D. GALUSHA, M.D. SLADE, I.M. CHU, M.R., CULLEN, Contribution of Health Status and Prevalent Chronic Disease to Individual Risk for Workplace Injury in the Manufacturing Environment, in Occupational and Environmental Medicine,

2014, 159-166. Cfr. anche il rapporto comparato curato per conto della European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions su Employment

opportunities for people with chronic diseases, cit., specialmente la sezione Higher Exposure to Risks and Hazards.

(36) EUROPEAN COMMISSION, The 2012 Ageing Report: Economic and Budgetary

Pro-jections…, cit., qui 34 per i dati di sintesi.

(37) L’Organizzazione mondiale della sanità stima in 300 mila i lavoratori morti ogni

anno a causa di malattie connesse (escludendo gli infortuni) alle mansioni di lavoro di

cui larga parte riconducibili a malattie croniche. Cfr. WORLD HEALTH O

RGANIZA-TION, Action Plan for Implementation of the European Strategy for the Prevention

and Control of Noncommunicable Diseases 2012-2016, Copenhagen, 2012, qui 21.

(38) Si pensi, per esempio, al fumo passivo negli ambienti di lavoro e all’impatto sulla

diffusione di malattie cardiovascolari e tumori. Cfr., tra i tanti, I. KAWACHI, G.A.

COLDITZ, Worklace Exposure to Passive Smoking and Risk of Cardiovascular Dis-ease: Summary of Epidemiologic Studies, in Environmental Health Perspectives,

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demia invisibile”, volendo utilizzare l’efficace immagine proposta dall’ILO (40), con un impatto di gran lunga superiore a quello dei ben più riconoscibili incidenti sul lavoro, tale da alimentare giganteschi contenziosi, responsabilità (dirette e indirette) delle imprese e conse-guenti oneri economici aggiuntivi per il sistema produttivo (41).

Con riferimento alla offerta di lavoro e alla produttività, l’incremento delle malattie croniche incide, a ben vedere, non solo sui sistemi di welfare e sulle dinamiche aziendali ma anche sui tassi complessivi di occupazione con meno persone attive e crescenti barriere nell’accesso al mercato del lavoro (42). Già nel 2007 l’ILO segnalava come in Euro-pa, nella fascia compresa tra i 16 e i 64 anni, solo il 66% dei disoccupa-ti/inoccupati avesse una opportunità di trovare un lavoro e che questa possibilità si riducesse al 47% per i malati cronici e al 25% per le per-sone colpite da una grave disabilità (43).

La “grande crisi”, che ha preso avvio nel 2007 con il collasso dei mer-cati finanziari, ha inevitabilmente aggravato l’inserimento al lavoro dei malati cronici – e segnatamente delle persone con disturbi mentali (44) – che pure sono portati, più che in passato, alla ricerca di una occupazio-ne anche in ragiooccupazio-ne dei complessivi vincoli di finanza pubblica e dal

(39) Si pensi all’impatto di fattori psicosociali come lo stress lavoro correlato, il

pre-cariato e l’insicurezza sul lavoro, turnazioni e orari di lavoro faticosi, ecc. Cfr., tra i

tanti, N.H. ELLER, B. NETTERSTRØM,F.GYNTELBERG,T.S.KRISTENSEN,F.NIELSEN,

A.STEPTOE,T.THEORELL, Work-Related Psychosocial Factors and the Development of Ischemic Heart Disease A Systematic Review, in Cardiology in Review, 2009,

83-97, cui adde M. KIVIMAKI, J.E. FERRIE, E. BRUNNER, J. HEAD, M.J. SHIPLEY, J.

VAHTERA,M.G.MARMOT, Justice at Work and Reduced Risk of Coronary Heart

Dis-ease Among Employees, in Archives of Internal Medicine, 2005, 2245-2251.

(40) Così: ILO, The Prevention of Occupational Diseases, 2013, qui 4.

(41) Per un tentativo di stima dei costi delle malattie professionali e delle malattie

le-gate al lavoro cfr. ancora ILO, op. ult. cit., qui 8-9.

(42) Cfr. R. BUSSE, M. BLÜMEL, D. SCHELLER-KREINSEN, A. ZENTNER, Tackling

chronic disease in Europe: Strategies, Interventions and challenges, cit., 20-24, e ivi,

in sintesi e per tipologia di malattia cronica, le conclusioni a cui è pervenuta la princi-pale letteratura internazionale in materia.

(43) Cfr. ILO, Equality at Work: Tackling the Challenges. Global Report Under the

Follow-Up to the ILO Declaration on Fundamental Principles and Rights at Work,

2007, qui 44-45. Cfr. altresì S. GRAMMENOS, Illness, Disability and Social Inclusion,

European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2003, qui 43-47.

(44) Cfr. S. EVANS-LACKO,M.KNAPP,P.MCCRONE,G.THORNICROFT,R.MOJTABAI,

(13)

parallelo irrigidimento dei criteri di accesso alla età di pensione ovvero all’assegno di invalidità permanente.

Secondo stime dell’OECD – in linea con i dati generali contenuti nel rapporto della Commissione europea sulla disabilità (45) e con i dati più di dettaglio di un denso rapporto comparato su lavoro e malattie croni-che curato per conto della Fondazione europea di Dublino (46) – il tasso di occupazione dei malati cronici è poco più della metà e il tasso disoc-cupazione è il doppio rispetto al resto della popolazione economica-mente attiva (47).

Le difficoltà di inserimento o reinserimento al lavoro di questo gruppo di persone sono oggettive e non di rado legate a veri e propri blocchi psicologici e insicurezze che portano a rigettare l’idea di un ritorno al lavoro. Altrettanto rilevanti sono, tuttavia, i pregiudizi, lo stigma che ancora accompagna talune malattie croniche, e taluni metodi di orga-nizzazione del lavoro di fatto penalizzanti perché standardizzati e dun-que basati su una rigida concezione della presenza (e idoneità) al lavoro e della relativa produttività. Non mancano poi, quantomeno con riferi-mento alle fasce di popolazione più vulnerabili (48), atteggiamenti di-scriminatori più o meno evidenti che, talvolta, sfociano in forme siste-matiche di vessazione (c.d. mobbing) verso persone ritenute poco pro-duttive e che sollevano altresì ineludibili problemi di giustizia sociale, inclusione ed equità (49).

Esiste peraltro una corposa letteratura che segnala, in una sorta di circo-lo vizioso, come la stessa disoccupazione e condizioni di lavoro preca-rie siano, non di rado, fonte diretta o indiretta di malattie croniche o, comunque, causa di un loro aggravamento soprattutto in relazione alle

(45) EUROPEAN COMMISSION, European Disability Strategy 2010-2020: A Renewed

Commitment to a Barrier-Free Europe, COM (2010) 636 def., qui 7.

(46) Cfr. lo studio comparato della European Foundation for the Improvement of

Liv-ing and WorkLiv-ing Conditions su Employment opportunities for people with chronic

diseases, cit. (spec. la sezione su Employment situation of people with chronic disea-ses) cui adde i singoli rapporti nazionali tutti reperibili all’indirizzo internet della

Fondazione (www.eurofound.europa.eu).

(47) Cfr. OECD, Sickness, Disability and Work…, cit., qui 23 e anche 31, 32, 37.

(48) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, European Disability Strategy 2010-2020: A

Re-newed Commitment to a Barrier-Free Europe, cit., ove si sottolinea la particolare

vulnerabilità di donne, giovani, immigrati, malati mentali.

(49) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, The 2014 EU Summit on Chronic Diseases –

Con-ference Conclusions, cit., qui 4. Sul punto cfr. amplius il rapporto comparato curato

(14)

malattie e ai disturbi mentali (50): uno studio statunitense mostra come la perdita involontaria di lavoro tra gli over 50 comporti la duplicazione del rischio di subire un infarto; una ricerca giapponese segnala, invece, l’impatto della disoccupazione sugli stili di vita, sottolineando l’aumento nell’utilizzo di sostanze come tabacco e alcool, che sono tra le principali cause dell’insorgere di una malattia cronica; altri studi se-gnalano, infine, l’incidenza dello stato di disoccupazione sui disordini mentali (ansia, stress, depressione), ecc. (51).

Non mancano, per contro, studi diretti a segnalare la bassa incidenza dello stato di disoccupazione su salute e condizioni mentali in quei Pae-si, come la Germania (52), dove esistano un robusto sistema di protezio-ne sociale con sussidi di disoccupazioprotezio-ne e adeguati servizi di reinseri-mento al lavoro.

Il diritto del lavoro e i sistemi di welfare hanno registrato, nel corso de-gli ultimi decenni, significativi cambiamenti dovuti a nuovi modelli di produzione e di organizzazione del lavoro indotti dalle innovazioni tec-nologiche e dalla globalizzazione (53). Non meno importanti sono tutta-via, come abbiamo cercato di dimostrare nelle pagine che precedono, i cambiamenti demografici e, tra questi, l’invecchiamento della forza-lavoro (54) e la conseguente incidenza delle malattie croniche sulla

(50) Accanto allo studio pionieristico di M. JAHODA,P.F.LAZARSFELD,H.ZEISEL,D.

PACELLI, I disoccupati di Marienthal, in Studi di Sociologia, 1987, 229-231, si veda

la letteratura citata in A. NICHOLS,J.MITCHELL,S.LINDNER, Consequences of

Long-Term Unemployment, The Urban Institute, Washington, 2013, 9-10. Cfr. D. S TUCK-LER,S.BASU,M.SUHRCKE,M.COUTTS,M.MCKEE, Effects of the 2008 recession on

health: A first look at European data, in The Lancet, 2011, 124-125, e anche, in

chia-ve comparata, EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND

WORKING CONDITIONS, Access to Healthcare in Times of Crisis, 2014.

(51) Cfr. la letteratura riportata in S. VARVA (a cura di), Lavoro e malattie croniche:

una rassegna ragionata della letteratura di riferimento, cit.

(52) Così: H. SCHMITZ, Why are the Unemployed in Worse Health? The Causal Effect

of Unemployment on Health, in Labour Economics, 2011, 71-78. In senso contrario

vedi tuttavia il precedente studio condotto, sui medesimi dati, da L. ROMEU GORDO,

Effects of Short and Long-Term Unemployment on Health Satisfaction: Evidence from German Data, in Applied Economics, 2006, 2335-2350.

(53) Cfr., tra i tanti, J. MORGAN, The Future of Work, Wiley, 2014, cui adde il

rappor-to McKinsey, The Future of Work in Advanced Economies, McKinsey & Company, 2012.

(54) Cfr. A. CHIVA,J.MANTHORPE, Older Workers in Europe, Open University Press,

2009, cui adde gli importanti studi comparati condotti dalla European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Sustainable Work and the

Age-ing Workforce, 2012) e dall’OCSE (AgeAge-ing and Employment Policies – Country Stud-ies & Policy Review), reperibili sui rispettivi siti internet istituzionali. Nell’ottica della

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Wel-ganizzazione e sulla produttività del lavoro: temi e problemi che meri-tano adeguata attenzione anche in ambito giuslavoristico nella prospet-tiva di un welfare della persona, di un mercato del lavoro efficiente e inclusivo e della conseguente modernizzazione del quadro regolatorio e del sistema di relazioni industriali sottostante.

1.3. Obiettivi della ricerca

Obiettivo del presente studio è, appunto, quello di segnalare la centrali-tà, per le dinamiche evolutive del diritto del lavoro e dei sistemi di wel-fare, di un tema ancora oggi non pienamente emerso (55) come l’impatto delle malattie croniche sul rapporto di lavoro e sul sistema di protezione sociale ipotizzando altresì soluzioni che consentano il pas-saggio da una politica meramente passiva ed emergenziale di mero so-stegno al reddito – se non di espulsione dal mercato del lavoro secondo una logica di c.d. medicalizzazione del problema (infra, § 2) – a una concezione più moderna orientata non solo alla prevenzione, già a par-tire dagli ambienti di lavoro (infra, § 4), ma anche alla occupabilità e al ritorno al lavoro del malato cronico (infra, § 3).

Un tema innovativo e di frontiera come quello del rapporto tra lavoro e malattie croniche si impone, del resto, non solo in funzione della soste-nibilità futura dei regimi pubblici di welfare, ma anche come fronte tra i più avanzati e fertili nell’ambito del rinnovamento dei sistemi nazionali di relazioni industriali chiamati oggi a gestire, sotto la pressione di im-ponenti cambiamenti tecnologici e demografici, una drastica trasforma-zione non solo concettuale ma anche prescrittiva delle nozioni giuridi-che di “presenza al lavoro”, “prestazione lavorativa”, “esatto adempi-mento contrattuale” (infra, § 5) nella ricerca di un nuovo punto di equi-librio tra logiche di produttività e istanze di equità, inclusione, sosteni-bilità del lavoro e giustizia sociale.

fare, in Quaderni Europei sul Nuovo Welfare, 2014, n. 21, spec. i §§ 2, 3 e 4 su

de-mografia, lavoro e produttività.

(55) Cfr., tra i primi studi in materia, S. GRAMMENOS, Illness, Disability and Social

Inclusion, cit., qui spec. 1, dove già si segnalava, in termini che non sono oggi

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2. Malattie croniche: i limiti delle attuali risposte fornite dal dirit-to del lavoro e dai sistemi di protezione sociale

Già si è segnalato, nel paragrafo che precede, come le prospettive oc-cupazionali dei malati cronici siano alquanto limitate e come siano anzi peggiorate nel corso dell’ultimo decennio di stagnazione economica e crisi dei mercati finanziari internazionali.

La ridotta o limitata capacità lavorativa diminuisce, indubbiamente, la competitività di questo gruppo di persone nella ricerca di una nuova occupazione così come non di rado compromette, per quanti siano oc-cupati, il mantenimento del posto di lavoro una volta esauriti congedi, aspettative e permessi. L’analisi comparata segnala regimi di tutela al-quanto diversificati che risultano ampiamente condizionati dallo speci-fico quadro regolatorio in materia di licenziamenti per motivi economi-ci e, segnatamente, per inidoneità al lavoro, scarso rendimento, assenza dal lavoro (56).

Vero è, tuttavia, che le rigide classificazioni delle malattie croniche nel-le categorie previste dalnel-le normative assistenziali e previdenziali nazio-nali, accentuando la medicalizzazione delle stesse (57), contribuiscono già a monte alla creazione di barriere strutturali e di sistema all’accesso al lavoro (58).

L’impostazione tradizionale dei sistemi di protezione sociale appare in effetti caratterizzata, non solo in Europa (59), dall’impiego di meccanici

(56) Cfr., sul punto, l’analisi comparata condotta da S. FERNÁNDEZ MARTÍNEZ,

Malat-tie croniche e licenziamento del lavoratore: una prospettiva comparata, che segue in q. Sezione.

(57) Il termine “medicalizzazione” è utilizzato, a partire da un celebre editoriale del

British Medical Journal nel 2002, per identificare un atteggiamento nelle società

oc-cidentali che invece di promuovere la salute e il benessere delle persone enfatizza la malattia con eccesso di diagnosi, trattamenti e cure in molti casi inutili. Cfr. R. MOYNIHAN,R.SMITH, Too Much Medicine?, in British Medical Journal, 2002,

859-860, cui adde S. BROWNLEE, Why Too Much Medicine Is Making Us Sicker and

Poorer, Bloomsbury Publishing, 2010.

(58) Il punto è bene evidenziato, tra gli altri, da A. VICK,E.LIGHTMAN, Barriers to

Employment Among Women with Complex Episodic Disabilities, in Journal of Disa-bility Policy Studies, 2010, qui 76-77. Cfr. altresì L.C. KOCH,P.D.RUMRILL,L.C O-NYERS,S.WOHLFORD, A Narrative Literature Review Regarding Job Retention

Strat-egies for People with Chronic Illnesses, in Work, 2013, qui 126.

(59) Cfr. per esempio, per il caso canadese, A. VICK,E.LIGHTMAN, Barriers to

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modelli medically-driven nella determinazione della concessione di trattamenti di invalidità civile o assegni di cura e assistenza che spesso conducono a una uscita anticipata dal mercato del lavoro anche là dove non sarebbe necessario e, anzi, persino dannoso per il morale e la stessa riabilitazione fisica del malato che, non di rado, vede nel lavoro un bi-sogno personale prima ancora che economico per un progressivo ritor-no a una vita “ritor-normale” (60).

Il confine tra abilità e disabilità al lavoro è, in realtà, decisamente flui-do e variabile, posto che non tutte le persone reagiscono allo stesso modo (fisicamente ed emotivamente) alla medesima patologia e che le condizioni di un malato cronico si evolvono con intermittenza e in mo-do imprevedibile nel corso del tempo in ragione di complessi fattori soggettivi ed oggettivi tra cui: reazione alle cure, contesto sociale e so-stegno familiare, disponibilità economiche personali, qualità dei servizi di cura, assistenza e riabilitazione, ecc.

I sistemi di protezione sociale, per contro, adottano ancora oggi un mo-dello tendenzialmente statico e standardizzato (c.d. one-size-fits-all) che, di regola, non contempla valutazioni dinamiche mirate non solo sulla persona, ma anche sulla sua attitudine al lavoro, il tipo di occupa-zione e mestiere, la tipologia contrattuale e la flessibilità dell’orario di lavoro, l’ambiente lavorativo e il rapporto con colleghi e superiori, le caratteristiche della impresa e l’adozione o meno di modelli di welfare aziendale, i cambiamenti fisici e logistici legati alla malattia, l’efficacia e l’invasività delle cure, l’evoluzione della malattia, ecc. (61).

(60) Convergenti, nella letteratura, sono in effetti gli studi che documentano un

impat-to benefico e anche terapeutico del lavoro sulla persona malata: cfr., tra i tanti, E

URO-PEAN NETWORK FOR WORKPLACE HEALTH PROMOTION, Promoting Healthy Work for Workers with Chronic Illness…, cit., e anche J.F. STEINER, T.A. CAVENDER,D.S. MAIN,C.J.BRADLEY, Assessing the Impact of Cancer on Work Outcomes What Are the Research Needs?, in Cancer, 2004, spec. 1710, dove si conclude «work is

im-portant to the individual, to his or her family and social network, to the employer, and to society at large». Sul lavoro come bisogno e leva di inclusione sociale si veda

altre-sì, per l’efficacia delle immagini richiamate, S. ZAMAGNI, People Care: dalle

malat-tie critiche alle prassi relazionali aziendali, in Atti del convegno della Fondazione Giancarlo Quarta, Milano, 26 ottobre 2011.

(61) Cfr. T. TASKILA,J.GULLIFORD,S.BEVAN, Returning to Work. Cancer Survivors

and the Health and Work Assessment and Advisory Service, Work Foundation,

(18)

priori-La conseguenza, come bene evidenziato dall’OECD (62), è che un co-spicuo numero di persone con capacità di lavoro parziale viene consi-derata dagli attuali sistemi di welfare, anche solo a livello di prassi se non di testi normativi, non più in grado di lavorare in modo definitivo anche se così in realtà non è. Il riconoscimento di un trattamento di in-validità civile comporta così il venir meno dell’obbligo di ricerca attiva del lavoro. Non solo. In numerosi ordinamenti è la legge stessa che vie-ta al percettore dell’assegno di invalidità lo svolgimento di attività la-vorative, pena la perdita di un sussidio che, normalmente, è di poco su-periore ai livelli di sussistenza (63).

Un problema di tutela sul mercato del lavoro e nel rapporto di lavoro, quello di assicurare una adeguata protezione a una persona vulnerabile a causa di una capacità lavorativa ridotta o limitata a titolo definitivo o anche solo temporaneo, si trasforma così in un problema medico o assi-stenzialistico e cioè stabilire se il malato integri o meno i requisiti stan-dard per il riconoscimento della inidoneità al lavoro e del relativo asse-gno o pensione di inabilità al lavoro (64). Il tutto con buona pace del si-stema delle imprese, cui lo Stato rimuove l’onere materiale (ma, di re-gola, non il costo economico finale in termini di tassazione e contribu-zione) della gestione di un “problema” come la presenza di un malato cronico in azienda, e anche degli stessi lavoratori che, non di rado, ri-tengono più vantaggiosa una pensione definitiva di invalidità (magari da integrare con prestazioni più o meno occasionali “in nero”) rispetto a un sussidio temporaneo di disoccupazione ovvero a trattamenti retribu-tivi ridotti in ragione della minore produtretribu-tività o presenza in azienda. Concepiti in un contesto economico, sociale e demografico affatto di-verso da quello attuale, i sistemi di protezione sociale occidentali e quelli europei in particolare (65) non appaiono dunque oggi in grado di affrontare in modo adeguato un fenomeno relativamente nuovo – alme-no per dimensioni, gravità e costi – come quello delle malattie croniche

tise work as a clinical outcome and a welfare system that supports job retention».

Nel-la medesima prospettiva cfr. J.F. STEINER,T.A. CAVENDER,D.S.MAIN,C.J. B

RAD-LEY, Assessing the Impact of Cancer on Work Outcomes What Are the Research

Needs?, in Cancer, 2004, 1703-1711.

(62) Cfr. OECD, Sickness, Disability And Work Keeping On Track In The Economic

Downturn, cit., qui 17-18.

(63) Ancora OECD, Sickness, Disability And Work…, cit., qui 18.

(64) Ibidem. Per una efficace sintesi della normativa italiana in materia di invalidità

civile cfr. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, 2013, cap. XI.

(65) Sull’impianto dei tradizionali modelli di welfare cfr. F. GIROTTI, Welfare State.

(19)

nei termini ampiamente descritti nel paragrafo che precede (66) contri-buendo indirettamente, assieme a molteplici altri fattori, ai bassi tassi di occupazione e reinserimento lavorativo dei malati cronici.

Non minori disincentivi e barriere al lavoro dei malati cronici derivano dall’attuale quadro di regole di legge e di contrattazione collettiva che compongono l’ordinamento giuridico posto dal diritto del lavoro. Quantomeno in Europa, ma anche nel Nord America, i tradizionali principi generali di non discriminazione e parità di trattamento (67) ga-rantiscono indubbiamente, su un piano formale, un ampio e moderno impianto di diritti e tutele (68), che tuttavia trascura, su un piano

(66) Cfr. anche S. ZAMAGNI, People Care: dalle malattie critiche alle prassi

relazio-nali aziendali, cit., specie là dove precisa che «il modello di Welfare State che

abbia-mo realizzato nel dopoguerra in Italia, come altrove, esclude le situazioni che non si adeguano all’idea secondo la quale se una persona non è idonea a svolgere determina-te mansioni nel pieno delle sue capacità non può pensare di rimanere sul luogo di la-voro».

(67) Cfr. il già richiamato studio di S. FERNÁNDEZ MARTÍNEZ, Malattie croniche e

li-cenziamento del lavoratore: una prospettiva comparata, cit., spec. § 2. Sull’impianto

delle normative antidiscriminatorie in ambito europeo cfr. invece S. FREDMAN,

Di-scrimination Law, Clarendon Law Series, 2011; E. ELLIS, P. WATSON, EU Anti-Discrimination Law, Oxford University Press, 2012; B. DOYLE,C. CASSERLEY, S. CHEETHAM,V.GAY,O.HYAMS, Equality and Discrimination, Jordan Publishing

Li-mited, 2010; D. SCHIEK,V.CHEGE (ed.), European Union Non-Discrimination law.

Comparative Perspectives on Multidimensional Equality Law, Routledge-Cavendish,

2009. Per il contesto americano cfr. P. BURSTEIN, Discrimination, Jobs and Politics.

The Struggle for Equal Employment Opportunity in the United States since New Deal,

The University of Chicago Press, 1998; R.C. POST,R.B.SIEGEL, Equal protection by

Law: Federal Antidiscrimination Legislation after Morrison and Kimel, in The Yale Law Journal, 2000, 441-526. Nella letteratura italiana cfr. infine A. LASSANDARI, Le

discriminazioni nel lavoro. Nozioni, interessi, tutele, Wolters Kluwer Italia, 2010.

(68) Cfr. lo studio comparato condotto per la European Foundation for the

Improve-ment of Living and Working Conditions su EmployImprove-ment opportunities for people with

chronic diseases, cit. (spec. la sezione su Main policy measures and initiatives at na-tional level), cui adde i singoli rapporti nazionali tutti reperibili all’indirizzo internet

della Fondazione (www.eurofound.europa.eu). Nella letteratura internazionale talune indagini empiriche segnalano, peraltro, una significativa evoluzione da parte delle imprese nella gestione delle malattie croniche con atteggiamenti di sostegno ai lavora-tori registrandosi solo in minima percentuale trattamenti discriminalavora-tori. Cfr., con rife-rimento allo studio effettuato su un gruppo di lavoratrici colpite da un tumore al seno,

R.R. BOUKNIGHT,C.J.BRADLEY,Z.LUO, Correlates of Return to Work for Breast

Cancer Survivors, in Journal of Clinical Oncology, 2008, 345-353 e spec. 148 e 150,

(20)

ziale, sia gli aspetti prevenzionistici, che possono trovare nei luoghi di lavoro un ambito di intervento particolarmente significativo (infra, § 4), sia le peculiari condizioni soggettive e oggettive in cui versano i malati cronici e le stesse aziende presso cui sono occupati (infra, § 5).

Non può sorprendere, pertanto, il basso tasso di effettività della stru-mentazione formalistica del diritto del lavoro (69), che, al pari dei si-stemi di welfare, affronta il tema delle malattie croniche in modo stan-dardizzato e passivo. Il tutto senza ancora prevedere, almeno nella maggior parte dei Paesi, incentivi economici mirati a sostegno delle imprese, misure integrative ad hoc di tutela e promozione e, soprattutto, politiche attive di retention e di reinserimento al lavoro che si affian-chino alla assistenza più propriamente medica e/o psicologica (70). Vero è anzi che, non di rado, gli oneri formali connessi alla tutela dei malati cronici possono disincentivare le imprese, in forme ovviamente non pa-lesi e dunque non manifestamente discriminatorie, dalla loro assunzio-ne per il timore di dover gestire una relazioassunzio-ne complessa e oassunzio-nerosa non facilmente risolvibile, stante la disciplina limitativa dei licenziamenti

discrimination because of cancer, suggesting that this was not a widespread problem for breast cancer patients in our sample».

(69) La bassa effettività delle tutele formali del diritto del lavoro è segnalata, in

parti-colare, da F. DE LORENZO, Presentazione Progetto ProJob: lavorare durante e dopo

il cancro, atti del convegno ADAPT-FAVO dell’11 settembre 2014, Roma,

consulta-bili in Osservatorio ADAPT su Work & Chronic Disease.

(70) Cfr., al riguardo, il lavoro di A. DE BOER, T. TASKILA, S.J. TAMMINGA, M.

FRINGS-DRESEN, M.FEUERSTEIN,J.H. VERBEEK, Interventions to Enhance

Return-To-Work for Cancer Patients, in Cochrane Database of Systematic Reviews, 2011,

spec. 3-4, dove (con riferimento ai malati di tumore, ma con considerazioni estensibili a tutte le altre malattie croniche) i vari interventi di sostegno al reinserimento o ritor-no al lavoro vengoritor-no più dettagliatamente classificati in: 1) Psychological («any type of psychological intervention such as counselling, education, training in coping skills, cognitive-behavioural interventions, and problem solving therapy, undertaken by any qualified professional (e.g. psychologist, social worker or oncology nurse»); 2)

Voca-tional («any type of intervention focused on employment. VocaVoca-tional interventions

might be person-directed or work-directed. Person-directed vocational interventions are aimed at the patient and incorporate programmes which aim to encourage return-to-work, vocational rehabilitation, or occupational rehabilitation. Work-directed voca-tional interventions are aimed at the workplace and include workplace adjustments such as modified work hours, modified work tasks, or modified workplace and im-proved communication with or between managers, colleagues and health profession-als»); 3) Physical («any type of physical training such as walking, physical exercises such as arm lifting or training of bodily functions such as vocal training»); 4) Medical

or pharmacological («any type of medical intervention e.g. surgical or medication

(21)

per motivi economici e per inidoneità al lavoro (71), in caso di un insuc-cesso del tentativo di inserimento in azienda.

Allo stesso modo non può sorprendere, nella prospettiva del reinseri-mento in azienda di chi ha perso il lavoro a causa della malattia, la bas-sa effettività (72) delle quote di riserva contemplate, pur con la possibi-lità di vari esoneri, sospensioni temporanee e deroghe (73), nella legi-slazione di molti ordinamenti giuridici, di regola con riferimento uni-camente a imprese e datori di lavoro che superino una determinata so-glia dimensionale (74).

I pochi studi in materia segnalano, in effetti, un certo impatto delle quo-te di riserva in quo-termini di job requo-tention per quanti sono già assunti a scapito di quanti sono invece in cerca di nuova occupazione con un sal-do occupazionale complessivamente negativo (75). Anche a prescindere da prassi elusive da parte di talune imprese vero è, infatti, che l’inserimento o il mantenimento in azienda di un malato cronico non è un percorso meccanico, funzionale al mero adempimento di un obbligo formale di legge o al timore di vedersi applicata la relativa sanzione re-pressiva che lo accompagna, ma impone un atteggiamento positivo e la partecipazione attiva di impresa e lavoratore nel cercare un punto di

(71) Il punto è evidenziato da OECD, Sickness, Disability And Work Keeping On

Track In The Economic Downturn, cit., qui 25. Per una accurata rassegna comparata

delle legislazioni nazionali limitative dei licenziamenti per motivi economici legati

alla impossibilità della prestazione in caso di malattia cronica cfr. S. FERNÁNDEZ

MARTÍNEZ, Enfermedad crónica y despido del trabajador: una perspectiva compara-da, cit. Con specifico riferimento alla Germania cfr. R. SANTAGATA, I licenziamenti

in Germania: i presupposti di legittimità, in q. Rivista, 2013, qui spec. 889-892. Sul

caso inglese cfr. V. KETER, Dismissals for Long Term Sickness Absence, in Library of

House of Commons, January 2010.

(72) Con riferimento al caso italiano cfr. il MINISTRO DEL LAVORO, VI Relazione al

Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” (anni 2010-2011), Roma, qui 56-75.

(73) Nella legislazione italiana, per esempio, è possibile l’esonero parziale per quei

datori di lavoro privati ed enti pubblici economici che non possono occupare l’intera percentuale di persone con disabilità prevista dalla legge, in seguito al quale è previ-sto il versamento di un contributo economico al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili. Cfr. l’art. 14 della l. n. 68/1999.

(74) Per una rassegna comparata cfr. ancora lo studio condotto per la European

Foun-dation for the Improvement of Living and Working Conditions su Employment

oppor-tunities for people with chronic diseases, cit., e i relativi rapporti nazionali anch’essi

più volte citati.

(75) Ancora OECD, Sickness, Disability And Work Keeping On Track In The

(22)

contro e di adattamento reciproco in funzione delle rispettive esigenze (c.d. sostenibilità su cui infra, § 5).

Del pari importante, per consentire cure e assistenza evitando il licen-ziamento in tronco del malato cronico, è il meccanismo civilistico della sospensione della prestazione di lavoro che, tuttavia, copre di regola periodi di tempo relativamente brevi e dunque – nonostante taluni mi-glioramenti ottenuti in sede di contrattazione collettiva rispetto agli standard legali (infra, § 5) – non pienamente adeguati alla gestione di malattie di lungo corso e particolarmente complesse come quelle croni-che. Malattie che, di regola, impongono non solo periodiche interruzio-ni della attività lavorativa, ma anche adattamenti di orario e/o contenuto della prestazione lavorativa (del lavoratore o anche dei familiari) (76) per conciliare in modo attivo le esigenze del lavoratore con quelle dell’impresa e della efficienza dei processi produttivi.

Vero è, del resto, che sospensioni o riduzioni della prestazione lavora-tiva comportano, per i malati cronici, non solo minori livelli di reddito, in un momento in cui la vulnerabilità spesso si traduce in maggiori spe-se (mediche, di cura e assistenza) (77), ma anche persistenti penalizza-zioni nei percorsi di carriera e di crescita professionale.

Né si può infine sottovalutare la circostanza che il mondo delle imprese – quantomeno nei Paesi del Sud Europa e, segnatamente, in Italia (78) – dimostra una crescente insofferenza verso i meccanismi della sospen-sione (retribuita) degli obblighi contrattuali e dei congedi, tanto a favo-re dei lavoratori malati che dei loro familiari. Ciò in ragione di più o meno reali eccessi di tutela o, comunque, di vere e proprie prassi abusi-ve di taluni lavoratori che alla lunga, anche per l’inefficienza o la ac-quiescenza dei servizi ispettivi degli istituti previdenziali e dei medici competenti, finiscono per penalizzare quanti realmente necessitano di

(76) Ancora la European Foundation for the Improvement of Living and Working

Conditions, Employment opportunities for people with chronic diseases, cit., e i rela-tivi rapporti nazionali.

(77) OSSERVATORIO SULLA CONDIZIONE ASSISTENZIALE DEI MALATI ONCOLOGICI, 6°

Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2014, 28, e anche Meeting the Needs of People with Chronic Conditions, National Advisory Committee

on Health and Disability, Wellington, New Zealand, 2007, 8-9. Cfr. altresì i dati citati

in F. DE LORENZO, Presentazione Progetto ProJob: lavorare durante e dopo il

can-cro, cit.

(78) In Italia vedi l’allarme lanciato da già dieci anni fa: L’assenteismo costa l’1% del

PIL, in Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2007. Simili allarmi e preoccupazioni sono presenti

(23)

lunghi periodi di sospensione della prestazione lavorativa a causa della malattia (79).

In conclusione di questo ragionamento non si può in ogni caso non evi-denziare che le attuali tutele formali di legge e contrattazione collettiva, incentrate su quote di riserva e sulla sospensione e conservazione del posto di lavoro per i tempi necessari alla cura, risultano allo stato fun-zionali al prototipo del lavoratore subordinato stabile e a tempo inde-terminato (tendenzialmente maschio e assunto da una grande impresa, almeno se pensiamo ai sistemi di welfare del Sud Europa) (80), là dove la recente evoluzione (e balcanizzazione) del mercato del lavoro ha re-gistrato una massiccia proliferazione di rapporti di lavoro intermittenti, temporanei e atipici che non consentono al malato cronico di godere pienamente (o comunque a lungo) di siffatte tutele e protezioni (81). Ancor più precaria e priva di protezione, a fronte della progressiva per-dita di centralità dello stesso lavoro dipendente, è poi la posizione di ar-tigiani, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e, in generale, di quanti operano sul mercato del lavoro in regime di sostanziale dipen-denza economica rispetto al proprio committente principale (c.d. mo-nocommittenza) pur non integrando gli estremi della nozione formale

(79) Si spiega così per esempio, sempre in Italia, il clamore di alcuni rinnovi

contrat-tuali, come nel caso del settore del commercio, dove le parti sociali hanno convenuto di ridurre le garanzie per le assenze brevi reiterate e, presumibilmente, opportunisti-che, con l’obiettivo di concentrare risorse e tutele sulle malattie lunghe e di maggiore

gravità. Cfr. E. CARMINATI, Lotta agli assenteisti e maggiori tutele per i malati gravi,

in Boll. spec. ADAPT, 7 aprile 2011, n. 17.

(80) Per una conferma di quanto argomentato nel testo è sufficiente analizzare i tassi di

occupazione femminile, ancora molto bassi nell’Europa del Sud, e anche la composi-zione per genere della forza-lavoro atipica e precaria. Senza dimenticare che sulla donna gravano ancora, di regola, i compiti di cura non solo familiari ma anche di care

giver rispetto ai malati. Sul punto cfr. S. GABRIELE,P.TANDA,F.TEDIOSI, The Impact of Long-Term Care on Caregivers’ Participation in the Labour Market, ENEPRI

Re-search Report No. 98, novembre 2011, in particolare 6; e EUROPEAN COMMISSION,

Long-term Care for the Elderly, Luxembourg, Publications Office of the European

Union, 2012.

(81) Cfr., tra i tanti, M. GIOVANNONE,M.TIRABOSCHI (a cura di), Organizzazione del

lavoro e nuove forme di impiego. Partecipazione dei lavoratori e buone pratiche in relazione alla salute e sicurezza sul lavoro – Una Literature Review, 2007, in Osser-vatorio ADAPT Nuovi lavori, nuovi rischi, qui 9-13, e, con specifico riferimento ai

temi della nostra indagine, A.C. BENSADON,P.BARBEZIEUX,F.O.CHAMPS,

(24)

di subordinazione giuridica posta ancora oggi – pur a fronte di evidenti segni di crisi (82) – alla base delle tutele del diritto del lavoro.

L’invito della Commissione europea di «tenere nel debito conto i pro-blemi di equità» (83) impone dunque di rivisitare l’impianto degli attuali sistemi nazionali di protezione sociale. Dovrebbe essere oramai chiaro infatti, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, che i malati cronici, per rimanere o ritornare al lavoro, necessitano non solo e non tanto, se-condo quella che è l’impostazione tradizionale del diritto del lavoro, di astratte protezioni formali, quote di riserva e di tutele comparabili a quelle dei lavoratori pienamente abili al lavoro. Altrettanto (se non più) importanti risultano essere politiche di attivazione ad hoc, tipiche di un moderno welfare della persona, e tutte quelle misure promozionali che, in uno con una nuova concezione della produttività e della presenza al lavoro, consentano di conciliare le variabili esigenze del malato con quelle di efficienza e produttività delle imprese.

Non manca, in realtà, la consapevolezza della necessità di un cambia-mento di paradigma che consenta di affrontare il rapporto tra malattie croniche e lavoro in termini innovativi (84). Vero è, tuttavia, che le isti-tuzioni pubbliche e le normative sottostanti tendono ancora oggi ad af-frontare la questione in termini segmentati (85), ora come tema di diritti,

obblighi e sanzioni ora come ambito di provvidenze e di altri interventi assistenziali, senza una visione unitaria che parta dalla attivazione della persona e dalle politiche di inclusione del malato cronico.

(82) Cfr., tra i tanti, i contributi raccolti in G. DAVIDOV,B.LANGILLE (eds.),

Bounda-ries and Frontiers of Labour Law, Hart Publishing, 2006, cui adde, più recentemente,

H. ARTHURS, Labour Law as the Law of Economic Subordination and Resistance: A Counterfactual?, Comparative Research in Law & Political Economy, Research

Pa-per, 2012, n. 10.

(83) Cfr. EUROPEAN COMMISSION, The 2014 EU Summit on Chronic Diseases –

Con-ference Conclusions, cit., qui 4. Si veda altresì, con riferimenti anche al tema delle

malattie croniche, la risoluzione del Parlamento europeo del 10 aprile 2008

Comba-ting cancer in the enlarged European Union.

(84) Un invito a un cambiamento di paradigma, anche se dal punto di vista sanitario

con ricadute sul mondo del lavoro, era già stato avanzato più di un decennio fa da WORLD HEALTH ORGANIZATION, Innovative Care for Chronic Conditions, 2002, in particolare 4.

(85) Cfr., sostanzialmente nello stesso senso, anche S. GRAMMENOS, Illness, Disability

and Social Inclusion, cit., qui spec. 1: «the public sector tends to tackle the issue from

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3. Dai sussidi, quote di riserva e tutele passive alle politiche di at-tivazione, conciliazione e retention

Alla luce delle considerazioni svolte nel paragrafo che precede, un buon punto di partenza, per contribuire alla modernizzazione dei siste-mi di protezione sociale e delle regole del rapporto di lavoro in funzio-ne del fenomeno emergente delle malattie croniche e, più in gefunzio-nerale, dell’invecchiamento della popolazione, può invero essere ritrovato nel-la Convenzione ONU sui diritti dei disabili del 2006 (86).

La Convenzione, frutto della piena maturazione di un complesso pro-cesso culturale e non solo tecnico-specialistico nel modo con cui af-frontiamo il tema delle diversità nella società (87), evidenzia, infatti, come la condizione di disabilità in senso lato (88) non derivi, in sé, da

limiti, qualità o condizioni soggettive delle persone, bensì dalla “intera-zione” tra le persone con menomazioni o svantaggi e quelle barriere, non necessariamente fisiche ma anche «comportamentali o ambientali», che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società – e, dunque, anche la loro inclusione nel mercato del lavoro – «su una ba-se di uguaglianza con gli altri» (89).

In questa prospettiva di analisi – al pari di quanto già rilevato dalle isti-tuzioni europee per i disabili in senso stretto (90) – anche la risposta ai

(86) Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, New

York, 13 dicembre 2006. La convenzione è stata successivamente approvata dalla Unione europea, con la decisione n. 2010/48, e fa parte del suo ordinamento giuridico. In Italia è stata ratificata con la l. 3 marzo 2009, n. 18.

(87) T.J. MELISH, The UN Disability Convention: Historic Process, Strong Prospects,

and Why The U.S. Should Ratify, in Human Rights Brief, 2007.

(88) Disabilità in senso lato per evidenziare, come riconosciuto dalla stessa

conven-zione ONU nella lett. e del Preambolo, che «la disabilità è un concetto in evoluzio-ne».

(89) Cfr., in più punti, il Preambolo della convenzione ONU e, segnatamente, la lett. e.

Si veda altresì l’International Classification of Impairment Disabilities and

Handi-caps (ICIDH) della Organizzazione mondiale della sanità, quale appendice

dell’International Classification of Diseases (ICD) e, segnatamente, l’International

Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) del marzo 2002, che

defi-nisce la disabilità alla stregua di un processo interattivo ed evolutivo frutto di una complessa interrelazione tra le condizioni di salute o malattia e i fattori contestuali

ambientali e personali. Nella letteratura vedi già: S. GRAMMENOS, Illness, Disability

and Social Inclusion, cit., 29-34, e J. PITCHER,G.SIORA,A.GREEN, Local Labour

Market Information on Disability, in Local Economy, 1996, 120-130.

(90) Cfr. al riguardo la direttiva europea 2000/78/CE del 27 novembre 2000, volta a

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